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Gli elastici: una risorsa per chi si allena a casa

21 Aprile 2020 by Redazione

Video elastici a casa

La conoscenza approfondita dei principi generali, talvolta permette di ignorare qualche dettaglio.

Questo vale per l'allenamento ma anche in molti altri ambiti.

In rete e soprattutto sui social in queste settimane hanno proliferato migliaia di proposte di allenamento da fare a casa fai da te.

Allenatori, appassionati, personal trainer più o meno palestrati, ma anche influencer, atleti ed atlete più o meno bravi, brave e graziose (e palestrate), hanno dispensato innumerevoli consigli e spunti su come mantenersi attivi durante questi giorni di reclusione.

Alcune di queste proposte erano valide, altre lo erano meno.

Occorre comunque riconoscere che in mezzo a tante routine discutibili si sono visti anche alcuni spunti molto interessanti.

Come sono interessanti certe app, davvero ben fatte, che permettono, specie per un atleta che sa già come muoversi e che conosce già una vasta antologia di esercizi, di allenarsi a distanza, potendo seguire praticamente tutti i protocolli possibili di allenamento (per lo meno nella loro versione commerciale).

Il problema (e ci riferiamo a quello con la “p” davvero minuscola dell'home training) di queste prime settimane di reclusione non è stato certamente quello dell'abbondanza dell'offerta ma, piuttosto, della qualità molto varia dei contenuti e della conseguente difficoltà nell'orientarsi nella scelta.

Così abbiamo pensato di proporre qualcosa che fosse un po' più specifico per l'atletica leggera e che. fosse soprattutto adeguato agli standard piuttosto esigenti dei nostri lettori.

Se in una prima fase fare qualcosa è stato comunque meglio che non fare nulla, il protrarsi di questa situazione impone di organizzarsi per strutturare delle proposte di lavoro più organiche ed articolate.

Le strategie su come impostare il lavoro in questa fase dipendono da tanti fattori quali la specialità che si fa o i mezzi che si hanno a disposizione.

Per esempio per un velocista, un saltatore o un lanciatore avere a disposizione una palestra casalinga apre la strada a molteplici possibilità (come ad esempio ragionare sul mantenimento o, perché no, impostare un macrociclo di forza in stile periodizzazione a blocchi).

Allo stesso modo per un mezzofondista un ottimo tread mill, una bicicletta con dei rulli o un giardino eccezionalmente grande offrono molte più opportunità rispetto a chi non ha tutte o nemmeno una di queste opportunità.

La proposta che vi facciamo ora però non riguarda queste situazioni privilegiate in cui un allenatore con un po' di esperienza si può barcamenare facilmente nell'obbiettivo di mantenere a livelli accettabili la condizione e l'umore degli atleti che sta seguendo.

Perché gli elastici?

Abbiamo invece pensato alle situazioni più problematiche e, in questi casi, la soluzione migliore, economica, facilmente reperibile e che non richiede spazi ci è sembrata quella degli elastici.

Con un elastico (e molto meglio con due se non con un intero set) si possono fare tante cose interessanti.

Sebastiano Spotti è un fisioterapista ed un velocista con cui abbiamo iniziato a collaborare prima che iniziasse l'emergenza Corona virus.

Scoppiata l'emergenza gli abbiamo chiesto di produrci una rapida “videolibreria” di esercitazioni rispetto a quelli che erano i nuovi programmi di lavoro con cui avevamo pensato di riempire una piccola parte delle giornate d'un tratto lunghe dei nostri atleti.

I brevi video che ci aveva realizzato erano semplicemente l'esecuzione di una serie di esercizi ed erano simili a quelli (ben fatti) che si possono vedere scorrendo le storie di Instagram dei nostri amici sportivi.

Erano scarni, brevi, andavano subito al punto ed erano perfetti per girare nei gruppi e nelle chat di Whatsapp dei compagni e delle compagne di allenamento che, nelle maggior parte dei casi, avevano più che altro bisogno di ricondurre al nome di un esercizio scritto su un programma, un movimento che probabilmente già conoscevano e avevano già visto e già provato.

Cosa troverai (e NON troverai) nei nostri video sugli elastici

Invece i video che Sebastiano ha realizzato per IlCoach sono diversi.

Sono divisi in tre capitoli:

  • Nel primo gli elastici sono usati come mezzi per fare riscaldamento, attivazione dei distretti muscolari che si andranno ad utilizzare nella parte centrale dell'allenamento e per rinforzare il core;
  • Nel secondo i principali esercizi effettuati con il bilanciere sono convertiti in esercitazioni con l'elastico;
  • Nel terzo si affrontano gli esercizi cosiddetti complementari e quelli più indicati per il warm down e per “scaricare” le articolazioni alla fine di una seduta

Sono ottimi video.

Sono lunghi e sono rivolti a chi nelle cose che fa cerca un minimo di approfondimento.

Tutte le esercitazioni sono contestualizzate e sono corredate da spiegazioni che riguardano non solo la tecnica esecutiva, ma anche le peculiarità del lavoro effettuato con gli elastici.

Di ognuno degli esercizi sono indicate le articolazioni e i gruppi muscolari che vanno a sollecitare.

Sono 3 video che non contengono soltanto degli spunti estemporanei e non ci sono circuiti di lavoro tipo 3x10 di questo o 30 secondi di quello o effetti speciali alla Tik Tok con in sotto fondo la hit del momento.

Non sono work out già pronti con cui sistemare l'atleta per una seduta di allenamento.

Ci sono tanti esercizi ma, più importante, ci sono anche concetti su cui ragionare.

Gli allenatori poi potranno scegliere cosa prendere e cosa no.

Sebastiano ha indicato il “cosa”, il “come” e il “perché”.

Il “quanto” e il “quando” e il decidere cosa utilizzare e come creare delle progressioni per i propri atleti resta ovviamente ai tecnici personali.

Noi ci auguriamo semplicemente di aver indicato qualche strumento in più dare un po' di varietà alla propria proposta di allenamento che, al momento, per tutti noi è fortemente limitata dalla situazione contingente.

Tutti i tecnici che cercano di aggiornarsi costantemente sono abituati ad imparare.

Come allenatori siamo invece chiamati ad insegnare.

In questo momento però è fondamentale che i nostri atleti “imparino ad imparare”.

Sicuramente per le prime 4, forse 6 o 8 settimane a partire dal momento in cui torneremo in pista, gli atleti che hanno ritenuto più forza, che hanno meglio controllato il peso, che hanno fatto peggiorare meno la propria Vam avranno un vantaggio rispetto agli altri. Ma sarà una cosa giusto di un mesetto o più probabilmente di 2 o di 3. Nel lungo termine invece gli atleti e gli allenatori che avranno più vantaggio saranno quelli che in questi mesi avranno imparato di più.

Quelli che avranno acquisito maggiore consapevolezza non solo eseguendo o imparando 4 esercizi nuovi, ma soprattutto capendo la logica e il significato che sta alla base di ogni lavoro.

E ricorda...

[tweetthis]"Non esistono esercizi che fanno diventare un allenatore capace. Ma ci sono allenatori capaci che sanno rendere gli esercizi utili!" @ilcoachnet[/tweetthis]

Allenamento a casa con gli elastici. Parte 1, il Warm Up

Allenamento a casa con gli elastici. Parte 2. Gli esercizi fondamentali

Allenamento a casa con gli elastici. Parte 3, esercizi di prevenzione e complmentari.

Sebastiano Spotti

Sebastiano Spotti

Fisioterapista | Sprinter
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Filed Under: Allenamento della forza, News, News Tagged With: allenamento con elastici, elastici, warm up

Il riscaldamento: una proposta pratica

13 Agosto 2018 by Redazione

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La prima premessa che vorrei fare è che le nozioni contenute in questo articolo, nonostante siano il frutto di un’esperienza quasi decennale nel mondo dell’atletica e della pallavolo professionale, non sono supportate da una bibliografia scientifica ufficiale, ma solo il risultato di studi ed esperienze, personali ed altrui. Questo è il motivo per il quale l’articolo inizia con la parola “Personalmente”.

Il riscaldamento. Perchè farlo correttamente?

Personalmente vedo il riscaldamento come il mezzo per adempiere a due obiettivi:

  • Aumentare la prestazione che ci si prepara a svolgere.
  • Ridurre il rischio di infortuni.

Per spiegare come il riscaldamento possa migliorare la prestazione che ci si prepara a svolgere è necessario suddividere i muscoli in due categorie:

  • I muscoli motori, quelli cioè che producono il movimento.
  • I muscoli stabilizzatori, quelli cioè che controllano la direzione nella quale il movimento viene indirizzato.

Mentre la prima categoria di muscoli è in genere allenata con attenzione scrupolosa, la seconda categoria è spesso trascurata dato che questi muscoli non influenzano direttamente la prestazione. In verità, nel caso di atleti con stabilizzatori poco performanti potremmo trovarci di fronte a soggetti che sono potenzialmente molto forti (eccellono nei test di forza e forza esplosiva) ma che sembrano disperdere la loro forza durante i gesti specifici.

Una precisazione è d’obbligo, parlando di riscaldamento non viene preso in considerazione l’aspetto tecnico-specifico, che invece dovrebbe essere il primo aspetto esaminato in caso di atleti forti nei test generali ma sotto le aspettative in prestazioni specifiche.

Tornando a riferirci all’aspetto generale, succede che i muscoli stabilizzatori risultano spesso sotto attivati e che una loro attivazione prima dell’esecuzione di una competizione possa produrre un miglioramento della prestazione.

Un esempio può meglio chiarire ciò di cui si sta parlando.

Prendiamo il lancio, o meglio lo schema motorio del lancio. Esso si serve dello spostamento del peso da un piede all’altro e la conseguente rotazione del corpo che si crea, sviluppa forza veloce dalle anche alle spalle che accelera il braccio.

Dalla definizione si dovrebbe capire che la forza proveniente dai piedi viene trasmessa dai piedi alla mano attraverso anche, core e scapola.

Immaginiamo che uno di questi 3 siti chiave sia instabile, ciò probabilmente causerebbe una perdita di forza,o meglio la forza risulterebbe mal indirizzata, col risultato di una riduzione della prestazione.

Un altro esempio può essere dato dal valgismo del ginocchio durante la fase di stacco di un salto. In questa situazione parte della forza che dal piede dovrebbe arrivare al bacino verrebbe a disperdersi  su una componente frontale al ginocchio.

Questi esempi ci possono quindi aiutare a capire come la forza viene indirizzata attraverso il corpo e che i muscoli stabilizzatori giocano un ruolo fondamentale nella trasmissione delle forze.

In questo senso i gruppi muscolari che maggiormente provvedono alla stabilità sono:

  • Muscoli dell’anca (gruppo dei glutei e rotatori intrinseci dell’anca).
  • Muscoli del core (gruppo degli erettori spinali e gruppo degli addominali).
  • Muscoli della spalla (stabilizzatori della scapola e rotatori intrinseci della spalla).

Quando si allenano questi muscoli si deve sempre tenere presente che la loro funzione è quella di controllare il movimento e non di produrlo, per questo non devono e non possono essere allenati a grandi velocità.

In oltre l’allenamento funzionale, cioè l’allenamento "che funziona", ci insegna che l’isolamento muscolare non ha alcun ruolo nello sviluppo della prestazione ma che da questo punto di vista i muscoli stabilizzatori sono un’eccezione. Infatti un loro isolamento è utile ad aumentare la funzione delle articolazioni da essi controllate e quindi la prestazione. Infatti, ad esempio, è risaputo che una scapola stabile è la chiave per aumentare la funzione di tutto l’arto superiore o che l’aumento della stabilità dell’anca migliori la funzione di tutto l’arto inferiore.

Continuando a riferirci alla prestazione, flessibilità e mobilità sono altri due aspetti da tenere in considerazione.

Una precisazione, flessibilità e mobilità non sono la stessa cosa. La flessibilità riguarda i muscoli e richiede mantenimento della tensione, la mobilità riguarda le articolazioni e richiede movimento.

In ogni caso ridotta flessibilità può ridurre la capacità di movimento.

In questo quadro le articolazioni che hanno bisogno di mobilità sono la caviglia, l’anca, la colonna toracica e la spalla.

Per quel che riguarda la flessibilità, in genere i muscoli che ne richiedono sono i flessori plantari della caviglia, i flessori delle anche, gli ischio crurali, gli adduttori e gli abduttori dell’anca. Riguardo agli arti superiori in genere le maggiori restrizioni muscolari sono a carico degli estensori di omero (quindi la flessione di spalla è il movimento più soggetto a limitazione).

Di conseguenza sono queste le aree che dovrebbero essere maggiormente sottoposte a d allungamento.

Ultimo aspetto riguarda la riduzione degli infortuni.

Quando ci si trova di fronte ad un muscolo infortunato in genere ci si trova di fronte ad un muscolo sovra-utilizzato. In questo senso ricercare il sinergico debole di quel muscolo e provvedere a suo rinforzo è la chiave della soluzione al problema.

Entrando un poco nel dettaglio, la maggior parte degli infortuni muscolari degli arti inferiori riguarda ischio-crurali, quadricipite (retto femorale) ed adduttori.

Nell’ordine:

  • il gluteo è il muscolo con il miglior leveraggio per l’estensione d’anca. Un gluteo poco performante causerà eccessivo affaticamento degli ischio-crurali e conseguente lesione;
  • l’ileo-psoas è il principale flessore d’anca. Una sua bassa performance causerà sovra-affaticamento e conseguente lesione al retto femorale.
  • E gli adduttori? Questo gruppo ad eccezione delle fibre posteriori del grande adduttore, contribuisce alla flessione d’anca e quindi la riduzione delle lesioni muscolari passa ancora una volta per un’adeguata performance dell’ileo-psoas.

Quindi la corretta attivazione di glutei ed ileo-psoas è fondamentale per limitare questo genere di infortuni muscolari.

Il riscaldamento. Una proposta pratica (con video)

Dopo aver chiarito quali sono gli aspetti che un riscaldamento deve affrontare possiamo passare alla strutturazione pratica di questa fase dell’allenamento o della competizione.

FOAM ROLLING

(per ridurre la densità muscolare). "Rollare" anche, muscoli della zona lombare (evitare questa zona in caso di problemi di schiena), colonna toracica. Il foam roller utilizza la pressione del corpo per ottenere un risultato simile al massaggio. Colonna cervicale a parte, in caso di bisogno, tutte le aree possono essere trattate con questo metodo.

STRETCHING STATICO.

Nonostante sia riconosciuto il fatto che lo stretching statico prolungato infici la prestazione di forza esplosiva, distretti quali adduttori, abduttori, o flessori delle anche possono essere ragionevolmente sottoposti ad allungamento statico.

ESERCITAZIONI PER I MUSCOLI STABILIZZATORI.

Come detto rotatori delle anche e glutei sono stabilizzatori dell’anca, muscoli del core sono stabilizzatori della colonna lombare, in fine muscoli delle scapole e rotatori intrinseci delle spalle sono stabilizzatori della spalla. queste aree dovrebbero essere sempre stimolate durante il riscaldamento con esercitazioni anche di isolamento. Se alla stimolazione di questi muscoli si aggiungono anche quella per l’ileo-psoas, la funzione stabilizzatrice coincide con quella di riduzione degli infortuni muscolari.

STRETCHING DINAMICO ED ESERCITAZIONI DI MOBILITA’.

Partendo da terra si eseguono esercitazioni di mobilità toracica. Successivamente si passa alla mobilizzazione della caviglia per poi passare ad affondi, affondi laterali, squat e stacchi monopodalici che richiedono mobilità e flessibilità dinamica. In genere questi vengono abbinati ad altre esercitazioni di flessibilità dinamica quali raccolte delle ginocchia al petto o allungamento dei quadricipiti in camminata. Al riguardo si deve chiarire che nel momento in cu si lavora in piedi ed ancor di più su una gamba, l’attività degli stabilizzatori viene richiesta massimizzata.

ANDATURE

Le andature in avanti pongono l’accento sui muscoli posteriori, mentre quelle indietro coinvolgono maggiormente i muscoli anteriori.

BALZI

Una nota di merito speciale va ai balzi, soprattutto per quel che riguarda le donne. Queste esercitazioni, quando eseguite correttamente, sembrano avere un forte impatto sulla riduzione delle lesioni ai legamenti del ginocchio, probabilmente a causa di un loro effetto ipertrofizzante sui legamenti appunto.

 

Per concludere

In fine è importante precisare che sono state fornite delle indicazioni generali per quel che riguarda il riscaldamento e che nonostante, in linea di massima, il protocollo proposto si adatti alla maggior parte delle discipline dell’atletica, anzi addirittura alla maggior parte delle discipline sportive, quello proposto è solo uno spunto che deve essere adattato e personalizzato per ogni atleta.

Di Fabrizio Vitali

Contatti: Tel 333483094 – Email: fabriv2002@yahoo.it 

Fabrizio Vitali

Fabrizio Vitali

Preparatore atletico
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Filed Under: Atletica leggera, News Tagged With: riscaldamento, riscaldamento atleta, warm up

La psicologia del riscaldamento pre-gara

4 Febbraio 2016 by Redazione

“Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla.” (Pierre de Coubertin)

 

Dopo l’esauriente articolo Il riscaldamento dell’atleta  – che vi consiglio di visionare! -, ho pensato di approfondire la questione psicologica di questo delicato momento.

Citando Andrea: “Il riscaldamento costituisce la parte iniziale di ogni allenamento o competizione ed ha l’obiettivo di preparare gli atleti dal punto di vista psicologico e fisiologico alla fase centrale della sessione di allenamento o alla gara. […] Il riscaldamento ha il compito di elevare la disponibilità dell’organismo al lavoro ed alla prestazione successivi.”

Un riscaldamento eseguito bene:

  • prepara l’atleta dal punto di vista fisiologico;
  • prepara l’atleta del punto di vista tecnico;
  • aiuta a prevenire gli infortuni;
  • prepara l’atleta dal punto di vista psicologico;
  • prepara e sostiene alla prestazione successiva.

Visto il periodo di competizioni, mi concentrerò sul riscaldamento che precede una gara.

Ogni specialità ha un riscaldamento tipico, che prevede tempistiche ed esercizi specifici della disciplina: noi velocisti ci troviamo spesso a scherzare con i lanciatori che fanno un riscaldamento che dura circa la metà del nostro. A prescindere da questo, è un momento importante, da saper ben gestire, indipendentemente  dalla sua durata.

Partiamo dal principio: prendiamo in esame il riscaldamento come viene fatto da una buona maggioranza degli atleti di ogni età. Solitamente parte con una corsa lenta: durante questa fase la mente inizia a concentrarsi sull’imminenza della gara. Abbiamo anche molto “tempo per pensare”, soprattutto se stiamo correndo in solitudine. È un lasso di tempo delicato per le persone ansiose, proprio perché attesta che la gara si sta avvicinando. Qualcuno preferisce isolarsi e ascoltare musica, qualcun altro smania per la compagnia. Il mio consiglio è di seguire quello che ci fa stare bene, ma senza esserne dipendenti: se ci si dovesse scaricare l’i-pod o non ci fosse nessuno con cui correre? Meglio non buttare la concentrazione a causa di questi imprevisti! Consiglio pratico: iniziate a concentrarvi sul vostro corpo, su come si sta muovendo nello spazio. Ciò sposterà la vostra attenzione dalla gara al corpo, e vi rilasserà se siete ansiosi, vi attiverà se siete eccessivamente rilassati.

Alla corsa lenta segue un momento di stretching funzionale. Spesso durante questa fase ci si dedica alle chiacchiere o ancora alla musica. Anche qui il consiglio è di porre estrema attenzione a ciò che si sta facendo, per evitare di non ascoltare adeguatamente il corpo e di fare le sequenze di esercizi a cui siamo abituati senza concederci quello di cui avremmo effettivamente bisogno in quel dato momento.

Durante il riscaldamento specifico si provano, con intensità sempre maggiori, i movimenti tecnici della competizione. Qui diventano molto importanti le sensazioni che si provano, proprio perché si vive questo momento come test finale prima della competizione vera e propria. Spesso le sensazioni non coincidono con quelle sentite in gara. A molti di voi è successo di sentire ottime sensazioni in riscaldamento e in gara invece percepire il contrario, e viceversa. Sicuramente è un altro momento delicato, da vivere con tranquillità e in cui è necessario evitare di cadere in rimuginii e superstizioni.

I pochi minuti che precedono la gara sono importanti per dare al corpo un momento di riposo attivo in preparazione allo sforzo massimale. In tale momento è importante che la concentrazione salga ai massimi livelli e l’attivazione mentale sia elevata. Ogni persona ha il suo modo per concentrarsi, se il vostro non vi sembra del tutto efficace sappiate che è migliorabile facilmente con un percorso di preparazione mentale da uno psicologo dello sport.

Da tenere in considerazione è l’importanza dell’indipendenza nel riscaldamento degli atleti giovani. La presenza del tecnico è sempre importante, soprattutto nei momenti di riscaldamento specifico, ma spesso capita che l’allenatore debba seguire un gruppo numeroso di atleti e non possa concentrarsi adeguatamente su tutti, magari spalmati in diverse discipline. Parte dell’allenamento deve essere dunque dedicato a fornire ai giovani un format di riscaldamento che possano seguire anche in caso di mancanza di disponibilità del tecnico. Riguardo ad atleti più maturi, invece, spesso non vengono seguiti dai loro allenatori alle gare: è quindi importante aver sviluppato indipendenza nel capire le proprie necessità e nel sapere come affrontare le diverse situazioni, competenza che di certo si ottiene dall’esperienza in gara. Detto questo, allenatori, non lasciate allo sbando i vostri atleti, anche solo una piccola attenzione, un consiglio, un incoraggiamento in riscaldamento possono modificare la sicurezza e l’autoefficacia percepita dei vostri atleti. La vostra presenza è importante, siete le loro guide. Non scordatelo!

Un’altra caratteristica del riscaldamento è la possibilità dell’ampliarsi della sua durata, spesso in modo indefinito. Capita infatti che la gara sia in ritardo. Psicologicamente è frustrante non sapere quando si potrà gareggiare e provare la paura di stancarsi o di arrivare non pronti alla competizione. Anche qui è necessaria una freddezza consapevole per affrontare in modo produttivo la situazione.

Un’altra situazione è da prendere in considerazione parlando di frustrazione: la mancanza di possibilità di entrare in campo. Nella parte finale del riscaldamento è infatti importante solcare il campo di gara, mettere le scarpe chiodate, provare la pedana, la rincorsa. A volte questa possibilità non viene data, soprattutto in gare di media importanza dove è presente la spunta ma non il campo di riscaldamento. Anche qui è necessario saper sfruttare le risorse che si hanno per arrivare al momento dell’entrata in campo “più pronti possibile”.

Molto delicato è dunque il riscaldamento. Per qualsiasi consiglio su come sfruttare al meglio tale momento o per risolvere problematiche legate a concentrazione, ansia, attivazione e altri disagi non abbiate paura a contattare uno psicologo dello sport.

 

A cura di Martina Fugazza

Psicologa Dello Sport

 

 

 

Filed Under: Psicologia Tagged With: allenamento atletica, atletica, atletica ilcoach, ilcoach, ilcoach atletica, ilcoach riscaldamento, Martina Fugazza, psicologia ilcoach, psicologia riscaldamento, riscaldamento, riscaldamento atleta, riscaldamento e psicologia, training, warm up, warmup

Il riscaldamento dell'atleta

29 Gennaio 2016 by Redazione

L’organizzazione di una seduta di allenamento o di gara si compone generalmente in 3 fasi principali:

  1. Fase di riscaldamento (preparazione alla parte fondamentale);
  2. Fase fondamentale o centrale (fase di allenamento vera e propria oppure gara);
  3. Fase conclusiva (defaticamento, rilassamento muscolare)

In questa serie di articoli tratteremo della prima fase, quella di riscaldamento e dei concetti che vanno tenuti presente per una sua buona progettazione

 

Definizione ed obiettivi del riscaldamento

Il riscaldamento costituisce la parte iniziale di ogni allenamento o competizione, ed ha l’obiettivo di preparare gli atleti dal punto di vista psicologico e fisiologico alla fase centrale della sessione di allenamento o alla gara.

Prima dell’allenamento l’organismo dell’atleta si trova regolato su un “rendimento normale”, il riscaldamento ha il compito di elevare la disponibilità dell’organismo al lavoro ed alla prestazione successivi.

Un riscaldamento eseguito bene:

  • prepara l’atleta dal punto di vista fisiologico;
  • prepara l’atleta del punto di vista tecnico;
  • aiuta a prevenire gli infortuni;
  • prepara l’atleta dal punto di vista psicologico;
  • prepara e sostiene alla prestazione successiva;

 

Caratteristiche di un buon riscaldamento

L’allenatore deve essere in grado di proporre un’ideale sequenza di riscaldamento che porti l’atleta, in maniera graduale e sistematica, ad essere pronto dal punto di vista psicofisico allo sforzo successivo.

Per meglio comprendere è utile dividere tale fase in 2 ulteriori sotto-fasi:

  • Riscaldamento generale, costituito da vari esercizi a carico naturale ed esercitazioni tendenti a preparare l’organismo in maniera globale, rappresenta il 70%-85% della durata dell’intero riscaldamento;[su_spacer]
  • Riscaldamento specifico, ha l’obiettivo di preparare in maniera specifica l’organismo allo sforzo successivo, attraverso esercitazioni simili o uguali a quelli che si andranno ad eseguire nella fase centrale dell’allenamento, con la variante di un’intensità ed un volume minori. La sua durata rappresenta il 30% ed il 15% del riscaldamento globale.

Nella “progettazione” del riscaldamento tenere presente i seguenti fattori:

  • Stato di allenamento ed età dell’atleta;[su_spacer]
  • Tipologia nervosa dell’atleta, atleti molto calmi e rilassati possono giovare di riscaldamenti maggiormente intensivi, i soggetti “nervosi” necessitano di un riscaldamento più blando e prolungato;[su_spacer]
  • Tipologia di sforzo che si ha la necessità di preparare: il riscaldamento, soprattutto nella sua “fase specifica” sarà molto diverso a seconda dello sforzo che dobbiamo svolgere successivamente; ad esempio un atleta che deve svolgere una seduta di corsa a ritmo del fondo lento necessiterà di un riscaldamento estremamente diverso rispetto ad un velocista che deve svolgere un allenamento di sprint a velocità quasi massimali;[su_spacer]
  • Durata dell’effetto; gli effetti fisiologici del riscaldamento sull’organismo durano tra i 20′ ed i 30′; in caso di interruzione o di posticipazione dello sforzo (capita soprattutto in competizione) “mantenersi riscaldati” passivamente ed in caso utilizzare un programma di riscaldamento ridotto;[su_spacer]
  • Appena dopo il termine della fase di riscaldamento l’organismo si trova in una fase di leggero affaticamento, andrebbe lasciato a riposo (circa 5′ – max 10′) prima dello sforzo successivo (molto importante in funzione di gare e di sforzi massimali dove si richiedono alte prestazioni); in gara utilizzare questo periodo di tempo per esercitazioni di preparazione mentale;[su_spacer]
  • Le condizioni atmosferiche; aumentare la durata del riscaldamento e la sua gradualità in caso di temperature rigide (in inverno); in estate, con temperature più elevate, la muscolatura raggiunge la condizione desiderata in un tempo minore.

 

Come svolgere il riscaldamento:

  • Iniziare con esercitazioni generali che interessano tutto il corpo, ad intensità scarsa e progressivamente crescente;[su_spacer]
  • Aggiungere esercitazioni tecniche speciali, di mobilità articolare attiva;[su_spacer]
  • Aumentare gradualmente l’intensità fino ad arrivare a sforzi simili a quelli della fase centrale (allenamento o gara);[su_spacer]
  • Attivare maggiormente i muscoli che saranno interessati allo sforzo successivo;[su_spacer]
  • Pianificare il programma di riscaldamento a seconda della struttura del movimento specifico successivo.

 

Effetti da ricercare nella fase di riscaldamento

[su_table]

Reazioni fisiologiche del riscaldamento (rispetto ad una situazione di mancato riscaldamento)
Aumento della temperatura (T°) muscolare
Minore resistenza viscosa del muscolo (miglior approvvigionamento di sostanze nutritizie e rimozione dei prodotti di scarto)
Aumento della rapidità di risposta agli stimoli nervosi
Miglioramento dell’efficienza cardiocircolatoria e respiratoria
Aumento dell’efficienza del metabolismo aerobico
Maggior scambio di O2 nei tessuti
Incremento dell’efficienza metabolica in tutto il corpo
Aumento della ventilazione polmonare
Miglioramento dell’irrorazione e dell’elasticità dei tessuti osseo e connettivo
Miglioramento della mobilità e dell’elasticità muscolari

[/su_table]

[su_divider top=”no” divider_color=”#8bc751″]

[su_table]

Regolazioni motorie del riscaldamento (rispetto ad una situazione di mancato riscaldamento)
Incremento della velocità di contrazione muscolare
Aumento della forza di contrazione muscolare
Incremento della coordinazione
Aumento della capacità di reazione

[/su_table]

[su_divider top=”no” divider_color=”#8bc751″]

[su_table]

Regolazioni psichiche del riscaldamento (rispetto ad una situazione di mancato riscaldamento)
Creazione disponibilità agonistica (tenere presente la tipologia nervosa); soprattutto in previsione della gara
Creazione stato ottimale di eccitazione nervosa
Concentrazione sul compito principale

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Un buon riscaldamento diminuisce la probabilità di infortuni?

Un riscaldamento ben fatto può aiutare a ridurre (NON si potrà mai azzerare) la probabilità di infortuni, grazie al miglioramento dell’elasticità muscolare, dei tendini e dei legamenti, all’aumento della mobilità delle articolazioni ed all’aumento della capacità e della disponibilità a reagire.

 

L’importanza dell’amento della T° muscolare e della T° centrale

Il riscaldamento per avere efficacia deve aumentare la temperature (T°) del corpo, necessaria a sviluppare una “riserva energetica” (calore) che sarà necessaria allo sforzo successivo.

L’aumento di temperatura mediante il riscaldamento avviene su 2 livelli:

  • A livello centrale (T°c): secondo Joch e Uckert (2001) un aumento della T° di 2°C permette una miglior efficacia delle reazioni chimiche dell’organismo. Questo si ottiene mediante esercitazioni la cui intensità aumenta gradualmente (non con sforzi intensi e duraturi)[su_spacer]
  •  A livello muscolare (T°m): Masterovoï (autore russo) nel 1966 ha iniziato a parlare, oltre di aumento di T°c anche di temperatura muscolare, conseguenza dell’aumento della vascolarizzazione dei gruppi muscolari interessati; l’obiettivo è raggiungere un aumento della T°m di 3°C

La T°c e la T°m evolvono in maniera diversa:

secondo Bisbop (2003) l’evoluzione della T°m è relativamente rapida (dai 3′ ai 5′) e sembra essere questa a svolgere un ruolo fondamentale nella prestazione sportiva, quella della T°c è più graduale e aumenta quando la T°m la supera.

Secondo Mohr e coll. (2004) la T°m, generalmente, aumenta di circa 3°C, con un aumento da circa 36°C a 39,4°C  (T°m del quadricipite nei giocatori di football dopo il riscaldamento). Secondo Joch e Uckert (2001) uno sforzo progressivo di 20′ su cicloergometro può aumentare la T°m di 2°C

Come già accennato prima la T°m dipende dalla vascolarizzazione e quindi per far salire la T° bisogna portare ad un aumento della circolazione sanguigna nel muscolo. L’autore russo (Masterovoi) ha constatato che soltanto contrazioni muscolari di una certa ampiezza ed intensità possono far “assumere al muscolo il ruolo di pompa sanguigna”.
Masterovoi nel 1964, propone un protocollo di riscaldamento detto “riscaldamento russo”, che presenteremo nel dettaglio in un prossimo articolo, in risposta all’inefficace (secondo l’autore) riscaldamento classico, che prevede una prima fase di contrazioni muscolari localizzate (sia concentriche che eccentriche) mediante esercitazioni analitiche a bassa resistenza (20% – 50% 1RM) con l’obiettivo di aumentare la vascolarizzazione del muscolo (fino a 3,4°C)

Nelle sue trattazioni lo studioso russo mostra, anche per avvalorare il proprio protocollo, che certe pratiche di warm-up classiche in realtà non portano ad un efficace aumento della temperatura e in alcuni casi possono creare anche dei problemi (in questo articolo accenneremo soltanto, ne tratteremo in maniera più dettagliata in un articolo successivo):

  • La corsa lenta, generalmente proposta all’inizio di ogni attività, non permette un’ideale contrazione della muscolatura interessata maggiormente durante la competizione (es: quadricipite, tricipite e ischio-crurali nello sprint o nella corsa di resistenza) e quindi non crea un’ideale attivazione della circolazione locale; ovviamente la sensazione, dopo 10′-20′ (in base anche alle condizioni atmosferiche) è quella di un “generale riscaldamento” che è dato dall’aumento della T°c, meno importante per la prestazione (e che in ogni caso risulta aumentata anche al termine di un “riscaldamento russo”) ma porta ad un ridotto aumento della T°m (da 0,2° a 1,6° C); inoltre per raggiungere tali temperature (1,6°) si necessita di una corsa continua protratta per almeno 20′, poco sostenibile per atleti di potenza (sprinter, lanciatori, saltatori, etc.)[su_spacer]
  • I movimenti rapidi sono poco efficaci per una migliore vascolarizzazione; ad esempio la contrazione muscolare dello skip o in uno sprint, essendo molto breve e violenta non permette un efficace aumento della T°m; non iniziare quindi il riscaldamento con movimenti rapidi ed esplosivi (anche se questo è anche buonsenso) [su_spacer]
  • Lo stretching statico, gli allungamenti provocano nel muscolo delle tensioni isometriche elevate che causano un’interruzione dell’irrorazione sanguigna (non stavamo ricercando la vascolarizzazione?) ed è forse questo il motivo per il quale una seduta di stretching statico con posizioni isometriche della durata di 20″-30″ porta ad un effetto negativo sulle capacità di forza (vedi la nostra guida sullo stretching); ovviamente un’alternanza di contrazioni muscolari e di periodi di allungamento (meglio se dinamico) permetteranno un’ideale apporto di sangue ai muscoli.

 

Organizzazione e psicologia del riscaldamento 

In linea con altri autori siamo dell’idea dell’importanza del riscaldamento sia nell’allenamento che in competizione, è fondamentale quindi che l‘allenatore proponga delle sequenze di esercitazioni con un obiettivo funzionale e specifico di volta in volta. Come abbiamo già visto in questi due articoli, Intervista a Loren Seagrave e Relazione convegno Stefano Serranò, al riscaldamento va posta estrema attenzione, addirittura in alcuni paesi esteri il riscaldamento è seguito e fatto svolgere da un coach specializzato nel warm-up (in Italia invece la tendenza è quella di essere dei tuttologi..), che viene proposto sotto varie forme a seconda dell’impegno che verrà affrontato successivamente.

Detto ciò crediamo sia importante, anche attraverso il riscaldamento, responsabilizzare gradualmente l’atleta con l’obiettivo di renderlo autonomo (almeno in alcune situazioni).

Ovviamente con i più giovani e con i principianti il riscaldamento deve essere seguito e controllato attentamente dal coach, ma gradualmente, con l’aumentare dell’esperienza dell’atleta, possono essere previsti dei momenti di “autogestione” nel quale si chiede agli atleti di decidere autonomamente le esercitazioni da utilizzare.

Questo porta ad una maggiore responsabilizzazione degli atleti che imparano anche a conoscere e “sentire” il proprio corpo e a scegliere  le esercitazioni migliori per se stessi.

Inoltre questi momenti di autogestione possono diventare, nel tempo, molto utili per creare un clima più rilassato (la progettazione e l’imposizione di ogni aspetto può diventare nel tempo molto stressante) e mantenere la giusta serenità nel gruppo di allenamento.

E quando ci si trova di fronte ad atleti già con una certa esperienza, ad esempio quando ad un raduno si propone qualcosa agli atleti solitamente seguiti da altri tecnici o quando iniziamo a seguire un atleta che precedentemente è stato allenato da altri?
Anche in questo caso prevedere momenti di “autogestione” può essere molto utile, i quanto si dà la possibilità all’atleta di lavorare su determinati aspetti (vedi esercitazioni di riscaldamento e/o allungamento più accentuate su un distretto muscolare con finalità preventiva) ritenuti importanti dall’atleta stesso (ricordiamoci che è l’atleta, quando ha maturato una certa esperienza, a conoscere e a sentire veramente quello che succede nel proprio corpo e non noi allenatori) e dal suo tecnico.
Inoltre questi momenti permettono di non rompere completamente una “routine”, magari errata, ma consolidata in diversi anni di allenamento, ricordandosi che una routine di riscaldamento che un atleta d’elite ha utilizzato per anni è difficile da cambiare drasticamente ed improvvisamente; il motivo è soprattutto psicologico. Ha senso secondo voi guadagnare un 2% nella prestazione, ma perdere il 20% della motivazione?

In ogni caso, anche quando il riscaldamento o una parte di esso è lasciato gestire all’atleta, la presenza del coach è fondamentale, in primis per controllare la qualità dei movimenti, ma anche per rendersi conto di quali esercitazioni l’atleta ricerca costantemente (probabilmente ne sente il bisogno dal punto di vista fisico e/o psicologico), in modo da integrare eventuali protocolli, che verranno proposti successivamente, con alcune esercitazioni preferite dall’atleta stesso.

 

Riscaldamento pre-allenamento o riscaldamento pre-competizione

Uno dei fattori da tenere presente nella preparazione e programmazione di un buon riscaldamento è il fatto che preceda una sessione di allenamento oppure una gara.

Per quanto riguarda il warm-up pre-allenamento, tenendo presente tutti i fattori e le indicazioni già elencate in precedenza, l’intensità della sua porzione specifica non richiede di essere molto consistente ed inoltre può essere pensato introducendo già degli stimoli allenanti ed affaticanti (esercitazioni di rinforzo, andature tecniche, esercitazioni esplosive, etc..). Ovviamente, come abbiamo già detto, va tenuto presente l’obiettivo della fase centrale di allenamento:

  • Per preparare un allenamento esplosivo o comunque ad al alta intensità (es. seduta di velocità per sprinter), l’atleta ha la necessità di preparare l’organismo ed in particolare il sistema neuromuscolare a contrazioni e reazioni veloci e rapide con alti livelli di coordinazione;
  • L’allenamento di resistenza a bassa intensità invece non necessità di tali stimoli e di conseguenza l’intensità globale del riscaldamento sarà minore.

 

Nel riscaldamento pre-gara l’obiettivo principale è quello di preparare l’organismo alla prestazione. Ovviamente anche in questo caso il warm-up deve preparare l’atleta dal punto di vista psicofisico, ma se vogliamo essere sicuri di non intaccare la capacità prestativa bisogna imparare a “dosare” in maniera ottimale le esercitazioni proposte. Questo è ovviamente soggettivo all’atleta che ci si trova davanti e deve tenere presente ancora una volta delle condizioni climatiche e del tipo di sforzo che la competizione richiede.

Ogni atleta dovrebbe, imparando a conoscersi e grazie anche al supporto e all’esperienza del proprio allenatore, crearsi una propria sequenza di esercitazioni che in un tempo prestabilito portino il proprio fisico ad essere pronto alla competizione (vedi “Organizzazione e psicologia del riscaldamento”).

Prima di una gara dobbiamo tenere presente:

  • stato nervoso dell’atleta (atleti molto calmi possono iniziare dopo il riscaldamento, quelli nervosi necessitano di riscaldamenti un po’ più lunghi in modo da avvicinarsi alla gara in modo metodico e maggiormente rilassato
  • eventuale inaccessibilità di piste e pedane e lontananza delle zone di riscaldamento da queste;
  • eventuale mancanza di spazio per un ottimale riscaldamento libero ed attivo;
  • competizioni con molte gare e batterie (tempi lunghi tra le partenze)
  • ritardi da parte degli organizzatori;
  • obbligo a rimanere fermi in camera d’appello per tempi molto lunghi, soprattutto nelle gare internazionali (studiare strategie ed esercitazioni passive e che comunque richiedono poco spazio per mantenere lo stato di riscaldamento raggiunti precedentemente);
  • evitare riscaldamenti eccessivamente prolungati che rischiano di consumare eccessivamente le energie psicofisiche dell’atleta (max 40′);
  • terminare il riscaldamento 5’/10′ prima dell’inizio della competizione (inserire ogni 1’/2′ esercizi che mantengano attivi i muscoli) e concentrarsi sull’aspetto mentale.

Se gli atleti devono affrontare più di una competizione (prove multiple, batterie e finali, oppure due tempi negli sport di squadra) il riscaldamento successivo alla prima competizione può essere accorciato, soprattutto nella fase generale di esso: ridurre la fase generale del riscaldamento passando più velocemente alle esercitazioni specifiche. Questo è valido se la fase di inattività precedente al secondo riscaldamento avviene in ambiente caldo e umido.

 

Perché effettuare un 2° riscaldamento ridotto in competizioni o allenamenti ravvicinati?

Questo è un consiglio molto diffuso, probabilmente più per “esperienza personale” dei coach che avendo provato sulla loro pelle sanno che se non passa molto tempo tra una competizione e l’altra (o un allenamento e l’altro) non è necessario prestare la stessa quantità di tempo per arrivare pronti allo sforzo successivo.

Personalmente con sono a conoscenza di ricerche scientifiche che avvalorano questa tesi, ma in letteratura ho trovato diverse ipotesi autorevoli e la più interessante è quella di Vern Gambetta che nel suo libro afferma:

anche se non dispongo di alcun dato scientifico, dopo il riscaldamento iniziale (quello della prima seduta), ho osservato quello che chiamo “effetto intasamento metabolico”. Quando c’è un riscaldamento iniziale, l’effetto metabolico sembra protrarsi per 2-3 ore, a volte anche più a lungo, in un ambiente caldo e umido (ovviamente, ndr). La temperatura interna dei muscoli e l’escursione di movimento non diminuiscono rapidamente con la cessazione dell’esercizio, specialmente se viene eseguito un defaticamento completo.
Se si prevedono più sedute di allenamento o competizioni in un giorno, non c’è bisogno di fare un secondo e un terzo riscaldamento in modo estensivo. Infatti ogni riscaldamento successivo dovrebbe essere più breve e più specifico rispetto alle necessità di ogni atleta. Ciò è importante in quanto permette di risparmiare energia e ottimizzare la prestazione.

Quindi ogni riscaldamento successivo deve essere meno lungo (nella sua parte generale) di quello precedente, a meno che il periodo che passa tra il defaticamento precedente e l’inizio del 2° riscaldamento non sia superiore alle 3 ore. Come tiene a precisare sempre Gambetta:

La parte più difficile nei riscaldamenti multipli è il lavoro sull’attivazione nervosa. In questo caso la difficoltà sta nel non eccedere tanto da indebolire il sistema nervoso.

 

Conclusioni

L’intenzione di questo articolo, è quella di presentare quali sono i concetti fondamentali e i fondamenti scientifici che vanno tenuti presente nella costruzione di una fase di riscaldamento adeguata alle esigenze dell’atleta e della situazione.

Ovviamente la specificità di ogni situazione non permette di dire “questo va bene sempre” e “questo non va ma i bene”.

Nei giovani e nei principianti, ad esempio, un riscaldamento ben fatto potrebbe rappresentare già un ottimo stimolo allenante (nelle prime fasi di adattamento) e di questo bisogna essere consapevoli per non sovraccaricare l’organismo.

Ogni tecnico, insieme ai propri atleti dovrebbe, grazie anche alle nozioni sopra descritte, essere in grado di adattare il riscaldamento alle variabili dell’allenamento.

A nostro avviso NON esiste un protocollo ideale (sopra abbiamo accennato a quello russo), ma vanno trovate le giuste combinazioni in base alle proprie esigenze.

Restiamo convinti che gli studi e le ricerche scientifiche senza una reale applicazione sul campo siano fondamentalmente inutili: è la pratica che può avvalorarle attraverso i risultati e il miglioramento della qualità degli allenamenti

Il consiglio è quello di testare in allenamento vari protocolli e, ascoltando anche i pareri e le sensazioni dei propri atleti, valutare pro e contro di ognuno di essi.

Con questo spirito nelle prossime pubblicazioni proporremo l’analisi di alcune metodologie di warm-up!!!

 

A cura di Andrea Dell’Angelo

 

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Bibliografia:

Jürgen Weineck, L’allenamento ottimale, Calzetti&Mariucci, 2007.

Gilles Cometti, L’allenamento della velocità, Società Stampa Sportiva Roma, 2002.

Mladen Jovanovic, Stability~Variability in Warm-up, http://complementarytraining.net/stabilityvariability-in-warm-up/, 2010

Gary Winkler, Il ruolo del riscaldamento: preparando l’atleta per l’allenamento e la competizione, Traduzione di Luciano Bagoli da Track and Field Coaching Manual (USA 1989) http://www.fidal-lombardia.it/pagine/tecnico/settori/riscaldamento%20dell’atleta.pdf

Vern Gambett, Lo sviluppo atletico. L’arte e la scienza dell’allenamento funzionale nello sport, Calzetti&Mariucci Editori, 2013

 

 

 

 

 

 

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Stretching: cosa dicono le ricerche

16 Luglio 2015 by Redazione

STRETCHING: COSA DICONO LE RICERCHE

Sulla base delle conoscenze attuali, in base alle numerose ricerche che esistono sullo stretching e sulle sue diverse applicazioni, possiamo affermare alcune considerazioni importanti riguardanti questa pratica. Cerchiamo quindi di fare chiarezza su questa pratica diffusa e forse fin troppo abusata da parte di alcuni atleti e allenatori.

 

Stretching e riscaldamento

Lo stretching non è il miglior mezzo sul quale basare la fase di riscaldamento pre-gara e/o pre-allenamento. Questo non significa assolutamente che non può trovare una posizione in quest’ambito, ma che al contrario debba essere integrato in un piano di riscaldamento basato essenzialmente su esercitazioni di tipo dinamico, che si rivelano senz’altro più adatte ad ottenere un idoneo innalzamento della temperatura muscolare sino al raggiungimento dei suoi livelli ideali.

La temperatura ideale alla quale il muscolo ottimizza le proprie caratteristiche visco-elastiche, è all’incirca di 39° C, a questa temperatura diminuisce infatti la viscosità dei tessuti, migliora l’elasticità dei tendini, si aumenta la velocità di conduzione nervosa e si modifica positivamente l’attività enzimatica, inoltre l’innalzamento della temperatura muscolare costituisce un’efficace misura preventiva nei confronti degli infortuni riducendo i rischi di stiramento o strappo muscolare.

Lo stretching è largamente utilizzato nell’ambito del riscaldamento tuttavia, secondo alcuni Autori (Alter, 1996; Wiemann e klee, 2000) la sua possibile efficacia nel provocare un innalzamento della temperatura del muscolo, sarebbe molto discutibile, tanto che alcuni studi dimostrerebbero addirittura un suo effetto negativo in questo senso. In effetti, occorre ricordare che il tipo d’azione muscolare che ritroviamo nel corso dello stretching è praticamente sovrapponibile a ciò che avviene in una contrazione eccentrica.

Dal momento che nel corso di una contrazione di tipo eccentrico, la vascolarizzazione muscolare viene interrotta ed il lavoro svolto diviene in tal modo di tipo anaerobico, determinando un aumento dell’acidosi, oltre ad una marcata anossia cellulare, è facilmente comprensibile come lo stretching non possa essere considerato come il mezzo d’elezione nell’ambito del riscaldamento. Utilizzare lo stretching come unico mezzo esclusivo sul quale basare il riscaldamento pre-gara e/o pre-allenamento, sembrerebbe quindi sicuramente insufficiente e scorretto. Tuttavia, integrare razionalmente lo stretching in uno schema di riscaldamento basato soprattutto su altri tipi d’esercitazione, maggiormente efficaci nel far aumentare la temperatura interna del muscolo, come un’idonea alternanza di contrazioni e rilassamenti, è sicuramente la scelta più corretta. Come ricorda Shrier (1999), non dobbiamo mai dimenticarci delle peculiarità della persona: molti atleti necessitano di un solo esercizio di allungamento per muscolo, mentre altri richiedono più esercizi e più tempo da dedicare allo stretching.

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Stretching e prevenzione dei danni muscolari

Non è razionale pensare che sia sufficiente una sola pratica dello stretching per poter prevenire in forma sistematica gli incidenti di natura muscolare. Data la multifattorialità degli infortuni, non è giustificato poter pensare ad una completa inutilità dello stretching in questo campo. La scelta più obiettiva e corretta sembrerebbe considerare lo stretching come uno dei molteplici mezzi di prevenzione da adottare nell’ambito di una strategia preventiva di tipo integrato e sinergico.

Una ricerca di Simic et Al. Del 2013 afferma che i risultati dimostrano chiaramente che lo Stretching Statico prima dell’esercizio ha un effetto negativo sulla forza muscolare massima e sulle prestazioni muscolari, mentre i corrispondenti effetti acuti sulla potenza muscolare rimangono ancora poco chiari. Questi risultati sono universali, indipendentemente dal soggetto di età, genere, o lo stato di formazione. Il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento della fibra muscolare, risulterebbe essere la contrazione di tipo eccentrico. La ragione della maggior incidenza traumatica a livello muscolare, riscontrabile durante una situazione di contrazione eccentrica, è con ogni probabilità imputabile alla maggior produzione di forza registrabile nel corso di quest’ultima, rispetto a quanto non avvenga nella modalità di attivazione di tipo concentrico od isometrico.

Infatti durante una contrazione eccentrica, la forza espressa dal distretto muscolare risulta essere di ben tre volte maggiore di quella espressa, alla stessa velocità, durante una contrazione concentrica. Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulta maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo del muscolo sottoposto ad allungamento. Soprattutto in riferimento a questo dato, occorre sottolineare come anche il fenomeno puramente meccanico dell’elongazione, possa giocare un ruolo importante nell’insorgenza dell’evento traumatico. Durante la contrazione eccentrica il muscolo è in effetti sottoposto ad un fenomeno di “overstretching” che, in quanto tale, può determinare l’insorgenza di lesioni a livello dell’inserzione tendinea, della giunzione muscolo-tendinea, oppure a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione. E’ interessante notare come siano i muscoli bi-articolari quelli maggiormente esposti ad insulti traumatici, proprio per il fatto di dover controllare, attraverso la contrazione eccentrica, il range articolare di due o più articolazioni. Anche la diversa tipologia delle fibre muscolari presenta una differente incidenza di evento traumatico. Le fibre di tipo FT (fibre a contrazione rapida che intervengono nelle azioni muscolari rapide ed intense) sono infatti maggiormente esposte a danni strutturali rispetto alle ST (fibre muscolari a contrazione lenta, reclutate in azioni muscolari di scarsa entità ma di lunga durata) probabilmente a causa della loro maggior capacità contrattile, che si traduce in un’accresciuta produzione di forza, e di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo ST.

Inoltre i muscoli che presentano un’alta percentuale di FT, sono generalmente più superficiali e normalmente interessano due o più articolazioni, fattori entrambi predisponenti al danno strutturale. Inoltre è interessante notare come l’evento traumatico sia prevalentemente localizzato a livello della giunzione muscolo-tendinea, a testimonianza del fatto che in questa zona, si verifichi il maggior stress meccanico.

Per tutta questa serie di motivi lo stretching è stato sempre considerato come la miglior forma di prevenzione nei confronti dei danni muscolari. Tuttavia recentemente numerosi Autori, a seguito di protocolli di studio specifici, non hanno rilevato alcun beneficio, derivante da una pratica assidua e regolare dello stretching, nei riguardi della prevenzione dei danni all’UMT. Una possibile spiegazione di questa mancanza di correlazione tra capacità d’elongazione del muscolo e diminuzione degli incidenti muscolari, potrebbe risiedere nel fatto che in effetti lo stretching provoca una sorta di effetto antalgico nei confronti dell’allungamento stesso.

Shrier e Pope (2000), hanno mostrato che lo stretching effettuato prima dell’esercizio non ha alcun effetto nella prevenzione dei traumi, sia in acuto che in cronico. Altre ricerche (Hartig, 1999, Hilyer, 1990) non sono arrivate a stabilire un livello minimo di stretching, in termini di tempo al giorno, affinchè possa produrre risultati significativi. La pratica dello stretching indurrebbe quindi una diminuzione della sensazione dolorosa indotta dall’allungamento, data da un aumento della soglia dei nocirecettori, permettendo in tal modo all’atleta di sopportare allungamenti muscolari di maggiore entità, situazione che potrebbe anche paradossalmente aumentare il rischio di traumatismi a livello muscolare.

La considerazione finale sull’incidenza dello stretching sul rischio d’incidenti a livello muscolo-tendineo, è che comunque l’eziologia di tali eventi traumatici sia talmente multifattoriale da rendere improbabile l’ipotesi che in questo campo la pratica dello stretching possa costituire una sorta di rimedio universale, ma è molto più plausibile ed obiettivo considerare lo stretching come uno dei mezzi utilizzabili nell’ambito di un piano rivolto alla prevenzione degli incidenti muscolari.

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Stretching e prestazione

Sono molti gli studi ritrovabili in bibliografia che documentano (Wiemann e Klee, 2000; Fowles, 2000; Kekonen, 2001) in seguito ad una precedente seduta di stretching, una diminuzione della prestazione di sprint, una perdita della capacità di forza massimale e di resistenza alla forza, oppure di capacità di salto e quindi della possibilità da parte dell’UMT (unità muscolo tendinea) di accumulare energia elastica nel corso della fase eccentrica del movimento e di restituirla, sotto forma di lavoro meccanico, durante la fase concentrica dello stesso.

Una recente ricerca di Kay, A. D., and A. J. Blazevich del 2012, ha affermato che lo stretching statico per un totale di 45 sec può essere utilizzato come routine senza il rischio di una diminuzione significativa nella performance delle attività forza o di velocità. Per tempi di allungamento più lunghi(ad esempio, 60 s) ci sono maggiori probabilità di causare una piccola o moderata riduzione delle prestazioni. Questa perdita della capacità prestativa in seguito ad un seduta di stretching, trova sostanzialmente tre tipi di spiegazione.

In primo luogo, occorre sempre considerare il fatto che l’allungamento è, da un punto di vista biomeccanico, assimilabile ad una contrazione di tipo eccentrico, la cui intensità può raggiungere livelli di tipo massimale. Per questo motivo, facendo precedere alla prestazione, una seduta di stretching particolarmente intensa, si corre sia il rischio di produrre dei danni alla struttura muscolare. Un secondo fattore che potrebbe spiegare il fenomeno, è costituito dal fatto che un’eccessiva sollecitazione in allungamento di alcuni gruppi muscolari a discapito di altri, potrebbe costituire un fattore di perturbazione della coordinazione sia tra gruppi muscolari sinergici, che tra agonisti ed antagonisti. Un ultimofattore è costituito dal fatto che il tendine, nel corso di un allungamento di una certa intensità e durata, attraversa una fase di riorganizzazione delle proprie fibre di collagene che vengono nuovamente orientate meno obliquamente di quanto non fossero nella precedente fase di riposo.

Questo fenomeno va sotto il nome di “creeping” e comporta una diminuzione delle capacità del tendine, nel corso di un ciclo stiramento-accorciamento, di poter accumulare e restituire energia elastica. Dal momento che il tendine è il maggior interprete del fenomeno di risposta elastica, quest’ultimo fattore potrebbe assumere un ruolo determinante nella diminuzione delle capacità di salto registrabile in seguito ad una precedente intensa seduta di stretching.

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Stretching e prevenzione dei DOMS*: Delayed Onset Muscle Soreness

L’utilizzo dello stretching nella prevenzione del fenomeno del delayed onset muscle soreness apparirebbe ingiustificato e sostanzialmente inutile.

Il fenomeno del “delayed onset muscle soreness”, successivo ad un allenamento di tipo eccentrico ha un origine metabolica e meccanica ben precisa, è quindi molto probabile che la pratica dello stretching non abbia un’influenza di tipo positivo sul fenomeno in questione. Alcuni lavori testimoniano di come neppure una seduta di stretching effettuata prima di una seduta d’allenamento eccentrico, oppure durante, o dopo la stessa, sia in grado di diminuire la sensazione dolorosa percepita dagli atleti nell’ambito delle 24-48 ore susseguenti alla sessione di lavoro. Freiwald, 1999; Schober, 1990; affermano che lo stretching statico non rappresenta il miglior modo per facilitare il drenaggio del sangue, anzi, la compressione dei capillari interrompe la vascolarizzazione.

*DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness): indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata, associato a un aumento dello sforzo fisico (sia come intensità che come volumi), è una normale risposta fisiologica a sforzi maggiori, o lo svolgimento di attività fisiche a cui non si è abituati (porta ad adattamento ad esso). Il dolore e il disagio associato ai DOMS solitamente raggiunge il picco tra le 24 e le 48 ore a seguito dell’esercizio fisico, e si estingue entro 96 ore.
Dai non addetti ai lavori è spesso ed erroneamente associato ad accumulo di acido lattico nei muscoli.

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Concludendo, come dobbiamo comportarci?

Abbiamo toccato diversi punti importanti in questo articolo che possono servire a tutti gli allenatori e atleti che si cimentano tutti i giorni nella pratica dello stretching, abbiamo chiarito alcuni dubbi attraverso spiegazioni dettagliate fornite da numerosi studiosi nel campo della ricerca dello sport.

Vediamo quindi alcuni messaggi importanti da portare con noi mentre andiamo al campo di allenamento, in pista o durante ogni nostra seduta di training:

  1. Non basiamo il riscaldamento solo esclusivamente sullo stretching ma integriamolo con altre esercitazioni dinamiche e sport specifiche.
  2. Lo stretching non previene gli infortuni ma è uno dei tanti mezzi che aiuta a prevenirli. La sola pratica dello stretching non è sufficiente e va integrata con altre pratiche poiché le cause degli infortuni sono molteplici.
  3. Lo stretching svolto prima di una prestazione di forza potrebbe creare una diminuzione di essa.
  4. Lo stretching non rappresenta il miglior modo per prevenire i DOMS dato che non facilita il drenaggio sanguigno poiché la compressione dei capillari interrompe la vascolarizzazione.

Maurizio Tripodi

un ringraziamento a Matteo Ferrari che mi ha aiutato nella stesura di questi articoli sullo stretching

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Gli altri articoli di Maurizio:

Prevenzione degli infortuni

Lo stretching: mezzi e metodi

Lo stretching: video pratico

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