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5 errori nell’allenamento della forza dello sprinter

13 Dicembre 2020 by Redazione

forza dello sprinter

Spesso quando si parla di allenamento della forza, anche per i saltatori e sprinter e quindi atleti che necessitano di sviluppare alti livelli di potenza e velocità, l'idea è ancora rivolta ad allenamenti in stile bodybuilding e all'idea che l'allenamento della forza è soltanto correlato ad un aumento di massa muscolare, riduzione del range articolare e utilizzo di serie ad esaurimento.

Questo è un approccio metodologicamente sbagliato nello sviluppo delle prestazioni di uno sprinter.

Ma gli errori nell'approccio dello sviluppo della forza sono molti e oggi ho intenzione di spiegarne 5 a mio avviso davvero importanti.

Errore N° 1. Lo squat è l'esercizio più importante per l'allenamento della forza nello sprinter.

Mi piace molto lo squat e lo reputo un ottimo esercizio multiarticolare per lo sviluppo della forza degli arti inferiori e che se allenato senza vincoli, quindi non al multipower (castello), aiuta a migliorare anche l'attivazione e il rinforzo del core, della stabilità e della mobilità dell'atleta.

Lo squat però può essere eseguito in vari modi: completo, sotto al parallelo, in 1/2 accosciata e in 1/4 squat.

Qual è la miglior variante di squat?

Dipende da cosa vogliamo ottenere.

Lo squat completo, quindi con i glutei che sfiorano le caviglie è molto utile per migliorare la forza generale e rinforzare anche tutta la muscolatura posteriore, i glutei e i femorali, oltre ai quadricipiti e alla muscolatura adduttoria.

E' inoltre un ottimo esercizio per migliorare la mobilità degli arti inferiori, ma risulta molto tecnico e se non si hanno grosse doti di mobilità potrebbe avere più svantaggi che vantaggi specie a carichi molto alti.

Tra le varianti parziali di squat quello sotto al parallelo è il più interessante in quanto non necessita dello sviluppo di una mobilità articolare estrema, permettendo in ogni caso comunque un rinforzo comunque completo della muscolatura.

Lo squat sotto il parallelo (indicato con "Squat PL" nell'immagine 1) è già più che sufficiente per far lavorare molto bene glutei, quadricipiti e femorali.

Immagine 1. Varianti di squat. Gentilmente concesso da Paolo Evangelista

Immagine 1. Varianti di squat. Gentilmente concessa da Paolo Evangelista

Gli squat "parziali"

Gli squat sopra al parallelo (1/2 squat, 1/3 squat e 1/4 squat) sono ovviamente ottimi esercizi per lo sviluppo della forza ad angoli più specifici e per lo sviluppo della potenza, ma se eseguiti male possono dare delle problematiche ed inoltre sono esercitazioni che fanno intervenire quasi unicamente la muscolatura quadricipite.

Inoltre per ottenere un transfer sullo sviluppo di forza e potenza andrebbero poi utilizzati con carichi molto elevati.

Gli allenatori di powerlifting probabilmente storceranno il naso (e l'immagine 1 lo può confermare, visto il nome dato al 1/4 squat da Paolo Evangelsita nel suo libro DCSS) a vedere le versioni di squat sopra al parallelo, ma credo che questo dipenda dalle influenze che hanno dal loro sport.

Questo non significa che siano meglio alcune varianti rispetto ad altre, ma che va analizzato il contesto, il livello dell'atleta e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Sicuramente possiamo dire che squat parziali a carichi bassi non servono a nulla, se non a pensare che si sta facendo qualcosa.

Pensando a lungo termine, personalmente preferisco utilizzare le varianti di squat completo con i giovani e i principianti e man mano che i livelli di forza diventano interessanti iniziare ad aprire gli angoli facendoli diventare più specifici.

Nel video sotto vediamo il 1/4 squat eseguito da atleti della nazionale Cubana di salti, sotto l'attenta visione del Prof. Carlo Buzzichelli

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Il primo obiettivo in palestra dovrebbe essere costruire un fisico equilibrato

Un atleta, velocista o saltatore, necessita di uno sviluppo armonico di tutta la muscolatura sia di quella che interviene nell'azione specifica di gara (glutei, ischiocrurali e gastrocnemio sono i prime movers principali). In caso contrario potrebbero crearsi problemi di infortuni, ed eccessive masse muscolari in muscoli che sono importanti si per correre veloci ma in un ottica di costruzione completa (i quadricipiti sembrano avere un azione isometrica e di stabilizzazione nell'accelerazione).

Uno dei problemi più grossi che mi è capitato di vedere a questo proposito è nella pianificazione e programmazione dell'allenamento, con programmi di allenamento della forza che prevedono numerose varianti di squat in tutte le salse, portando nel tempo a questo problema.

Un allenamento della forza completo dovrebbe prevedere una costruzione armonica dell'atleta, meglio se a lungo termine, con l'utilizzo di esercizi che vadano a creare un rapporto ottimale tra forza di agonisti e antagonisti.

Immagine 2. Rapporto forza tra agonisti ed antagonsiti. Tratto e adattato da "Periodizzazione dell'allenamento sportivo"

Per fare l'esempio dello squat, che sviluppa molto la forza e l'ipertrofia dei quadricipiti, dovrebbe prevedere almeno lo stesso numero di serie e ripetizioni di un esercizio per lo sviluppo della forza degli antagonisti come ischiocrurali e glutei (ad esempio stacco da terra).

Alcuni autori oltreoceano indicano addirittura di dedicare 2 esercitazioni per la catena posteriore per ogni esercitazione per quella anteriore.

Ma questo per un atleta che non ha scompensi.

Un atleta che ha dedicato ha sviluppato in maniera eccessiva la muscolatura dei quadricipiti con l'utilizzo di squat in tutte le varianti è giusto che abbandoni per un periodo sufficientemente lungo questi esercizi e si dedichi a lavori per il rinforzo di muscoli molto importanti per la performance ma anche per la prevenzione infortuni.

Ricordiamo che la maggior parte degli infortuni negli sprinter avvengono agli ischiocrurali.

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Errore N° 2. Non conoscere il buffer ed allenarsi sempre ad esaurimento.

Le pratiche di cedimento muscolare sono famose nel Bobyduilding in quanto sono importati per lo sviluppo dell'ipertrofia dell'atleta.

Il velocista o il saltatore però, che devono spostare velocemente o "lanciare" lontano il proprio corpo, necessitano di ottimale rapporto peso-potenza.

Con alcuni soggetti, soprattutto i più giovani, potrebbe essere previsto un periodo di sviluppo ipertrofico utile a creare adattamenti strutturali (rinforzo di tendini e legamenti) ma senza la volontà di uno sviluppo spropositato delle masse muscolari che tra l'altro comunque aumentano anche con un allenamento di forza non improntato all'ipertrofia, e senza l'obiettivo primario dell'estetica.

Pensa a stimolare il SNC più che il muscolo in se!

Un altro motivo che dovrebbe spingere a non esagerare con lavori ad esaurimento è il fatto che nel velocista o saltatore l'obiettivo primario è stimolare il SNC per far si che sia in grado di migliorare sia la sua coordinazione intramuscolare che intermuscolare migliorando nel tempo la capacità di esprimere forza in tempi brevi.

Per questo è necessario per noi allenatori conoscere il concetto di buffer, ovvero il differenziale tra il numero di ripetizioni che potrebbero essere eseguite ad esaurimento ed il numero di ripetizioni programmate.

E' un parametro molto importante nell'allenamento della forza per il miglioramento della performance e fondamentale se si vuole che l'allenamento successivo in pista non sia compromesso da un affaticamento eccessivo del SNC.

Ti faccio un esempio.

Cos'è il buffer nella pratica?

Se prendiamo un intensità del 85% con il quale un atleta di potenza solitamente esegue 5 reps ad esaurimento potremmo chiedere al nostro atleta di fare:

  • 5 reps ad esaurimento - Buffer = 0 (allenamento di forza assoluta e quindi ipertrofia)
  • 3 reps - Buffer = 5% (allenamento di forza relativa)
  • 2 reps - Buffer = 10% (allenamento di forza relativa e potenza)
  • 1 reps - Buffer = 15% (allenamento di forza relativa e potenza)

Con un allenamento ad esaurimento a carichi elevati, come in questo caso, alleneremo principalmente la forza assoluta (aumento di forza accompagnata anche da aumento di peso corporeo), e la forza relativa (solo in caso di tempi di recupero molto molto elevati).

Più il buffer sale e più lavoreremo su adattamenti verso la forza relativa (aumento forza senza aumento ipertrofico) e la potenza.

Modulare gli stimoli variando il buffer

Conoscendo così il concetto di buffer, ampiamente spiegato nel libro "Periodizzazione dell'allenamento sportivo" potremo decidere di variare lo stimolo allenante nel corso della stagione con 3 strategie:

  • mantenendo il carico aumentiamo le ripetizioni, con aumento il volume e riduzione del buffer e maggiori adattamenti strutturali del muscolo (hyp), ad esempio 3 x 6 @ 75% (buffer 5%) --> 3 x 8 @ 75% (buffer 0)
  • mantenendo lo stesso buffer incrementiamo l'intensità e quindi riduciamo le ripetizioni, ad esempio da 3 x 6 @ 75% (buffer 5%) --> 3 x 3 a 85% (buffer 5%). Questa è la strategia in caso di ricerca di adattamenti nella forza massima
  • mantenendo la stessa intensità riduciamo le ripetizioni andando ad aumentare il buffer, es: 3 x 6 @ 75% (buffer 5% --> 3 x 3 @ 75% (buffer 15%). In questo caso siamo passati da un allenamento di forza relativa ad un allenamento di potenza

Diventa quindi importante saper conoscere e gestire al meglio questo parametro per gli adattamenti voluti ed in ottica velocità e salti è molto importante nella fasi di sviluppo della potenza saperlo modulare al meglio.

Quando è fondamentale utilizzare il buffer?

Risulta molto importante aumentare il buffer nella fase agonistica, dove l'allenamento della forza e della potenza entra nella cosidetta "fase di mentenimento": in questo caso come vedremo nel 4° punto l'obiettivo è quello di mantenere i livelli di forza acquisiti durante il periodo preparatorio, ridurre la fatica residua, stimolare il SNC senza affaticarlo e aumentare così la readiness (prontezza alla performance)

Errore N° 3. Pensare di poter "trasformare la forza"

In Italia, purtroppo, è ancora molto in voga la pratica della "trasformazione della forza", ovvero il far seguire ad esercitazioni di forza (a volte ad esaurimento) altri esercizi dinamici sport specifici alla massima velocità (andature, sprint o balzi) con l'idea che la forza guadagnata vada subito trasformata nel gesto sport specifico.

Vi confesso che anche io, quando più di 10 anni fa ho iniziato ad allenare, ho provato queste metodiche, ma nonostante l'inesperienza, usandole con gli atleti e a volte sperimentandole su me stesso mi accorgevo che qualcosa non andava e che non mi piaceva proporre allenamenti di velocità con la muscolatura affaticata.

Aggiornandomi e studiando mi sono accorto poi che i miei dubbi erano corretti e che si trattava di una teoria ormai ampiamente superata, che nel 2020 dovrebbe essere bandita da ogni sala pesi, e spesso confusa con la PAP, metodica invece molto interessante ed utile ma completamente diversa.

Perchè è sbagliato il concetto di trasformazione della forza?

La forza, per svilupparsi, necessita di uno stimolo (allenamento) e un tempo di recupero sufficientemente adeguato (24-72h a seconda del tipo di allenamento).

3 ripetizioni al 90% di un esercizio non mi aumentano nell'immediato la forza, al massimo mi affaticano il SNC e la muscolatura, andrò quindi a fare un esercizio alla massima velocità come uno sprint con un affaticamento con il rischio di incappare in infortuni.

La forza e la potenza necessitano inoltre di un certo tempo (in settimane) per essere sviluppate.

Pensare di trasformare la forza in potenza da un esercizio all'altro è assolutamente utopistico.

Lo abbiamo accennato nel punto sopra, ma è giusto rimarcarlo.

La velocità, le capacità di salto e di potenza vanno allenate in stato di freschezza del SNC e muscolare, farlo dopo aver pre-affaticato l'organismo no ha alcun senso, soprattutto con velocisti, saltatori e lanciatori.

Quindi, non ha mai senso fare esercizi con i sovraccarichi intervallati da esercizi di potenza, sprint o esercitazioni più esplosive?

Diciamo che dipende cosa vogliamo ottenere dal punto di vista dell'allenamento della forza.

Esistono alcuni metodi che sfruttano il così detto Post Activation Potentation (PAP), come il metodo a contrasto o Complex Training che effettivamente sembrano dare buoni risultati sullo sviluppo della potenza.

In pratica si è visto che dopo una stimolazione del SNC con sovraccarichi o esercitazioni pliometriche (anche il traino pesante da questo effetto), dopo un corretto tempo di recupero (>3') si registra una riduzione dei tempi di sprint breve (10-30 metri, un miglioramento nelle capacità di salto e in generale un miglioramento della capacità di esprimere potenza)

Ma anche in questo caso, e ci tengo a rimarcarlo, non si tratta di trasformazione della forza, ma dello sfruttamento di un meccanismo chiamato PAP, spesso sfruttato anche nel pre-gara per massimizzare le prestazioni.

La PAP, della quale magari parleremo meglio in un prossimo articolo, però non va considerata un vero e proprio allenamento di forza ma uno stimolo nervoso che permette di massimizzare la performance dell'esercitazione successiva, solitamente più specifica.

Per ottenere questo effetto l'esercizio di "forza" dovrebbe coinvolgere gli stessi muscoli motori che saranno usati nel secondo esercizio, utilizzare range di movimento abbastanza specifici, essere eseguito con carichi medio-alti e buffer molto alti (quindi mai ad esaurimento) ed essere seguito, come detto sopra, da un recupero che permetta di massimizzare l'effetto della stimolazione (>3').

Inoltre, essendo un esercitazione volta a massimizzare il secondo esercizio va impostato con poche esercitazioni, spesso soltanto una e poche serie (2-3).

Questo non lo porta sicuramente ad essere considerato il metodo d'eccellenza per migliorare in modo equilibrato i livelli di forza dell'atleta.

Personalmente considero i metodi che sfruttano la PAP evoluti e indicati per atleti con alle spalle già alcuni anni di allenamento con i sovraccarichi.

Errore N° 4. Allenare la forza in inverno ed abbandonarla in estate

Altra pratica utilizzata molto sulle piste di atletica è quella di dedicare l'inverno all'allenamento della forza (durante la preparazione generale) per poi abbandonarla totalmente nel periodo estivo (periodo pre-competitivo e competitivo), pensando che siano sufficienti le sole esercitazioni pliometriche per mantenerla.

Questo porta ad alcune problematiche sia a medio termine che a lungo termine:

  • calo delle performance;
  • difficoltà nel raggiungimento del picco nella gara clou della stagione;
  • stallo della performance nelle stagioni successive e decadimento tecnico

Vediamoli nel dettaglio.

Calo della performance

I benefici di un aumento dei livelli di forza nei confronti del miglioramento delle prestazioni atletiche durano fino a quando gli adattamenti del SNC causati dall'allenamento sono mantenuti.

Se interrompiamo l'allenamento si va incontro al tanto temuto deallenamento, gli adattamenti ottenuti e gli effetti positivi svaniscono abbastanza velocemente, questo porta ad una riduzione delle performance poi in gara.

Difficoltà nel raggiungimento del picco nella gara clou della stagione

Il lavoro di forza influisce positivamente sul raggiungimento del picco di forma nella gara clou negli sport di potenza.

Capita spesso che la migliore performance è ottenuta proprio nella prima gara della fase competitiva, poco dopo aver interrotto l'allenamento di forza.

Togliere totalmente l'allenamento della forza non permette un miglioramento successivo delle performance.

Stallo della performance nelle stagioni successive e decadimento tecnico

A lungo termine, se l'obiettivo è quello di portare l'atleta a migliorarsi in più stagioni, è controproduttivo eliminare l'allenamento della forza nel periodi competitivo, in quanto all'inizio della preparazione successiva probabilmente si troverà ad un livello di forza molto simile a quello dell'inizio preparazione della stagione appena trascorsa.

Questo porta ad uno stallo a lungo termine che non permette di avere una crescita costante delle abilità biomotorie dell'atleta.

Inoltre vi è anche un aspetto tecnico da considerare.

Spesso nelle esercitazioni di forza di un atleta che non sia un powerlifting (che deve cercare una tecnica perfetta) va trovato un compromesso tra una buona tecnica esecutiva, che permetta di massimizzare il reclutamento muscolare, di eseguire l'esercitazioni in sicurezza evitando infortuni inutili  e il tempo a disposizione.

Lo sprinter infatti dovrebbe dedicare tempo a migliorare la tecnica di corsa più che la tecnica esecutiva di uno squat.

Va ricercata quindi una tecnica esecutiva corretta che eviti infortuni e massimizzi gli adattamenti allenamenti.

Se però noi interrompiamo per svariati mesi l'allenamento di forza e quindi l'esecuzione di certi esercizi quando torneremo in sala pesi la stagione successiva probabilmente dovremo ricominciare da capo il processo di apprendimento, vanificando ancora una volta il lavoro fatto la stagione successiva.

Per evitare questi effetti negativi, durante tutto il periodo competitivo andrebbero pianificate e programmate sessioni di mantenimento della forza con l'obiettivo di stimolare il SNC e mantenere le proprietà contrattili della muscolatura.

Come impostare il "mantenimento della forza"?

Le sedute di mantenimento avranno volumi ridotti rispetto a quelle dei cicli di preparazione per evitare di creare eccessivo affaticamento che potrebbe poi portare a ridurre le performance nei gesti specifici.

Errore N° 5. Allenare la forza sempre con gli stessi carichi

Nell'allenamento capita spesso di lasciarsi andare a seguire le mode del momento.

Una cosa che di tanto in tanto noi allenatori dovremmo invece fare è andare a rivederci i principi dell'allenamento, le linee guida che dovrebbero essere alla base di ogni buon programma di allenamento.

Uno dei più antichi tra questi principi è quello dell'aumento progressivo dei carichi.

E qui arriva una delle storie più antiche nel mondo della metodologia dell'allenamento

Si narra che il primo a sfruttare questo principio fu Milone di Crorone, discobolo dell'Antica Grecia che, per diventare più forte, da ragazzo si caricò un vitello sulle spalle. Con il crescere del vitello, Milone diventava sempre più forte, fino a diventare l'uomo più forte al mondo quando il vitello divenne toro adulto.

Immagine 3. Milone da Crotone, tratta da Deipnosofista

Per creare adattamenti strutturali e fisiologici ma anche psicologici, i carichi di allenamento andrebbero incrementati in modo progressivo nel tempo, intervallando fasi di salita dei carichi a fasi di "scarico" (per massimizzare l'adattamento ed evitare l'overtraining).

Molti allenatori utilizzano invece il metodo del "carico standard", forse impauriti, in modo del tutto ingiustificato, che i carichi troppo elevati possano essere dannosi per la performance e per la salute dell'atleta.

Non volendo entrare nel dettaglio sul discorso prevenzione infortuni, nel quale l'allenamento della forza ricopre un ruolo molto importante e ormai scientificamente provato, mi soffermerò sui benefici di un aumento dei carichi nel miglioramento performance e sul fatto che mantenere sempre lo stesso carico potrebbe far decrescere la prestazione nel corso della stagione.

Se un atleta durante il suo allenamento di forza esegue sempre 5 ripetizioni di squat con 100 kg avrà degli adattamenti allenanti all'inizio della preparazione, ma a lungo andare l'allenamento diventerà sempre meno allenante e nel corso della stagione sarà addirittura controproducente, perdendo in realtà tempo nella sala pesi.

Se come allenatori abbiamo paura a far salire il carico sul bilanciere allora forse avrebbe senso non perdere tempo in una sala pesi e dedicarci alle cose che pensiamo più utili e meno dannose.

Ricordiamoci però che le forze di picco al contatto col terreno nella fase di appoggio della corsa a bassa velocità si attestano intorno a 2-2,5 volte il peso corporeo e ad alte velocità possono raggiungere 4 o 5 volte il peso corporeo.

Lascio a voi il calcolo di quanto peso su un bilanciere dovremmo mettere per ottenere le stesse sollecitazioni!

 

Letture consigliate

A. Roncari, P. Evangelista, A Biasci, Project Exercise. Biomeccanica applicata la fitness e al bodybuilding. Vol. 2, Project Invictus

A. Blazevich, F. Nardello, A. Monte, Biomeccanica dello sport. Le basi. Come ottimizzare la prestazione, Calzetti & Mariucci

G. Legnani, G. Palmieri, I. Fassi, Introduzione alla biomeccanica dello sport, Città Studi Edizioni
P. Evangelista - DCSS. Power mechanics for power lifters, Sandro Ciccarelli Editore

T. Bompa, C. Buzzichelli - Periodizzazione dell'allenamento sportivo, Calzetti & Mariucci

 

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Andrea Dell'Angelo

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Filed Under: Allenamento della forza, Atletica leggera, Sprint-Velocità Tagged With: 100 metri, 200 metri, 60 metri, allenamento della forza, allenamento forza per il velocista, allenamento forza sprint, allenare la forza nel velocista, forza nello sprint, sprint, sprinter, velocità

Biomeccanica della corsa in curva

6 Giugno 2016 by Redazione

Corsa in curva Atleticamente foto

Immagine di copertina da Atl-eticamente Foto, Ph. Valeria Biasioni

Nell'atletica leggera tutte le gare oltre i 100 metri prevedono una porzione di corsa in curva. Le gare dove la corsa in curva influisce maggiormente nella prestazione finale sono i 200 metri, la 4x100 metri, i 300 metri (per le categorie giovanili) e i 400 metri piani. Con il seguente articolo, precedentemente pubblicato su www.demotu.it scopriamo le leggi della fisica che regolano questo tipo di corsa.

La corsa in curva

Un moto curvilineo in cui il modulo del vettore velocità si mantiene costante, è chiamato uniforme lungo la traiettoria perché il corpo si muove percorrendo spazi uguali in tempi uguali.

In questo tipo di moto non si ha un’accelerazione dovuta ad un cambiamento di valore della velocità, ma solo accelerazione vettoriale dovuta al fatto che la velocità, pur considerando lo stesso valore, cambia di direzione; si dirà che il moto possiede un’accelerazione centripeta il cui significato sta ad indicare che l’accelerazione è diretta verso il “centro di curvatura” della traiettoria (figura 1).

corsa in curva 2

Figura 1 – Nel moto circolare uniforme velocità ed accelerazione centripeta sono vettori (quindi nella figura le lettere “a” e “v” dovrebbero avere una freccia sopra), diretti rispettivamente secondo la tangente ed il raggio.

 

Questo tipo di accelerazione è quella che imprime il corridore nel tratto curvilineo della gara dei 200  metri o nella frazione in curva della staffetta 4x100 metri per non uscire dalla stessa traiettoria ed il suo valore è pari al quadrato della velocità diviso il raggio di curvatura: Ac = V2  / R

L’accelerazione centripeta è la sola accelerazione che può avere un moto curvilineo uniforme, ma se il moto non è uniforme, oltre all’accelerazione centripeta bisognerà considerare un’altra accelerazione dovuta al fatto che la velocità cambia anche di valore; questa accelerazione associata ai cambiamenti di valore della velocità prende il nome di accelerazione tangenziale e si definisce in modo del tutto analogo  a quella dei moti rettilinei.

L’accelerazione tangenziale e quella centripeta, non sono altro che le componenti, lungo la tangente e la normale alla traiettoria del vettore risultante che definisce, in senso vettoriale, l’accelerazione del moto in un certo istante.

Se l’accelerazione centripeta è causata da una forza diretta verso il centro, per il principio di azione e reazione vi sarà una forza uguale ma di verso contrario rivolta verso l’estremo della traiettoria.

A questa forza, il cui vettore ha direzione passante per il centro ed è diretto verso l’esterno della circonferenza, prende il nome di forza centrifuga, ed è quella che spinge il corridore dei 200 metri fuori dalla traiettoria curvilinea.

In pratica il corridore che corre lungo l’arco di una circonferenza, è sottoposto all’accelerazione  centripeta che cambia la direzione del vettore velocità e, per mantenere l’equilibrio, egli deve inclinarsi in modo tale che la forza di reazione R agente sui piedi sia indirizzata verso il centro di gravità (figura 2 A). La forza risultante W, uguale alla somma della forza di reazione R e della forza peso G, sarà diretta verso il centro di curvatura ed avrà il valore della forza centripeta mv2/r, dove v è la velocità del corridore ed r il raggio di curvatura della corsia; le grandezze esposte sono evidenziate nella figura 2 A, mentre l’angolo d’inclinazione del corridore è determinato dalla seguente formula:

 

tgq = W/G  da cui (mv2/r)/mg = v2/rg

 

Dalla formula si ricava che l’angolo d’inclinazione varia al variare della velocità di corsa e del raggio di curvatura; in particolare aumenta all’aumentare della velocità ed al diminuire del raggio della curva, e diminuisce quando la velocità rallenta ed  aumenta il raggio di curvatura.

corsa in curva 1

Figura 2 A, B – Nella figura di sinistra (A) l’assetto di un corridore che corre su un raggio di curvatura ampio (pista all’aperto); nella figura di destra (B) l’assetto di un corridore che corre su una curva inclinata con basso raggio di curvatura (pista al coperto). (da Krzysztof, 1998 – mod.)

 

Un corridore di una gara di 200 metri che percorresse una curva di 20 metri di raggio ad una velocità di  10 m/s, sarebbe inclinato all’interno della curva di circa 30° (figura 2 A); a tale inclinazione cambierebbe il modo di poggiare il piede a terra con la difficoltà di dovere esprimere la stessa forza che in rettilineo, ma soprattutto sarebbe sottoposto ad una pressione decisamente superiore.

Il vantaggio degli atleti che notoriamente usufruiscono correndo nelle corsie esterne è, quindi, riassumibile nei seguenti punti:

  1. L’essere meno inclinati a parità di velocità essendo il raggio di curvatura r più grande[su_spacer size="10"]
  2. Il modificare, di conseguenza, meno il modo di poggiare il piede a terra[su_spacer size="10"]
  3. Il sottoporre, di conseguenza, il piede ad una pressione minore

Per effettuare il calcolo di questo sovraccarico a cui il piede è sottoposto durante la corsa in curva, si ipotizzi lo stesso atleta che corra alla stessa velocità su una pista inclinata di 30° (figura 2 B), condizione tipica delle piste al coperto; la forza di reazione R agente su di lui sarebbe pari a:

R = mg/cosq; da cui mg/cos 30° = 1,15 mg

Se il corridore pesasse 70 kg, egli si sentirebbe più pesante di circa il 15%, ed i suoi piedi sarebbero sottoposti ad un carico di 789,7 N; in pratica si sentirebbe nelle condizioni di pesare 80,5 kg, cioè come se corresse con un giubbotto zavorrato di 10,5 kg.

A questo bisogna considerare, inoltre, che durante la corsa in rettilineo il corridore deve superare le resistenze nel movimento orizzontale come la forza d’attrito o della resistenza dell’aria, ma anche quella verticale di sollevare il proprio corpo che, nel caso della corsa in curva, è gravato ulteriormente.

Un altro aspetto importante da considerare è che l’atleta percorre una curva effettuando dei passi in linea che non possono, ovviamente, descrivere esattamente l’arco di circonferenza della corsia; a tal uopo è conveniente ricordare il legame matematico che unisce una circonferenza ed i poligoni regolari.

Un poligono regolare è un poligono avente tutti i lati congruenti e tutti gli angoli congruenti; esso è inscrivibile in una circonferenza e circoscrivibile a un’altra, e le due circonferenze hanno lo stesso centro, detto centro del poligono. L’apotema del poligono è il raggio della circonferenza inscritta, ed il raggio del poligono è il raggio della circonferenza circonscritta (figura 3)

corsa in curva 3

 

All'aumentare del numero dei lati la misura del perimetro di un poligono regolare circoscritto ad una circonferenza diminuisce avvicinandosi alla misura della lunghezza della circonferenza stessa. Si prendano ad esempio il quadrato circoscritto e poi l'ottagono regolare circoscritto ad una medesima circonferenza, si avrà che il perimetro dell'ottagono è minore del perimetro del quadrato ma maggiore della lunghezza della circonferenza.

Infatti, si consideri il triangolo DEF (figura 4), siccome in ogni triangolo un lato è minore della somma degli altri due, si avrà che EF < (ED + DF); applicando tale ragionamento opportunamente ai lati del quadrato e dell'ottagono si otterrà la proprietà.

corsa in curva 4

Considerando, quindi, una circonferenza di raggio r e tutti i poligoni regolari inscritti, la misura del perimetro di tali poligoni diminuirà all'aumentare del numero dei lati e si avvicinerà indefinitamente al valore della lunghezza della circonferenza (figura 5).

corsa in curva 5

Figura 5 – Da sinistra, poligoni regolari con: 4 lati, 6 lati, 8 lati, 12 lati, 16 lati.

In pratica:

  1. Nella corsa in curva su una traiettoria circolare l’atleta percorre una spezzata che si può disegnare unendo i punti tracciati idealmente da ciascun piede di appoggio e spinta. Maggiore è la lunghezza del passo dell’atleta e minore sarà il numero dei segmenti che costituiscono la spezzata che caratterizza la traiettoria. E’ evidente che il minore percorso è lo stesso arco di circonferenza mentre tutte le infinite spezzate tracciabili comportano un percorso sempre maggiore quanto minore è il loro numero e quindi maggiore la lunghezza dei singoli segmenti. In sintesi un atleta con il passo lungo percorre, in curva, uno spazio maggiore rispetto ad un atleta con il passo più breve. Un atleta con il passo lungo nel momento del contatto con il suolo deve fare una “sterzata” maggiore quindi con maggiore dispendio energetico rispetto alla “sterzata” che deve compiere un atleta con il passo più corto.[su_spacer size="10"]
  2. La forza centripeta che si esplica nel moto circolare è direttamente proporzionale alla massa e al quadrato della velocità angolare e inversamente proporzionale al raggio di curvatura. Nella fase di volo tra un appoggio ed un altro il corpo dell’atleta non ha alcun contatto con il suolo e procede solo ed esclusivamente secondo moti inerziali rettilinei. Nel contatto con il suolo l’atleta deve però effettuare un spinta in avanzamento (come nella corsa rettilinea) e una ulteriore spinta di direzione e verso diretta dall’atleta al centro della curva circolare per descrivere la sua traiettoria pseudo- circolare (una spezzata) e vincere la forza centrifuga. Il corpo dell’atleta inoltre si inclina verso il centro della curva per meglio bilanciare tale nuova sollecitazione. Nel momento della spinta il piede di contatto (maggiormente quello esterno) esplica una spinta sia per effettuare l’avanzamento sia per descrivere una traiettoria spezzata. Questa ulteriore spinta trasversale che deve esprimere l’atleta e che compare nella corsa in curva aumenta il suo peso poiché la forza centrifuga si somma all’effetto della gravità terrestre. Il risultato è paragonabile alla corsa con sovraccarichi. In teoria si dovrebbe migliorare la potenza e l’efficacia della

 

In definitiva una buona prestazione in curva è funzionale a:

  1. Un passo più breve che consente di percorrere spazi minori (si possono facilmente calcolare conoscendo il numero dei passi in curva rispetto quelli della corsa in rettilineo).[su_spacer size="10"]
  2. Un elevato livello di potenza muscolare che consenta di sopportare le maggiori spinte da esprimere in curva per superare la gravità terrestre e la forza

Conclusioni

In conclusione gli atleti meno alti, con ampiezze del passo minori, non muniti di particolari doti di reattività e quindi con tempi di contatto un po’ più lunghi, con particolari doti di forza ed in particolare di forza esplosiva, riescono ad esprimersi meglio in curva rispetto ad altri atleti di pari valore cronometrico  o anche più veloci in rettilineo, ma con caratteristiche antropometriche e di corsa opposte, cioè più alti, con maggiore ampiezza del passo, più reattivi, meno forti ed esplosivi.

Assume particolare importanza, quindi, al momento di scegliere i componenti della staffetta 4x100 metri ed all’assegnazione della frazione da compiere, conoscere le caratteristiche dei soggetti nella corsa in rettilineo ed in curva, considerando i parametri relativi alla ritmica del passo ed i suoi aspetti biodinamici, preferendo quegli atleti che presentano i valori migliori.

 

Di Furio Barba (Università degli Studi di Napoli “Parthenope” Facoltà di Scienze Motorie - Docente Scuola dello Sport del CONI) e Ing. Giulio Spagnuolo

Prof. Furio Barba

Docente Scuola dello Sport del CONI e Scienze Motorie
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La psicologia delle specialità: gli sprint!

10 Maggio 2016 by Redazione

L’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa, l’importante è quello che provi mentre stai correndo. 

Il vero miracolo non è essere giunti al traguardo, ma aver avuto il coraggio di partire. (Jesse Owens)

 

L’atletica è composta da specialità molto diverse tra loro, sia per quanto riguarda l’allenamento, sia per le modalità di competizione. Le regole da seguire sono diverse, spesso capita che un velocista non conosca esattamente le regole delle gare di salto in alto, e viceversa. Anche dal punto di vista psicologico le caratteristiche delle specialità sono diversificate tra loro. Si possono tuttavia trovare dei punti in comune.

Gli sprint: 100m, 200m, 400m.
Gli atleti che gareggiano nella velocità devono sostenere carichi di lavoro notevoli, diversi a seconda della distanza, durante la preparazione invernale. Ciò, insieme alla lunghezza del periodo di preparazione, necessita di una grande determinazione e motivazione a portare a termine ogni allenamento. Oltre alle difficoltà derivanti dalla fatica fisica e mentale, è presente anche la lontananza prolungata dalle competizioni. L’anno si divide infatti in stagione indoor e stagione outdoor, e i mesi che le separano riempiono la vita dell’atleta con la preparazione. Durante tale periodo si può provare la frustrazione di non poter (ma voler) gareggiare, di vedere lontani gli obiettivi per cui si sta duramente lavorando e la sensazione di non farcela a gestire un periodo così lungo senza competizioni. Come ho già suggerito nell’articolo sulla preparazione invernale nell’atletica, è necessario pensare di settimana in settimana, di giorno in giorno e, a volte, di allenamento in allenamento. Porsi obiettivi a breve termine aiuta ad affrontare anche la più dura delle preparazioni.
Passiamo a visionare le competizioni: un lungo riscaldamento (forse il più lungo di tutta l’atletica) precede le gare. In tale lasso di tempo è possibile che la mente vaghi in pensieri non aderenti alla situazione. Di sicuro è impossibile rimanere concentrati lungo tutto il riscaldamento: la massima concentrazione dura pochi minuti, soprattutto in un ambiente così pieno di stimoli distraenti (studiare nella propria stanza nel silenzio è una cosa, concentrarsi in mezzo ad altri atleti, altre gare, persone che urlano e che parlano, gente che si muove in continuazione non è semplice). La massima concentrazione deve essere presente nei pochi istanti che precedono la partenza, proprio perché caratteristica principe delle gare di velocità è l’unica possibilità che viene data all’atleta. Se si parte male in un 100m, non è possibile tornare indietro e rifare. Per questo motivo noi psicologi dello sport utilizziamo diverse tecniche per far raggiungere la massima concentrazione all’atleta nel momento in cui c’è più bisogno.
Altra necessità dell’unica possibilità data agli atleti è la capacità di recuperare l’errore. Che sia un 100 o un 400, se si parte male si deve tentare di recuperare il recuperabile, senza farsi prendere dallo sconforto o dalla foga di riprendere i metri persi. In un caso si smetterebbe di gareggiare, rinunciando ai tentativi di recupero, nell’altro caso ci si provocherebbe eccessiva tensione muscolare, negativa dal punto di vista tecnico. Anche in questo caso noi psicologi dello sport insegniamo tecniche agli atleti per aumentare la consapevolezza in gara e l’utilizzo delle proprie risorse. Anche se sembra difficile da credere, anche in un 100 metri è possibile rendersi conto di quello che succede e pilotare la situazione nella direzione più adeguata.

[su_youtube_advanced url=”https://youtu.be/Hc91tHIC8Pw”][/su_youtube_advanced]
Altra caratteristica delle gare di velocità: l’arousal, lo stato di attivazione mentale, che deve essere massimo poco prima della partenza. Troppa o troppo poca attivazione, un’attivazione precoce, o una mancanza totale di attivazione condiziona negativamente la competizione. Provare ansia o apatia sono segnali di una cattiva gestione delle emozioni pre-gara. Una buona gestione di tali emozioni, un’autostima e un’auto-efficacia adeguate , portano a un’attivazione ottimale per la competizione. Anche qui entrano in gioco gli psicologi dello sport, che prendono in esame le risorse dell’atleta e le convogliano nella direzione voluta.

Le condizioni atmosferiche, nelle gare outdoor, influenzano molto la mente del velocista (e non solo). Una temperatura troppo bassa o troppo umida non permette di raggiungere la sensazione di essere pronti alla gara, il vento contro può infastidire e inficiare la prestazione, la pioggia può distrarre e mettere a disagio. Anche in questo caso, una mente allenata e preparata può superare le difficoltà e riuscire a dare il 100% di quello che la situazione consente.

Come le altre specialità, la velocità è una gara molto complessa, con diverse sfaccettature e caratteristiche.

Un atleta è tale non solo con il corpo, ma anche con la mente.

Dott.ss aMartina Fugazza

Psicologa dello sport

www.martinafugazza.com

 

Gli altri articoli di Martina li trovi nella nostra sezione PSICOLOGIA

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Intervista: Salvino e Filippo Tortu

17 Giugno 2015 by Redazione

In questo articolo proponiamo l’intervista a Filippo Tortu, che nell’ultimo mese è diventato la nuova “promessa” della velocità Italiana (MPI Allievi nei 100 metri e nei 200 metri), e al suo allenatore nonchè babbo Salvino Tortu.

Iniziamo con l’intervista a coach Salvino (quella a Filippo nella seconda pagina dell’articolo!!)

1) Ciao Salvino, parlaci un pò di te, delle tue esperienze, la tua filosofia di allenamento…
Ho iniziato a fare atletica in Sardegna nel lontanissimo 1975. Pura vocazione in quanto non avevo a disposizione una pista, mi allenavo, per modo di dire, lungo una ferrovia. Ogni tanto andavo a Sassari per essere seguito da un bravissimo tecnico che poi avrebbe allenato Gianni Puggioni, Mauro Doppiu. Preparato come pochi. A Roma, all’epoca dell’università, sono stato seguito da Carlo Arrighi prima e dal mitico Plinio Castrucci poi. Non ero certo un fenomeno e correvo i 100 mt in 10″6. Ho smesso non appena laureato, nel 1983, ed ho ripreso da Master 12 anni più tardi seguito da Roberto Caglio, tecnico di grande livello se è riuscito “nell’impresa” di farmi correre da quarantenne in 10″8 i 100 mt. e 22″41 i 200 mt.
Ho iniziato ad allenare, casualmente, circa diciotto anni fa e la mia prima vittima è stato Il Duca, alias Ferdinando Savarese, cofondatore di Queenatletica. Attualmente oltre a Filippo seguo un gruppo ben assortito in cui spiccano i famigerati fratelli Rodella. Mio fiore all’occhiello Giancarlo D’Oro, ragazzino di cinquantatre anni. Tinge di bianco i suoi capelli ancora corvini per non fare sfigurare troppo i ragazzi con cui si allena. Sarebbe lungo parlare delle metodologie di allenamento perciò mi limito a dire che presto un’attenzione quasi maniacale nel cercare di trovare nei miei atleti una quanto più corretta azione di corsa

2) Filippo, grande talento, i tempi ottenuti quest’anno lo dimostrano. Cosa ne pensi di lui e delle sue possibilità di crescita?
Si tratta di un ragazzo dalle potenzialità enormi di crescita perché ancora non è terminata la spinta biologica. Proprio per questo motivo la nostra metodologia di allenamento è chiaramente indirizzata ad assecondare la crescita stessa.
Mi spiego con un esempio: un centimetro guadagnato in altezza ci obbliga a dovere reimpostare il corretto assetto di corsa. E questo avviene di frequente se si considera che Filippo nelle ultime due stagioni è cresciuto di circa 10 cm..

3) A tuo avviso quale è stato il percorso che vi ha portato a questo ottimo risultato?
Sono monotono. Il lavoro svolto sulla corretta tecnica di corsa. Le sue capacità hanno fatto il resto.

4) Nei 200 di domenica a Chiari ha corso in maniera particolare, distribuendo le energie in maniera diversa dagli altri (partenza in apparenza controllata, drive lungo, fase lanciata impressionante), senza mai irrigidirsi. Ci avete lavorato in allenamento oppure sono le sue caratteristiche naturali ad averlo portato a correre in questo modo?
Ci abbiamo lavorato tanto come ho detto, intervenendo sui punti di forza del ragazzo. Filippo ha sempre il controllo della corsa, naturalmente, unito ad un’azione decontratta e ad una capacità di “attivarsi” veramente notevoli.

5) Ha corso molto forte anche Pietro Pivotto, ma con una distribuzione ritmica diversa (partenza più esplosiva, da 100metrista, è passato alla fase lanciata prima, gli ultimi 50 metri è calato di ritmo ed ha iniziato ad irrigidirsi). Pensi possa migliorare il suo tempo soltanto provando a distribuire le energie diversamente?
Ha semplicemente distribuito in maniera differente rispetto a Filippo, chiudendo con un gran tempo. Pivotto ha sicuramente ampi margini di miglioramento che possono manifestarsi già nel corso di questa stagione.

filippo_tortu_ilcoach

6) Secondo te quali sono i punti “chiave” per un buon programma di allenamento di un velocista (e in particolare in un 200ista?)
Sono banale se insisto nell’aspetto legato alla tecnica di corsa? Tutto il resto è ovviamente necessario ma è comunque compendio.
Livio Berruti ha vinto un’Olimpiade in questo modo. Non voglio guidare un’auto con trecento cavalli e le gomme lisce, a meno che non decida di andare a passo d’uomo.

7) Si dice spesso che un genitore non possa essere un buon allenatore, sembra che questa sia l’eccezione che conferma la regola. Che ne pensi di questo?
Ho due figli velocisti, Giacomo vive a Torino ed è allenato da Alessandro Nocera, Filippo dal sottoscritto. Devo dire che tutto scorre con grande naturalezza ed il rapporto padre allenatore in entrambi i casi rimane fuori da casa. Per fortuna abbiamo tanti altri interessi al di fuori dell’atletica per cui ognuno di noi ha degli spazi propri.

8) Quali sono le difficoltà principali, a tuo avviso, che un allenatore di atletica leggera deve affrontare nel nostro paese?
Mancanza di vocazioni. Dobbiamo però essere noi i primi a fare un mea culpa se non riusciamo a fare appassionare i ragazzi.

9) Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
Continuare ad accompagnare la crescita di Filippo senza avere fretta. I risultati per ora sono indicativi, danno una grande spinta, ma non sono ancora fondamentali.

10) Quali sono le figure che hanno ispirato il tuo modo di allenare?
Castrucci, grande uomo “da campo”, lo ricordo con immensa nostalgia. Mi confronto spesso con Alessandro Nocera che stimo particolarmente.

11) Atletica ed allenamento all’estero: molti atleti italiani nell’ultimo periodi sono “emigrati” all’estero per allenarsi, cosa ne pensi?
Non voglio giudicare il lavoro di altri tecnici in quanto non ho avuto modo di conoscerne le metodologie di allenamento.

12) Fidal Nazionale: si criticano spesso il suo operato e le sue scelte tecniche. Che ne pensi a riguardo, da allenatore di un atleta di interesse nazionale?
La Federazione mi sta seguendo con particolare attenzione, mediante le figure di Alfio Giomi, come “Superadvisor”, e di Stefano Baldini come responsabile giovanile: devo dire che sono veramente attenti e presenti.
E’ giusto farlo notare visto che spesso si parla solo di cose negative riguardo la Fidal.

 

Nella seconda parte l’intervista a Filippo

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Marinella Signori e Giulia Curone

18 Maggio 2015 by Redazione

Di seguito presentiamo una breve intervista a Marinella Signori e alla sua giovane atleta Giulia Curone, rispettivamente allenatrice ed atleta della Brixia Atletica 2014 A.S.D.
Giulia, al 1° anno allieva, ha recentemente corso i 100 metri in 12″22, a Mariano Comense, tempo al di sotto del minimo per i Campionati Mondiali Allievi.

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L’allenatrice…

Ciao Marnella, parlaci un pò di te, delle tue esperienze, la tua filosofia di allenamento…
Mi chiamo Marinella Signori, ho iniziato a fare atletica leggera quando avevo 14 anni, e non mi sono più fermata.
Ho cominciato con le campestri e il mezzofondo per poi passare alla velocità; ho partecipato a manifestazioni internazionali quali Universiade, giochi del Mediterraneo, campionati Mondiali, coppa Europa e tantissimi campionati italiani.
Ho personali di 7”58 nei 60 indoor, 11”64 nei 100m metri, 23”87 niei 200…

La mia semplice filosofia  è che l’allenamento paga sempre, magari non nei tempi che vorremmo, magari ci vuole un po’ di pazienza ma se ci si allena seriamente il risultato viene fuori prima o poi!

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A tuo avviso quale è stato il percorso che vi ha portato a questo ottimo risultato?
Giulia ha iniziato con i corsi di avviamento ed era seguita da Giorgio, mio marito; io ho cominciato a seguire alcuni atleti cadetti del corso (tra cui Andrea Federici) nel 2012 al Calvesi e so che Giulia avrebbe voluto fare qualcosa in più delle 2 ore settimanali del corso, ma ritenevamo fosse ancora troppo presto…era ancora categoria ragazza…e non  volevamo forzare i tempi. Ma da questo si capiva già allora che era molto motivata e che aveva ben chiaro il percorso da fare e gli obiettivi che voleva raggiungere…diciamo che aveva voglia di allenarsi un po’ più seriamente.

Passata cadetta è stato automatico l’inserimento nel gruppo di allenamento dei “grandi” e da quel momento il suo percorso di crescita non si è più fermato, 3 allenamenti settimanali da cadetta e ora che è allieva siamo a 4 allenamenti di circa un ora e mezza….e i miglioramenti sono stati evidenti già dalla stagione indoor. Diciamo che Giulia è molto motivata e ha fiducia nel lavoro che stiamo facendo, non si tira mai indietro anche se so che non ama le prove lunghe….ma sa che sono necessarie per raggiungere buoni risultati!

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Secondo te quali sono i punti “chiave” per un buon programma di allenamento nella disciplina che alleni (velocità e salti)?
Intanto la motivazione deve sempre essere alta, la fiducia nella persona che ti segue, la costanza negli allenamenti  e una buona programmazione dell’allenamento con ben chiare le finalità che si vogliono raggiungere.
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Quali sono, secondo te, le difficoltà principali che un allenatore di atletica leggera deve affrontare nel nostro paese?
Sicuramente la grandissima carenza di strutture per potersi allenare come si deve; ora su internet si vedono centri all’estero anche indoor che hanno tutto il necessario per poter fare un lavoro serio.
Attualmente noi a Brescia ci trasferiamo a Castenedolo durante la stagione invernale (20-30 minuti circa di viaggio) ma, ovviamente, non abbiamo una sala pesi attrezzata e il lavoro risulta difficile da gestire con una decina di atleti.
In estate ci alleniamo al campo di Nave ma anche qui ci dobbiamo portare attrezzi da casa, bilancieri per fare la forza, blocchi di partenza perchè non ce ne sono a sufficienza, e sono sempre 20, 30 minuti di viaggio in auto.
Ringraziamo i comuni che ci mettono a disposizione tutte queste strutture che ci aiutano da quando il campo a Brescia non c’è più, ma sicuramente non è una situazione che viviamo serenamente e ci crea qualche difficoltà.
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Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
Il mio obiettivo principale per Giulia è che diventi l’atleta bresciana più veloce di tutte, e quindi deve battere i miei record!

Quest’anno abbiamo già raggiunto la finale nei 60 piani, ai Campionati Italiani Allievi Indoor di Ancona, che era per noi uno degli obiettivi a breve termine; l’altro era fare il minimo per i mondiali… fatto, anche se siamo consapevoli che fare il minimo non vuole dire partecipare, ma va bene così, siamo al primo anno di categoria.
Quindi puntiamo alla finale ai Campionati Italiani Allievi.

Per una più ampia veduta ed obiettivi a lungo termine vi è la partecipazione ai campionati europei allievi del prossimo anno.

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Quali sono le figure che hanno ispirato il tuo modo di allenare?
Sicuramente devo molto di quello che sono al mio allenatore Alberto Ambrosio: tutto quello che ho imparato sull’allenamento e che ancora sto imparando l’ho appreso da lui, poi l’esperienza scolastica mi ha aiutato nell’approccio con i ragazzi di questa età.
Ora la cosa difficile è andare avanti ed accompagnarli nel percorso di crescita personale e atletica.

Quando frequento i campi di atletica tendo a chiacchierare e scambiare opinioni con tutti gli allenatori che conosco… e da ciascuno prendere qualche spunto, mettersi in gioco sempre!

Diciamo che sono stata fortunata, il mio primo allenatore è stato Alfredo Febbrari, lui mi ha scoperto e portato all’atletica; ha anche capito che ero una velocista e quindi poi sono stata seguita da Alberto Ambrosio con cui tutt’ora ho un bellissimo rapporto e che mi aiuta nel percorso di crescita anche come tecnico.

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La frase guida del nostro sito è: “Lo sport ha bisogno di progettazione,innovazione ed impegno costante” (P.Mennea), cosa ne pensi?
Sono assolutamente d’accordo.
La parte difficile è l’innovazione, con le strutture che abbiamo, e l’impegno costante: a volte è difficile ritagliare tempo per tutto, tra lavoro, famiglia etc etc; per fortuna nella mia famiglia 3 su 4 stanno al campo!!!!

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Secondo la tua esperienza, da che età dell’atleta è giusto iniziare a programmare le attività? Ossia quando finisce il gioco ed inizia l’”allenamento serio”?
Per esperienza personale si comincia a progettare qualcosa in più dalla categoria cadetti, mantenendo però quella caratteristica di gioco e divertimento come è giusto che sia.
Con il passaggio nella categoria assoluta, dagli allievi, si può cominciare a fare qualcosa in più, tipo inserire gradualmente qualche lavoro di forza o tecnica più specifica!

La scheda da atleta di Marinella Signori

[su_youtube_advanced url=”https://youtu.be/JobyHtbUn8w” width=”560″ height=”440″ rel=”no”]Video 3° Batteria[/su_youtube_advanced]

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L’atleta..

La frase guida del nostro sito è: “Lo sport ha bisogno di progettazione,innovazione ed impegno costante” (P.Mennea) cosa ne pensi?
Sono d’accordo con questa frase perchè per riuscire a raggiungere i propri obiettivi e  ottenere dei buoni risultati bisogna impegnarsi con costanza negli allenamenti.

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Giulia, complimenti per il minimo ottenuto. Questo inizio di stagione ti ha regalato molte soddisfazioni, credi che alla base ci sia quanto descritto dalla frase di Mennea?Secondo me si, perché alla base di un buon risultato c’è sempre un grande lavoro nell’allenamento. Infatti il mio risultato nei 100 metri è la conseguenza di un allenamento costante e dell’impegno  messo durante tutto l’anno.

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Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
Sicuramente il mio obiettivo principale è quello di crescere e migliorarmi ancora; poi per quanto riguarda questa stagione quello di ottenere il minimo per i mondiali sui 100 e 200 metri anche se so quanto sia difficile poi riuscire a partecipare. Nei 100 metri ci sono riuscita, ora si punta a quello sui 200; poi il prossimo anno ci saranno gli Europei allievi e si vedrà…

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Quale è il tuo allenamento preferito?

Non ho un allenamento preferito rispetto ad altri, mi piacciono più o meno tutti ma soprattutto mi piace variare, cioè non ripetere sempre lo stesso tipo di allenamento.

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Quale quello che ti piace meno?
Le prove lunghe durante la preparazione invernale, perché sono molto faticose e sempre dopo questo tipo di allenamento sono stanchissima.

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Hai qualche oggetto, rituale scaramantico prima/durante le gare?
Io sono una persona che crede molto in queste cose, quindi sì, anche io ho un rituale scaramantico prima di gareggiare: farmi fare la treccia dalla mia allenatrice ed usare il suo elastico. Senza quello non mi sento pronta per gareggiare.

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Com’è il rapporto con il tuo allenatore?
Con Marinella mi trovo molto bene, siamo molto unite anche se io sono molto introversa.
Prima delle gare lei mi incoraggia sempre a dare il massimo e poi, quando ottengo risultati è anche merito suo e dei suo consigli e allenamenti.

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Chi è, o è stato, il tuo “esempio”/idolo/mito nell’atletica?
Non ho nessuno, in particolare, come mito o esempio da seguire nell’atletica: credo che ognuno abbia la propria storia ed un talento diversi.

 

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Il video dei 100 metri nei quali Giulia ha corso in 12″22 a Mariano Comense (5° corsia)

[su_youtube_advanced url=”https://youtu.be/vpHOyOWKVh4?list=PLujYWcu0xkErWME1KBC-tAjXs3yadMyMr” width=”560″ height=”440″ rel=”no”]Video 3° Batteria[/su_youtube_advanced]

 

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Atleti in USA: Jacopo Spanò

12 Maggio 2015 by Redazione

Oggi proponiamo l’intervista a Jacopo Spanò, nato nel 95′ a Domodossola, atleta della Atletica Sandro Calvesi e della squadra dell’Università di Washington, gli Huskies, nel 2014 è stato Campione Italiano Juniores nei 200 metri ed ha partecipato ai Campionati del Mondo Juniores in Oregon 2014 , classificandosi 14° con il nuovo PB di 20″98. Il 3 maggio scorso, in un meeting in USA, il nuovo PB sui 100 metri corsi in 11″68.

 

[su_custom_gallery source=”media: 1421,1423″ limit=”2″ link=”lightbox” width=”240″ height=”140″]

Ciao Jacopo, cosa ti ha portato a vivere questa esperienza all’estero?
In quarta superiore ho vissuto per 6 mesi in Utah e l’america mi aveva impressionato già allora, sopratutto per le strutture e il livello delle competizioni, e poi sono stato “recruited” da varie university.

Quali differenze hai riscontrato tra i metodi di allenamento italiani e quelli che stai affondando adesso?
Mi devo ancora abituare al cambio di metodologie: sicuramente è molto diverso da quello che facevo l’ anno scorso, mi alleno piu ore al giorno e, diciamo che il piu grande cambiamento è stata l’ introduzione dei pesi fatti seriamente con un coach che ci segue per migliorare la nostra forza ed esplosivita’.

Ci spieghi come la scuola aiuta gli atleti nella loro attività?
Ovviamente correre forte è importante ma se non mantieni una certa media, secondo le regole della NCAA, tu perdi la tua elegibility e quindi non puoi più gareggiare. Proprio per questo i coach ci tengono a far si che abbiamo buoni risultati a scuola: infatti abbiamo tutors per ogni materia e persone che ci controllano i voti settimana per settimana.

Hai avuto difficoltà ad integrarti nel sistema Universitario USA?
Diciamo che dipende molto da quello che vuoi studiare, io sto facendo ingegneria civile quindi concigliare atletica e studio è abbastanza dura, ma sono sicuro che ne valga la pena.

Consiglieresti la tua esperienza anche ad altri atleti?
Si e no. Ovviamente dall’Italia sembra tutto rose e fiori, ma alla fine penso che bisogna avere una grande passione per quello che si fa e bisogna crederci anche perche’ nei momenti di sconforto sei lontano dalle persone che hanno creduto in te in passato ed, inoltre, in america ci sono talmente tanti talenti che via te ce ne sono altri 100 che aspettano di rubarti il posto (le borse di studio nella squadra di atletica sono contate e sono uguali per tutte le universita, quindi solo i migliori poi dalla scuola superiore possono correre in college division one direi il 3%)

Atleti all’estero: cosa si può trovare all’estero, dal punto di vista dell’allenamento, che manca in Italia?
Sicuramente si possono trovare coach con molta esperienza e la cosa che rende tutto molto competitivo è che se dopo 3-4 anni  un coach non porta risultati viene licenziato: quindi ce molta pressione su di loro.
Dal punto di vista dell’allenamento ogni coach ha le sue metodologie ma, per quanto mi riguarda, noi abbiamo lavorato molto in sala pesi.

[su_youtube_advanced url=”https://youtu.be/Ksl5gZaRHYE” width=”560″ height=”440″ rel=”no”]https://www.youtube.com/watch?v=zTYwp-8hMFw[/su_youtube_advanced]

Pensi che questa esperienza ,oltre che sotto l’aspetto umano,migliori molto anche l’aspetto tecnico dell’atleta?
Io credo di no, forse perche in Italia eravamo solo io ed il mio coach e quindi eravamo “malati” per quanto riguarda la tecnica ed i dettagli. Qui ci sono veramente molti atleti e quindi non c’è piu quella ricerca o quell’ ossesione della tecnica, a parte per l’uscita dal blocco.

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
Ma, sicuramente vestire la maglia azzurra ed essere considerato dalla nazionale Italiana, e poi sicuramente farmi notare qui in america e qualificarmi per le finale NCAA (ci vuole un 20.85 – 20.90).

Qual’è il tuo allenamento preferito?
ahaha, penso che chiunque mi conosca un pochino sappia la risposta, indubbiamente le partenze dai blocchi.

Quale quello che ti piace meno?
Le scalinate dello stadio da football.

Hai qualche oggetto, rituale scaramantico prima/durante le gare?
Non ho nessun rituale, di solito ad inizio stagione cerco sempre di strafare e le mie prestazioni non rispecchiano il mio vero valore e penso che la cosa che mi aiuta molto è gareggiare ed acquisire confidenza con la gara.

Com’è il rapporto con il tuo allenatore? Le differenze con l’Italia?
Molto diverso, il mio coach italiano Flavio era il mio secondo papà: si parlava di tutto, si soffriva insieme e si assaporavano i bei risultati insieme anche perche Flavio lo fa per passione, non e’ il suo lavoro e quindi il rapposto era molto piu stretto.
Con coach Raul è tutto diverso, non siamo amici e c’è un po di distanza fra noi, lo stimo moltissimo come coach perchè ha allenato grandi atleti, ma dal punto di vista personale è un po carente.

Chi è, o è stato, il tuo “esempio”/idolo/mito nell’atletica?
Queste non sono nemmeno domande da fare, penso che ogni sprinter italiano abbi come esempio il grande Pietro Mennea.

 

La scheda di Jacopo in Italia

La scheda di Jacopo alla Washington University

 

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