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Corse ad ostacoli: la prevenzione degli infortuni

11 Ottobre 2016 by Redazione

Martina hs nave

In questo articolo pubblichiamo la Tesi di Laurea in Scienze Motorie di Michela Pellanda, ostacolista dell'Atletica Brescia 1950, specializzata nei 400hs.

Ecco la sua Tesi di Laurea da titolo :

"LA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI NELLE DISCIPLINE AD OSTACOLI DELL’ATLETICA LEGGERA"

Vista la lunghezza della tesi, è stato inserito un indice con i nomi dei capitoli, ogni capitolo presenta un link che rimanda al contenuto specifico. Buona lettura e buono studio!!!

Introduzione

Le corse ad ostacoli dell’atletica leggera

Analisi biomeccanica della corsa e del passaggio dell’ostacolo

Infortuni ed ostacoli

Prevenzione degli infortuni

Conclusioni ed indicazioni pratiche per l'allenamento

Bibliografia

Ringraziamenti

 

INTRODUZIONE

Prevenire significa ridurre il più possibile il rischio di infortunio mantenendo alta la performance dell’atleta.

Per prima cosa quindi bisogna analizzare la prestazione dell’atleta, analizzando il gesto (o i gesti) atletico che compie durante le sedute di allenamento e in gara.

All’interno di questa analisi non dobbiamo tralasciare la frequenza (numero di sedute a settimana/mensili) e la varietà degli allenamenti (seduta di pesi, sedute di corsa, sedute di tecnica di ostacoli, ecc.) il luogo dove l’atleta si allena e le tipologie del terreno (pista, asfalto, erba, sintetico, ecc.).

Tutte le discipline dell’atletica leggera sono classificate come sport di non contatto, non solo per il fatto che la maggior parte delle gare si svolge in corsia, ma anche perché i contatti vengono sanzionati con la squalifica dalla competizione. Diversamente nelle corse ad ostacoli possiamo avere infortuni da contatto con gli ostacoli, così come quelli da contatto apparente (con il terreno per esempio dalla discesa dall’ostacolo), da sovrallenamento, da cattivo allenamento e infine quelli da non contatto.

Le tipologie di infortunio da non contatto, da sovrallenamento, da cattivo allenamento e in parte anche quelli da contatto apparente, fanno parte di una categoria di infortuni, dove è maggiormente possibile operare per ridurli. La conoscenza quindi del gesto tecnico, e soprattutto delle varietà di infortuni che possono colpire l’atleta in una particolare disciplina (epidemiologia), può aiutare a prevenirli.

Un altro dato da analizzare per la prevenzione è senza dubbio lo stato di salute dell’atleta. Infatti ci possono essere malformazioni, squilibri muscolari, fragilità di alcuni muscoli o tendini che non devono assolutamente essere sottovalutati, così come gli eventuali dolori (campanelli d’allarme) che l’atleta avverte durante l’allenamento. La valutazione dello stato di salute dell’atleta si compone di test da campo e da laboratorio essenziali per l’allenatore, in quanto deve andare a “costruire la performance” partendo dall’atleta che gli si pone davanti e allo stesso tempo monitorare eventuali miglioramenti o peggioramenti dovuto all’allenamento stesso.

La gara per un atleta rappresenta il lavoro di una vita, in pochi secondi si giocano anni di sacrifici e dedizione e, analizzandola dal punto di vista scientifico, possiamo paragonarla alla punta di un iceberg.

Tutto quello che sta al di sotto è assolutamente da scoprire e da far funzionare, se si vogliono raggiungere i massimi risultati umanamente possibili per l’atleta, analizzando i vari fattori che danno vita alla sua realizzazione.

Lo scopo del mio scritto è quello di integrare la prevenzione degli infortuni con l’allenamento stesso: vorrei sottolineare il fatto che l’obiettivo primario per un atleta rimane quello di ottenere il massimo della prestazione, così come quello della prevenzione. Non possiamo eliminare parti dell’allenamento o ridurre le gare solo per la salute dell’atleta, ma possiamo, tramite lo studio e la pratica, costruire un modello di allenamento adattabile ad ogni atleta.

 

CAP. 1: LE CORSE AD OSTACOLI NELL’ATLETICA LEGGERA

1.1 Modello prestativo delle gare ad ostacoli

Nell’atletica leggera le gare inferiori ai 100mt vengono considerate gare di potenza, mentre quelle che vanno dai 100mt ai 400mt, considerando anche le corse ad ostacoli (hs), si classificano come gare di velocità. Il loro impegno è di tipo anaerobico, in quanto la loro durata varia dai 10 ai 60 secondi.

Le corse ad ostacoli (100hs, 110hs e 400hs) si contraddistinguono da quelle di velocità pura in quanto la prestazione è il risultato di un compromesso fra diverse costanti come l’altezza dell’ostacolo, la distanza dell’ostacolo dalla partenza e dall’arrivo, la distanza fra gli ostacoli e il numero di questi, e fra variabili: dati antropometrici e predisposizione alla specialità da parte dell’atleta.

In tutte le gare ad ostacoli le barriere sono sempre 10, ma nelle gare veloci, a differenza di quelle del giro di pista, la ritmica (numero di passi fra gli ostacoli) è uguale per tutti gli atleti ed è di 3 passi in 9,14m per gli uomini e 8,50m per le donne. In base alle caratteristiche di ciascun atleta, sia uomini che donne, il primo ostacolo (distanza di 13,72m per gli uomini e 13,00m per le donne) può essere attaccato con 8 passi, come di consuetudine, o con 7. Questo porta l’atleta a modificare la posizione dei blocchi, portandoli più vicino alla linea di partenza, a modificare l’ampiezza del passo per questi primi metri. Per gli uomini gli ostacoli sono alti 1,067m, mentre per le donne 84cm.

I passi di gara risultano quindi 49-50 per le donne e 50-52 per gli uomini. Questo comporta un notevole limite per l’espressione della massima prestazione di ogni atleta: con la crescita fisica e prestativa l’atleta non deve mai perdere di vista questo caposaldo e l’allenamento deve vertere sul fatto che questi parametri sono inamovibili.

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 110hs

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 110hs. Tratto da officinaatletica.blogspot.it

 

 

Nei 400hs invece, il discorso è leggermente più approssimato. La ritmica è propria di ogni atleta e deve assicurargli la maggior efficienza di corsa possibile, in modo da riuscire a portare a termine la gara senza troppe difficoltà che ne compromettano la buona riuscita. Sia nella gara maschile che in quella femminile, le distanze degli ostacoli sono le stesse: dalla partenza al primo sono 45m, 35m fra le barriere e infine 40m dal decimo ostacolo all’arrivo. Gli ostacoli per le donne sono alti 76 cm contro i 91 degli uomini. Il numero dei passi è fondamentale per il mantenimento della ritmica, ma tuttavia deve essere analizzato soggettivamente per ogni atleta: la tecnica di passaggio dell’ostacolo si differenzia da quella delle gare veloci in quanto può essere meno curata nei particolari di tronco e braccia.

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 400hs

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 400hs Tratto da officinaatletica.blogspot.it.

 

 

Questo non vuol dire che non si devono fare sedute di tecnica ma, data l’altezza minore delle barriere, il suo passaggio è già più facilitato. È invece da sottolineare l’importanza del consolidamento di una corretta ritmica di gara, in modo da non far perdere troppo nel superamento degli ostacoli rispetto alla fisiologica diminuzione della prestazione in seguito all’insorgere della fatica. Ci saranno atleti con differenziali notevoli fra la distanza piana e quella con ostacoli riconducibili al fatto che la ritmica non sia ancora ben consolidata o addirittura errata; per l’eventuale progresso della prestazione è utile fare test di corsa ampia (per esempio sui 100m) in modo da trovare la ritmica consona all’atleta che si ha di fronte. Allo stesso modo ci sono ostacolisti che non riescono ad esprimersi al massimo nel giro senza barriere riducendo il differenziale anche a meno di un secondo, ma se si trovano a correre frazioni di staffetta 4x400m, conseguono parziali nettamente più bassi.

1.2 Caratteristiche dell’ostacolista

Le caratteristiche antropometriche dell’ostacolista, rispetto al velocista, incidono maggiormente in campo maschile: infatti un atleta dalle lunghe leve è avvantaggiato nella gara veloce, in cui il bacino deve superare un’altezza considerevole (1.067m). In campo femminile non ci sono particolari esigenze di altezza siccome sia nei 400hs che nei 100hs sempre più atlete normotipo vincono medaglie o ottengono ottime prestazioni a livello mondiale.

Archiviata la prima parte di “genetica” passiamo alle qualità fisiche che incidono maggiormente sulla prestazione di alto livello: ovviamente tutti possono praticare atletica leggera e quindi dedicarsi alle competizioni con ostacoli, ma ci saranno alcuni soggetti che, grazie all’allenamento e alle proprie caratteristiche fisiche, primeggeranno su altri. Una delle capacità fondamentali è sicuramente la coordinazione: una buona coordinazione generale favorisce l’apprendimento delle tecnica di passaggio degli ostacoli e lo sviluppo futuro della stessa. Oltre alla coordinazione, la mobilità articolare è sicuramente un fattore da non tralasciare: si “costruisce” già in giovane età ed è indispensabile per qualsiasi disciplina dell’atletica leggera. Un buon ostacolista deve essere innanzitutto un buon velocista: deve avere buona velocità di base, buona capacità di reazione e rapidità nell’esecuzione dei gesti. Per i 400isti ad ostacoli sono indispensabili sia l’orientamento spazio-temporale (la ritmica, oltre a variare da soggetto a soggetto, può cambiare anche in base alle condizioni climatiche o ad eventi casuali come la caduta di un vicino di corsia, ecc.) e la modulazione dinamica della propria condizione fisica, frequenza ed ampiezza passo in funzione della propria ritmica. Importanti, inoltre, sono le componenti piscologiche anche in funzione di un futuro recupero da un infortunio o da un evento accidentale durante la gara.

 

1.3 Programmazione di una stagione agonistica dell’ostacolista

Proviamo ad analizzare un’intera stagione agonistica per avere un quadro generale di cosa affronta l’atleta annualmente. In atletica leggera i periodi agonistici sono due: quello invernale che dura circa due mesi (gennaio e febbraio, tranne per le gare campestri/strada che iniziano a dicembre e potrebbero protrarsi fino a marzo) e quello estivo che vede gli appuntamenti clou in luglio-agosto con meeting anche a settembre. Nonostante ci siano campionati del mondo ed europei anche indoor, la parte più importante della stagione rimane quella outdoor. Da fine aprile a circa metà agosto le occasioni per gareggiare non mancano di certo: l’allenatore, collaborando con l’atleta, si preoccupa di stendere un programma delle competizioni personalizzato, incentrato sugli avvenimenti importanti (campionati italiani e internazionali). L’articolazione dei periodi annuali degli allenamenti viene chiamata periodizzazione dell’allenamento ed è organizzata in cicli. Questo avviene perché per ogni atleta è difficile mantenere il miglior stato di forma psico-fisico per più di qualche settimana, dunque, per questa ragione i cambiamenti della forma sportiva (costruzione, mantenimento o perdita di essa) sono soggetti a variazioni temporali cicliche. Un ciclo di allenamento viene dunque suddiviso in:

  • Periodo di preparazione: questo periodo iniziale si articola in due fasi, il cui obiettivo comune è quello di preparare l’atleta alla stagione che lo aspetta. Nella prima fase spicca la preparazione generale, dove le esercitazioni sono volte a “costruire” organicamente l’atleta, formando anche i presupposti psichici e motivazionali dello stesso. La seconda fase viene chiamata “precompetitiva”, durante la quale aumentano le esercitazioni a carattere specifico per consentire all’atleta di orientarsi verso l’imminente periodo competitivo. Negli sportivi di alto livello invece il volume e l’intensità del carico sono pressoché costanti per entrambe le fasi, in quanto il loro livello iniziale di preparazione è già di per sé molto alto.

Solitamente il periodo di preparazione coincide con quello invernale, l’atleta dunque affronta volumi di lavoro elevati (che si differenziano sia per il centista e il quattrocentista) diminuendo l’intensità di percorrenza delle prove stesse rispetto ai propri limiti personali. Inoltre si incrementano gli allenamenti e le sedute di pesi: in una programmazione corretta l’atleta anno dopo anno dovrebbe affrontare carichi crescenti, in modo da far crescere con essi anche la performance stessa. In età giovanile, fino ai 18 anni, è essenziale la gradualità della programmazione stessa; capita che ci siano ragazzi/e biologicamente avanti rispetto ai coetanei: questo non deve far cadere l’allenatore nell’errore di somministrare loro carichi inappropriati. Durante questo periodo l’atleta non abbandona gli ostacoli e affronta sedute di tecnica per perfezionarsi. Nella fase precompetitiva invece l’ostacolista veloce può iniziare a introdurre sedute di ritmica di ostacoli proiettandosi sui 60hs indoor.

  • Periodo agonistico: questo è il periodo fondamentale per l’atleta nel quale può raggiungere gli obiettivi prestabiliti. I carichi che il soggetto può sostenere dipendono dalle proprie capacità individuali e attraverso un’adeguata scelta delle competizioni permettono all’atleta di arrivare alla gara clou preparato sia fisicamente che psicologicamente. In questo periodo è importante l’approccio mentale in una disciplina come gli ostacoli, dove c’è poco spazio per l’improvvisazione. I lavori di corsa diventano più qualitativi che quantitativi e di grande importanza sono gli allenamenti di ritmica di corsa, cercando di avvicinarsi sempre di più al clima della competizione (o competizioni) che l’atleta dovrà affrontare: eventuali doppi o tripli turni per i campionati internazionali o nazionali. Le sedute di forza con i pesi sono ridotte e tramutate in seduta di forza speciale.[su_spacer size="10"]
  • Periodo di transizione: questo periodo è caratterizzato dalla fisiologica perdita dello stato di forma che consegue il periodo di gara, dunque volume e intensità del carico diminuiscono per permettere all’atleta di recuperare fisicamente e psicologicamente. Questa fase è considerata comunque di recupero attivo, in modo da evitare che i parametri della prestazione diminuiscano eccessivamente. Se pensiamo al periodo post-indoor possiamo classificarlo come periodo di transizione che può durare dalle due alle tre settimane, in base all’intensità della stagione al coperto, per introdurre l’atleta al successivo periodo di preparazione per la stagione outdoor.

L’allenatore può decidere di compiere per l’atleta una periodizzazione semplice, escludendo ad esempio le gare della stagione indoor, o di disporre una doppia periodizzazione. In questo caso il periodo di preparazione iniziato in autunno finirà a gennaio in occasione dell’esordio indoor e il periodo agonistico si concluderà nel mese successivo. I mesi da marzo ad aprile/maggio saranno utilizzati sia come periodo di transizione che come ri-preparazione per la stagione outdoor.

 

CAP. 2: ANALISI BIOMECCANICA DELLA CORSA E DEL PASSAGGIO DELL’OSTACOLO

2.1 Biomeccanica di corsa

Analizzare la biomeccanica di corsa è fondamentale per capire come e perché accadono determinati infortuni. Pensiamo alla corsa come ad un ciclo produttivo di una fabbrica: conoscendo ogni parte ed ogni funzione ad essa delegata, ricostruendone il meccanismo, potremmo intervenire minuziosamente e riconoscerne gli eventuali problemi prima che avvengano dei guasti.

La biomeccanica di corsa è diversa dalla biomeccanica del cammino. Oltretutto si differenzia in base alle velocità del soggetto: aumentando la velocità diminuisce il tempo d’appoggio del piede e superando i 7m/s (25,2 km/h) non aumenta più l’ampiezza del passo ma la frequenza degli appoggi.

Ovviamente vari fattori determinano la meccanica di corsa: l’età, il sesso, le differenti tipologie antropometriche, il tipo di calzatura, il tipo di terreno e le diverse abilità dell’individuo.

Un ciclo di corsa è compreso fra due appoggi dello stesso piede (destro-sinistro-destro per esempio): si differenzia dal ciclo di deambulazione perché non vi troviamo un doppio appoggio dei piedi e abbiamo una fase di volo. L’appoggio del piede (destro in questo esempio) si compone di tre fasi: fase di ammortizzazione che solitamente avviene con la parte posteriore del piede, a basse velocità viene appoggiato anche il tallone mentre man mano che la velocità aumenta l’appoggio è sempre più verso il mesopiede. In questa fase i muscoli che si contraggono sono il tricipite surale e il tibiale anteriore, normalmente antagonisti, ma che lavorando insieme in questa fase danno stabilità al piede. Contemporaneamente il vasto laterale, quello mediale e il retto femorale sono attivi per contrastare le forze d’impatto al suolo. La seconda fase è quella di appoggio vero e proprio, mentre l’ultima è la fase di spinta: qui il tricipite surale si contrae concentricamente per provvedere alla spinta in avanti del corpo.

 

Al momento dello stacco del piede da terra, il ginocchio viene portato all’altezza delle anche tramite la contrazione concentrica del quadricipite femorale: se il ginocchio supera i 90° di flessione dell’anca, allora interviene il muscolo ileo-psoas. In fase di discesa intervengono i flessori di gamba, guidati dal bicipite femorale, contraendosi concentricamente, diminuiscono gli angoli di flessione e preparano l’arto alla discesa; quando il piede è a terra il ginocchio non è mai completamente esteso. A questo punto il piede destro si prepara all’impatto a terra e il ciclo ricomincia. Ovviamente l’arto sinistro compie lo stesso ciclo ma precisamente alla fine della fase di spinta del piede destro, incomincia la contrazione concentrica del bicipite femorale per la discesa della gamba.

Modello ideale della corsa

Corsa ad ostacoli. Modello ideale della corsa. Tratto da "Therapeutic exercise for musculoskeletal injuries"

 

La teoria vorrebbe che il tronco fosse completamente perpendicolare al terreno ma numerosi studi hanno stabilito che un’inclinazione dai 4 ai 7°, fino agli 11° negli sprinter, è compatibile con una buona corsa. Gli arti superiori si muovono alternati agli arti inferiori: l’angolo delle spalle rispecchia quello dell’anca, così come quello del gomito è conciliabile con l’angolo del ginocchio.

 

2.2 Biomeccanica di passaggio dell’ostacolo

La corsa dell’ostacolista si scosta leggermente da quella dello sprinter puro, dal momento che l’atleta ha un numero preciso di passi da fare all’interno della propria gara e allo stesso tempo superare 10 barriere per giungere all’arrivo. La tecnica di passaggio dell’ostacolo è caratterizzata dall’attacco di “prima gamba” e al passaggio laterale di “seconda gamba”: come abbiamo già ricordato l’ostacolista veloce attaccherà sempre con la stessa gamba, destra o sinistra che sia, le barriere, mentre per il quattrocentista c’è la possibilità di alternarle.

La gamba di attacco supera l’ostacolo frontalmente: quando l’anca è flessa (punto 2) il ginocchio viene portato oltre i 90° di flessione di anca (punto 3) e qui, con la contrazione eccentrica dei flessori femorali, la gamba viene distesa sopra la barriera (punto 5 e 6) e preparata alla discesa e al conseguente impatto al suolo.

Fase attacco dell'ostacolo

Corse ad ostacoli. Fase di attacco dell’ostacolo. Tratto da "Il manuale dell’istruttore di atletica leggera"

 

 

La seconda gamba invece è flessa e rotata lateralmente per superare la barriera. Alla discesa dell’ostacolo troviamo la prima gamba a ginocchio esteso (l’unico momento in cui il ginocchio dovrebbe essere completamente esteso, punto 10) con il piede in flessione plantare (in gergo tecnico: a martello) e il bacino sopra l’appoggio: questo per sfuggire avanti e continuare la normale azione di corsa mentre il ginocchio della seconda gamba (o gamba di spinta) è tenuto alto frontalmente (punto 11).

Fase di valicamento e discesa ostacolo

Corse ad ostacoli. Fase di valicamento e discesa dall’ostacolo. Tratto da Il manuale dell’istruttore di atletica leggera

 

 

In fase di attacco il busto è leggermente flesso in avanti per “chiudersi” sopra l’ostacolo e gli arti superiori, come nella corsa, compensano i segmenti inferiori.

Nei 400hs non c’è un’esasperazione particolare per la perfezione della tecnica di passaggio: infatti sia uomini che donne eseguono semplicemente un “passo più lungo” al momento dell’attacco; il loro obiettivo è quello di perdere il meno possibile a livello di decimi, talvolta centesimi. L’altezza delle barriere consente quindi di scivolare via senza modificare eccessivamente il passo di corsa, per questo anche la flessione del busto non è poi così marcata. Di determinante attenzione invece sono i particolari per quanto riguarda gli ostacolisti veloci: il baricentro nei 110hs deve superare ben 10 volte un’altezza di 106,7 centimetri. Questo comporta una rapidità di esecuzione dei gesti di valicamento delle barriere: il busto è più flesso per facilitare la discesa della prima gamba e il corrispondente avanzamento delle anche, per riprendere l’azione di corsa nei 9,14 metri successivi.

Vedi anche:

Ostacoli: salto o corsa? 

Ostacoli: tecnica di passaggio

 

CAP. 3: INFORTUNI E CORSA AD OSTACOLI

3.1 Classificazione degli infortuni

Cosa intendiamo col termine “infortunio”?

Cosa rappresenta un infortunio per un atleta, sia di alto che basso livello?

Un infortunio indica l’impossibilità di concludere la competizione o l’allenamento, al massimo delle potenzialità psico-fisiche proprie dell’atleta in quella circostanza. Guardando qualsiasi disciplina sportiva, possiamo accorgerci che in determinate situazione è impossibile prevenire questi traumi, basti pensare ad un contatto fra giocatori di rugby o calcio. D’altra parte è ugualmente possibile prevenirne altri, legati all’inadeguatezza dell’abbigliamento sportivo, del terreno o delle strutture dove allenarsi/competere, ad una metodica di allenamento insufficiente o scorretta o ad un esecuzione imperfetta del gesto atletico che a lungo andare danneggia le configurazioni umane.

Le cosiddette “lesioni da sport” sono divisibili i in due categorie:

  • forme traumatiche acute: avvengono per un trauma unico di una certa violenza (lesioni muscolari, lussazioni o sublussazioni articolari, fratture ossee e lesioni capsulo-legamentose);
  • da sovraccarico funzionale: indicano patologie croniche che, a lungo andare, logorano i tessuti provocando microtraumi propri di un gesto tecnico sportivo; In questo gruppo troviamo tendinopatie e fratture da stress, sempre più un problema per gli atleti professionisti.

Per quanto riguarda l’atletica leggera, ed in particolare le discipline con gli ostacoli, le lesioni traumatiche acute, ovvero dovute ad un trauma unico di una certe violenza, sono molto rare. Questo perché trattandosi di gare da svolgere in corsia, il contatto con l’avversario oltre ad essere da squalifica, è anche quasi impossibile. Le lesioni agli arti superiori, sono oltretutto rare, e la maggior parte delle volte derivanti da un trauma (caduta dall’ostacolo).

Per capire meglio quali sono le lesioni più frequenti, perché e come avvengono, ho stilato un questionario e l’ho sottoposto ad atleti di livello nazionale/internazionale di entrambi i sessi ed entrambe le discipline.

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Corse ad ostacoli. Questionario prevenzione HS

 

 

Ho potuto così studiare gli infortuni di 37 atleti: 17 atlete dei 400hs femminili, 7 atlete dei 100hs femminili, 5 atleti dei 400hs maschili e 8 dei 110hs maschili.

Una distinzione primaria va fatta per quelli che sono gli infortuni in cui l’atleta si è imbattuto durante le sedute di allenamento e quelli riscontrati nelle competizioni (sia durante il riscaldamento che durante la gara stessa).

 

3.2 Principali cause di infortunio durante le sedute di allenamento

Infortuni durante gli allenamenti

Corse ad ostacoli. Infortuni durante gli allenamenti

 

Come possiamo notare le lesioni muscolari agli arti inferiori rappresentano la maggior parte degli infortuni sofferti durante le sedute di allenamento di tutte e quattro le discipline analizzate. Questo non sorprende in quanto le lesioni muscolari sono la causa più frequente di infortunio in tutte le discipline sportive: nell’atletica leggera sono più frequenti le lesioni da trauma indiretto, che avvengo per un’eccessiva contrazione in fase di rilasciamento del muscolo o in un allungamento eccessivo in fase di rilasciamento.Per questo tipo di lesioni, intervengono molti fattori predisponenti: alcuni facilmente riscontrabili come le condizioni ambientali (freddo, umidità, terreno scivoloso) e fattori fisiologici (squilibri fra i muscoli agonisti e antagonisti, poca mobilità articolare), altri più difficili da determinare come l’insufficienza o inadeguatezza del riscaldamento e una scorrettezza nel determinare l’allenamento. Da non sottovalutare anche i fattori psicologici come lo stress da competizione o la paura di incorrere negli infortuni stessi in determinate condizioni, responsabili degli infortuni in cui l’atleta si imbatte durante la gara. Non esiste un vero e proprio “schema da seguire” per quanto riguarda queste lesioni: possono capitare all’improvviso, l’atleta può non lamentare sintomi di indolenzimento o affaticamento ai muscoli, oppure possono essere la conseguenza di un periodo di logorio muscolare che per ragioni legate al momento della stagione è stato sottovalutato.

Lesioni muscolari arti inferiori

Corse ad ostacoli. Lesioni muscolari arti inferiori

 

Le lesioni muscolari più frequenti riguardano i muscoli bicipiti femorali che intervengono sia sull’articolazione di ginocchio sia su quella di anca. La doppia funzione di flessori di gamba ed estensori di coscia crea problemi nella fase di discesa del ginocchio della corsa, quando devono passare da una contrazione concentrica, per portare il ginocchio all’altezza delle anche (o superiore se pensiamo all’azione di prima gamba che attacca l’ostacolo) ad una fase eccentrica che riporta il piede a terra. Se questo distretto muscolare non è sufficientemente riscaldato, “forte” ed abituato a questa azione rischia di lacerarsi in maniera più o meno grave.

Patologie tendinee

Corse ad ostacoli. Patologie tendinee

 

Le tendinopatie sono ormai una patologia molto frequente, a tutti i livelli di pratica sportiva. Le strutture tendinee sono adepte a collegare i muscoli alle ossa, muovendole con un’azione di leva. Sono formati da tessuto connettivo poco vascolarizzato, quindi la loro buona elasticità è offuscata da una minor resistenza alle sollecitazioni ripetute nel tempo. Le tendinopatie sono divise in due gruppi: forme acute (tendiniti) caratterizzate da un’infiammazione alla giuntura osto-tendinea, e forme croniche (tendinosi) caratterizzate da una degenerazione strutturale tendinea, che può portare alla rottura completa. Come possiamo notare i casi più frequenti riguardano il tendine d’Achille, il più robusto del corpo umano che in uno sport come l’atletica leggera, è fondamentale per qualsiasi movimento, vedendo la confluenza di muscoli come il gastrocnemio (fascio laterale e mediale) e il soleo. La sindrome retto-adduttoria, comunemente detta “pubalgia”, è oltretutto riscontrabile soprattutto negli individui maschi, e rappresenta un’infiammazione che interessa l’inserzione tendinea dei muscoli addominali e/o quella prossimale dei muscoli adduttori del pube: nei soggetti poco mobili è presente un forte squilibrio fra queste due fasce muscolari che, a lungo andare, impedisce anche la corsa leggera se non curata. Una tendinopatia può insorgere in seguito a esercitazioni di tecnica di corsa o di ostacoli dove la velocità e l’irruenza di appoggio del piede, determinante per le prestazioni atletiche, possono stressare ripetutamente la struttura. Inizialmente il dolore arriva post allenamento ed è lieve, progressivamente infastidisce l’atleta anche durante la seduta di allenamento e se non curato o monitorato a sufficienza può impedire di svolgere non solo allenamenti blandi, ma addirittura intervenire nei gesti della vita quotidiana (salire le scale). La rottura completa o incompleta può avvenire per un trauma unico o legata all’usura eccessiva. L’infiammazione del tendine del bicipite femorale può rientrare nella sindrome dei muscoli ischio-crurali, essendo che, insieme al semimembranoso e semitendinoso, fa parte dei muscoli biarticolari che originano dalla tuberosità ischiatica e quindi soggetti a più sofferenza.

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3.3 Infortuni durante l’arco della stagione 

La preparazione invernale è il periodo più lungo della stagione e soggetto a condizioni climatiche che variano a seconda del luogo dove ci si allena e dell’orario di allenamento; aumentano anche le sedute di allenamento per “costruire” la performance perciò accrescono le occasioni di infortunio. Di rilievo è anche la percentuale di infortuni subiti al rientro dalle vacanze, probabilmente troppo intensi per cercare di entrare subito in forma in vista delle ultime fatiche di settembre/ottobre. Gli infortuni del periodo agonistico potrebbero essere dovuti ad un errata pianificazione delle competizioni che esaurisce l’atleta anche dal punto di vista psicologico e quindi la possibilità di infortunio aumenta.

Correlazione tra infortuni e periodo

Corse ad ostacoli. Correlazione tra infortuni e periodo

 

 

3.4 Infortuni suddivisi in base alla seduta di allenamento

Gli infortuni riscontrati durante le sedute di corsa e di tecnica/ritmica ostacoli rappresentano la maggior parte dei casi di infortuni totali: questo dato è scontato, perché un ostacolista compie molti più allenamenti di corsa e di ostacoli che lavori di forza. Ma questi ultimi rappresentano ben il 13% quindi vuol dire che la biomeccanica di esecuzioni di alcuni gesti fondamentali come lo squat, non è conosciuta e applicata correttamente. Fondamentale diventa quindi l’analisi della postura dell’atleta per costruire un programma di pesi adatto come esercizi e carichi all’individuo che abbiamo davanti.

Correlazione tra infortuni e sedute di allenamento

Corse ad ostacoli. Correlazione tra infortuni e sedute di allenamento

 

 

3.5 Infortuni legati alle discipline

3.5.1  400hs donne

Analizzando in particolare gli infortuni più frequenti nei 400hs femminili, notiamo una percentuale consistente di traumi e contusioni ai piedi e di sofferenze della colonna vertebrale. Le cause principali sono da imputare al fatto che spesso il lavoro di tecnica di ostacoli viene messa in secondo piano, dunque la continua ripetizioni di esercizi tecnicamente non corretti comporta l’usura dei segmenti più esposti. Se l’ostacolo non è “preparato bene” l’atleta rischia di arrivare troppo sotto la barriera, attaccandola quindi in fase ascendente, portando ad una discesa pesante che colpisce prima di tutto il piede e l’abbassamento eccessivo del baricentro opera una tensione eccedente in zona lombare.

Infortuni 400hs

Corse ad ostacoli. Infortuni 400 hs donne

 

3.5.2  400hs uomini

Le patologie tendinee che più interessano gli uomini sono quelle a carico del tendine d’Achille e dei tendini della zona pubica (pubalgia). Le origini di queste disfunzioni possono essere imputate alla scarsa mobilità articolare e alla asimmetrie muscolari che più caratterizzano il sesso maschile.

Infortuni 400hs Uomini

Corse ad ostacoli. Infortuni 400 hs uomini

 

3.5.3  100hs donne

Negli ostacoli veloci è più facile il rischio di cadere, per questo ci sono contusioni agli arti superiori dovuti a queste eventualità.

Infortuni 100hs

Corse ad ostacoli. Infortuni 100 hs donne

 

3.5.4  110hs uomini

La velocità e la forza degli ostacolisti veloci incide sui tendini dei muscoli principali dell’azione: tendini d’Achille, tendini dei bicipiti femorali e il solito problema di pubalgia. Molto spesso ad aggravare questa situazione si aggiungono l’inadeguatezza delle calzature o la durezza del terreno dove si compiono questi esercizi. 

Infortuni 110hs

Corse ad ostacoli. Infortuni 110hs

 

 

3.6 Presenza di documentazione medica

Come si evince da questo grafico, la maggior parte degli infortuni avvenuti durante gli allenamenti non presenta un referto medico. Questo a volte porta a sottovalutare l’entità del sinistro in cui ci si è imbattuti e quindi a riprendere l’attività precocemente e a gravare sulla struttura compromessa.

Inforuni, presenza referto medico

Corse ad ostacoli. Inforuni, presenza referto medico

 

 

3.7 Principali cause di infortuni durante le competizioni

Durante le competizioni lo stress psicologico aumenta rispetto agli allenamenti, ma contemporaneamente si alza il livello di attenzione dedicato al riscaldamento e alla gara stessa. Gli infortuni che ne derivano possono essere frutto delle condizioni ambientali sfavorevoli e di conseguenza la necessità di andare al massimo nonostante l’incompatibilità dei limiti, sforza eccessivamente la “macchina” atleta. La possibile caduta durante la gara non è per forza sinonimo di infortunio: infatti si può benissimo “cocciare” contro una barriera, soprattutto nelle gare veloci, e fermarsi perché si perde il ritmo e in 6/7 metri è difficile riprenderlo. Le lesioni muscolari rappresentano ancora una volta la maggioranza degli infortuni e soprattutto quelli di maggior gravità. Aumentano i traumi al ginocchio e le contusioni al piede, frutto della ricerca stressante della migliore performance possibile: il piede è sollecitato all’impatto in discesa mentre il ginocchio, specialmente della seconda gamba, che sfiora o prende in pieno l’ostacolo, a volte riporta danni più seri di un semplice livido.

Infortuni durante le competizioni

Corse ad ostacoli. Infortuni durante le competizioni

 

 

3.8 Sindrome da overtraining

Da non dimenticare, infine, per creare un’idea più chiara e completa possibile di cosa rappresenti un infortunio per un’atleta, di qualsiasi livello, è la sindrome da “sovrallenamento”.

Qui gli atleti più colpiti sono quelli di alto livello, complice l’aumento delle sessioni di allenamento, il bisogno di mantenere una certa continuità di risultati su alti livelli, lo stress psico-fisico continuo, ecc. Le cause sono molteplici e se prese singolarmente non costituiscono questo particolare caso, dove le prestazioni calano sempre più, insieme alle motivazioni e alla capacità da parte dell’individuo di sostenere gli allenamenti. La diagnosi precoce è fondamentale perché nei casi più gravi l’atleta può rimanere fuori dalle competizioni (con tutto ciò che ne consegue: perdite economiche, perdite di grandi eventi nazionali ed internazionali) parecchi mesi!

CAP. 4: PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI NELLE CORSE AD OSTACOLI

4.1 Valutazione dello stato di salute dell’atleta

Nel capitolo precedente abbiamo compreso quali sono le maggiori cause di infortunio nelle discipline di ostacoli dell’atletica leggera, ma come è possibili evitarli?

Se dobbiamo intervenire preventivamente non possiamo certo pensare di eliminare definitivamente queste difficoltà per l’atleta, ma ridurre il più possibile il loro presentarsi, mantenendo alti i livelli prestativi degli atleti stessi.

La prima analisi che deve essere fatta è sull’atleta stesso: età anagrafica e biologica (in giovane età possiamo trovarci davanti ragazzi di 15 anni completamente diversi), sesso, proporzioni corporee, esperienze motorie passate (la provenienza da un altro sport ad esempio) e anamnesi. Lo stato di salute dell’atleta è monitorato attualmente tramite la visita medica agonistica obbligatoria per potersi iscrivere ad una società e quindi gareggiare. In caso di esito positivo il soggetto è considerato idoneo alla pratica dell’attività in questione. La visita medica consiste nel controllo delle urine, della vista, esame spirometrico ed elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo, e un controllo finale dal medico dello sport. Questo permette di trovare problemi come disfunzioni cardiache o polmonari che non solo rischierebbero di compromettere la performance, ma addirittura portare a complicanze rischiose per la vita stessa.

Una volta superato questo step, possiamo spostarci sul campo ed eseguire test sia oggettivi che soggettivi per valutare lo stato di partenza delle qualità/abilità dell’atleta che abbiamo davanti. La tecnica di corsa e di passaggio dell’ostacolo sono dei parametri vincolati innanzi tutto all’occhio che li analizza: un allenatore esperto sicuramente parte avvantaggiato in questa analisi perché riesce a trovare il particolare che porta l’atleta a compiere quel movimento in quel determinato modo. Per esempio l’atleta potrebbe perdere eccessivamente “i piedi dietro”, cioè non alzare le ginocchia perché ha un’inclinazione di busto troppo accentuata.

I test oggettivi sono molteplici e hanno lo scopo secondario di monitorare quella che è la situazione dell’atleta nel corso del tempo; risultano quindi efficaci per considerare il punto di partenza, ma anche per valutare se la programmazione degli allenamenti è stata adeguata o ha portato solo ad aggravare la situazione dell’allievo.

Molti test possono essere fatti in laboratorio ma molto spesso sono costosi; per far sì che la valutazione sia accessibile a tutti, di seguito proporrò dei test da campo, fattibili solamente con una buona fotocamera, oltre che con l’occhio del tecnico.

Il primo test da effettuare è quello sulla postura: il soggetto, scalzo, sta semplicemente in piedi, sguardo rivolto di fronte con gli arti superiori lungo i fianchi. Una visione di fronte, di lato e davanti può mostrarci innanzi tutto quale sia l’atteggiamento considerato naturale dal nostro atleta e successivamente quali problemi posturali potrebbe avere: iperlordosi lombare, dissimmetria arti inferiori, ginocchia vare o valghe o il cosiddetto “piede piatto”. Nel caso siano particolarmente accentuati, è bene rivolgersi direttamente ad uno specialista.

Tutti i test di mobilità articolare invece necessitano solo della conoscenza dei gradi di movimenti attorno ad una specifica articolazione e dei suoi movimenti consentiti.

In seguito analizzeremo un test chiamato “Y Balance Test”, letteralmente test dell’equilibrio: in appoggio monopodalico il soggetto deve raggiungere con il piede il punto più lontano in avanti verso destra, verso sinistra e indietro (da qui l’assegnazione del termine “Y”). La gamba d’appoggio si può flettere mentre l’altra deve rimanere estesa: il soggetto non deve mai perdere l’equilibrio appoggiando l’arto o le mani a terra.

Esempio di esecuzione del Y Balance test

Corse ad ostacoli. Esempio di esecuzione del Y Balance test. Tratto dal materiale del convengo “ La prevenzione degli infortuni nell’atletica leggera” M.Tripodi

 

Il risultato sarà numerico in centimetri e confrontando l’appoggio destro con quello sinistro (differenza ­più o meno 4 cm) si possono trovare eventuali asimmetrie d’appoggio, che se non prontamente riequilibrate, possono portare ad una serie di infortuni che rallentano la crescita sportiva dell’atleta. Senza acquistare il sistema “YBT”, il test si può effettuare con un nastro graduato fermo a terra nelle tre direzioni e un metodo di analisi sempre costante.

 

Esempio di esecuzione del Y Balance test da campo 1 Esempio di esecuzione del Y Balance test 3 Esempio di esecuzione del Y Balance test 2
Corse ad ostacoli. Esecuzione del YBT senza riferimenti per migliorare la stabilità di caviglia integrabile in allenamento

È un ottimo metodo per valutare l’equilibrio funzionale e la stabilità della caviglia ripetibile durante il riscaldamento (senza necessariamente misurare i l’ampiezza dei movimenti) e quindi integrarlo all’allenamento.

Un altro fattore di rischio individuato per incappare in un infortunio sono quindi le asimmetrie muscolari: una tecnica per indagarle è il metodo FMS (Functional Movement Screen). Questa pratica, valutando la qualità dei movimenti, permette di riconoscere anche disfunzioni globali: il test consiste in 7 esercizi valutati con un punteggio da 0 a 3 per ogni esercizio, ottenendo un punteggio finale da 0 a 21. I soggetti a rischio sono quelli che ottengono un punteggio inferiore a 14: ovviamente questa semplice valutazione (soggettiva perché dipende anche dall’operatore) non può sostituirsi però ad una visita specialistica di un ortopedico.

Gli esercizi del metodo FMS sono:

1. Deep squat

Consiste nell’effettuare uno squat, cioè un piegamento degli arti inferiori tenendo sopra la testa un bastone con gli arti superiori tesi e l’impugnatura a larghezza spalle.

Corse ad ostacoli. Deep squat FMS Test

Corse ad ostacoli. Deep squat FMS Test

2. Hurdle step

Consiste nel superare un ostacolo (altezza in centimetri pari alla lunghezza della tibia) con un arto, stando in equilibrio sull’altro; una volta che il piede è completamente al di là dell’ostacolo, senza toccare il suolo, fa ritorno. Eseguire da entrambi i lati.

Corse ad ostacoli. Hurdle step FMS Test

Corse ad ostacoli. Hurdle step FMS Test

3. Inline lunge

I piedi sono paralleli su una linea a distanza in centimetri pari alla lunghezza della tibia. Il soggetto fa un piegamento portando il ginocchio dell’altro più indietro, vicino al suolo e all’altro piede, tenendo un bastone appoggiato al coccige e alla nuca sempre perpendicolare al terreno: il soggetto non deve mai perdere l’equilibrio. Eseguire da entrambi i lati.

Corse ad ostacoli. Inline lunge FMS Test

Corse ad ostacoli. Inline lunge FMS Test

4. Shoulder mobility

Questo esercizio permette di valutare la mobilità di entrambe le spalle, cercando di avvicinare le mani fra loro dietro la schiena.

Corse ad ostacoli. Shoulder mobility FMS Test

Corse ad ostacoli. Shoulder mobility FMS Test

5. Active straight-leg raise

Il soggetto è supino con un arto inferiore disteso e l’altro teso deve avvicinarsi il più possibilmente alla perpendicolare.

Corse ad ostacoli. Active straight-leg raise FMS Test

Corse ad ostacoli. Active straight-leg raise FMS Test

6. Trunk stability pushup

Il soggetto prono porta le mani all’altezza delle orecchie ed estende gli arti superiori cercando di mantenere la posizione per almeno 3 secondi.

Corse ad ostacoli. Trunk stability pushup FMS Test

Corse ad ostacoli. Trunk stability pushup FMS Test

7. Rotary stability

Corse ad ostacoli. Rotary stability FMS Test

Corse ad ostacoli. Rotary stability FMS Test

In questo esercizio il soggetto, in appoggio su un ginocchio e sulla mano dello stesso lato, deve portare più volte il ginocchio ed il gomito liberi a contatto senza perdere l’equilibrio.

FMS Test. Immagini tratte dal materiale del convengo “La prevenzione degli infortuni nell’atletica leggera” M.Tripodi

4.2 Tecniche preventive

4.2.1 Core stabiliy

Il termine “core stability” deriva dall’inglese e la sua traduzione è “stabilità del cuore, centro”, cioè indica quella parte di muscoli che si occupa della stabilità dell’intero organismo, cioè il trasverso dell’addome, gli obliqui, multifido, il retto dell’addome, gli erettori spinali, il quadrato dei lombi, il pavimento pelvico, il diaframma e nel caso di un ostacolista, possiamo aggiungere grande il gluteo, l’ileo-psoas, il tensore della fascia lata, gli ischio crurali e il quadricipite femorale. Questi muscoli sono deputati, oltre che al movimento nella corsa, alla stabilità della stessa; pensiamo ad una ripetuta, quante volte bisogna correggere il proprio assetto per proseguire? Se ci troviamo di fronte ad erettori della colonna e addominali deboli, il busto continuerà ad oscillare aumentando l’attrito e di conseguenza il tempo finale: dunque a parità di velocità si spreca molta più energia. In un 400hs, dove ovviamente entra in gioco anche il fattore fatica, risulta determinante mantenere un atteggiamento il meno dispendioso possibile ed efficace al massimo.

Possiamo immaginare la core stability come una sorta di propriocezione per la zona compresa dal diaframma fino alle inserzioni dei muscoli dell’articolazione dell’anca; dunque dobbiamo istruirli a mantenere un atteggiamento corretto durante tutte le attività. Questi esercizi consistono nella continua contrazione della zona addominale mantenendo il bacino in posizione neutra, evitando sovraccarichi alla colonna.

Plank sui gomiti

Corse ad ostacoli. Plank in appoggio sui gomiti

 

Come in ogni situazione, l’allenamento di core deve tenere conto dell’atleta che abbiamo davanti e la sua introduzione nelle sedute di allenamento deve essere graduale e orientata al gesto dell’atleta, in questo caso ostacolista.

Core training, la nostra guida (con video)

4.2.2 Stretching

La pratica dello stretching nasce in America sulla scia della ginnastica dolce e il termine deriva dalla traduzione inglese “to stretch” ovvero “allungare”. L’allungamento è quello dei muscoli cioè sia delle fibre muscolari che lo compongono, sia delle strutture contrattili (tendini, fasce, ecc.). Lo stretching può essere sostanzialmente di due tipi: attivo e passivo. Quello passivo consiste nel raggiungere una posizione di allungamento di un particolare muscolo, senza sentire dolore ma solo fastidio, e mantenerla per circa 30”.

Corse ad ostacoli. Stretching statico in posizione da ostacolista

Corse ad ostacoli. Stretching statico in posizione da ostacolista

Ai fini dell’allenamento di un atleta, questo tipo risulta dannoso prima di uno sforzo massimale (una seduta di allenamento o una gara) perché numerosi studi hanno evidenziato che inibirebbe la funzione di quel muscolo o distretto muscolare, in termini di forza, per almeno le due ore successive. Per questo motivo durante il riscaldamento l’atleta può fare esercizi di stretching dinamico, cioè un continuo “allungare-accorciare” il muscolo, combinato con esercizi di mobilità articolare per migliorarne il grado di movimento. La pratica dello stretching si basa sulla conoscenza delle basi anatomo-fisiologiche della mobilità, della biomeccanica dei gesti tecnici, delle inserzioni muscolari e sui movimenti del muscolo in tutte le sue parti.

Stretching: la nostra guida (con video)

4.2.3 Mobilità articolare

Con mobilità articolare si intende la capacità di un articolazione di muoversi liberamente in tutto il suo range di movimento. Ovviamente ogni articolazione ha movimenti propri e gradi dello stesso diversi, dunque è presupposto fondamentale la loro conoscenza. Per un ostacolista l’integra funzionalità delle articolazioni, soprattutto quelle di caviglia, anca e colonna vertebrale è fondamentale così come la rieducazione dopo un infortunio per riequilibrare le forze. Ad esempio dopo lo stop per una distorsione alla caviglia, prima di riprende a correre è necessario riabilitarla per portarla allo stesso livello dell’altra.

 

CONCLUSIONI

Negli ultimi anni, l’Italia “degli ostacoli” è tornata a fare un’onesta figura sul palcoscenico europeo. A Goteborg, ai campionati continentali indoor del 2013, abbiamo conquistato un bronzo in campo femminile ed un argento in quello maschile nei 60hs, mentre ai recenti campionati europei outdoor di Zurigo un nono posto nei 100hs femminili ed un settimo nei 400hs sempre femminili. Durante le interviste, gli atleti oltre a ringraziare ovviamente la famiglia e il gruppo sportivo che li supporta, citano anche un centro medico o una persona (fisioterapista, medico o osteopata) che li ha aiutati durante il periodo di avvicinamento all’evento in virtù di qualche “acciacco”.

Ma è davvero necessario arrivare al punto da essere “tenuti insieme con la scotch”? Assolutamente no. Per questo il ruolo della prevenzione degli infortuni deve essere appunto quello di prevenire, evitare dove possibile l’insorgere di malesseri che rischiano di compromettere anni di lavoro volti ad una grande manifestazione. Ma gli atleti in primis e gli allenatori devono essere a loro volta educati alla prevenzione in base a conoscenze sul tipo di gesto tecnico della corsa e del passaggio dell’ostacolo, dell’articolazione di una stagione agonistica, delle diverse forme di allenamento, dei tipi di infortunio che possono interessare l’atleta e soprattutto del soggetto che abbiamo di fronte. In secondo luogo, il programma di allenamento deve vertere sul principio della progressività del carico e della personalizzazione, privilegiando la qualità degli esercizi rispetto alla quantità. La distinzione fra i programmi di allenamento del quattrocentista rispetto al centista tiene conto innanzitutto del tipo di gara che andranno ad affrontare: le differenze sulla tecnica e sulle abilità invece non dovrebbero essere così marcate perché apprese in giovane età.

A questo proposito, in base alle analisi fatte nei capitoli precedenti, ho stilato un esempio di protocollo di allenamento, indipendentemente dalla tipologia di lavoro (di corsa, di tecnica ostacoli o di pesi) adattabile ad atleti di entrambi i sessi e le specialità, maturi.

 

ESEMPIO DI PROTOCOLLO DI ALLENAMENTO

L’atleta che si presenta al campo per allenarsi deve avere un abbigliamento comodo e consono con le condizioni climatiche e calzature adatte al tipo di terreno su cui si svolgerà l’allenamento.

Partendo dal riscaldamento, l’atleta deve procedere ad attivarsi gradualmente, con un abbigliamento adeguato alla stagione e calzature che sostengano la sua corporatura. Gli esercizi di mobilità articolare e stretching dinamico devono essere il pane quotidiano per l’ostacolista: devono essere integrati nella prima parte dell’allenamento e inseriti secondo una progressione didattica se ci troviamo davanti ad un allievo poco mobile.

Corse ad ostacoli. Stretching statico in posizione da ostacolista

Classico esercizio di stretching statico denominato “da ostacolista”: un arto inferiore è teso a terra con piede perpendicolare al terreno mentre l’altro è ruotato in fuori a ginocchio flesso e piede in flessione plantare (angolo fra le cosce 90°). Il busto è perpendicolare al terreno e gli arti superiori opposti a quelli inferiori

 

[su_slider source="media: 25137,25136,25135,25134" limit="4" link="post" width="240" height="200" title="no" pages="no"]Un esempio di sequenza su come trasformare un esercizio di stretching statico in uno dinamico adattato alla situazione. Gli arti superiori mimano l’azione che hanno durante la corsa, quando il busto si flette in avanti l’arto opposto alla gamba tesa si allunga in avanti, come in fase di valicamento della barriera, per poi tornare con il gomito alto dietro. 

[su_slider source="media: 25142,25141,25140,25139,25138" limit="5" link="post" width="240" height="200" title="no" pages="no"]Un altro esempio di come rendere dinamico un esercizio statico: si tratta di un cambio di gamba nella posizione da ostacolista. L’azione del tallone permette di non far strisciare il piede per terra nel cambio gamba. Il busto è perpendicolare al terreno e le braccia si muovono alternate

La parte di mobilità può proseguire con esercizi analitici con gli ostacoli: questo non solo se l’atleta dovrà affrontare una seduta di tecnica o ritmica ostacoli, ma in qualsiasi circostanza, in modo da potenziare la propria mobilità. Molto importante in questa circostanza è allenare sia gli ostacolisti veloci che quelli del giro di pista ad esercizi bilaterali: nei 400isti sarà determinante nel caso di una ritmica pari, mentre nei 100isti aiuterà innanzitutto ad un bilanciamento posturale ed in secondo luogo ad una progressione della mobilità generale.

Mobilità dinamica hs 1 Mobilità dinamica hs 2 Mobilità dinamica hs 3
Un esercizio analitico di prima gamba che permette di aumentare la stabilità del corpo in equilibrio monopodalico e di flettere l’arto inferiori con angoli simili a quelli dell’attacco dell’ostacolo. Il corpo partendo dal piede fino alle spalle forma una linea verticale

 

Durante il riscaldamento si possono dedicare 5’ di esercizi di “core stability”, se precedentemente sono state fatte sedute anche esclusive per insegnare al soggetto i fondamenti di questa pratica.

Plank sui gomiti

Plank sui gomiti

 

Side-Plank sui gomiti

Side-Plank sui gomiti

 

 

L’approccio graduale permette non solo di mettere l’atleta nelle condizioni di saper eseguire questa serie di esercizi, ma anche di aumentare progressivamente il carico (numero di serie, secondi dell’esercizio, passaggio da “statico” a “dinamico”), senza sovraccaricare le strutture.

[su_slider source="media: 25157,25158,25159" limit="3" link="post" width="240" height="200" title="no" pages="no"]Passaggio da un esercizio statico di core stability ad uno dinamico senza modificare la posizione di partenza

Le andature, eseguite prima di passare al corpo centrale dell’allenamento perfezionano il riscaldamento. È bene variare gli esercizi, alternandoli, in modo da non abituare l’atleta e a fare in modo che il livello di attenzione non cali, così come l’attivazione neuro-muscolare. È da preferire l’erba, dove possibile, sia per il riscaldamento che per le andature: questo perché è un tipo di terreno più morbido sia di alcune pista che dell’asfalto. In questo modo i tendini e le strutture del piede non rischiano di soffrire di tendiniti o microfratture che condannano l’atleta ad un lungo periodo lontano dalla pista.

Il corpo centrale dell’allenamento, indipendentemente dal tipo di lavoro (lavoro di corsa, di ritmica ostacoli, di pesi, di recupero) deve essere affrontato al massimo anche dal punto di vista nervoso: la focalizzazione su ciò che bisogna fare permette così di impedire che la fatica o la stanchezza siano la causa di infortuni considerati “stupidi”, cioè che scaturiscono dalla disattenzione. Ecco un esempio di distorsione di una caviglia durante una seduta di tecnica di ostacoli: il piede non è “pronto” alla discesa dell’ostacolo perché l’atleta sta semplicemente eseguendo un altro esercizio di una serie e non l’esercizio. L’allenatore, che precedentemente ha curato l’allenamento, deve preoccuparsi di analizzare i feed-back dell’atleta durante la sua esecuzione: l’allenamento risulta “non allenante” se l’atleta viene sovraccaricato o se la sua esecuzione si discosta da quella consueta, quindi aumenta il rischio di infortunio.

Al termine dell’allenamento è bene concludere con un defaticamento sia a livello fisico che psicologico: corsetta lenta ed esercizi di stretching, questa volta statico, permettono un rilassamento globale dell’atleta. In base alla seduta di allenamento affrontata, sono normali dolori localizzati tardivi ai distretti muscolari interessati (cosiddetti DOMS) quindi sia l’atleta che l’allenatore non devono preoccuparsi o frenare la preparazione per questi indolenzimenti. Differentemente se persistono o se non sono giustificati, qualche giorno di riposo ed una visita da uno specialista non guastano, anzi giovano sicuramente ad un intervento tempestivo e dunque ad un recupero tempisticamente efficace.

Questo avviene quando ci troviamo davanti ad un atleta maturo, con un ampio bagaglio motorio che permette così di variare i metodi e le modalità di allenamento nel corso dell’anno o delle stagioni. L’elemento fondamentale per ogni buona programmazione di allenamenti rimane la progressività del carico: in questo modo, grazie alla verifica tramite test dei parametri essenziali per la performance (prove di potenza lattacida per i 400isti e di velocità per gli ostacolisti veloci) l’allenatore può variare la natura dell’allenamento, orientandolo verso le carenze.

I test elencati nel capitolo precedente, come valutazione dello stato di competenze iniziali dell’atleta, possono essere somministrati con scadenze mensili come verifica del lavoro svolto e dunque utilizzabili come indice di riferimento di possibili miglioramenti.

  

BIBLIOGRAFIA

Fidal-Centro studi & ricerche (1999). Il manuale dell’istruttore di atletica leggera (pp. 113-134)

Dal Monte, M. Faina (1999). Valutazione dell’atleta, UTET (pp.337-341)

Weineck (II edizione italiana 2009). L’allenamento ottimale, Calzetti-Mariucci editori (pp.53-59)

P.Zeppilli (III edizione 2011). Manuale di medicina dello sport, Casa Editrice Scientifica Nazionale (pp.201-249)

Pirola (ristampa 2012). Cinesiologia, il movimento umano applicato alla rieducazione e alle attività sportive, Edi-Ermes

Peggy A. Houglum (Third ediction). Therapeutic exercise for musculoskeletal injuries (pp.370-374)

E.E.Arakeljan, E.A.Razumovskij, L.A.Chereneva (1989). La corsa ad ostacoli, da LEGKAJAATLETIKA: manuale di Atletica Leggera per gli Istituti di Cultura Fisica dell’URSS. Ed. Fiskultura i Sport, Mosca. Traduzione a cura di L.Bagoli

MATERIALE TRATTO DA CONVEGNI

Gli ostacoli in Italia e nel mondo, Torino 23 marzo 2014. Con Eddy Ottoz, Maria Caravelli, Marcello Ambrogi, Roberto Bedini, a cura di Officina Atletica (sito internet www.officinaatletica.blogspot.it)

Dall’analisi biomeccanica delle corse di velocità e ostacoli alla pratica sul campo, Saronno 29-30 marzo 2014. Con Vincenzo De Luca, a cura di FIDAL Lombardia

La prevenzione degli infortuni in atletica leggera, dalla teoria alla pratica. Chiari 7 dicembre 2013. Con Maurizio Tripodi, a cura di Officina Atletica


RINGRAZIAMENTI

Ringrazio il mio relatore, professor Botton per avermi dato la possibilità di sviluppare il mio elaborato e il professor Tripodi per avermi sostenuto durante la stesura dello scritto.

Desidero ringraziare profondamente i miei genitori che mi sostengono ogni giorno in ogni scelta della mia vita e i miei fratelli che con le loro famiglie mi fanno sentire supportata e amata.

Ringrazio anche il mio allenatore e i miei compagni di allenamento, con cui condivido fatica e passione per raggiungere ogni traguardo della carriera sportiva e accademica.

Infine un sentito grazie ai miei amici d’infanzia che, nonostante le diverse strade intraprese, non smettono di dimostrarmi la loro amicizia.

 

Di Michela Pellanda

michela pellanda

Michela Pellanda

Laureata in Scienze Motorie
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Filed Under: Corsa a ostacoli, Infortuni, Infortuni nella corsa Tagged With: 100 ostacoli, 110 ostacoli, 400 ostacoli, core, infortuni, Michela Pellanda, mobilità, ostacoli, prevenzione infortuni, Scienze motorie, Stretching, tesi di laurea

Gli infortuni in atletica leggera

16 Luglio 2016 by Redazione

Prevenzione infortuni

Cos’è l’infortunio sportivo?

A volte si pensa all’infortunio solo quando si parla di eventi gravi che comportano un non breve allontanamento dell’atleta dai campi di gioco, mentre non vengono in mente quelle singole sedute di allenamento saltate per colpa di quel dolore o di quel malessere temporaneo dell’atleta.

Possiamo dire che l’infortunio nello sportivo é: un evento che destabilizza lo stato di salute dell’atleta (è tutto ciò che limita la possibilità di gareggiare o di allenarsi come programmato).

Quindi vi invito a riflettere bene su quanti sono gli infortuni che, magari, non avete considerato tali.

Fatte queste considerazioni cominciamo a fare i conti con le discipline dell’atletica leggera.

Infortuni ed atletica leggera

I pochi dati epidemiologici in materia di infortuni in atletica ci dicono molto degli infortuni di grande entità, che accadono soprattutto durante le gare, ma non ci dicono molto degli infortuni che accadono lontani dai campi gara, ma che posso danneggiare comunque o la preparazione alla gara o la prestazione stessa. io sono dell’idea che, la maggior parte degli infortuni delle nostre discipline nascano durante l’allenamento.

Da poco sono state stilate delle linee guida internazionali per la registrazione dei dati epidemiologici degli infortuni in atletica leggera (qui il link), questo permetterà di comprendere di più quali sono realmente le cause più frequenti di infortunio nelle nostre discipline.

Per ora ci dovremo accontentare di parlare di prevenzione dell’atleta, aspettando di avere dati relativi alle singole discipline.
gli infortuni posso essere i più disparati.

Per cercare di fare un pò di ordine potremmo cominciare a classificali in questo modo, per evento causale:

  • Da trauma, esempio arrivo su materasso sbagliato o una chiusura di salto in lungo errata
  • Da contatto, causati dal contatto con un altro atleta oppure uno strumenti di gioco fermo (ostacolo) oppure mobile (disco)
  • Da non contatto, spesso sono problemi muscolari o distorsioni articolari
  • Da sovrallenamento, non confondetelo con il solo overtraining, cioè con un esagerazione della quantità di carico di lavoro, pensate anche quando un infortunio e causato da un allenamento svolto in maniera scorretta, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, oppure da un allenamento programmato in maniera grossolana e senza tenere conto di tutti gli aspetti, questo può portare alla lunga ad un infortunio.

Gli attuali dati ci dicono che la maggior parte degli infortuni nel quale incappiamo più frequentemente sono da non contatto e da sovrallenamento.

Noi come allenatori, per prevenire questi eventi, dobbiamo pensare a molti aspetti: una corretta programmazione del lavoro,una corretta alimentazione dell’atleta, una buona idratazione, ecc… gli aspetti sono cosi tanti che nessun allenatore può pretendere di tenerli tutti sotto controllo, per questo penso che un team di allenatori in grado di valutare aspetti diversi del singolo atleta sia il modo migliore di poter prevenire spiacevoli inconvenienti.

Maurizio Tripodi

Prof. Maurizio Tripodi

Laureato Magistrale Scienze Motorie | Professore Università Cattolica di Milano
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I fattori contribuenti il medio gluteo

31 Luglio 2015 by Redazione

Il medio gluteo è composto da tre segmenti separati: anteriore, medio e posteriore. Le porzioni anteriore e media contengono fibre a direzione longitudinale verticale, originando dalla cresta iliaca anteriore ed inserendosi sul gran trocantere. La porzione posteriore contiene invece fibre a decorso orizzontale in linea con il collo femorale. Le fibre posteriori del medio gluteo sono state descritte quali primarie stabilizzatrici della testa femorale all’interno dell’acetabolo durante i trasferimenti di carico, contribuendo inoltre alla rotazione esterna del femore in rapporto ad una pelvi stabile.

È stata inoltre riportata l’importanza del gluteo medio-posteriore durante le attività di affondo e di salto dal momento che l’altro muscolo fondamentale dell’anca, il grande gluteo, non è in grado di produrre sufficiente forza in rotazione esterna con angoli di flessione d’anca maggiori di 60°: con angoli di flessione d’anca superiori a 60° si nota infatti uno shift delle fibre del grande gluteo in direzione anteriore all’asse di rotazione dell’articolazione stessa, trasformando di fatto tali fibre in rotatori interni a discapito della loro funzione stabilizzatrice. Di conseguenza gli unici muscoli capaci di adempiere a tale funzione rimangono le fibre posteriori del medio gluteo e i rotatori esterni profondi dell’anca.

SE POSSIBILE EVITARE LA FLESSIONE…
La maggior parte degli esercizi per il medio gluteo utilizzano esercizi con un certo angolo di flessione d’anca. Un braccio di leva più corto con l’anca posta invece in estensione cambia l’angolo di trazione del medio gluteo, richiedendo in questo modo un maggior sforzo da parte di questi muscoli abduttori e reclutando così un maggior numero di fibre per contrastare la forza di gravità. È stato riportata, in aggiunta, una concomitante debolezza del medio gluteo e una contemporanea tendinite dell’ileopsoas in pazienti sottoposti ad esercizi con l’anca in flessione.

IL DROP LEG TEST
Il Drop Leg test viene eseguito con il paziente in decubito laterale. Il terapista abduce passivamente la gamba sovrastante portandola al massimo range articolare in abduzione e successivamente in estensione di 20°. Mantenendo la gamba in estensione-abduzione, viene chiesto al paziente di mantenere esattamente tale posizione una volta che il terapista toglierà il proprio supporto manuale. Ponendo l’arto in estensione (oltre che in abduzione) viene aumentata la sensibilità del test nell’identificare deficit muscolari non individuati invece valutando il muscolo con l’anca in neutra o addirittura flessa!

Con una debolezza delle fibre posteriori del medio gluteo si noterà un’incapacità del paziente nel mantenere la gamba nella posizione abdotta-estesa, con una caduta (drop) della stessa di qualche grado/centimetro.

Drop Leg Test

Figura 1. Drop Leg test: la gamba viene abdotta passivamente fino alla fine del suo range, quindi estesa di 20°; viene così chiesto al paziente di mantenere tale posizione attivamente

Gli esercizi per il rinforzo del gluteo medio posteriore dovrebbero enfatizzare la rotazione esterna, aumentando in questo modo l’attivazione del muscolo stesso così come quella dei rotatori profondi dell’anca e del grande gluteo; dovrebbe essere esclusa al contrario la flessione d’anca. La giustificazione di questo accorgimento risiede nel frequente riscontro di tendiniti/sovraccarico dell’ileopsoas in pazienti con problematiche d’anca.

 

ESERCIZI PER IL RINFORZO DI MEDIO GLUTEO, GRANDE GLUTEO E ROTATORI ESTERNI D’ANCA

 

Medio Gluteo, figura 2

Figura 2. Fase I: ponte in bipodalica (A), rotazione esterna con il ginocchio in appoggio su uno sgabello (B), appoggio monopodalico su un gradino (C), estensione d’anca da prono per il grande gluteo (D)

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Medio Gluteo, figura 3

Figura 3. Fase II: sollevamento di gamba e braccio opposto in quadrupedia (A), step laterali (B), estensione d’anca in carico con pulley/elastico (C), rotazione esterna in carico con pulley/elastico (D)

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medio gluteo figura 4

Figura 4. Fase III: ponte in monopodalica (A), scivolamenti contro il muro in abduzione/estensione (B), ponti laterali(C)

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A cura di Matteo Pinelli

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Prevenzione degli infortuni in atletica

6 Maggio 2015 by Redazione

Cosa vuol dire prevenire gli infortuni in atletica leggera?

Prima di entrare nel merito degli infortuni sportivi, e ancor di più nello specifico degli infortuni più frequenti nelle discipline dell’atletica, dovremmo partire da quello che è il concetto più ampio della prevenzione.

La prevenzione è l’insieme di azioni finalizzate a ridurre il rischio, ossia la probabilità che si verifichino eventi non desiderati.

In molti ambiti si parla di prevenzione, ad esempio si sente spesso parlare di prevenzione sulle strade, e quando se ne parla si discute di come poter ridurre il numero di incidenti con la consapevolezza che è impossibile ridurli del 100%, l’imprevisto esiste sempre. Quindi quando si parla di prevenire degli infortuni, non si può pensare di poterli eliminare, perchè i rischi esistono sempre, l’unica cosa che si può fare è cercare di ridurre i rischi il più possibile.

Lo sport agonistico è una attività che possiede in se molti rischi, questo perché ci obbliga a richiede il massimo esprimibile al nostro sistema di movimento.
Tutti i nostri apparati vengono portati all’esasperazione per poter raggiungere la prestazione voluta, questo porta in automatico ad un aumento del livello di rischi.
Per tornare ad un parallelismo con l’automobile, anche la formula1 e uno strumento esasperato per gareggiare, infatti si rompe più facilmente delle nostre utilitarie.

Ora definiamo meglio cos’è un infortunio nel mondo dello sport.

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Cos’è l’infortunio sportivo?
A volte si pensa all’infortunio solo quando si parla di eventi gravi che comportano un non breve allontanamento dell’atleta dai campi di gioco, mentre non vengono in mente quelle singole sedute di allenamento saltate per colpa di quel dolore o di quel malessere temporaneo dell’atleta.

Possiamo dire che l’infortunio nello sportivo é: un evento che destabilizza lo stato di salute dell’atleta (è tutto ciò che limita la possibilità di gareggiare o di allenarsi come programmato).

Quindi vi invito a riflettere bene su quanti sono gli infortuni che, magari, non avete considerato tali.

Fatte queste considerazioni cominciamo a fare i conti con le discipline dell’atletica leggera.

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Infortuni ed atletica leggera
I pochi dati epidemiologici in materia di infortuni in atletica ci dicono molto degli infortuni di grande entità, che accadono soprattutto durante le gare, ma non ci dicono molto degli infortuni che accadono lontani dai campi gara, ma che posso danneggiare comunque o la preparazione alla gara o la prestazione stessa. io sono dell’idea che, la maggior parte degli infortuni delle nostre discipline nascano durante l’allenamento.
Da poco sono state stilate delle linee guida internazionali per la registrazione dei dati epidemiologici degli infortuni in atletica leggera (qui il link), questo permetterà di comprendere di più quali sono realmente le cause più frequenti di infortunio nelle nostre discipline.

Per ora ci dovremo accontentare di parlare di prevenzione dell’atleta, aspettando di avere dati relativi alle singole discipline.
gli infortuni posso essere i più disparati.

Per cercare di fare un pò di ordine potremmo cominciare a classificali in questo modo, per evento causale:

  • Da trauma, esempio arrivo su materasso sbagliato o una chiusura di salto in lungo errata
  • Da contatto, causati dal contatto con un altro atleta oppure uno strumenti di gioco fermo (ostacolo) oppure mobile (disco)
  • Da non contatto, spesso sono problemi muscolari o distorsioni articolari
  • Da sovrallenamento, non confondetelo con il solo overtraining, cioè con un esagerazione della quantità di carico di lavoro, pensate anche quando un infortunio e causato da un allenamento svolto in maniera scorretta, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, oppure da un allenamento programmato in maniera grossolana e senza tenere conto di tutti gli aspetti, questo può portare alla lunga ad un infortunio.

Gli attuali dati ci dicono che la maggior parte degli infortuni nel quale incappiamo più frequentemente sono da non contatto e da sovrallenamento.

Noi come allenatori, per prevenire questi eventi, dobbiamo pensare a molti aspetti: una corretta programmazione del lavoro,una corretta alimentazione dell’atleta, una buona idratazione, ecc… gli aspetti sono cosi tanti che nessun allenatore può pretendere di tenerli tutti sotto controllo, per questo penso che un team di allenatori in grado di valutare aspetti diversi del singolo atleta sia il modo migliore di poter prevenire spiacevoli inconvenienti.

Io non ho la pretesa di poter sapere di tutti questi aspetti, e per questo ringrazio questa iniziativa “ilCoach“, credo che l’incontro delle conoscenze possa essere l’unico luogo dove possa nascere quel sapere necessario ai nostri atleti per competere ad alto livello, non solo nazionale.

 

Attraverso questa iniziativa:

  • toccheremo più argomenti riguardanti problematiche frequenti in atletica leggera e metodologie di allenamento utilizzate al fine di prevenire gli infortuni;
  • parleremo dei possibili modi di misurare il rischio di infortuni o valutare i possibili campanelli d’allarme, e degli aspetti qualitativi che ogni allenamento richiede. Le evidenze scientifiche applicate sono l’unica cosa che può portarci a migliorare il servizio ai nostri atleti

Spero che questa iniziativa possa essere formativa per tutti, e vi invito a contattarmi per eventuali richieste o domande.

 

Maurizio Tripodi

 

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Se sei interessato a questi argomenti visita la nostra sezione infortuni

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