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Salti e psicologia. Come ottimizzare la performance

13 Novembre 2019 by Redazione

psicologia e salti

Immagini realizzate da Roberto Click Passerini

“Gli scienziati hanno dimostrato che è impossibile saltare in lungo fino a trenta piedi, ma è un genere di discorso che io non ascolto.

Pensieri come quelli riescono a entrarti dentro fino ai piedi.”

Carl Lewis

 

Salti e psicologia, ottimizzare e migliorare la performance

I salti nell'atletica si dividono in estensione, salto in lungo e salto triplo, ed in elevazione, salto in alto e salto con l'asta.

Psicologia e salti. Salto in alto, Desiree Rossit. Ph. Roberto Click Passerini

Psicologia e salti. Salto in alto, Desiree Rossit

Tali specialità hanno una caratteristica comune ai lanci: sono concorsi, e come tali hanno peculiarità simili.

Vedi anche: La psicologia nei lanci

In tutte le specialità dei salti, molto importante è la gestione della concentrazione, poiché è impossibile mantenerla massima per tutta la durata della gara. È normale che la mente vaghi tra un salto e un altro, ma necessario è tornare con l’attenzione alla gara e al gesto tecnico quando arriva il proprio turno.

Altra caratteristica dei saltatori, è la necessità di saper gestire l’errore. Capita di sbagliare, ma ogni salto dovrebbe essere considerato come unico. Concentrarsi sul passato o sul futuro non aiuta a sfruttare l'occasione presente.

Psicologia e salti. Salto con l'asta. Ph. Roberto Click Passerini

Psicologia e salti. Salto con l'asta. Ph. Roberto Click Passerini

Un'altra situazione che l'atleta saltatore deve imparare a gestire, è la paura del nullo. Iniziare il gesto tecnico con il pensiero fisso di non dover far cadere l'asticella o di non superare il limite della pedana di stacco può influenzare enormemente la prestazione inficiandola completamente. Tale condizione è assolutamente da modificare, poichè l'atleta non riuscirà mai a dare il 100% delle sue possibilità se è concentrato su non sbagliare.

Come tutte le specialità dell'atletica, i saltatori sono in balia degli agenti atmosferici, almeno nelle gare outdoor. Pioggia vento e temperature rigide sono avversari degli atleti. Queste situazioni non sono controllabili, e come tali vanno affrontate nel migliore nel miglior modo possibile. Anche le condizioni della pedana possa influenzare l'atleta. Per questo motivo, oltre che per lo stato di forma dell'atleta che può essere diverso da quello dell'allenamento precedente, è necessario provare la rincorsa.

In tutte le situazioni sopra elencate, possiamo vedere come la mente possa inficiare la prestazione e la preparazione fisica e tecnica è soltanto una delle componenti che permette la buona riuscita delle gare.

Le gare hanno caratteristiche diverse tra l'estensione e l’elevazione.

I salti in estensione hanno numero di prove già stabilito.

L'atleta saprà quindi di avere sicuramente almeno tre possibilità per fare una buona prestazione e, quando riesce a raggiungere la finale, avrà altri tre salti a disposizione. È quindi necessario saper sfruttare tutte le opportunità che vengono concesse all’atleta.

Psicologia e salti. Salto triplo. Ottavia Cestonaro. Ph. Roberto Click Paserini

Psicologia e salti. Salto triplo. Ottavia Cestonaro. Ph. Roberto Click Paserini

I salti in elevazione hanno invece una quantità di prove non prevedibile. L’uscita dalla gara dipende dal numero degli sbagli che si fanno ad ogni misura. Questo comporta una durata variabile delle gare che, soprattutto per quanto riguarda il salto con l'asta, possono protrarsi per un tempo molto ampio. Inoltre, la difficoltà aumenta man mano che la gara prosegue. Tale caratteristica è difficile da gestire, poiché la stanchezza fisica, nervosa e mentale aumenta con l'alzarsi dell'asticella. Per tale motivo è necessario saper ben distribuire gli sforzi fisici e mentali. Inoltre, l’ingresso in gara non è uguale per tutti. L’atleta deve comunicare ai giudici la misura d’ingresso, concordata con l’allenatore. Tale situazione è da ben gestire, poiché i salti di prova vengono fatti prima dell’inizio della gara. Gli atleti devono quindi mantenersi concentrati e riscaldati fino al sopraggiungere della misura richiesta.

Come possiamo notare i salti e i lanci hanno diverse caratteristiche in comune. Le competenze di un atleta sono molteplici, la preparazione fisica quindi è soltanto una parte dell'allenamento dello sportivo.

Uno psicologo dello sport può aiutare a permettere all’atleta di dare il meglio di sé in ogni situazione che si presenta.

Martina Fugazza

Martina Fugazza

Psicologa dello sport
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Filed Under: News, Psicologia, Salti Tagged With: psicologia dei salti, psicologia dello sport, salti, salti in elevazione, salti in estensione, salto con l'asta, salto in alto, salto in lungo, salto triplo

Salti e psicologia: come ottimizzare la performance!

21 Novembre 2016 by Redazione

Salti e psicologia: come ottimizzare la performance!

Immagini realizzate da Roberto Click Passerini

“Gli scienziati hanno dimostrato che è impossibile saltare in lungo fino a trenta piedi, ma è un genere di discorso che io non ascolto.
Pensieri come quelli riescono a entrarti dentro fino ai piedi.”
Carl Lewis

 

 

Salti e psicologia, ottimizzare e migliorare la performance

I salti nell'atletica si dividono in estensione, salto in lungo e salto triplo, ed in elevazione, salto in alto e salto con l'asta.

Psicologia e salti. Salto in alto, Desiree Rossit. Ph. Roberto Click Passerini

Psicologia e salti. Salto in alto, Desiree Rossit

Tali specialità hanno una caratteristica comune ai lanci: sono concorsi, e come tali hanno peculiarità simili.

Vedi anche: La psicologia nei lanci

In tutte le specialità dei salti, molto importante è la gestione della concentrazione, poiché è impossibile mantenerla massima per tutta la durata della gara. È normale che la mente vaghi tra un salto e un altro, ma necessario è tornare con l’attenzione alla gara e al gesto tecnico quando arriva il proprio turno.

Altra caratteristica dei saltatori, è la necessità di saper gestire l’errore. Capita di sbagliare, ma ogni salto dovrebbe essere considerato come unico. Concentrarsi sul passato o sul futuro non aiuta a sfruttare l'occasione presente.

Psicologia e salti. Salto con l'asta. Ph. Roberto Click Passerini

Psicologia e salti. Salto con l'asta. Ph. Roberto Click Passerini

Un'altra situazione che l'atleta saltatore deve imparare a gestire, è la paura del nullo. Iniziare il gesto tecnico con il pensiero fisso di non dover far cadere l'asticella o di non superare il limite della pedana di stacco può influenzare enormemente la prestazione inficiandola completamente. Tale condizione è assolutamente da modificare, poichè l'atleta non riuscirà mai a dare il 100% delle sue possibilità se è concentrato su non sbagliare.

Come tutte le specialità dell'atletica, i saltatori sono in balia degli agenti atmosferici, almeno nelle gare outdoor. Pioggia vento e temperature rigide sono avversari degli atleti. Queste situazioni non sono controllabili, e come tali vanno affrontate nel migliore nel miglior modo possibile. Anche le condizioni della pedana possa influenzare l'atleta. Per questo motivo, oltre che per lo stato di forma dell'atleta che può essere diverso da quello dell'allenamento precedente, è necessario provare la rincorsa.

In tutte le situazioni sopra elencate, possiamo vedere come la mente possa inficiare la prestazione e la preparazione fisica e tecnica è soltanto una delle componenti che permette la buona riuscita delle gare.

Le gare hanno caratteristiche diverse tra l'estensione e l’elevazione.

I salti in estensione hanno numero di prove già stabilito. L'atleta saprà quindi di avere sicuramente almeno tre possibilità per fare una buona prestazione e, quando riesce a raggiungere la finale, avrà altri tre salti a disposizione. È quindi necessario saper sfruttare tutte le opportunità che vengono concesse all’atleta.

Psicologia e salti. Salto triplo. Ottavia Cestonaro. Ph. Roberto Click Paserini

Psicologia e salti. Salto triplo. Ottavia Cestonaro. Ph. Roberto Click Paserini

I salti in elevazione hanno invece una quantità di prove non prevedibile. L’uscita dalla gara dipende dal numero degli sbagli che si fanno ad ogni misura. Questo comporta una durata variabile delle gare che, soprattutto per quanto riguarda il salto con l'asta, possono protrarsi per un tempo molto ampio. Inoltre, la difficoltà aumenta man mano che la gara prosegue. Tale caratteristica è difficile da gestire, poiché la stanchezza fisica, nervosa e mentale aumenta con l'alzarsi dell'asticella. Per tale motivo è necessario saper ben distribuire gli sforzi fisici e mentali. Inoltre, l’ingresso in gara non è uguale per tutti. L’atleta deve comunicare ai giudici la misura d’ingresso, concordata con l’allenatore. Tale situazione è da ben gestire, poiché i salti di prova vengono fatti prima dell’inizio della gara. Gli atleti devono quindi mantenersi concentrati e riscaldati fino al sopraggiungere della misura richiesta.

Come possiamo notare i salti e i lanci hanno diverse caratteristiche in comune. Le competenze di un atleta sono molteplici, la preparazione fisica quindi è soltanto una parte dell'allenamento dello sportivo.

Uno psicologo dello sport può aiutare a permettere all’atleta di dare il meglio di sé in ogni situazione che si presenta.

 

A cura di Martina Fugazza
Psicologa dello sport

 

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Martina Fugazza

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La psicologia delle specialità: gli sprint!

10 Maggio 2016 by Redazione

L’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa, l’importante è quello che provi mentre stai correndo. 

Il vero miracolo non è essere giunti al traguardo, ma aver avuto il coraggio di partire. (Jesse Owens)

 

L’atletica è composta da specialità molto diverse tra loro, sia per quanto riguarda l’allenamento, sia per le modalità di competizione. Le regole da seguire sono diverse, spesso capita che un velocista non conosca esattamente le regole delle gare di salto in alto, e viceversa. Anche dal punto di vista psicologico le caratteristiche delle specialità sono diversificate tra loro. Si possono tuttavia trovare dei punti in comune.

Gli sprint: 100m, 200m, 400m.
Gli atleti che gareggiano nella velocità devono sostenere carichi di lavoro notevoli, diversi a seconda della distanza, durante la preparazione invernale. Ciò, insieme alla lunghezza del periodo di preparazione, necessita di una grande determinazione e motivazione a portare a termine ogni allenamento. Oltre alle difficoltà derivanti dalla fatica fisica e mentale, è presente anche la lontananza prolungata dalle competizioni. L’anno si divide infatti in stagione indoor e stagione outdoor, e i mesi che le separano riempiono la vita dell’atleta con la preparazione. Durante tale periodo si può provare la frustrazione di non poter (ma voler) gareggiare, di vedere lontani gli obiettivi per cui si sta duramente lavorando e la sensazione di non farcela a gestire un periodo così lungo senza competizioni. Come ho già suggerito nell’articolo sulla preparazione invernale nell’atletica, è necessario pensare di settimana in settimana, di giorno in giorno e, a volte, di allenamento in allenamento. Porsi obiettivi a breve termine aiuta ad affrontare anche la più dura delle preparazioni.
Passiamo a visionare le competizioni: un lungo riscaldamento (forse il più lungo di tutta l’atletica) precede le gare. In tale lasso di tempo è possibile che la mente vaghi in pensieri non aderenti alla situazione. Di sicuro è impossibile rimanere concentrati lungo tutto il riscaldamento: la massima concentrazione dura pochi minuti, soprattutto in un ambiente così pieno di stimoli distraenti (studiare nella propria stanza nel silenzio è una cosa, concentrarsi in mezzo ad altri atleti, altre gare, persone che urlano e che parlano, gente che si muove in continuazione non è semplice). La massima concentrazione deve essere presente nei pochi istanti che precedono la partenza, proprio perché caratteristica principe delle gare di velocità è l’unica possibilità che viene data all’atleta. Se si parte male in un 100m, non è possibile tornare indietro e rifare. Per questo motivo noi psicologi dello sport utilizziamo diverse tecniche per far raggiungere la massima concentrazione all’atleta nel momento in cui c’è più bisogno.
Altra necessità dell’unica possibilità data agli atleti è la capacità di recuperare l’errore. Che sia un 100 o un 400, se si parte male si deve tentare di recuperare il recuperabile, senza farsi prendere dallo sconforto o dalla foga di riprendere i metri persi. In un caso si smetterebbe di gareggiare, rinunciando ai tentativi di recupero, nell’altro caso ci si provocherebbe eccessiva tensione muscolare, negativa dal punto di vista tecnico. Anche in questo caso noi psicologi dello sport insegniamo tecniche agli atleti per aumentare la consapevolezza in gara e l’utilizzo delle proprie risorse. Anche se sembra difficile da credere, anche in un 100 metri è possibile rendersi conto di quello che succede e pilotare la situazione nella direzione più adeguata.

[su_youtube_advanced url=”https://youtu.be/Hc91tHIC8Pw”][/su_youtube_advanced]
Altra caratteristica delle gare di velocità: l’arousal, lo stato di attivazione mentale, che deve essere massimo poco prima della partenza. Troppa o troppo poca attivazione, un’attivazione precoce, o una mancanza totale di attivazione condiziona negativamente la competizione. Provare ansia o apatia sono segnali di una cattiva gestione delle emozioni pre-gara. Una buona gestione di tali emozioni, un’autostima e un’auto-efficacia adeguate , portano a un’attivazione ottimale per la competizione. Anche qui entrano in gioco gli psicologi dello sport, che prendono in esame le risorse dell’atleta e le convogliano nella direzione voluta.

Le condizioni atmosferiche, nelle gare outdoor, influenzano molto la mente del velocista (e non solo). Una temperatura troppo bassa o troppo umida non permette di raggiungere la sensazione di essere pronti alla gara, il vento contro può infastidire e inficiare la prestazione, la pioggia può distrarre e mettere a disagio. Anche in questo caso, una mente allenata e preparata può superare le difficoltà e riuscire a dare il 100% di quello che la situazione consente.

Come le altre specialità, la velocità è una gara molto complessa, con diverse sfaccettature e caratteristiche.

Un atleta è tale non solo con il corpo, ma anche con la mente.

Dott.ss aMartina Fugazza

Psicologa dello sport

www.martinafugazza.com

 

Gli altri articoli di Martina li trovi nella nostra sezione PSICOLOGIA

Filed Under: Psicologia Tagged With: 100m, 200m, 400m, Martina Fugazza, psicologia, psicologia dello sport, sprinter, sprints, velocità

Si riparte!!!

22 Ottobre 2015 by Redazione

psicologia negli sprint

Per essere il numero uno, devi allenarti come se fossi il numero due. (Maurice Greene)

 

Ottobre, per l'atletica leggera, è il mese in cui riprende la preparazione invernale.

Come molti atleti e allenatori sanno, questo è un periodo molto lungo e molto delicato. Le caratteristiche principali di tale momento sono il disagio dovuto alle modalità di allenamento, le condizioni atmosferiche e di temperatura disagevoli, la frustrazione dovuta alla lontananza dalle competizioni, la possibile mancanza di motivazioni e la grande fatica fisica a cui gli atleti sono sottoposti. Tutte queste caratteristiche rendono i mesi di preparazione invernale difficili da affrontare.

Molte sono le emozioni che si susseguono. Tali emozioni possono essere dovute molti fattori, ad esempio la rabbia di vedere il traguardo lontano, la paura di non riuscire a raggiungere il goal finale, la tristezza di non vedere subito i frutti del proprio lavoro. Inoltre il grande stress fisico che a cui gli atleti sono sottoposti può provocare ricadute anche dal punto di vista mentale. La stanchezza fisica porta a una stanchezza mentale dovuta anche alla grande concentrazione necessaria a sostenere gli sforzi che la vita sportiva, lavorativa e scolastica richiede.

Come sempre, fortunatamente, il bicchiere non è solo mezzo vuoto. Questo periodo possiede anche molti lati positivi. La speranza di raggiungere degli obiettivi importanti durante la stagione agonistica, la felicità che si prova quando, nelle rare occasioni di test, si notano i miglioramenti, la soddisfazione che si percepisce quando si riesce a concludere un allenamento pesante, sono sensazioni  importanti che aiutano gli atleti ad affrontare la preparazione invernale.

Un primo mio consiglio per affrontare tale periodo è di prestare attenzione a tali sensazioni positive. Si tende spesso a concentrarsi e a ricordarsi le emozioni negative e gli eventi che ci hanno fatto stare male. Sforzatevi a dare alle situazioni positive l’importanza che meritano. Soffermatevi sulla soddisfazione, sulla gioia, sul benessere quando le provate. Tali momenti sono importanti, sono occasioni di “fare il pieno” di motivazioni e di emozioni positive, e vi aiuteranno ad affrontare “la salita” degli allenamenti.

Di certo è necessario saper affrontare i lati negativi di questo lungo è difficile periodo e alcuni consigli possono sicuramente esservi utili. Partirei subito dalla possibilità di provare una grande frustrazione per non poter percepire i miglioramenti e per affrontare delle situazioni disagevoli a causa della bassa temperatura, del buio, del tempo atmosferico non sempre a favore degli atleti. Tale sentimento è normale. Pensare di fare qualcosa di sbagliato a lasciarsi andare a tale emozione non serve. Come dico spesso ai miei atleti, l’emozione negativa deve essere accolta così com'è, tenendo ben presente che l’emozione, per definizione, è temporanea, e passa.

Gli atleti devono far fronte, a volte, a momenti di bassa motivazione. Anche questo tipo di sensazione è normale, soprattutto a metà del percorso, perché si vede la meta ancora lontana, il lavoro fatto inizia a stancare e il pensiero degli allenamenti ancora da affrontare può sembrare insostenibile. Tale sensazione è superabile accettandola senza sentirsi in colpa e ripensando alla soddisfazione che si prova al termine degli allenamenti giornalieri. Richiamando una sensazione positiva si potrà avere la spinta ad affrontare una nuova sfida alla ricerca di tale positività.

Affrontare la fatica può essere difficoltoso per un atleta. La consapevolezza di allenarsi fino al proprio limite fisico e di tornare a casa stanchi tanto da far fatica a guidare o a mangiare, non è una buona compagna di vita. Il mio consiglio in questo caso è di porsi obiettivi intermedi, anche settimanali, da raggiungere. Provate a pensare di dover salire fino al decimo piano a piedi. Ora provate a pensare di affrontare un pianerottolo alla volta. Un aiuto alla motivazione e alla determinazione nel concludere il periodo di preparazione è pensare ad ogni allenamento come se fosse l’unico, senza pensare a quello che si dovrà affrontare domani o la settimana prossima. In caso di allenamenti che producono particolare stress, può aiutare pensare a una prova alla volta.

Infine, un ultimo consiglio: ogni atleta affronta la preparazione invernale per raggiungere un obiettivo nella stagione agonistica. Definire correttamente e mettere per iscritto tale obiettivo può aiutare a non perdere la rotta e la motivazione.

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Gli obiettivi devono avere tali caratteristiche:

  • Essere SPECIFICI: devono essere relativi ad una cosa in particolare (es: non è corretto dire “voglio andare meglio dell’anno scorso”, è meglio dirsi “vorrei fare 54 metri”).
  • Essere MISURABILI: l’unità di misura è necessaria, e l’atletica leggera in questo ci aiuta con i suoi risultati oggettivi (“vorrei fare 85 metri”).
  • Essere ACCESSIBILI: devono poter essere raggiunti (è bellissimo voler andare alle Olimpiadi, come tutti i giovani atleti sognano, ma è necessario essere realisti).
  • Essere SFIDANTI: un po’ di pepe è necessario, devo poter percepire l’insicurezza di non raggiungere l’obiettivo e quindi la necessità di impegnarmi al 110% per avere la possibilità di riuscire (se l’anno precedente si è riusciti a raggiungere i 25”, è sfidante voler raggiungere i 24”90).
  • Essere LEGATI AL TEMPO: gli obiettivi, per essere tali, hanno una scadenza. Oltre tale scadenza devono definirsi raggiunti o mancati.

Gli obiettivi sono plastici, possono modificarsi col tempo, possono essere alzati o abbassati a seconda dell’andamento della preparazione e dello stato psico-fisico dell’atleta.

Definirli e metterli per iscritto aiuta molto.

Attenzione: il binomio allenatore –atleta in questo è fondamentale. Definite i vostri obiettivi con il vostro allenatore, avere il suo punto di vista è molto utile.

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Qualche consiglio per gli allenatori, che seguono i loro atleti con passione e condividono con loro le speranze, i disagi dovuti alle condizioni atmosferiche e le frustrazioni degli allenamenti.

CONDIVIDETE. Condividete con gli atleti i vostri pensieri, spiegate le vostre motivazioni. Non date nulla per scontato. Ciò che viene taciuto può essere frainteso e possono crearsi tensioni. Chiedete ai vostri atleti di condividere le loro emozioni con voi. Siate empatici, accettando le emozioni e le lamentele, che di certo non mancheranno, ma siate fermi nella vostra posizione. Siete voi gli allenatori, essere accoglienti significa ascoltare e supportare, non significa cedere alle richieste o lasciarsi andare insieme agli atleti alla frustrazione o alla tristezza.

Non mancheranno i momenti di frustrazione e di scarsa motivazione anche per voi. I miei consigli a riguardo non sono diversi da quelli che ho proposto agli atleti. In tal caso, parlatene con i vostri colleghi, con i dirigenti, con gli amici. Parlarne agli atleti potrebbe essere controproducente. In caso di domande da parte loro di fronte al vostro malumore, a volte basta una semplice frase di spiegazione (ad esempio “oggi sono di malumore, passerà”).

 

Rimango a disposizione per qualsiasi dubbio o vostra necessità.

 

Vi auguro buon lavoro, e buona fatica.

 

Martina Fugazza

 

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Gli altri articoli di Martina pubblicati sul nostro sito li trovate nella sezione:

PSICOLOGIA

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Le opportunità dell'insuccesso

17 Settembre 2015 by Redazione

Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi dalla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di novemila tiri. Ho perso quasi trecento partite. Trentasei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Nella vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.
Cit. 
Michael Jordan

 

Il fallimento….

…una parola che incute timore negli atleti.

Eppure, sono maggiori gli insuccessi dei successi.

Come abbiamo visto nel precedente articolo, il successo è un concetto ricercato da ogni persona che cerchi di raggiungere un obiettivo, ma il percorso può essere pieno di insidie e può non portare i risultati sperati.

Un’idea deve essere presa in considerazione: il fallimento è parte integrante di ogni percorso. Si può “cadere” molte volte prima di riuscire a raggiungere la meta prestabilita.
E dopo essere “caduti”, è necessaria la forza di volontà per rialzarsi.

 

A chiunque è successo di fallire.

A volte l’insuccesso porta a rimandare l’obiettivo, altre a rinunciarci completamente.

Le emozioni che si provano a riguardo sono molteplici, spesso con una sequenza ben precisa: rabbia, tristezza, paura.

Rabbia per non essere stati in grado di riuscire, tristezza per il “lutto” dell’obiettivo mancato, paura di non poter mai riuscire nella vita a raggiungere una meta simile.

Il bello di questa condizione è che fa male, ma è momentanea. E deve essere affrontata come tale.

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I pericoli dell’insuccesso

Quando si fallisce, il pericolo più grande è il calo di motivazione. Ciò che ci dà la spinta a impegnarci in azioni e a mettere in gioco energie psichiche e fisiche è la voglia di raggiungere un obiettivo.

Dopo la fatica fatta, il tempo utilizzato, la forza mentale spesa nel tentativo di perseguire la meta, un insuccesso può far crollare le motivazioni. La performance sportiva risulta rovinata e il benessere psico-fisico che si ottiene facendo attività scompare. Tutto diventa una forzatura. Se tale situazione non cambia in un arco di tempo breve, l’intervento di uno psicologo dello sport può essere utile a ristabilire nuovi obiettivi, sportivi e non, e quindi nuove motivazioni.

In casi più gravi e fortunatamente rari, se la vita dell’atleta è stata basata sul lavoro necessario per raggiungere il successo, in caso di fallimento si rischia la depressione. Non solo l’attività agonistica viene influenzata negativamente, ma è la stessa salute psichica che viene compromessa. In tali casi, l’intervento di uno psicologo clinico è necessario per ristabilire l’equilibrio del benessere psicologico.

Dopo uno o ripetuti fallimenti, l’abbandono dell’attività sportiva è una possibilità reale, soprattutto in età giovanile. Se i giovani atleti, che in alcuni casi hanno avuto piccole o grandi soddisfazioni, non sono allenati o preparati al fallimento, possono chiedersi che senso abbia continuare a faticare per un’attività che non porta frutti. Il risultato è che un altro giovane abbandona una strada che potrebbe essere piena di soddisfazioni, non necessariamente costituite da successi sportivi, e che potrebbe essere una palestra di vita per affrontare tutti i fallimenti e i successi futuri.

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La paura del fallimento

Avere un obiettivo a cui si tiene particolarmente o che darebbe una svolta nella vita può portare ad avere paura, conscia o inconscia, di non riuscire a raggiungerlo.

Tale emozione nasce dal timore di non essere all’altezza del compito e di non vedere le proprie speranze realizzate. Basata o meno sulla realtà dei fatti, la paura di non raggiungere l’obiettivo è fondata sulla bassa autostima. Può provocare problemi di concentrazione e ansia pre-gara. L’ansia infatti è un sentimento che nasce nel momento in cui non si è sicuri di avere le risorse e le competenze per superare un certo ostacolo.

In alcuni casi, tale paura può avere un effetto meno visibile: può portare l’atleta a non impegnarsi completamente nel raggiungimento dell’obiettivo. Il ragionamento inconscio è semplice: se mi dovessi impegnare al cento per cento e, nonostante questo, non dovessi raggiungere l’obiettivo prefissato, significa che non ho le competenze e le risorse per avere il successo sperato. Sarebbe un ulteriore colpo per l’autostima.

L’intervento di uno psicologo dello sport può scoprire la paura del fallimento di un atleta e può ridimensionarla. Faccio spesso una domanda agli atleti: “Se dovessi fallire, cosa succederebbe? Come cambierebbe la tua vita?”. Dopo un primo momento di terrore puro pensando all’ipotetico insuccesso, mi trovo ad assistere spesso a un ragionamento molto profondo sulle sue conseguenze. Scoprirle può far capire all’atleta la vera portata del tutto e parlarne può permettergli di trovare soluzioni alternative nel caso di fallimento.

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Le opportunità dell’insuccesso

Come sempre, il bicchiere non è sempre solo mezzo vuoto.

Se un atleta, soprattutto giovane, viene correttamente seguito sia dal punto di vista fisico ed emotivo, può vivere un fallimento come un’opportunità per crescere. Fa male fallire. Si provano emozioni negative e l’autostima ne risente. Ma è un momento passeggero. Essere consapevoli di ciò aiuta.

Così lo sport agonistico può essere realmente una palestra di vita. La competenza principale che viene allenata è la nostra amica resilienza: la capacità di superare ostacoli e momenti negativi ed uscirne rinforzati.

Se la motivazione è alta e gli obiettivi, i successi o gli insuccessi correttamente dimensionati, senza esagerarne l’importanza, un giovane atleta può diventare non solo un atleta grande, ma soprattutto un grande atleta. Necessario, in questo caso, è l’atteggiamento positivo dell’allenatore e dei genitori, che come sempre hanno un ruolo fondamentale nella vita, sportiva e non, dei ragazzi.

 

Evviva dunque gli insuccessi, così più numerosi rispetto ai successi.

E, ricordando ciò che un atleta mi disse:

“Se avessimo più successi che fallimenti, non ci godremmo così tanto il successo quando arriva” (cit.).

 

A cura di Martina Fugazza

 

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Filed Under: Psicologia Tagged With: fallimento, fallire, gestire gli insuccessi, insuccessi, insuccesso, insuccesso nello sport, insuccesso sportivo, l'insuccesso, Martina Fugazza, mental coach, mental training, paura, psico, psico e sport, psicologa dello sport, psicologia, psicologia dello sport, psicologo dello sport, rabbia, successo, tristezza

Le trappole del successo

22 Luglio 2015 by Redazione

Il successo arriva quando l’opportunità incontra la preparazione (Zig Ziglar)

 

Esiste merito senza successo, ma non esiste successo senza qualche merito (François de La Rochefoucauld)

 

Il successo è un concetto che cerchiamo di perseguire in ogni ambito della nostra esistenza.

Fin dai primi momenti di vita, lo sviluppo è caratterizzato da successi: i più visibili sono imparare a camminare e a parlare.

Col passare degli anni si susseguono successi scolastici, lavorativi e, per alcuni, sportivi.

Ogni volta che si decide di intraprendere un’attività e di impegnarsi in essa, ci si pone un obiettivo, per raggiungere il quale si mettono in campo energie fisiche e psichiche. Si insegue, dunque, il successo.

La ricerca del successo è ciò che alimenta la nostra motivazione. Utilizzare tempo ed energie per inseguire un obiettivo non sarebbe così facile senza essere convinti di poterlo raggiungere.

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I PRO DEL SUCCESSO

Avere successo in un’attività ha diverse conseguenze positive. Raggiungere l’obiettivo aumenta l’autostima, potenzia la motivazione, porta con sé soddisfazione, gioia ed entusiasmo.

Ma non è sempre scontato raggiungere la meta prefissata: a volte il successo viene trovato anche in obiettivi minori o modificati con il corso degli eventi. Il segreto per riuscire più facilmente nel proprio intento non si trova in libri motivazionali o in “formule magiche” tanto declamate ultimamente.

La forza, la spinta verso l’esito positivo delle nostre azioni si trovano dentro di noi, ma è necessario incanalarle nel modo corretto, individuando quali sono le motivazioni che ci spingono ad agire, trovando il significato che ha per ognuno di noi l’obiettivo che stabiliamo.

Cercando di capire i perché del nostro comportamento, possiamo capire meglio come agiamo nel mondo e cosa possiamo fare per migliorare le nostre strategie. Uno psicologo dello sport agisce in tal senso, cercando le motivazioni e i significati reali che avrebbe il successo per ogni persona, e potenziando le capacità e le risorse già presenti.

Uno dei segreti per raggiungere il successo più facilmente si trova nell’obiettivo stesso. In primo luogo dunque, prima di modificare o potenziare le strategie di azione, è necessario porsi con criterio gli obiettivi.

Questi devono essere Specifici, Misurabili, Accessibili, Realistici e Sfidanti Legati al Tempo (SMART).

Un consiglio utile è proprio quello di non porsi obiettivi troppo lontani nel tempo: sarebbe come passare da un pianerottolo all’altro senza utilizzare gli scalini. Meglio dunque avere sì l’obiettivo importante, ma farlo precedere da obiettivi di percorso, più piccoli, più vicini nel tempo e meno sfidanti.

Raggiungere dieci piccoli obiettivi darà più soddisfazione rispetto a tentare per mesi di raggiungerne uno. Un esempio: per vincere i campionati italiani di Luglio, è più utile iniziare a pensare a riprendere la forma nell’ottobre precedente, superare la preparazione invernale di novembre e dicembre, affrontare le gare invernali, superera la preparazione primaverile, iniziare a gareggiare, fare il minimo, entrare in finale e, ultimo ma di certo più importante, vincere la finale.

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I CONTRO DEL SUCCESSO

Raggiungere un obiettivo può portare a un calo di motivazione. La tensione psicologica e fisica calano, la soddisfazione è elevata, la voglia di ricominciare a lavorare in vista di un’altra meta è poca. Un esempio: si lavora anni per superare il proprio muro (ogni atleta ne ha uno: in gergo, il muro è una misura o un tempo che non si riesce a superare, spesso indicante una cifra tonda o un centimetro/metro in più o un secondo/minuto in meno). Un giorno, finalmente, la misura o il tempo arriva: festa grande, soddisfazione. Ci si trova a camminare sulle nuvole per qualche tempo chiedendosi “l’ho fatto davvero?” (citazione da un paziente).

Ma poi?

Ecco il vero problema. Superato un obiettivo, DEVE essercene un altro. Di qualsiasi natura. Che sia sportivo, lavorativo, affettivo, familiare o altro. Ma l’uomo è fatto per lavorare per raggiungere obiettivi. Un atleta è abituato ad averli, a organizzare la sua vita e le sue forze in funzione di una meta.

Soprattutto se l’obiettivo futuro è sportivo, è necessario darsi il tempo per festeggiare e per godersi la soddisfazione, ma poi tornare concentrati verso il futuro. Si rischia di avere un calo di motivazione e di concentrazione tale da non sfruttare il momento atletico positivo e di sprecare occasioni importanti. È bello fare il minimo per i campionati italiani, ma è necessario, per la soddisfazione personale, saper sfruttare la possibilità di gareggiare alla manifestazione nazionale.

Altro pericolo: non sapersi godere il momento. Spesso mi trovo a chiedere ai pazienti:

ti dici mai quanto tu sia stato/a bravo/a?

La risposta è quasi sempre no!

L’atleta è spinto a guardare sempre in avanti, non dandosi respiro e non godendosi il momento e la soddisfazione, non percependo nel profondo le emozioni positive, che sono la benzina principale del nostro motore.

Dopo tanto lavoro, è necessario sapersi dare una pacca sulle spalle e farsi i complimenti, senza aver paura di cadere nell’esagerazione.

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PAURA DI VINCERE: LA NIKEFOBIA

A volte vivere una vita in relazione ad un obiettivo porta con sé la paura di raggiungerlo.

L’identità di un’atleta o di una persona con un obiettivo molto alto è strettamente legata agli sforzi che si fanno per raggiungere tale meta.

Alla base della fobia della vittoria è presente l’identità della persona basata sul lavoro per raggiungere l’obiettivo. Un atleta che ha passato anni a impegnarsi per pervenire una meta importante ha organizzato la sua vita e la sua esperienza basandosi sulle necessità dell’attività che sta svolgendo. Da li la domanda, spesso inconscia: “e dopo, cosa posso fare?”.

Dunque quando le potenzialità e le risorse sono percepite tali da poter avvicinare la fantomatica meta, nasce anche la paura di raggiungerla che, come dicevamo, spesso è inconscia. Si può esprimere tramite malesseri, infortuni psico-somatici, incompleta espressione del potenziale, ansia pre-gara.

Se un atleta dovesse percepire uno o più di tali sintomi, una spiegazione potrebbe essere il timore di raggiungere l’obiettivo e di non aver più un motivo di impegnarsi. In tali casi, l’intervento di uno psicologo dello sport può essere utile per scoprire il problema e porvi rimedio.

Come abbiamo visto in questo breve articolo, la ricerca del successo è alla base delle attività sportive. Ha i suoi pro e i suoi contro, come tutte le cose, e di certo è necessario tenere presente una cosa fondamentale: può anche non essere raggiunto. Il fallimento fa parte dell’attività sportiva agonistica tanto quanto il successo. “Se avessimo più successi che fallimenti, non ci godremmo così tanto il successo quando arriva” (cit. di un atleta)

Nel prossimo articolo parleremo appunto del fallimento e di quanto sia importante “permettersi di fallire”.

A cura di Martina Fugazza

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Frustrazione, questa sconosciuta!

3 Luglio 2015 by Redazione

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In copertina Elena Carraro. 

Viaggio all’interno di una componente fondamentale della vita emotiva e sociale, a cui non si è più allenati.

“I ragazzi di oggi hanno tutto”.

 

Quante volte abbiamo sentito questa frase?

Sotto molti aspetti equivale a realtà. Ma non è del tutto corretta. Ai giovani manca una cosa fondamentale: la frustrazione.

Non sembra nulla di invitante. Chi mai potrebbe volersi sentire frustrato?

Eppure è una situazione che capita spesso nella vita.

La frustrazione è uno stato d’animo negativo dovuto a condizioni ambientali e sociali che portano a non poter avere ciò che si desidera.

Le emozioni di base solitamente presenti sono rabbia e tristezza.

È una condizione normale, che si può presentare anche più volte al giorno. Chi si sottopone a una dieta, per esempio, sperimenta la frustrazione ogni volta che si avvicina l’orario del pasto, e non solo.

Un’altra frustrazione molto attuale è la voglia e il bisogno di lavorare e non trovare occasione di poter sfruttare le proprie capacità.

LA FRUSTRAZIONE NELL’INFANZIA
Il grande studioso Donald Winnicott (1896-1971), uno psicologo appartenente al gruppo degli indipendenti, sostiene che una madre non debba rispondere immediatamente a ogni richiesta dell’infante. Nei primi mesi di vita è infatti necessario che il bambino sperimenti la frustrazione prima che la madre accolga i suoi bisogni. Non per nulla, Winnicott chiama la madre ideale, che non interviene immediatamente ad ogni minimo vagito, “sufficientemente buona”.

Imparare la difficile arte dell’autoregolazione delle emozioni negative è di fondamentale importanza fin dai primi giorni di vita. Di certo, una madre che non risponda adeguatamente alle esigenze del bambino può portare a scompensi emotivi troppo grandi per essere gestiti dall’infante, causandogli problemi nella vita futura.

Sperimentando la frustrazione e una risposta adeguata da parte della madre alle sue esigenze, il bambino impara che le emozioni negative sono passeggere e troveranno conforto: sono quindi gestibili in attesa dell’adulto. Il bambino troverà, così, il modo di auto-consolarsi, mettendo in atto comportamenti compensatori, come ciucciare il proprio dito.

Quando crescono, e raggiungono l’età prescolare, spesso non sanno come gestire la frustrazione e le emozioni che questa comporta. Se a un bambino, per esempio, viene rubato un gioco, può agire come detta l’emozione della rabbia, urlando o diventando violento.

Un compito fondamentale dell’adulto di riferimento è aiutare il bambino ad autoregolarsi, insegnandogli quali sono le emozioni e quali caratteristiche hanno, indicandogli strategie corrette per le loro gestione.

Ancora una volta dunque gli adulti sono una guida fondamentale per i bambini e per il loro corretto sviluppo sociale e relazionale.

IL RISCHIO CHE COMPORTA
Oltre ad essere una normale condizione sgradevole della mente umana, la frustrazione rappresenta anche un pericolo.

Sperimentare condizioni negative, se non si è adeguatamente supportati e non si hanno le risorse per superarle, può portare a un decadimento dello stile di vita o a un disagio psichico.

Possiamo vedere questo pericolo concretizzarsi in un’orribile notizia dello scorso settembre. Un ragazzo ventenne ha ucciso la sua ex ragazza dopo un suo ennesimo rifiuto per poi suicidarsi.

La fine di una relazione o un rifiuto portano, talvolta, a sofferenze emotive così grandi da essere superate solo dopo molto tempo.

Quando non si ha la capacità di gestire la frustrazione, la sofferenza può portare a mettere in atto comportamenti disadittavi.

È il caso dei fatti di cronaca di cui sopra. Senza escludere problemi di cui non conosciamo l’esistenza, questo giovane uomo non ha saputo gestire la frustrazione e la sofferenza emotiva, compiendo un gesto estremo.

Come loro, molti ragazzi non sono in grado di autoregolarsi e superare i momenti negativi. Non necessariamente arrivano a compiere gesti antisociali o dannosi per la propria salute, ma dopo un insuccesso possono rinunciare e obiettivi importanti, come una laurea.

In tutto questo un ruolo fondamentale è ricoperto dall’autostima, un processo che porta il soggetto a percepirsi capace e adeguato ad affrontare la vita e le sue difficoltà. Si basa sulle auto percezioni di efficacia e sulla valutazione degli altri percepita dal soggetto. Ad esempio, un bambino che riuscirà negli studi impegnandosi e ottenendo bei voti e che si sentirà apprezzato da chi lo circonda per le sue capacità, avrà un’autostima alta.

Molti sono i fattori, dunque, che portano a considerare la frustrazione un pericolo per i ragazzi e gli adulti.

Ne abbiamo molti esempi, forse troppi.

LA RISORSA CHE RAPPRESENTA

Il bicchiere non è solo mezzo vuoto.

La frustrazione infatti può rappresentare un’importante occasione di crescita, personale e sociale.

Sperimentare una condizione negativa può dare la spinta a modificare tale situazione.

Per sfruttare la frustrazione è necessaria una personalità forte e un’autostima elevata. Si entra così in un circolo virtuoso: se si impara a superare momenti negativi ed ad agire correttamente, l’autostima e il senso di autoefficacia si alzano, permettendo così di poterne affrontare altri, rinforzandosi ulteriormente.

Tornando all’esempio della disoccupazione, sperimentare la frustrazione può portare a cercare tutte le soluzioni possibili per raggiungere il proprio obiettivo, anche percorrendo strade che non si credeva adatte alla propria personalità.

In psicologia questo comportamento viene chiamato resilienza: la capacità di affrontare le difficoltà in modo vincente e uscirne fortificati.

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LO SPORT: PALESTRA DI RESILIENZA

Lo sport come palestra di vita. Solo un modo di dire? No di certo.

Bambini e ragazzi che affrontano settimanalmente uno sport che preveda competizione e agonismo, con sé stessi o con gli altri, saranno adulti allenati alla resilienza.

Imparare a faticare, a lavorare in squadra e da soli, cercare di migliorarsi, agire per raggiungere un obiettivo, sono solo alcune delle competenze che aiutano una persona per tutta la sua vita. Essere in grado di superare la frustrazione è un’altra abilità che si aggiunge al lungo elenco dell’eredità che lo sport agonistico lascia all’individuo.

La pratica agonistica è costellata di frustrazioni.

Alcuni esempi:

  • non raggiungere un obiettivo prefissato
  • un infortunio
  • l’esclusione dalla squadra
  • le difficoltà che si possono incontrare a conciliare la vita sociale
  • scolastica e lavorativa con la vita sportiva.

Se un atleta, di ogni livello, è in grado di superare le frustrazioni che incontrerà, potrà godere di una carriera sportiva lunga e colma di successi personali.

Dice qualcuno: la cosa peggiore non è fallire, ma non tentare. Poca resilienza porterebbe a rinunciare all’obiettivo dopo una frustrazione.

Un atleta di ogni età, può subire quindi situazioni frustranti, provando le emozioni negative di rabbia e tristezza, percependo lo sconforto per dover cambiare obiettivo, ritardare il suo raggiungimento o cambiare la strada per conquistarlo.

La motivazione, le capacità di coping, l’autostima e l’autoefficacia che derivano dalla pratica sportiva portano a trovare una modalità per superare tale situazione.

Facendo riferimento al film “Cool Runnings”, tre giamaicani cadono nella finale dei 100 metri durante le selezioni per le Olimpiadi del 1988. perdono così la possibilità di coronare il loro sogno e raggiungere l’obiettivo più grande di una carriera sportiva. Cambiano strada, e riescono a partecipare alle Olimpiadi invernali di Calgary come prima squadra giamaicana di bob a quattro. Resilienza.

CONCLUSIONI
La frustrazione è il pane quotidiano per molte persone. Fin da neonati la sperimentiamo e la affrontiamo.

Troppi adulti sono costantemente preoccupati di far vivere frustrazioni inutili ai loro figli, come ad esempio i genitori che chiedono ripetutamente all’allenatore di far giocare il bambino per non farlo sentire escluso.

La bellissima verità è che i bambini e i ragazzi, con il giusto sostegno, sono perfettamente in grado di superare tali momenti di frustrazione.

Questa considerazione porta ad un’altra, altrettanto bella e tranquillizzante. La vita di oggi, relazionale, sociale e lavorativa è colma di frustrazione. Ma con il corretto sostegno, tutto può essere affrontato.

Martina Fugazza

Martina Fugazza

Psicologa dello sport
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Frustrazione, questa sconosciuta!

3 Luglio 2015 by Redazione

Viaggio all’interno di una componente fondamentale della vita emotiva e sociale, a cui non si è più allenati.

“I ragazzi di oggi hanno tutto”.

 

Quante volte abbiamo sentito questa frase?

Sotto molti aspetti equivale a realtà. Ma non è del tutto corretta. Ai giovani manca una cosa fondamentale: la frustrazione.

Non sembra nulla di invitante. Chi mai potrebbe volersi sentire frustrato?

Eppure è una situazione che capita spesso nella vita.

La frustrazione è uno stato d’animo negativo dovuto a condizioni ambientali e sociali che portano a non poter avere ciò che si desidera.

Le emozioni di base solitamente presenti sono rabbia e tristezza.

È una condizione normale, che si può presentare anche più volte al giorno. Chi si sottopone a una dieta, per esempio, sperimenta la frustrazione ogni volta che si avvicina l’orario del pasto, e non solo.

Un’altra frustrazione molto attuale è la voglia e il bisogno di lavorare e non trovare occasione di poter sfruttare le proprie capacità.

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LA FRUSTRAZIONE NELL’INFANZIA
Il grande studioso Donald Winnicott (1896-1971), uno psicologo appartenente al gruppo degli indipendenti, sostiene che una madre non debba rispondere immediatamente a ogni richiesta dell’infante. Nei primi mesi di vita è infatti necessario che il bambino sperimenti la frustrazione prima che la madre accolga i suoi bisogni. Non per nulla, Winnicott chiama la madre ideale, che non interviene immediatamente ad ogni minimo vagito, “sufficientemente buona”.

Imparare la difficile arte dell’autoregolazione delle emozioni negative è di fondamentale importanza fin dai primi giorni di vita. Di certo, una madre che non risponda adeguatamente alle esigenze del bambino può portare a scompensi emotivi troppo grandi per essere gestiti dall’infante, causandogli problemi nella vita futura.

Sperimentando la frustrazione e una risposta adeguata da parte della madre alle sue esigenze, il bambino impara che le emozioni negative sono passeggere e troveranno conforto: sono quindi gestibili in attesa dell’adulto. Il bambino troverà, così, il modo di auto-consolarsi, mettendo in atto comportamenti compensatori, come ciucciare il proprio dito.

Quando crescono, e raggiungono l’età prescolare, spesso non sanno come gestire la frustrazione e le emozioni che questa comporta. Se a un bambino, per esempio, viene rubato un gioco, può agire come detta l’emozione della rabbia, urlando o diventando violento.

Un compito fondamentale dell’adulto di riferimento è aiutare il bambino ad autoregolarsi, insegnandogli quali sono le emozioni e quali caratteristiche hanno, indicandogli strategie corrette per le loro gestione.

Ancora una volta dunque gli adulti sono una guida fondamentale per i bambini e per il loro corretto sviluppo sociale e relazionale.

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IL RISCHIO CHE COMPORTA
Oltre ad essere una normale condizione sgradevole della mente umana, la frustrazione rappresenta anche un pericolo.

Sperimentare condizioni negative, se non si è adeguatamente supportati e non si hanno le risorse per superarle, può portare a un decadimento dello stile di vita o a un disagio psichico.

Possiamo vedere questo pericolo concretizzarsi in un’orribile notizia dello scorso settembre. Un ragazzo ventenne ha ucciso la sua ex ragazza dopo un suo ennesimo rifiuto per poi suicidarsi.

La fine di una relazione o un rifiuto portano, talvolta, a sofferenze emotive così grandi da essere superate solo dopo molto tempo.

Quando non si ha la capacità di gestire la frustrazione, la sofferenza può portare a mettere in atto comportamenti disadittavi.

È il caso dei fatti di cronaca di cui sopra. Senza escludere problemi di cui non conosciamo l’esistenza, questo giovane uomo non ha saputo gestire la frustrazione e la sofferenza emotiva, compiendo un gesto estremo.

Come loro, molti ragazzi non sono in grado di autoregolarsi e superare i momenti negativi. Non necessariamente arrivano a compiere gesti antisociali o dannosi per la propria salute, ma dopo un insuccesso possono rinunciare e obiettivi importanti, come una laurea.

In tutto questo un ruolo fondamentale è ricoperto dall’autostima, un processo che porta il soggetto a percepirsi capace e adeguato ad affrontare la vita e le sue difficoltà. Si basa sulle auto percezioni di efficacia e sulla valutazione degli altri percepita dal soggetto. Ad esempio, un bambino che riuscirà negli studi impegnandosi e ottenendo bei voti e che si sentirà apprezzato da chi lo circonda per le sue capacità, avrà un’autostima alta.

Molti sono i fattori, dunque, che portano a considerare la frustrazione un pericolo per i ragazzi e gli adulti.

Ne abbiamo molti esempi, forse troppi.

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LA RISORSA CHE RAPPRESENTA

Il bicchiere non è solo mezzo vuoto.

La frustrazione infatti può rappresentare un’importante occasione di crescita, personale e sociale.

Sperimentare una condizione negativa può dare la spinta a modificare tale situazione.

Per sfruttare la frustrazione è necessaria una personalità forte e un’autostima elevata. Si entra così in un circolo virtuoso: se si impara a superare momenti negativi ed ad agire correttamente, l’autostima e il senso di autoefficacia si alzano, permettendo così di poterne affrontare altri, rinforzandosi ulteriormente.

Tornando all’esempio della disoccupazione, sperimentare la frustrazione può portare a cercare tutte le soluzioni possibili per raggiungere il proprio obiettivo, anche percorrendo strade che non si credeva adatte alla propria personalità.

In psicologia questo comportamento viene chiamato resilienza: la capacità di affrontare le difficoltà in modo vincente e uscirne fortificati.

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LO SPORT: PALESTRA DI RESILIENZA

Lo sport come palestra di vita. Solo un modo di dire? No di certo.

Bambini e ragazzi che affrontano settimanalmente uno sport che preveda competizione e agonismo, con sé stessi o con gli altri, saranno adulti allenati alla resilienza.

Imparare a faticare, a lavorare in squadra e da soli, cercare di migliorarsi, agire per raggiungere un obiettivo, sono solo alcune delle competenze che aiutano una persona per tutta la sua vita. Essere in grado di superare la frustrazione è un’altra abilità che si aggiunge al lungo elenco dell’eredità che lo sport agonistico lascia all’individuo.

La pratica agonistica è costellata di frustrazioni.

Alcuni esempi:

  • non raggiungere un obiettivo prefissato
  • un infortunio
  • l’esclusione dalla squadra
  • le difficoltà che si possono incontrare a conciliare la vita sociale
  • scolastica e lavorativa con la vita sportiva.

Se un atleta, di ogni livello, è in grado di superare le frustrazioni che incontrerà, potrà godere di una carriera sportiva lunga e colma di successi personali.

Dice qualcuno: la cosa peggiore non è fallire, ma non tentare. Poca resilienza porterebbe a rinunciare all’obiettivo dopo una frustrazione.

Un atleta di ogni età, può subire quindi situazioni frustranti, provando le emozioni negative di rabbia e tristezza, percependo lo sconforto per dover cambiare obiettivo, ritardare il suo raggiungimento o cambiare la strada per conquistarlo.

La motivazione, le capacità di coping, l’autostima e l’autoefficacia che derivano dalla pratica sportiva portano a trovare una modalità per superare tale situazione.

Facendo riferimento al film “Cool Runnings”, tre giamaicani cadono nella finale dei 100 metri durante le selezioni per le Olimpiadi del 1988. perdono così la possibilità di coronare il loro sogno e raggiungere l’obiettivo più grande di una carriera sportiva. Cambiano strada, e riescono a partecipare alle Olimpiadi invernali di Calgary come prima squadra giamaicana di bob a quattro. Resilienza.

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CONCLUSIONI
La frustrazione è il pane quotidiano per molte persone. Fin da neonati la sperimentiamo e la affrontiamo.

Troppi adulti sono costantemente preoccupati di far vivere frustrazioni inutili ai loro figli, come ad esempio i genitori che chiedono ripetutamente all’allenatore di far giocare il bambino per non farlo sentire escluso.

La bellissima verità è che i bambini e i ragazzi, con il giusto sostegno, sono perfettamente in grado di superare tali momenti di frustrazione.

Questa considerazione porta ad un’altra, altrettanto bella e tranquillizzante. La vita di oggi, relazionale, sociale e lavorativa è colma di frustrazione. Ma con il corretto sostegno, tutto può essere affrontato.

 

A cura di Martina Fugazza

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Psicologia dello sport: definizione e ambiti applicativi

28 Aprile 2015 by Redazione

[su_note note_color=”#b8f976″ radius=”1″]La forza mentale distingue i campioni dai quasi campioni (Rafael Nadal)[/su_note]

La Psicologia dello Sport è una disciplina relativamente giovane che si è conquistata uno spazio di autonomia all’interno della psicologia e delle scienze motorie.
Rientra nella classe della Psicologia Applicata, studia il comportamento umano e i processi psichici nell’ambito dello sviluppo psico-fisico e dell’attività sportiva.

I due principali campi di interesse della Psicologia dello Sport sono il Benessere e la Performance.

Non si occupa quindi solo di alto agonismo e di prestazioni elevate, ma si interessa dell’atleta come persona, che sia di basso, di medio o di alto livello. I campi di applicazione vanno dall’attività ludico-sportiva all’attività agonistica.

La psicologia sportiva non si occupa solo persone malate, con problemi psichici e psicologici, ma soprattutto di individui sani che hanno bisogno di supporto per superare momenti critici, migliorare aspetti specifici della performance sportiva, mantenere alta la motivazione e potenziare le proprie capacità psichiche.

Alla base della psicologia sportiva vi è la teoria che le persone con salute mentale completa “fioriscono” (Flourishig), mentre coloro che non godono di salute mentale “ristagnano” (Languishing) e hanno una percezione della vita come vuota, vivono nel disinteresse e nella stagnazione. Ma tra uno stato e l’altro sono presenti diversi gradi di salute mentale: tale costrutto è visto come un processo, in crescita e in cambiamento, influenzato dai diversi periodi della vita e dalle condizioni che una persona si trova a vivere.
Tale teoria dimostra che il benessere psico-fisico è un processo influenzato da molti fattori di vita e che il potenziale di una persona sia utilizzabile in grandi o in scarse quantità a seconda dello stato psicologico della persona.

[su_divider top=”no” divider_color=”#b8f976″]

Gli obiettivi della psicologia sportiva
Il principale obiettivo della Psicologia dello Sport, non è quello di creare tanti campioni, ma di permettere ad ogni atleta di esprimersi al meglio delle proprie capacità, vivendo l’attività sportiva, sia essa agonistica o di puro divertimento, in modo sereno e positivo, rendendo lo sport uno strumento di crescita e di benessere.

Le principali aree di indagine sono:

  • Abilità psicologiche sottese alle differenti discipline;
  • Processi cognitivi coinvolti nell’apprendimento e nel controllo delle abilità motorie e sportive;
  • Processi motivazionali;
  • Ruolo di allenatore;
  • Infanzia e settore giovanile;
  • Benessere e salute;
  • Area relazionale e dinamiche di gruppo;
  • Processi di autoregolazione ed attivazione; ansia e stress

I campi di applicazione:

  • Nel settore giovanile:
    lo psicologo dello sport si occupa dei rapporto con i genitori, della lettura dei bisogni del giovane atleta, della comunicazione e della proposta metodologica adeguata allo sviluppo (prevenzione overtraining).
    Inoltre ha un importante ruolo nella ricerca della motivazione e nella prevenzione del drop-out (abbandono dell’attività agonistica) e nell’attenzione alle problematiche psicologiche legate alla pratica.
  • Nell’alto agonismo:
    lo psicologo dello sport si occupa di mental training (percorso personalizzato mirato alla massimizzazione delle risorse per una peak performance), della gestione dello stress, della motivazione e prevenzione del burn out.
    Ha un ruolo fondamentale nella preparazione alle competizioni: infatti la performance sportiva non è mai, influenzata solo dalla condizione fisica, la condizione psicologica ha un ruolo fondamentale.
    In caso di lavoro con squadre, lo Psicologo dello Sport aiuta lo sviluppo del Team Spirit (spirito di squadra).
    Gli infortuni, gravi o lievi, sono parte integrante della vita di un’atleta, persona che spinge il suo corpo oltre i limiti fisici.
    Lo psicologo dello sport ha un ruolo fondamentale sia nell’affrontare l’infortunio, aiutandolo ad accettarlo e sostenendolo mentre segue le pratiche mediche e fisioterapiche lunghe, dolorose e disagevoli. Quando lo sportivo è pronto per tornare in campo, lo psicologo sportivo lavora con l’approccio dell’atleta al rientro , lo aiuta insegnando tecniche di recupero, lavorando con la comprensione e la gestione del dolore. Inoltre, lo sostiene nella preparazione al ritorno alle competizioni.
  • Con le società sportive:
    lo psicologo dello sport lavora rafforzando l’identità societaria, creando e/o assistendo il rapporto con genitori ed atleti, affiancando i dirigenti e i tecnici con coaching e corsi di aggiornamento, realizzando interventi su comunicazione e gestione delle relazioni esterne.

[su_divider top=”no” divider_color=”#b8f976″]

Chi è lo psicologo dello sport?
Lo psicologo dello sport è in primo luogo uno psicologo, con una laurea quinquennale in psicologia, un esame di stato e un’iscrizione a un albo professionale. Anni di esperienza nel campo e/o un master post laurea in Psicologia dello Sport è ciò che definisce uno psicologo “dello sport”.

  • È un professionista con conoscenze scientifiche, bio-psico-sociali, che riguardano il funzionamento della mente in condizioni di salute psico-fisica e in condizioni di malessere.
  • Ha conoscenze dello sport e delle sue caratteristiche disciplino-specifiche, ha capacità di comunicazione e di relazione e diverse competenze interdisciplinari: lavora infatti con molti altri operatori della salute (medici, fisioterapisti, nutrizionisti, osteopati) e tutte le figure che ruotano attorno al mondo dell’atleta (dirigenza, allenatori, genitori).

Il benessere è dunque la parola chiave di questo ambito giovane ma con già tanta esperienza della psicologia.

L’atleta è visto nella sua totalità e l’obiettivo è quello di raggiungere il massimo benessere psico-fisico possibile, ottimizzando le risorse e rinforzando le limitazioni della persona.

Non è legata alla malattia e a beneficiarne non sono solo gli atleti con disturbi psicologici di vario genere.

Chiunque voglia sfruttare il proprio potenziale e vivere con il massimo benessere possibile la sua esperienza sportiva può servirsi dei professionisti della psiche nello sport.

 

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Articolo a cura di Martina Fugazza

Se sei interessato ad un contenuto più completo su questo tema, visita la pagina Psicologia sportiva

Filed Under: Psicologia Tagged With: abbandono attività agonistica, abilità motorie, abilità psicologiche, abilità sportive, affrontare l'infortunio, alto agonismo, atletica, atletica leggera, benessere e salute mentale, burn out, capacità comunicazione, capacità relazione, creazione leadership, drop out, esprimersi al meglio delle proprie capacità, il Coach, il coach better yourself, il_Coach, ilcoach, leadership, massimo benessere possibile, mental coach, mental training, mentalcoach, mentalità da campioni, mente e sport, overtraining, potenziare con la mente, potenziare la mente, preparazione mentale competizioni, preparazione psicologica competizioni, prevenzione burn out, prevenzione drop-out, prevenzione overtraining, processi cognitivi, psiche dello sport, psico sport, psicologia atletica leggera, psicologia dello sport, psicologia sport, psicologia sportiva, psicologo dello sport, psicologo sportivo, psicosport, sport e mente, sport e psicologia, vincere con la mente

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