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Darcy Ahner, intervista alla coach di salto in alto della UCSD

25 Settembre 2016 by Redazione

Darcy-Anher3

In questa intervista, Robert Marchetti che ringraziamo per la gentile concessione alla traduzione (l’originale è qui), discute con Darcy Ahner, capo allenatore alla UCSD (Università di San Diego) alcuni aspetti fondamentali del salto in alto. Noi intendiamo sottolineare, prima ancora dell’aspetto tecnico (si sa, gli americani non tradiranno mai la loro impostazione e fama di incalliti biomeccanici), una forma mentis che traspare da questi articoli (si veda anche quello sull’allenamento della tecnica nel salto in lungo), che vorremmo in qualche modo o in qualche parte passasse nel nostro piccolo/grande mondo. In primo luogo la grande disponibilità a cercare di fare rete condividendo idee ed esperienze, in secondo luogo, ma non ultima per importanza, la disarmante propensione a dichiararsi in debito verso i maestri, di riconoscere il portato di esperienza di atleti e colleghi. Certamente questa è l’immagine tipica di una comunità professionale al pari di altre tra le più evolute, comunità che vivono e si organizzano sulla base di una formazione continua, di crediti, di gruppi di discussione, di riconoscimenti tangibili.

ilCoach in questi giorni ha abbozzato una prospettiva, mettiamoci in movimento.

Buona lettura!

 

Intervista a Darcy Ahner, allenatrice di atletica della UCSD

Darcy Ahner è una delle migliori coach di salto in alto della NCAA, e i risultati sulla pista lo dimostrano. Lei ha allenato campioni a livello nazionale e avviato svariati saltatori uomini da oltre 2,10 e donne da oltre 1,80. L’abilità più riconosciuta a Darcy è la sua comprensione completa dei salti da un punto di vista biomeccanico, come pure la capacità di applicarne i principi ai suoi atleti. Molto spesso i suoi atleti raggiungono progressioni davvero ragguardevoli dal momento in cui entrano a far parte del suo programma.  

Prima che alla UCSD, Darcy ha allenato alla Northern Arizona, e alla University of New Mexico. Darcy Ahner si occupa anche dell’allenamento di atleti assoluti e paralimpici. 

Darcy Ahner

Darcy Ahner. Foto tratta dal profilo Linkedin di Robert Marchetti

 

Coach Ahner, grazie per aver trovato il tempo per questa intervista. Come hai cominciato ad allenare?

Darcy Ahner: Quando ho terminato la mia idoneità, il mio allenatore al college ha fatto l'offerta che si vede spesso nel nostro sport: "prova a gareggiare con meno intensità facendo allo stesso tempo da assistente allenatore." Così ho fatto, e ho capito che ero più brava da allenatrice che da atleta.

 

Chi ti ha aiutato di più nella fase di apprendimento del coaching? 

Darcy Ahner: Ho avuto alcuni grandi maestri quando ho frequentato per molto tempo e con una certa frequenza il Livello II della scuola di coaching.  Bob Meyers, Boo Schexneyder, Dan Pfaff, Rocky Light... solo per citarne alcuni.  

Lungo la strada ho raccolto tanti spunti da tanti buoni allenatori, ma soprattutto gli atleti mi hanno insegnato tantissimo.

 

Qual è il più grande fattore limitante per il miglioramento dei saltatore in alto a livello universitario?

Darcy Ahner: Se si dispone di un atleta motivato che ha tutti gli strumenti giusti, penso che il fattore che più incide sia di solito l'aspetto mentale.  Quando l’asticella viene posta davvero in alto, è la ferma convinzione al momento in cui si avvia la rincorsa a determinarne il successo, o forse anche la capacità di rimanere concentrati sull’esecuzione al punto tale da non lasciare spazio a dubbi.  

 

Nella tua metodologia di allenamento per i saltatori, quanto è importante lo sviluppo della velocità e dell’accelerazione nel programma di allenamento?

D. A.: Si tratta di una parte importante, ma credo in modo equilibrato. Credo che tutti gli aspetti dell’allenamento del Salto in alto quali velocità assoluta, velocità in curva, la forza applicata al salto, la forza assoluta, la tecnica, la necessità di un recupero mentale e consapevole devono essere parte dell'intero processo di allenamento.  

 

Riesci a mettere in evidenza i fondamenti chiave di una buona curva di nella rincorsa del salto in alto?

Darcy Ahner:

  • La fase rettilinea è di forza – sicura dalla testa ai piedi

  • Il piede rimbalzante e attivo sotto il centro di massa

  • Mantenere una inclinazione equilibrata nella fase di velocizzazione e in curva

  • Allineamento del piede

  • Lieve inclinazione del lato destro (per chi salta di sinistro e viceversa) sapendo mantenersi in velocità

  • Essere pazienti con la velocità nella transizione da fase rettilinea alla curva

  • Il ritmo verso lo stacco viene stabilito negli ultimi quattro appoggi in curva

 

Coach, descriva per noi il modello di una buona fase di stacco, da due angolature diverse se si vuole... La prima, che cosa dovrebbe cercare l'allenatore per quanto concerne la meccanica e da un punto di vista antropometrico? 

Darcy Ahner: Credo che gli allenatori spesso definiscono la fase di stacco per gli ultimi 2 appoggi (il penultimo e quello di tutta pianta) e il decollo vero e proprio, ma tutto sembra troppo interrelato ai miei occhi per non includere gli ultimi tre se non quattro appoggi prima dello stacco.

Io ricerco questa situazione:

  • Il mantenimento delle posizioni del corpo  stabilite in curva (vedi sopra) alti, inclinati verso l'interno, piede attivo sotto il CdM, allineamento del piede (cioè senza “uscire” nel penultimo appoggio)

  • Un buon ritmo allo stacco  grazie a una rapidità crescente degli ultimi quattro appoggi (1-2 pausa 3-4)

  • Quindi, forte impulsto sull’appoggio di stacco (fase tra terzo e ultimo appoggio)     per ottenere una buona oscillazione dell'anca e rimanere in spinta, anche per spostare il bacino con forza sull’appoggio di pianta.

  • Il CdM viene abbassato negli ultimi 4 appoggi e avanza decisamente,   senza balzare durante il penultimo

  • Il penultimo appoggio del piede si conforma come un rapido movimento di spinta in rotazione per mantenere la velocità durante lo stacco invece di caricare il piede e spezzarne il dinamismo. (L’uscita dalla traiettoria è solitamente il problema maggiore di questa fase)

  • La gamba di stacco è rapida, il bacino è rialzato ed allineato precisamente su di essa
  • Il movimento del ginocchio è stretto e veloce, tale da portare in alto la coscia fino a raggiungere il naturale punto di blocco  *    Le braccia (sia entrambe che singolarmente) lavorano intorno a un busto statico, leggermente lontano dal corpo per generare equilibrio nella torsione. I pollici verso il basso, il petto rimane aperto e si estende per creare una risposta riflessa

  • Gli ultimi due passi non sono paralleli all’asticella ma piuttosto formano una leggera inclinazione rispetto l'angolo posteriore del materasso. 

 

In secondo luogo, che cosa dovrebbe sentire l’atleta nella fase di stacco e come affrontarla?

Darcy Ahner: Dipende completamente dall'atleta e da qual è il problema che si sta tentando di correggere.    

Qualunque cosa si stia tentando di correggere nello stacco, in genere è necessario capirne la causa e lavorare su ciò che sta generando il problema. A volte tuttavia funziona anche soltanto dire loro dove vuoi farli arrivare, saranno loro a trovare un modo per arrivarci e impostare tutto al meglio.  

Penso che una delle grandi differenze tra la visione del coach e dell’atleta  è che ci sono così tante situazioni che intervengono per come si sente da dentro o si vede dall’esterno il caricamento e l’alleggerimento nella gestione del penultimo passo e dello stacco.  Un atleta può compiere un ottimo penultimo semplicemente pensando di percepire una transizione, mentre altri hanno bisogno di percepire una azione di recupero.  

Nello stacco alcuni prediligono pazientare fino a caricare solo dopo che si sentono attivi sull’ultimo appoggio, altri rovineranno tutto se cercano quella sensazione, devono quindi pensare ad una azione quanto mai rapida.  Si tratta proprio di riuscire a mantenere tutte le cose al loro posto, ma il punto di partenza è il raggiungimento di posizioni e ritmo giusti, il fatto di arrivare ad avere a che fare con la complessità dello stacco è segno che si è arrivati a un buon livello.  

Darcy Ahner

Darcy Ahner. Foto tratta dal profilo Linkedin di Robert Marchetti

 

 

Proviamo a discutere sulla grande differenza nella biomeccanica dei salti di tanti atleti. Quali tipi di movimenti categorizzeresti da una parte come "stile" o "manierismo",  e quali gli aspetti della forma che non possono andare a discapito dell’efficienza?

Darcy Ahner: Wow. Questa domanda mi esalta perché sento che potrei scrivere un libro su come nel mondo del salto in alto diversi atleti lavorano sui loro punti di forza e di debolezza.  La risposta breve è che tutti hanno bisogno di incanalare la velocità entro una forte azione di stacco partendo da una rincorsa pulita e inclinata, mantenendo quella inclinazione fino a quando il caricamento eccentrico viene completato.  Al decollo vero e proprio ci sono un sacco di modi per crearsi dei problemi nella fase di volo, ma se i problemi li crei lì, di solito si finisce per saltare comunque abbastanza in alto.  

 

In che quantità il vostro programma di allenamento si compone di pliometria, e come si sono evolute le tue idee su questo punto da quando hai cominciato ad allenare? 

Darcy Ahner: Il modo in cui si sono evolute le mie idee sugli esercizi di pliometria hanno determinato la mia convinzione circa la loro criticità, ti possono dare il salto di qualità ma possono anche rivelarsi dannosi. È una metodologia che continuo a studiare. È una parte davvero importante della fase di preparazione, ma una volta che si inizia a lavorare sulla tecnica di salto un paio di volte a settimana, il lavoro di pliometria comincia a diminuire.  Ancora una volta ragiono in termini di un programma equilibrato. 

  

Come lavori sulla salute degli atleti? Quali sono le chiavi per evitare o prevenire gli infortuni? 

Darcy Ahner: La risposta migliore che mi sono data su questo punto è ottenere che i tuoi atleti capiscano davvero che hanno bisogno di ascoltare il loro corpo e che devono sentirsi atleti 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.  Ciò che fanno dopo l’allenamento è altrettanto importante, se non di più, di ciò che fanno quando sono in pista. Nel mio caso avendo a che fare con atleti universitari, la gestione del sonno è il più grande problema.  

 

Qual è il tuo consiglio ai giovani allenatori? 

Darcy Ahner: Ascoltare gli atleti e imparare da essi.  Loro sono i vostri insegnanti migliori. Troppo spesso gli allenatori sentono come se dovessero fornire tutte le risposte. Gli atleti hanno le risposte! Devi solo aiutarli a rendersi conto di ciò. Inoltre, non si cerchi il colpo ad effetto, ma piuttosto badino di assicurarsi che gli atleti abbiano i fondamentali.

Grazie, Coach!

--

Nota aggiuntiva: La biografia di Darcy Ahner presso la UCSD si trova qui.

Matteo Rozzarin

Matteo Rozzarin

Istruttore Fidal | Traduttore
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Alessandro Vigo: da Strambino a Phoenix, passando per il Kuwait per lavorare come allenatore!

21 Settembre 2016 by Redazione

AlessandroVigo-0-orizz

Da quasi un anno seguiamo con estremo interesse, soprattutto tramite il suo profilo Instagram, il lavoro svolto da Alessandro Vigo, allenatore dal 2012 presso l’ASD Atletica Strambino (anche se ufficiosamente inizia all’ Atl. Strambino nel Dicembre 2007 come assistente alle categorie esordienti e ragazzi...) , dal 2015 si trasferisce in Kuwait presso lo SPARK Athletic Center, centro sportivo futuristico a Shuwaikh in Kuwait. Da sempre sul suo profilo Alessandro condivide interessanti spunti video degli allenamenti che fa eseguire ai suoi clienti.

Alcune settimane fa ha inoltre conseguito la prestigiosa certificazione CSCS della NSCA (National Strength & Conditioning Association), dopo aver preparato e sostenuto l’esame della NCSA USA completamente in lingua inglese. Abbiamo scoperto che dal 24 settembre si trasferirà a Phoenix (USA) al quartier generale dell’ALTIS, uno dei centri di preparazione atletica più prestigiosi del mondo (diretto da Dan Pfaff e dove si allena il vice campione Olimpico a Rio 2016 nei 200 metri Andre De Grasse.)

Visto il nostro interesse verso questo centro abbiamo chiesto ad Alessandro di farci conoscere periodicamente la sua esperienza in Arizona. Partiamo conoscendo meglio Alessandro con una breve intervista…

 

Ciao Alessandro, intanto complimenti per i traguardi raggiunti fino ad ora. Raccontaci un po’ il tuo percorso “sportivo e formativo” che ti ha portato in questi anni ad intraprendere esperienze davvero interessanti?

Ciao Andrea, grazie a te e al team de ilCoach.net per i complimenti e l’attenzione rivoltami.
Sin da ragazzo sono stato coinvolto in attività sportive da una famiglia che mi ha guidato e motivato a ottenere il meglio nello sport come nello studio. Una figura fondamentale nel mio avvicinamento all’Atletica Leggera è rappresentata dal prof. Gian Vittorio Icardi, insegnante di Educazione Fisica, fondatore dell’ ASD Atletica Strambino e mio allenatore con il quale passai il mio primo ostacolo correndo su un piazzale asfaltato nel 1996. Donovan Bailey e Michael Johnson sono i miei eroi di quell’estate. Loro mi aiutano a prendere definitivamente la strada dell’Atletica fino a quel momento condivisa con il calcio. Ho corso a buoni livelli fino alla stagione 2005, quando l’amore per l’Atletica è tristemente venuto meno. Tutte le grandi storie d’amore si sporcano di dramma ad un certo punto. Piccoli problemi personali ed un po’ di rabbia giovanile mi tengono lontano dalla pista per circa due anni. É bastato poi un niente a farmi capire che probabilmente era solo il momento di passare dall’altra parte, di provare a diventare un allenatore. Mi riavvicino all’ASD Atletica Strambino, letteralmente casa e famiglia, e comincio il mio percorso.

Accademicamente parlando non ho avuto uno degli andamenti più lineari, costantemente a cavallo tra discipline scientifiche e artistiche. L’ambiente universitario è forse stato una delle prime cause di voglia d’evasione all’estero. Constatare che alcuni tra i volumi considerati dogmi del sapere sportivo datano gli anni ’60 come prima edizione mi ha fatto riflettere sul da farsi. Con questa affermazione non voglio apparire come un rivoluzionario progressista a priori; proprio pochi giorni fa ho commentato cosí la critica mossa all’età media del gruppo tecnici a un raduno estivo: “Gli ingredienti per andare avanti sono l’esperienza dei più anziani mista all’entusiasmo e alla sperimentale inesperienza dei più giovani.”
Detto questo, parecchie volte nei miei primi anni in pista mi sono trovato davanti a metodi e protocolli che avevano come fondamento il “si è sempre fatto cosi e non esiste meglio di cosi”. Questa attitudine conservativa da me non condivisa, e la voglia di fare più esperienza personale che ne deriva, sono stati i principali fattori che mi hanno portato a vivere questi splendidi anni.

 

 

Dal 2012 hai lavorato come allenatore presso l’ASD Atletica Strambino. Quale ruolo avevi e cosa ne pensi di questa esperienza?

Ufficiosamente inizio all’ASD Atl. Strambino nel Dicembre 2007 come assistente alle categorie esordienti e ragazzi. Nel 2012 porto assieme al mio collega Edoardo Errico il primo cadetto al Criterium Nazionale nei 100h dopo essere stato assegnato in specifico al settore delle corse veloci e degli ostacoli. Senza dubbio affermo che l’esperienza all’ASD Atl. Strambino rimane la più importante all’interno del mio percorso formativo. La ricchezza medio orientale degli ultimi anni mi ha dato la possibilità di avere quotidianamente a portata di mano macchinari ed attrezzature incredibili, di lavorare in un ambiente all’avanguardia sotto ogni aspetto, di avere la vita facile insomma. La vera ricchezza è però quello che ho imparato allenando su un anello da 200 metri a tre corsie in condizioni molto più complesse. Paradossalmente posso assicurare che questa sia stata la carta in più che mi ha fatto entrare in Altis. La domanda finale del primo colloquio con Phoneix racchiude perfettamente il concetto, mi chiesero: “Interessante la conoscenza di tutti questi mezzi cosi avanzati, ma raccontaci come alleni l’approccio al primo ostacolo di un 400h su un anello da 200 metri?”.
Sostanza, non fuffa.

Da circa un anno lavori come Personal Trainer presso lo SPARK Athletic Center in Kuwait. Cosa ti ha portato a trasferirti così lontano per lavorare? Hai trovato differenze con l’Italia nella cultura sportiva e dell’allenamento?

L’esperienza in Spark cominciata nel maggio 2015 segue una precedente esperienza di tre anni a Pechino, in Cina, che a sua volta fu preceduta da una breve peregrinazione europea e da una prima fuga negli Stati Uniti nell’estate 2007 cercando di pianificare un percorso scolastico da quelle parti. La ragione principale dietro a questa voglia di muoversi è l’affermarsi in ciò che si vuole fare della propria vita. In una parola: Crederci.

Non ho mai voluto rifugiarmi nel classico “in Italia c’è la crisi”, ho preferito cercare la mia strada. In specifico all’esperienza kuwaitiana, l’aspetto economico ha senza dubbio giocato un ruolo più che rilevante.
Le maggiori differenze riscontrate a livello di cultura sportiva derivano a parer mio dalla maggior modestia sulle piste d’Atletica di fronte a risultati che in Italia probabilmente coronerebbero d’alloro atleta e tecnico.
A riguardo, racconto questo aneddoto. Il 14 maggio 2016 ho assistito ad un 110h corso ad una temperatura folle, sopra i 40C. Due iscritti, nessuno sugli spalti. Deserto, in tutti i sensi. Chiudono in 13”53 e 13”55, e sapete che con 13”47 si va a Rio. I ragazzi dispiaciuti si avvicinano a me (sottolineo che non sono il loro tecnico, condivido semplicemente la pista con loro quotidianamente) e mi chiedono: “Coach, come è andata? Cosa ne pensa?”. Il loro tecnico si avvicina e in un miscela di arabo e inglese analizziamo la corsa filmata sul mio iPhone. Uno splendido momento di scambio, arricchimento e formazione che sfortunatamente non sono mai riuscito a vivere in Italia. Ma la storia non finisce qui. I ragazzi s’incamminano verso il fondo del rettilineo. Con meno di 10’ di recupero corrono un 100m in 10”50 circa assieme ad altri tre ragazzi che si uniscono. Sfortunatamente non si sono riusciti a qualificare per Rio, il Kuwait è stato interdetto dal Comitato Olimpico non potendo nemmeno gioire dell’oro di Fehaid Al-Deehan nel tiro al volo double-trap. Un caso di corruzione bello e buono come scrissi poco dopo la cerimonia di consegna della medaglia.

Una banale ma importante considerazione riguardo le differenze tra Italia e Kuwait riguarda la presenza e l’utilizzo di fondi da investire nel settore sportivo e ricreazionale. Gli imprenditori kuwaitiani stanno lavorando sodo per creare una realtà sportiva stabile in cui far crescere grandi nomi del futuro come già sta succedendo in Qatar. Le strutture sono davvero fantascientifiche, in Spark ad esempio avevo libero accesso ad un Parvo TrueOne 2400, ad una Monark AB 894E e per semplicemente riscontrare i valori di composizione corporea un BodPod Cosmed. Utilizzavamo diversi tapis roulant Woodway e qualsiasi “capriccio” era accontentato in qualche mese, nel mio caso specifico un Vertimax. Anche il concetto di formazione continua è molto importante, il datore di lavoro mette annualmente a disposizione 600 Euro circa per corsi e certificazioni. Ma come sempre l’investimento più importante sono le persone. Il mio gruppo di lavoro era composto di professionisti dal Sudafrica, Regno Unito, Spagna, Francia, Australia, Canada e Italia con un vastissimo spettro di specializzazioni, dal Culturismo alla Riabilitazione. Lavorando in continuo contatto con professionalità di alto livello è impossibile non sentirsi motivati al miglioramento.

 

CSCS. Da poco hai ottenuto la prestigiosa certificazione della NCSA USA. Quali difficoltà hai trovato nel conseguirla? Pensi ne sia valsa la pena dal punto di vista delle conoscenze acquisite? Consiglieresti ad altri di intraprendere lo studio per la CSCS?

La certificazione CSCS è certamente un ottimo biglietto da visita per chiunque voglia lavorare nell’ambito sportivo all’estero. A livello contenutistico non ci saranno grandi sorprese per chi ha alle spalle un percorso nelle Scienze Motorie. A me è molto piaciuto il taglio professionale e la descrizione in dettaglio del codice etico a cui il lavoratore nel settore sportivo deve aderire.
Sicuramente il maggior ostacolo avendo preparato e sostenuto l’esame in inglese è stato la lingua. Parlo inglese abbastanza bene dopo parecchi anni all’estero ma lo studio di termini tecnici e specifici è altra cosa. Nulla d’impossibile, ma bisogna impegnarsi. Essentials of Strength Training and Conditioning 4th Edition, il volume su cui é basato l’esame, é un ottimo manuale con cenni di anatomia e fisiologia; offre chiari esempi di programmazione dell’allenamento, con alcuni capitoli nuovi rispetto la terza edizione degni di nota come quelli sulla nutrizione e sul lavoro con attrezzatura non convenzionale, per certi versi simile a quello che sta proponendo Exos nei suoi corsi. L’esame è anche disponibile in lingua italiana appoggiandosi alla FIPE, non sono però sicuro se la traduzione in italiano della quarta edizione del manuale sia già disponibile.

 

A breve sarai all’Altis per uno stage di formazione. Cosa ti ha portato a prendere questa decisione coraggiosa? Cosa pensi di poter portare a casa da un’esperienza simile?

Personalmente non ritengo questa una decisione coraggiosa. Mi sono impegnato a scrivere una buona lettera raccontando perché avrei voluto diventare parte di Altis e ho cliccato il bottone d’invio. La descriverei una scelta ambiziosa più che coraggiosa. La voglia di vedere di persona cosa fanno questi splendidi atleti è stata la più grande spinta dietro alla decisione di provarci con Altis. La voglia di vedere cosa fanno davvero, nel minimo dettaglio.

Spero questa esperienza mi aiuti a diventare un tecnico migliore, più sicuro e più illuminato. Spero di poter rendere questa esperienza utile anche alle persone che saranno attorno a me. Spero di aiutare tanti atleti a raggiungere nuovi record personali. Spero che questa esperienza torni in futuro utile all’Atletica Italiana.
Tanti mi dicono che sono fortunato a poter fare queste esperienze, che lasciare l’Italia è una buona cosa perché qui non c’è nulla da perdere, che anche loro vorrebbero andare all’estero. Pochi vedono quanto difficile sia allontanarsi da famiglia, amici e colleghi.
Sogno un Altis a casa, in Italia, e a piccoli passi mi muovo verso quella direzione.

 

Hai qualche consiglio da dare, in base alla tua esperienza, agli allenatori e tecnici di atletica italiani?

La mia esperienza mi ha fatto apprendere principalmente una cosa: si cresce quando si condivide.
Condividere in dettaglio, non a livello generico. Non serve parlare di volume, periodo e intensità come entità spirituali. Quanto, quando, a quanto? Numeri. Programmi aperti. Il protezionismo che s’incontra già a livello regionale in Italia non porta da nessuna parte. Un protezionismo che in alcuni casi parte dalle categorie Cadetti, a parer mio totalmente assurdo. Al contempo consiglio di essere più autocritici ed essere aperti alla critica altrui, sempre che questa venga mossa in maniera positiva non distruttiva. Leggo i commenti di alcune pagine e blog d’Atletica e rimango sconcertato dalla ferocia e saccenza che traspare a volte. Nessuno in Italia ha al momento la verità in tasca, le ultime Olimpiadi hanno dato un chiaro verdetto.

Nel mio piccolo ho imparato ad affrontare il lavoro con sguardo critico (molto critico, vincendomi l’appellativo de “l’eterno insoddisfatto”) tenendo sempre in considerazione l’esperienza altrui, specialmente in presenza di tecnici con più ore di pista. Mi piace pensare all’allenatore come ad una sorta di Capitano d’Aviazione; più sono le ore di volo, maggiore è il livello d’esperienza. I giovani tecnici sono il parallelo dei Primi Ufficiali, meno esperti ma con potere decisionale in alcune situazioni. Il Capitano si deve fidare del Primo Ufficiale, consapevole del fatto che un giorno diventerà Capitano a sua volta. Il buon Capitano non ha segreti, condivide ogni singolo dettaglio sperando di formare a sua volta un Capitano ancora migliore.

 

 

Ringraziamo Alessandro per la disponibilità. Sentiremo ancora parlare di lui sul nostro, visto che ha deciso di raccontarci periodicamente la sua esperienza a Phoenix tramite la scrittura di alcuni articoli.

 

A cura di Andrea Dell'Angelo 

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Andrea Dell'Angelo

Sprint&Hurdles Coach | Fondatore e presidente ilCoach.net ASD
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Alberto Mazzucchelli, atletica e studi tra Bergamo e Nizza!!!

31 Gennaio 2016 by Redazione

Oggi intervistiamo Alberto Mazzucchelli, atleta bergamasco classe 1992, che veste i colori dell’Atletica Bergamo 1959. Buon atleta nel fondo e mezzofondo, vanta personali di 32’52”08 nei 10000 metri, 15’05”03 nei 5000 metri, 8’27”20 nei 3000 metri e  3’58”23 nei 1500 metri.

Alberto nel 2014 si è Laureato in Scienze Motorie e dello sport, all’Università Cattolica di Milano, con la tesi “Influenza della stiffness nella corsa prolungata”.

Terminati gli studi milanesi ha preso una decisione sicuramente coraggiosa, ma che sta diventando ormai sempre più frequente nei giovani italiani: si è trasferito all’estero per affrontare gli studi della specialistica.

Alberto si è infatti iscritto all’”Université de Nice Sophia Antipolis – STAPS Facilté des Sciences du Sport” nella quale sta frequentando il Master1 (l’equivalente della nostra magistrale), nel corso “Préparation Physique et Réathlétisation”

Per continuare ad allenarsi e a gareggiare in atletica ha deciso inoltre di tesserarsi per la società francese Nice Cote d’Azur Athlétisme (mantenendo anche il tesseramento per l’Atletica Bergamo)

Abbiamo deciso di fare due parole con lui per comprendere similitudini e differenze sia tra il mondo dell’Atletica che quello dell’Università di Scienze Motorie, tra due paesi tanto vicini come Francia ed Italia.

 

Ciao Alberto, raccontaci in pò da dove nasce la tua passione per l’atletica ed in particolare per il mezzofondo.

Provengo da una famiglia dove si respira sport da sempre e soprattutto di “baskettari”: mio fratello 21enne gioca in Serie B ad Orzinuovi, mio papà ha giocato da giovane fino a 20anni tra Serie B e C ed anche i miei zii hanno giocato a basket, mia mamma è sempre stata sportiva e dice che la corsa l’ho presa da lei dato che vinse una corsa campestre in una vacanza studio in Inghilterra quando era piccola; ovviamente iniziai a frequentare i primi allenamenti di  minibasket, in parallelo a quelli della scuola calcio, ma alla fine scelsi il calcio che praticai fino a 14anni. Con il termine della scuola media, vedendo che la squadra locale in cui giocavo composta da amici di una vita si stava un po’ sfaldando e i discreti risultati ottenuti nelle campestre con la scuola, decisi di provare ad iniziare a praticare atletica di cui sapevo ben poco tranne di una gara in cui si saltava nell’acqua (3000siepi). Quindi nel luglio 2006 andai al campo Coni di Bergamo per iniziare gli allenamenti e grazie all’aiuto di Martina Bombardieri (ex forte atleta giallorossa) entrai in contatto con Saro Naso, il quale, mi fece fare il più classico dei test sui 1000: 3’15” e un “hai fisico da mezzofondo”, senza sapere ancora il significato del termine “mezzofondo” ma contento di quel test, iniziai così la pratica di quello sport che oltre ad essere il più bello del mondo, farà parte della mia vita quotidiana incidendo sulle mie scelte di vita future.

Alberto Mazzucchelli in azione con la maglia dell'Atletica Bergamo 1959

Alberto Mazzucchelli in azione con la maglia dell’Atletica Bergamo 1959

L’atletica è la mia più grande passione, dalla quale voglio ottenere il massimo e attraverso la quale vivere più esperienze possibili, con gli allenamenti sono il giudice più severo di me stesso, ma oltre a praticarla mi piace molto parlarne e discuterne con amici quotidianamente in qualsiasi momento; ad esempio aiuto Alberto Stretti nella gestione della pagina facebook “Il Blog di Alberto Stretti”, seguo quotidianamente siti come: Flotrack, LetsRun, Run Blog Run e cerco di informarmi su come funzioni l’atletica nel mondo tramite twitter seguendo atleti/coach/gruppi d’allenamento.
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Circa 4 anni fa, terminate le superiori, hai deciso di iscriverti al Corso di Laurea in Scienze Motorie e dello sport dell’Università Cattolica di Milano, come mai questa decisione? Come valuti il percorso di studi che hai affrontato?

Proveniendo appunto da un famiglia di grande cultura sportiva e la mia passione per lo sport che è andata di anno in anno sempre più ad aumentare in parallelo con quella per l’atletica leggera, decisi di iscrivermi al Corso di Scienze Motorie presso l’Università Cattolica di Milano. Sono stati tre anni molto divertenti e proficui allo stesso tempo; ho conosciuto grandi professori sia dal lato lavorativo ed umano come: Maurizio Mondoni, Ennio Preatoni, Paola Vago ed Christel Galvani.

Con il passare del tempo capivo che la mia professione futura doveva essere assolutamente in ambito sportivo, riguardante la preparazione atletica di un certo livello e che quindi avrei dovuto impegnarmi per poter costruire il mio futuro professionale.
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Terminata la triennale hai deciso di trasferirti in Francia, più precisamente a Nizza per continuare gli studi magistrali presso l’Université de Nice Sophia Antipolis – STAPS Facilté des Sciences du Sport. Quali sono le motivazioni che ti hanno portato a fare tale scelta? Come mai non hai deciso di affrontare un percorso di studi simile nel nostro paese?

Preciso che nell’ottobre 2014, mentre terminavo i miei ultimi esami della triennale e con la laurea fissata a febbraio 2015, avevo iniziato a frequentare la specialistica presso l’Università Statale di Milano; ma vedendo (a mio parere) ancora che certi argomenti venivano trattati in generale e un mio scarso coinvolgimento/interesse verso queste materie, capiì che dovevo prendere in mano la situazione e guardarmi in giro.

Quando qualcuno mi pone la domanda:”Come mai non sei andato a Milano o non sei rimasto qui in Italia ?” io rispondo sempre:”Perché sarei dovuto rimanere?”; all’inizio del gennaio 2015 scrissi un’email alla società di atletica Nice Cote d’Azur Athlétisme chiedendo informazioni sulle possibilità di iniziare gli allenamenti da loro e spiegando quello che in quel momento sembrava essere soltanto un progetto di vita pianificato sul momento; vedendo la loro risposta carica di entusiasmo, decisi di cercare l’università di Scienze Motorie a Nizza e ad informarmi sui corsi che proponevano. Chiaramente appena vidi “Master 1 – Prépration Physique et Réathlétisation” e le relative materie, la scelta fu più che semplice ed immediata.

Nell’arco di due settimane decisi di non iscrivermi più alla specialistica di Milano ed una volta ottenuta la laurea triennale, avrei iniziato a mettere nero su bianco le mie idee per cominciare gli studi a Nizza.
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Quali differenze hai trovato nel sistema scolastico universitario Italiano e quello Francese, in riferimento alla Laurea in Scienze Motorie?

Ci sono moltissime differenze tra il sistema universitario francese e quello italiano, non solo nella laurea in Scienze Motorie; la differenza che sicuramente più fa colpo è il costo: una rata annua pressoché nulla rispetto al costo in Italia in un’università pubblica, ed inoltre sono a disposizione le residenze universitarie dove si paga una quota mensile per l’alloggio.

Simile alla scuola superiore gli esami vengono svolti durante il periodo delle lezioni e si ha solo una possibilità di effettuare l’esame, i voti vanno da 0 a 20 e la sufficienza parte da 10; al termine del semestre vengono pubblicati gli esiti degli esami e se la media del semestre è inferiore a 10, nelle prime due settimane di giugno c’è la sessione di recupero nel quale si è obbligati a rifare gli esami in cui si è insufficienti. L’università inizia a metà settembre e finisce ad aprile, quindi se si ottengono buoni voti ci si può rilassare; mentre se si dovrà recuperare diversi esami si ha il tempo necessario per studiare ed ottenere la media necessaria che ti permette di accedere all’anno successivo, altrimenti si ripete l’anno.

UFR Staps

Università di Nizza –  UFR Staps – Facilté des Sciences du Sport

Nel mio specifico caso di Master1, oltre agli esami, ad aprile abbiamo come una laurea chiamata “Mémoire” con una commissione che valuterà l’argomento trattato, la presentazione e nella quale bisognerà obbligatoriamente prendere la sufficienza altrimenti non si può accedere al Master2; non ammettere uno studente al secondo anno di specialistica teoricamente va contro il regolamento dell’unione europea infatti molti studenti ricorrono a vie legali e vengono ammessi, ma io punto decisamente ad ottenere l’ammissione senza ostacoli burocratici ottenendo la media richiesta.

Le materie le trovo, seppur difficili, molto interessanti e formanti verso il mondo del lavoro; materie come: Elettrofisiologia, Biomeccanica Muscolare, Fattori fisiologici/psicologici della performance, Preparazione alla performance, Performance-Salute-Nutrizion, Postura-Locomozione-Prevenzione, Scarpe&Attività Sportiva, Stress&Fatica, Metodologia di Valutazione, Strategia d’Intervento (infortuni-propriocezione), penso proprio che in Italia non le avrei mai affrontate; qui spingono molto a leggere articoli scientifici ed anazalizzarli, esempio: abbiamo dovuto fare una presentazione in PowerPoint davanti a tutta la classe su un articolo scientifico a nostra scelta, io ovviamente scelsi un argomento abbastanza complicato da spiegare in tempo limite di 5’ in francese “Running biomechanics: Shorter heels, better economy” ed la “Mémoire” sarà molto simile a questo, sia come argomento che come modalità di presentazione.

Altra differenza molto importante per noi sportivi è che il sistema universitario francese pubblico e privato, mette a disposizione una sessione “straordinaria” solo per gli “atleti di alto livello” che si effettua verso la fine del semestre in un’unica settimana e che permette di astenersi dalle lezioni; è sufficiente mandare la documentazione richiesta ed una commissione valuterà se il proprio Curriculum Sportivo sia adeguato al riconoscimento di Atleta di Alto Livello.
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Atleticamente hai sempre vestito, correggimi se sbaglio, la maglia giallo-rossa dell’Atletica Bergamo, una delle società più importanti in Italia. Come ti sei trovato nel corso di questi anni?

Per l’ultima parte di stagione 2006 e tutta quella del 2007, ovvero cadetto 1° e 2° anno, ho vestito la maglia dell’Atletica Brembate Sopra nonché una delle società affiliate dell’Atletica Bergamo’59, con il passaggio alla categoria allievi sono diventato un’atleta giallorosso a tutti gli effetti, anche se ovviamente il campo di allenamento e l’allenatore sono sempre rimasti gli stessi.

Fortunatamente ho la memoria lunga, quindi i ricordi sono tanti ed emozionanti: le due vittorie dei CDS allievi a Cinisello Balsamo nel 2008, Abano Terme nel 2009 e la conseguente partecipazione alla Coppa Europa per Club a Tuzla (Bosnia) nel 2009 e Bydgoszcz (Polonia) nel 2010, il mio primo CDS assoluto a Caorle nel 2009 con un fantastico 5°posto a squadre, il 3°posto al Campaccio tra gli junior nel 2011, i vari raduni, campionati italiani di categoria e tutti gli altri CDS assoluti/under23 e le vittorie del concorso Kinder+Sport; fortunatamente mi sono sempre trovato bene e porto con me molti bei ricordi di ogni trasferta.

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Dopo il trasferimento in Francia ti sei tesserato anche per la società di atletica (o una delle società?) di Nizza, la Nice Cote d’Azur Athlétisme. Ricordando che Nizza è poco più di due volte Bergamo sia come popolazione che come grandezza, quali differenze organizzative hai trovato tra le due società?

La mia attuale società non è sicuramente allo stesso livello di prestazioni di Bergamo, però al campo vedo sempre moltissima gente e bambini che si allenano; quindi penso gestiscano un discreto numero di atleti specialmente di fasce d’età più piccole, anche perché non dimentichiamo che in Francia se da giovane sei molto promettente sei “invitato” ad essere seguito dall’allenatore federale e/o in un dato centro federale: vedasi l’INSEP di Parigi dove si allenano moltissimi velocisti.

Una differenza è che sul sito della mia società c’è una area dove pre-iscriversi alle gare, in modo che la società sappia con certezza chi verrà a quella determinata gara ed organizzare i trasporti con i vari pulmini; purtroppo l’Atletica Bergamo’59 va avanti grazie al volontariato di genitori che gestiscono la parte della segreteria, trasporti ecc, con diversi ostacoli a livello organizzativo, quando invece per il livello di atleti e tecnici, l’Atletica Bergamo’59 meriterebbe ben altro tipo di sistema e supporto, ma purtroppo le sovvenzioni da parte del CONI/istituzioni/FIDAL/sponsor sono scarse senza permettere alla società di investire sugli atleti più promettenti garantendogli un futuro da atleta professionista senza ricorrere ai gruppi militari nei quali è sempre più difficile accedervi.

Pista di atletica outdoor a Nizza

Pista di atletica outdoor a Nizza

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Come gestisci i tuoi allenamenti tra Francia ed Italia? Sei seguito da un tecnico a Nizza oppure ancora dal tuo allenatore dell’Atletica Bergamo? O magari, visti gli studi, ti gestisci da solo?

Qui a Nizza riesco ad allenarmi tranquillamente senza problemi, mi alleno 9 volte a settimana stimolato anche dal lungo mare a portata di mano sul quale correre con il clima mite tipico di questa zona; sono seguito da Clement Rubechi, allenatore di mezzofondo-fondo ed alcuni triatleti tra cui Youssef Jaadi 5° all’universiade nei 3000sp e Raphael Montoya campione del mondo junior di triathlon, con il quale mi trovo molto bene potendo lavorare in maniera seria e costante; rimango in contatto con Saro Naso, al quale mando periodicamente i vari cicli di allenamento che svolgo ed anche vedere un differente metodo di allenamento dal quale possiamo trarre spunti interessanti.

Quai des États-Unis, un prolungamento della famosa Promenade des Anglais. (Ph by Paphio, Flickr)

Quai des États-Unis, un prolungamento della famosa Promenade des Anglais. (Ph. by Paphio, Flickr)

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Atletica in Italia e in Francia, quali differenze?

Nel mio personale caso noto che si lavora molto sulla tecnica di corsa, nella preparazione invernale si guarda molto poco il cronometro e si evita il più possibile l’asfalto, mentre per la stagione in pista vi saprò dire più avanti le probabili differenze che noterò.

La differenza che più fa riflettere è che qui in Francia per diventare allenatore federale, o lavorare per essa, c’è un concorso pubblico da effettuare ed anche in Inghilterra funziona così; mentre in Italia…beh è evidente che il sistema non funziona, o ancor peggio non esiste un sistema per diventare allenatore federale.
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E nel modo di allenare il mezzofondo?

Come ho detto precedentemente, fino adesso il cronometro l’ho guardato molto poco, nel primo mese di preparazione abbiamo fatto molte variazioni senza correre a una determinata velocità e su percorsi collinari su sterrato. Lavoriamo sulla tecnica in maniera dinamica: 50metri di esercizio e ritorno corricchiando, esercizi in salita di rapidità, balzi sui gradini delle tribune ecc ecc.

Per quanto riguarda l’allenamento di corsa, piccole variazioni che precedono il lavoro da fare in pista, recuperi brevi ed attivi; all’inizio mi sembrava di non allenarmi abbastanza, ma in realtà pur non facendo niente di straordinario o di specifico, la condizione a livello organico saliva ed infatti allenamenti simili a quelli che facevo con Saro Naso e le prime due gare sono andate molto bene.

Alberto con la maglia della Nice Cote d'Azur Athlétisme

Alberto con la maglia della Nice Cote d’Azur Athlétisme

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Tra atletica e studi universitari quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Per quanto riguarda l’atletica il mio obiettivo è continuare correre allenandomi seriamente e migliorarmi, godendomi questa esperienza di vita.

Pur facendo fatica ad esprimermi al meglio con i termini tecnici in francesi negli esami, ho come obiettivo di frequentare anche il Master2 qui a Nizza in modo da approfondire al meglio le mie conoscenze e la lingua; successivamente, prendendo spunto dall’esperienza di un amico di famiglia Mario Fioretti ora assistente allenatore del EA7 Armani-Olimpia Milano, mi piacerebbe andare un anno negli USA in un college della Division1, come assistente allenatore, con grande tradizione di mezzofondo-fondo facendo esperienza per il curriculm (University of Michigan State, University of Winsconsin, Oregon University, University of Colorado); successivamente vorrei lavorare, qui in Francia o Inghilterra, per la federazione o per un gruppo di allenamento di buon livello rimanendo nel mondo dell’atletica.
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Qualche consiglio a chi come te decidesse ti affrontare un percorso di studi in Francia?

Io fino ad un anno fa mai avrei pensato di andare a studiare all’estero, ma alla fine ringrazio il cielo che l’abbia fatto; non abbiate paura, provateci e tenete duro; i ragazzi degli altri paesi cambiano città in cui studiare nella più completa normalità, credo che noi italiani siamo troppo legati ed imbullonati al nostro “orticello”. Studiare all’estero per aprire la mente, capire come gira il mondo e dare sicuramente una marcia in più al proprio curriculum.

Studiare in Francia non richiede particolari risorse economie, ci sono molte sovvenzioni ed agevolazioni per gli studenti, esempio: lo stato francese agli studenti che vivono fuori di casa per motivi di studio, in base a dove vive,, grandezza dell’appartamento, ecc,  da un rimborso mensile non indifferente.

Impianto indoor a Nizza

Impianto indoor a Nizza

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Nell’atletica, hai qualche atleta che vedi come esempio da seguire?

Stimo molti atleti ed allo stesso tempo grandi persone: Michele Oberti campione italiano negli 800 nel 2013 e compagno di allenamenti “if you can dream, you can do it”, Marta Milani grande atleta di caratura internazionale e con anch’essa l’allenatore Saro Naso, Stefano Mei per avere corso forte in un periodo storico dell’atletica non certamente facile, Marco Belinelli che mi ha commosso fortemente con le sue lacrime dopo il titolo NBA ed anche nel leggere il suo ultimo libro.

Stimo mio fratello, i miei genitori, stimo tutte quelle persone che hanno saputo darmi consigli per il mio bene e per il mio futuro, ciò che sono e che sarò lo devo anche a loro.
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Abbiamo visto che la tua tesi di laurea tratta un tema molto interessante “Influenza della stiffness nella corsa prolungata”. Avresti voglia di pubblicarla sul nostro sito?

Certamente, è una tesi che parla di quanto una buona efficienza meccanica della corsa possa incidere in maniera molto più determinante di quanto pensiamo.

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La copertina della tesi di laurea di Alberto

 

Ringrazio per l’aiuto nella stesura della tesi Matteo Arzuffi ed Emanuele Arioli che tanto altro hanno fatto per aiutarmi.
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Un grazie di cuore ad Alberto per la disponibilità ed un in bocca al lupo per i suoi progetti presenti e futuri, sia atletici, sia universitari che lavorativi.

Prossimamente pubblicheremo la sua tesi di laurea Influenza della stiffness nella corsa prolungata.

Nel seguente video Alberto ed altri atleti/studenti lombardi presentano alcune esercitazioni di corsa in un progetto video dell’Università Cattolica di Milano

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Un bel video che racconta la città di Nizza, realizzato dal Comune della città francese e consigliatoci dallo stesso Alberto…:

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A cura di Andrea Dell’Angelo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Claudio Licciardello: "I miei 400 metri tra Catania, Formia e la Florida"

19 Gennaio 2016 by Redazione

Claudio Licciardello, Catanese classe 1986, grazie all’argento ai campionati Europei Indoor di Torino 2009 è stato l’ultimo atleta italiano (uno dei pochissimi, ndr) a vincere una medaglia sui 400 metri in una competizione internazionale.

In quell’occasione, oltre alla gara individuale, è stato autore di una grande ultima frazione di una staffetta memorabile che ha permesso a Claudio, all’Italia e ai compagni Galvan, Marin e Rao  di salire sul gradino più alto del podio.

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Nell’estate precedente, nella semifinale dei giochi di Pechino, Licciardello era riuscito a portare il personale a 45”25, prestazione che lo colloca come secondo miglior atleta italiano di sempre alle spalle di Barberi e davanti a Zuliani.

Licciardello è stato anche un precursore di quell’ondata di viaggi di atleti italiani verso gli Usa lasciando nel 2011 il caldo della Sicilia per quello della Florida e dell’IMG Performance Istitute di Bredenton diretto da Loren Seagrave.

Gli abbiamo fatto alcune domande per capire cosa possa essere stata l’America per un atleta azzurro.

 

Cosa ti ha spinto a giocare la carta americana e a lasciare l’Italia?

Innanzitutto vi ringrazio per avermi contattato e auguro a tutti voi ed ai vostri lettori un grande 2016, anno molto importante visto l’avvicinarsi dell’impegno olimpico.

Ricollegandomi alla domanda, è esattamente la presa di coscienza di quanto possa essere importante l’anno olimpico, ad aver fatto maturare il bisogno di un più evoluto stimolo psico-fisico, e farmi cercare dei cambiamenti. Il 2012 era l’anno di Londra, occasione per la mia possibile seconda olimpiade. Ho semplicemente cercato il miglior luogo al mondo dove fosse possibile allenarsi ed ho fatto di tutto per andare. Credo che tanti atleti, ad un certo punto della carriera abbiano bisogno di “cambiare le carte del proprio mazzo”, è un motivo per crescere e un momento di confronto che ti rimette in gioco.
L’atletica è uno sport individuale ripetitivo, cambiare luogo di allenamento è uno degli stimoli esterni più difficili da gestire, ma una alta capacità di adattamento porta innumerevoli benefici. Non a caso durante i raduni federali gli atleti spesso esprimono il meglio di sé stessi, vengono messi alla prova. Quell’anno per me è stato un “raduno permanente”.

 

 

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Cosa hai trovato in America che un atleta del tuo livello non può trovare in Italia?

Ho trovato un luogo dove permane il culto dello sport. Sport sano, praticato dai bambini e ragazzi. Non tutti sanno che l’IMG academy è una fucina di grandi tennisti. Da li sono usciti tantissimi dei campioni che tutti abbiamo tifato, da Pitt Sampras ad Andrè Agassi, fino alla Kournikova e la più recente Sharapova. Tutti piccoli campioni che varcano il cancello a 10-12 anni, lasciando parenti e amici nelle loro patrie, ed escono campioni affermati noti in tutto il mondo. L’accademia li porta a diventare professionisti.  Da qualche anno sono stati aperti dei ambienti di specializzazione su diversi altri sport, calcio, football americano, basket, baseball e atletica. È cosi che, affascinati dalla storia dell’accademia e dai progetti proposti, tanti allenatori di altissima specializzazione hanno accettato di lavorare all’interno dell’azienda.

Quello che ho imparato è che alle spalle dello sport professionistico, quello fatto di grandi atleti e grandi tifosi, è necessario ci siano delle aziende serie. L’atleta deve essere messo nelle migliori condizioni per allenarsi, rispettando in primis se stesso ed il proprio fisico. Trovare i migliori orari di allenamento non in base agli impegni che possano avere le persone con cui lavora, ma in base a come il fisico risponde alle sollecitazione proposte. Avere la possibilità di sottoporsi costantemente al monitoraggio dello status biologico del proprio corpo attraverso analisi e riuscire a programmare serenamente gli interventi fisioterapici di scarico muscolare.

Strutture dedicate all’allenamento che ti permettano di avere accesso, senza doversi spostare, a palestre, piscine, campi in erba, piste di atletica, salite, ed attrezzature all’avanguardia.

Così un runner può sentirsi un professionista.

 

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Un’esperienza di un giovane che decide di vivere all’estero può essere un’opportunità formativa anche al di là del punto di vista atletico. Cosa ha dato l’America a Claudio Licciardello? Consiglieresti di partire ad un giovane promettente?

Credo che molti dei nostri giovani abbiano, nei viaggi e negli spostamenti, alcuni dei motivi più frequenti di stress psico-fisico. A mio modesto parere bisognerebbe lavorare per superare questa barriera perché l’atleta evoluto deve costantemente fare i conti con i Jetlags. In questo senso l’esperienza in USA mi ha permesso di crescere moltissimo.

È stato un anno di sacrifici. Casa-allenamento, non esisteva molto altro. Ho imparato a saper soffrire, trasformando e incanalando qualsiasi stato d’animo in voglia di vincere. Questo è uno dei più importanti insegnamenti si possano apprendere.

Non so se consiglierei ad un giovanissimo di lasciar tutto e scappare dall’altra parte del mondo, però quello che consiglierei è certamente di scegliere il proprio luogo di allenamento con cura e soprattutto di non aver paura di affrontare cambiamenti. Sono i cambiamenti che maturano l’essere umano.

Invece quello che mi sento di consigliare a tutti gli atleti di altissimo livello in Italia e di guardarsi attorno e chiedersi, ogni anno, se il luogo dove trascorrono gran parte delle loro giornate, donando fino all’ultimo briciolo di fiato, come solo uno dei “nostri” sa fare, li aiuti a migliorarsi..

 

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Catania, Formia e Bradenton? Cosa ha ciascuno di questi posti in più rispetto agli altri due? E cosa di meno?

Sono tre città cosi diverse ma per certi aspetti nella mia testa suonano con la stessa nota.

Catania è casa mia, il luogo dove tutto è cominciato. La figura che immediatamente si fa spazio è quella del Professore Di Mulo. È lui il mio mentore. Di sicuro tra le figure di riferimento per i tecnici della velocità italiana degli ultimi vent’anni. Formia è una seconda casa, un luogo che amo, dove sono sempre riuscito ad esprimere il meglio delle mie capacità. Il CPO dovrebbe essere un luogo più amato dagli atleti. Bradenton invece mi piace rappresentarlo come “un ufficio”. Un ufficio in cui ho, per un’anno, lavorato sodo.

 

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Loren Seagrave e Filippo Di Mulo. Cosa differenzia il loro modo di pensare i 400 metri e come cambia il ruolo e cosa c’è di diverso nel mestiere di allenatore per un tecnico top in Italia e top negli Usa?

Come detto Filippo Di Mulo è certamente una delle figure di riferimento dell’atletica italiana di ogni tempo, insieme a Pisani e Bonomi, ha fatto la storia della velocità recente. Il prof. e’ sempre stato all’avanguardia. È stato capace di apprendere tutto il possibile dai suoi maestri riuscendo sempre ad evolvere di anno in anno il proprio modo di programmare.

Seagrave, adesso advisor per la FIDAL, ha saputo rispettare la mia impostazione, credendo fermamente nelle mie capacità di sprinter. L’anno negli USA ha modificato profondamente la mia azione tecnica migliorandone l’efficacia e la potenza. Insieme alla base organica in mio possesso, con tanti anni di volumi ad alte intensità, poteva essere una accoppiata vincente.  Purtroppo i miei limiti sono stati sempre quelli di grandi fragilità articolari e tendinee che non mi hanno permesso di esprimermi. Nel 2012, dopo un grande periodo di preparazione invernale ho corso solamente due gare distanziate da lunghi periodi di stop forzato, dovuto al tendine d’achille sinistro (operato tre volte durante la mia carriera), correndo 46.22 all’esordio assoluto e 46.15 dopo due mesi con poco più di dieci allenamenti.

 

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L’ultima edizione dei mondiali di Pechino ha fatto capire che i 400 metri stanno vivendo  un cambio di marcia simile a quanto è accaduto negli ultimi 10 anni con 100 e 200. Per accedere alle grandi finali bisogna correre in 44” e spiccioli e correre in meno di 44”non è più una garanzia di vittoria.
Credi che per gli italiani i 400 metri stanno  diventando l’ennesima specialità dove non è più lecito sognare di vincere qualcosa?

L’atletica è cambiata. Tutti i runners di altissimo livello hanno alle spalle importanti organizzazioni che li sostengono e li migliorano. Siamo entrati nell’era del professionismo. Se non ci attrezziamo, immediatamente, lavorando per una maggiore specializzazione dei nuovi tecnici e alla ricerca di nuove metodologie di lavoro resteremo inesorabilmente indietro.

Da ex atleta, studente in scienze motorie e neo tecnico, sono sempre alla ricerca di nuove esperienze, di nuovi punti di riferimento. Bisogna avere la curiosità di capire perché i nostri vicini di confine (senza scomodare le personalità d’oltre-oceano) corrono mediamente un secondo e mezzo meno di noi. In questo momento pensare di vincere qualcosa di importante è utopico, lavorerei sulle fondamenta, sui giovani che si affacciano al professionismo, regalandogli dei tecnici e maestri di vita all’altezza dei loro sogni.

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L’Italia a livello maschile negli ultimi anni è riuscita ad esprimere qualche buon 400 ista (oltre a Claudio, ricordiamo Barberi, Vistalli, Galvan e lo stesso Andrew Howe) senza però essere stata capace di cogliere successi in campo internazionale.
Secondo te perché non riusciamo a sviluppare talenti in grado di primeggiare per lo meno a livello continentale?

Il primo dato da considerare per questa analisi è la propensione agli infortuni. Ho recentemente raccolto una serie di dati, riguardo alle percentuali di infortunati in Italia, tra gli atleti che preparano i 200 ed i 400 metri, ed i risultati sono impressionanti. Se pensi, inoltre, che tra gli atleti che citi nel testo della domanda, TUTTI hanno avuto interventi chirurgici al tendine d’achille o importanti problemi legati allo stesso, puoi renderti conto dell’importanza di tale dato.

L’Italia non riesce a sviluppare il talento dei propri atleti perché troppo spesso, gli stessi, sono costretti a richiudere le ali a causa di problemi fisici, legati SOLO ed ESCLUSIVAMENTE alla programmazione dell’allenamento.

Abbiamo lavorato, (e ancora “lavoriamo”) a intensità troppo alte. Il quattrocentista è un velocista che lavora ritmi mediamente troppo alti durante quasi tutti gli allenamenti che produce. L’impostazione classica, ci ha abituato a usare tantissimo volume di lavoro ma è lo svolgerlo ad intensità altissime ad aumentare la propensione agli infortuni.

 

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Da atleta che di successi in staffetta se ne intende….e alla luce di alcuni dei appena nomi citati…Non credi che con un po’ di coordinazione (tecnica) in più la 4×400 azzurra del recente passato abbia perso alcune opportunità di far bene anche all’aperto?
La preparazione 400 metri per molti anni in Italia, dai livelli più modesti fino alle eccellenze nazionali, ha significato sessioni di allenamento condite da grandi mal di testa, prove lattacide corse sul filo del volta stomaco e terminate spesso a carponi a bordo pista .
Generazioni di velocisti sono stati scoraggiati a passare dallo sprint puro alla velocità prolungata proprio alla luce dei “maltrattamenti” patiti dagli sfortunati compagni 400 isti.
Stiamo esagerando…ma non credi che forse abbiamo preso troppo alla lettera la definizione di “giro della morte”?

Queste considerazione mi trovano totalmente d’accordo. Il quattrocentista italiano medio non è un atleta felice. Bisogna semplicemente ritrovare la strada per lavorare serenamente senza la paura di un allenamento troppo intenso o “lattacido”. Allenamenti più estensivi, con tanto comparto aerobico a tolleranze lattacide sempre più corpose possono essere una soluzione. Ma non c’è una ricetta per andare forte. Credo fermamente che vada sempre rispettato il talento. L’atleta di talento ha semplicemente bisogno di costanza, non di nausee.

Poi bisogna anche guardare in faccia la realtà. Non potendo avere a che fare con “i grandi numeri” consideriamo duecentista qualsiasi atleta varchi la soglia dei 20″50. Nel panorama nazionale riesco a vedere dei grandi quattrocentisti rilegati alla “mezza distanza” un po’ per pigrizia, un po’ per malcostume. Secondo me infondo l’Italia ha più quattrocentisti di quanto non si accorga.

Per quanto riguarda la staffetta 4×400 credo che la Federazione stia facendo e abbia fatto il possibile per mettere nelle condizioni le squadre giovani di formarsi ed esprimersi al meglio. Se non ci sono stati risultati è perché un’intera generazione di atleti ha purtroppo perso di vista i propri obiettivi. Ricordo che per me andare in raduno o in trasferta era una festa ed una nuova esperienza ed addirittura che piansi quando assegnarono il “mio” mondiale Junior a Grosseto, pensavo che Grosseto fosse troppo a casa per un mondiale. Adesso, vedo delle facce diverse ai raduni.

 

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Cosa succede in questo senso in America e nelle altre nazioni che hai conosciuto?

Tante nazioni hanno adottato delle strategie di sharing-experiences. Raduni e incontri in diverse aree geografiche, approfittando del vantaggio offerto dalle diverse situazioni climatiche, lavorando sempre a climi miti e aprendosi al confronto con le diverse culture sportive degli esperti degli altri paesi con cui si viene a contatto. Belgio, Francia, Germania, Polonia, Usa, Jamaica, Cina sono tutte realtà atletiche “in movimento”.

 

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E per Claudio Licciardello qual è l’ingrediente fondamentale per preparare un 400?

Non mi permetto di dare una “ricetta dell’allenamento” perché non esiste. Si può sempre migliorare anche nel migliore dei casi. Quello che consiglio ai miei colleghi che si affacciano al mondo della preparazione atletica e di rispettare sempre il fisico e la mente degli atleti con cui collaborano. Ascoltare è il miglior feedback per preparare al meglio un’atleta al prossimo allenamento.

 

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Cosa rappresenta l’atletica per Claudio Licciardello oggi? Le scarpette sono definitivamente appese ad un chiodo? Chi è e cosa fa Licciardello fuori dalla pista?

In questo momento, lavoro nell’ufficio tecnico Fiamme Gialle e in collaborazione con il tecnico Porcelluzzi, ci occupiamo a 360° del settore velocità. Sono aspirante tecnico di secondo livello federale, nonché studente di scienze motorie ed il futuro è certamente con lo sport al centro della mia vita.

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Per me l’atletica è davvero stata tutto. Sono grato a tutti coloro abbiano speso anche una sola parola di apprezzamento nei miei confronti e a coloro i quali abbiano in qualche modo criticato qualche scelta fatta o presa. Sono un uomo migliore anche grazie a loro. 

Non posso non ringraziare la famiglia Fiamme Gialle per il modo in cui da sempre mi è stata vicino. Interlocutori esperti e grandi amici che mi hanno accompagnato durante tutto questo percorso. Mi vengono in mente il Col. Parrinello e il T.Col. Di Paolo quali guide di questa famiglia e spesso fratelli maggiori con autorevoli e affettuose strigliate, e il Direttore Tecnico Di Saverio e il Magg. Battella, cari amici a cui auguro di gestire la migliore rosa di sempre che è quella che verrà.

Nel tempo libero sono un appassionato di fotografia. Sono fotografo e content editor di un noto blog di moda (www.lespritrouge.com) ed ho aperto da qualche mese un sito personale dove amo esporre la mia idee di fotografia www.claudiolicciardello.com

Vi ringrazio davvero per queste interessati domande e vi faccio il più sincero in bocca al lupo per il vostro sito internet, e rinnovando gli auguri di un buon 2016 saluto tutti i lettori.

 

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Un grazie a Claudio per la grande disponibilità offerta.

Dalle sue parole siamo convinti che, anche se l’Italia dell’atletica ha perso un atleta, di certo sta guadagnando un tecnico.

Sottolineiamo e rimarchiamo queste sue parole “Non mi permetto di dare una ricetta dell’allenamento perché non esiste”. Questa è una frase che, a nostro avviso, ogni tecnico, anche il migliore, dovrebbe ricordarsi sempre…

 

A cura di Andrea Uberti

 

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Intervista a Stefano Baldini

19 Ottobre 2015 by Redazione

Stefano Baldini, un’icona del mezzofondo e del fondo Azzurri. Di sicuro non ha bisogno di grandi presentazioni, famoso, sia tra gli appassionati di atletica che tra i meno affezionati, per la spettacolare vittoria della Maratona Olimpica ad Atene 2004.
Un percorso da atleta lungo e ricco di successi, non soltanto nelle gare su strada, ma anche in pista, con 6 titoli italiani assoluti, una Coppa Europa e la partecipazione a 2 Europei, 2 Mondiali e a 1 Olimpiade.

Terminata la carriera da atleta ha cercato di trasmettere le sue esperienze da atleta di alto livello alle nuove generazioni, prima col ruolo di Tutor del Settore Giovanile Fidal (dal 2010 al 2012) ed in seguito di Direttore Tecnico del Settore Giovanile Fidal (dal 2012 in poi).

Ovviamente per arrivare a tale ruolo ha dovuto formarsi, ottenendo vari diplomi (Diploma al Corso di Management Sportivo della Luiss Business School-Scuola dello Sport Coni, Diploma al Corso per Direttore Tecnico Giovanile della Scuola dello Sport Coni, Allenatore 2° Livello Fidal, Diploma al Corso di Tecnico IV° Livello Europeo della Scuola dello Sport Coni).

Abbiamo intervistato Stefano, curiosi di sapere come sta andando il progetto del Settore Giovanile della Fidal.

Grazie Stefano per aver accettato il nostro invito.
È ormai terminata la stagione. A livello giovanile vi sono state grandi soddisfazioni per i colori azzurri, durante le manifestazioni mondiali ed europee. Segno che il lavoro e la programmazione pagano.
Le soddisfazioni non sono solo per i risultati in azzurro. Il settore giovanile è diverso dall’assoluto, dove si guardano i numeri nudi e crudi. Noi, e per noi intendo Società, Dirigenti, Tecnici, Atleti e Fidal, dobbiamo valutare un movimento nel suo complesso, dal corso di avviamento all’atletica di un qualsiasi campo sportivo alla gara di provincia, fino alla maglia azzurra. Quello che mi è piaciuto di queste tre stagioni è l’atteggiamento di tutti nei confronti del dialogo, della programmazione e della voglia di crescere, che ho ereditato dall’ottima gestione precedente e che spero di mantenere ed accrescere se possibile.

Quale è stato il risultato che più ti ha stupito?
Sicuramente le Staffette del miglio di Eskilstuna agli Europei Junior, quando si è creato un clima di squadra talmente favorevole che ha fatto si che ragazzi e ragazze abbiano dato il massimo. Eravamo l’unica nazionale al completo sugli spalti a fare casino. Davvero un gruppo di ragazzi eccezionali.

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Ora il compito più difficile è di riuscire a far corrispondere questi ottimi risultati anche in chiave assoluti. Come pensi di operare in merito?
Cerco di far passare il più possibile il messaggio che fino a Junior ci si allena all’atletica, che c’è tempo per maturare e crescere, soprattutto dopo. Ognuno di noi, che lavora coi giovani, è cosciente della responsabilità che ha e sa quel che deve fare per il meglio dei ragazzi. Per i grandi è stato scelto un modello tecnico ben preciso, spero possa dare frutti a medio-lungo termine.

Questi risultati dimostrano che anche i tecnici italiani meritano considerazione. Qual è stato il rapporto che hai avuto con loro durante questo percorso?
Abbiamo tecnici di ottimo livello, con tutti ho avuto un buon rapporto anche nella discussione, a volte accesa. Peccato che molti non abbiano il tempo che meriterebbero per stare sul campo ad allenare, confrontarsi e crescere. In giro per il mondo ce ne saranno anche di migliori, ma io mi tengo volentieri questi. Se mi paragono con nazioni che hanno decine di Prof. distaccati dalla scuola o professionisti, devo dire che l’atletica italiana giovanile fa davvero i miracoli.

Ha stupito i più la scelta di fermare Filippo Tortu. Dalla nostra pagina abbiamo elogiato la scelta. Cosa ne pensi?
Scelta assolutamente ragionevole, che ho appoggiato dall’inizio. Salvino, Filippo, e l’Atletica Riccardi pensano al futuro, modello da seguire.

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Ci avviciniamo a RIO 2016, secondo te quanti dei giovani protagonisti di questa stagione potremo vedere impegnati alle Olimpiadi?
Almeno un paio, e se non passeranno un turno, saranno aria fresca per la squadra.

Che consiglio ti senti di dare ad un tecnico che allena il settore giovanile ed ha tra i suoi atleti un potenziale talento?
Di rispettare le tappe di passaggio fondamentali di costruzione. Età biologica, numero di ore dedicate allo sport fino a quel momento, maturazione psicologica, interiorizzazione di gesti tecnici e tattiche di gara. Infine anche utilizzo di cronometro e fettuccia.

Come consigli di gestire i primi risultati positivi che arrivano?
Facendo il pompiere. I risultati servono come verifica del lavoro svolto e per stimolare l’ambiente di un campo. Ricordiamo ai ragazzi, che tendono a “battezzare” subito chi ha talento e chi no, che si può arrivare a ottimi risultati anche senza sembrare in partenza dei fenomeni.

Fino a che età è consigliabile vivere l’atletica quasi come un gioco ed a che età è invece bene iniziare a fare sul serio intensificando gli allenamenti?
Un ragazzo che ha iniziato dalla categoria ragazzi, da secondo anno Junior può iniziare a fare un po’ più sul serio, allenandosi tutti i giorni in modo adeguato alla sua maturità psicofisica.

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Quest’anno il movimento dell’atletica italiana giovanile ha fatto un passo in avanti davvero notevole. Così tante medaglie a livello mondiale ed europeo non si vedevano da parecchi anni. Cosa ha portato a dei risultati così interessanti?
Nel totale abbiamo preso una medaglia in più del 2013, quando con gli Junior giocavamo in casa a Rieti, quindi si è mantenuto un alto rendimento internazionale. Se facciamo il confronto con edizioni di Europei Junior da una medaglia sola all’attivo dobbiamo sorridere ma ripeto, i metalli under 20 hanno importanza relativa, l’atletica da professionista e professionale inizia poi.

La tua storia di campione di maratona è famosa in tutto il mondo. Quali sono state le emozioni più grandi nella tua carriera?
Tutte le prime volte hanno avuto un sapore speciale, davvero tante soddisfazioni nei 20 anni trascorsi tra la prima e l’ultima maglia azzurra. Ovviamente Atene 2004 è stato il top, ma lo score sarebbe stato ugualmente migliore di qualsiasi bel sogno di ragazzo.

19th European Athletics Championships - Day 7

Ci racconti brevemente qual è stato il tuo percorso che ti ha portato a vincere l’olimpiade di Atene sulla distanza dei 42km? Una costruzione tecnica e fisica lunga e partita da lontano immaginiamo.
Sono partito dal mezzofondo veloce e mi sono specializzato sempre più sul prolungato. Da Junior Europei e Mondiali sui 5000, poi Coppa Europa e Giochi di Atlanta sempre in pista. Da li è stato inevitabile scegliere: le attitudini erano quelle del maratoneta di tipo veloce. Non ho mai abbandonato la pista, la palestra e il cross per preparare al meglio la strada. Ho avuto solo due allenatori. Benati fino a quando il suo lavoro gli ha permesso di seguirmi nei ritagli di tempo, poi dai 21 anni Gigliotti. La particolarità è che è stato proprio Benati a chiedere a Lucio di allenarmi, assecondando le mie ambizioni nello sport da professionista a tempo pieno piuttosto che le sue (legittime) di allenatore part-time. Non finirò mai di ringraziarlo.
Alla terza maratona ho battuto il record italiano di Bordin, alla sesta ho vinto gli Europei e, dopo qualche infortunio di troppo, tra il 2001 e il 2004, da atleta ormai maturo, nove maratone una meglio dell’altra fino a Atene, dove sono riuscito a condensare nelle due ore più importanti tutte le esperienze fatte. Era la maratona numero 17, me ne sono accorto dopo.
Qui la video-intervista ad Emilio Benati.

Qualche atleta potrebbe ripercorrere la tua carriera diventando un ottimo maratoneta?
Ci sono ragazzi che hanno possibilità infinite, che hanno fame e voglia di fare, lunghe distanze incluse. Dobbiamo toglierci quel velo di pigrizia figlio delle comodità e andare a fare atletica dove ci sono le condizioni migliori per farla. L’alto livello è una piccola parentesi durante la vita, vale davvero la pena di affrontarla al meglio.

Quali sono state le mosse, come responsabile tecnico giovanile, che hanno portato agli ottimi risultati di questa stagione?
Come dicevo, l’atletica giovanile ha radici profonde in tutta Italia, più concentrate al centro-nord, fatte di società e tecnici che sono il vero oro dell’atletica Italiana. Il grazie va a loro, io devo soltanto buttare benzina sul fuoco delle motivazioni delle persone e usare tutto l’equilibrio e il buon senso che mamma e papà mi hanno regalato.

Grazie a Stefano per la grande disponibilità!!!

Roberto Goffi

 

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INTERVISTE

 

 

 

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Stefania: a Barcellona per studiare ed allenarmi!!!

10 Settembre 2015 by Redazione

Stefania a Barcellona per studiare ed allenarmi

Il progetto de ilCoach, per vocazione, vuole essere impostato alla massima apertura ai contributi che nascono dalle esperienze più diverse.

Siamo convinti che, in ogni campo, il confronto sia uno strumento fondamentale per la crescita ed il miglioramento.

Sin dall'inizio, ad esempio, siamo stati incuriositi e ci siamo interessati  alle testimonianze degli atleti italiani che, forti di borse di studio sportive, vivono il sogno americano nelle università d'oltre oceano.

Interviste

La nostra intenzione è di continuare a farlo, registrando sia gli aspetti positivi che le eventuali criticità, confermando  credenze e magari, talvolta, sfatando miti.

Eleonora Gatti qualche mese fa ci ha spiegato quale sia il ruolo di un tecnico di atletica leggera in un paese come l'Australia, nazione che, oltre a sfornare talenti in buona quantità, ha fatto diventare la diffusione della pratica sportiva di base un elemento della salute e del benessere (anche economico) dell'intera popolazione.

In questo senso, pur amando e prediligendo l'atletica leggera, siamo pronti e desiderosi di ricevere contributi anche da altre discipline, convinti che da ogni campo possa arrivare uno spunto di riflessione o l'opportunità per imparare qualcosa.

Con questo spirito e per questi motivi, abbiamo deciso di seguire l'esperienza di Stefania Brunazzi, giovane tecnico, atleta e studentessa di Scienze Motorie, che ha deciso di sfruttare la borsa di studio offerta dal progetto Erasmus per frequentare un semestre all'Inefc di Barcellona.

Il progetto Erasmus è una strada tutto sommato praticabile dal momento che per accedere alla borsa non serve né vincere titoli nazionali né essere in cima alle graduatorie nazionali!

Occorre invece un po di intraprendenza, essere per lo meno buoni studenti ed avere la voglia ed il coraggio di partire e di lasciare casa.

Spesso a fronte di questi sacrifici si ricevono in cambio esperienze memorabili oltre che ad un punto di merito sul proprio curriculum.

Pertanto riceviamo volentieri questo ed aspettiamo con curiosità i prossimi contributi di Stefania.

Per quanto ci riguarda questa sarà l'occasione di provare a capire come è organizzata una facoltà di Scienze Motorie in una nazione che per tradizioni, cultura...e crisi economica, è molto vicina all'Italia.

Saremmo anche molto felici di sapere che, anche con la nostra testimonianza, saremo riusciti ad invogliare qualche studente indeciso a sfruttare questa possibilità.

Crediamo infatti che la propensione a viaggiare, per ogni lavoratore e per un tecnico sportivo in particolare, costituirà sempre di più una condizione di vantaggio a fronte di un mercato del lavoro sportivo in cui sembra sempre più difficile pretendere di trovare il lavoro sotto casa.

A tal proposito ricordiamo che una delle voci principali del fatturato legato allo sport è quello rappresentato dal turismo che sa generare.

Oltre a quello di Stefania cercheremo altri contributi tenendo in considerazione sia le esperienze lontane che quelle vicine.

Siamo convinti che le tecnologie a nostra disposizione abbiano virtualmente eliminato il concetto di provincia e che diano oggi la possibilità di usufruire di strumenti e di accedere ad aggiornamenti fino a pochi anni or sono inimmaginabili.

Quel che invece bisogna cercare di superare è il provincialismo che, nascosto in ognuno di noi, limita le nostre aperture e porta al ristagno delle idee e delle iniziative.

Il Coach è fatto dai contributi delle persone che prima di tutto vogliono imparare e crediamo che nell'espressione di chi dice che l'ignoranza oggi sarebbe una scelta e non una condizione, oltre ad una grande esagerazione, ci sia anche un pizzico di verità. Ti piacerebbe raccontarci la tua esperienza:
Collabora con noi

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Ma diamo la parola a Stefania Brunazzi...

16-8-2015

Premetto che non so scrivere…..e non so se mi piace farlo. Lo sto facendo solo perché mi ha colpito l’idea del blog proposta dagli amici del coach.net 

Perciò ora, qui, nella spiaggia di Barceloneta, inizio a scrivere il mio diario di questa nuova avventura che sta per cominciare. 

Sono appena andata a cercare il mio nuovo campo di allenamento: una pista d’atletica che si affaccia su una spiaggia lunga un paio di chilometri. Mica male! 

La mia nuova università per ora l'ho vista soltanto dal fuori: una scuola dello sport costruita sul Montjuic, di fronte allo stadio delle Olimpiadi del 1992 e degli Europei del 2010.

Partiamo dall’inizio: amo lo sport e amo viaggiare. Alle superiori ho scelto di studiare lingue perché da grande volevo girare il mondo. Ma non da turista. Ci sono persone che prendono treni, aerei, e si spostano di Paese in Paese per guardare le cose che guardano tutti e, magari, ...anche solo per poter dire di averle viste!  Moltitudini che spesso si  spostano in branco: turisti insieme ad altri turisti! 

Ma questo per me non è viaggiare. 

Un vero viaggio è  quando si va  in un posto e si prova a conoscerlo veramente. Conoscere la gente che lo abita, le sue culture, i suoi dialetti. 

Per come la vedo io, si studiano le lingue per comunicare, non per chiedere dove è la fermata del pullman. 

Quando vado in una nuova città mi piace iniziare a camminare a caso e perdermi nei vicoli più strani per scoprire cose che solitamente i turisti non vedono, e dove succede immancabilmente qualcosa di memorabile. Poi cerco di fare quelle cose che ti permettono meglio di far parte  e di conoscere la vita del posto. Ad esempio fare sport, studiare o lavorare. 

E son proprio queste tre cose che sto per fare: frequenterò metà del terzo anno della facoltà di Scienze Motorie all'INEFC di Barcellona, mi allenerò nel salto con l'asta con un allenatore che mi ha indicato un'atleta forte come Gloria Riva e, per integrare la borsa di studio Erasmus, dovrò cercarmi un lavoretto!
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L’Erasmus è veramente un'occasione unica in questo senso. 

Anche se ad essere sinceri sta volta ho fatto tutto un pò a caso. Avevo talmente tanta voglia di cominciare questa esperienza che, tempo di finire il tirocinio e sistemare un paio di documenti, ho fatto le valigie e in un paio di giorni sono partita. 

Per fortuna ho conosciuto un collega di scienze motorie che tornava dall'Erasmus qui a Barcellona e mi ha passato il contatto dell’appartamento, vicino alla mia futura università, in un posto molto carino. 

Avevo pensato di arrivare qua prima delle lezioni. Così avrei avuto il tempo di ambientarmi, di vedere la città e di conoscere qualcuno del posto...E invece…… sorpresa!!!! Qui a Barcellona i catalani in agosto praticamente non ci sono perché sono tutti fuori per le vacanze. Anche i campi di atletica sono chiusi fino a settembre e la città è invasa da turisti. Così è quasi impossibile conoscere qualcuno se non per una serata o per bere qualcosa insieme, perché ogni volta scopri che la vacanza del tuo nuovo amico sta per finire. 

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In questi primi giorni è stato abbastanza strano trovarsi completamente  sola, in una città mai vista prima, senza conoscere il nome di una via e soprattutto senza poter contare su nessuno per qualsiasi minimo problema... perché non conosco nessuno, né tanto meno ho il numero di qualcuno da poter chiamare se dovesse succedere qualcosa, dal momento che i miei coinquilini non arriveranno prima di settembre. 

Avevo già fatto un'esperienza simile dopo le superiori con il progetto Leonardo da Vinci, ma per lo meno là avevo un tutor al quale rivolgermi in caso di necessità. 

Ad ogni modo, questi primi due giorni di assoluta solitudine non mi sono poi così dispiaciuti, anzi! Mi sento veramente in pace. E’ una sensazione strana da spiegare perché a casa non riuscirei a sentirmi cosi neanche isolandomi. Probabilmente è perché non conosco nessuno, e la città è talmente grande e c'è talmente tanta gente che è impossibile rivedere la stessa persona due volte. 

Le cose interessanti da fare saltano fuori da tutte le parti, i posti sono spettacolari e ci sono fiumi di gente ovunque, soprattutto di notte. Così ti ritrovi sola ma in mezzo a tanta gente, quindi in compagnia ma riuscendo comunque ad ottenere la tua riservatezza, perché nessuno sa chi sei.

E così, senza preoccuparmi di niente, inizio a camminare praticamente notte e giorno conoscendo la città, osservando la gente, e vivendo in piena libertà tutto quello che mi si presenta davanti. 

Stefania

STEFANIA BRUNAZZI

Stefania Brunazzi

Laureata in Scienze Motorie
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