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Intervista a Stefano La Sorda: un tecnico che "vive per la marcia"

6 Ottobre 2015 by Redazione

Intervista a Stefano La Sorda, ex marciatore e gestore della pagina Facebook lamarcia.com, istruttore FIDAL dal 1997, ha allenato diversi marciatori delle categorie giovanili. Dal 2014 è Formatore Giovanile di Marcia per la Federazione Svizzera di Marcia. Dal 2006, con la SAL Marcia, collabora all’organizzazione della gara di marcia IAAF EAA Lugano Trophy Memorial Albisetti (che si svolge a Lugano a marzo di ogni anno).

Ciao Stefano, raccontaci un po di te…
Ho conosciuto l’atletica leggera a 13 anni e da subito ho iniziato a marciare, un po’ per gioco un po’ perché a differenza degli altri ragazzi la marcia e le sue particolarità mi hanno subito incuriosito.
Parlare di mia “carriera” sportiva è esagerato, mi sono solo tolto soddisfazioni personali alla mia portata: fare 2 volte la 50Km, arrivare secondo sulla stessa distanza in un Campionato Italiano Promesse e avere l’onore di gareggiare per il CS Marina Militare.
Avevo comunque già iniziato a seguire giovani marciatori (U14) a 18 anni, e il mio allenatore mi consigliò di fare il corso istruttori; non ci ho pensato su due volte. Poi per lavoro mi sono trasferito in Lombardia ma ho sempre continuato a seguire la specialità fino a quando non ho avuto occasione di allenare e gareggiare in Svizzera per la SAL Marcia. Adesso ho smesso di gareggiare ma in più aiuto la società nell’organizzare gare di marcia anche di livello internazionale, come il Lugano Trophy.
Per quanto riguarda gli altri interessi ci sono calcio e tennis, e il mio lavoro di web designer mi ha aiutato a creare il sito lamarcia.com, che ora temporaneamente è una pagina facebook seguita da appassionati di tutto il mondo.

 

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Sei un istruttore che si dedica totalmente di marcia, una specialità dell’atletica leggera che spesso non viene considerata molto. Cosa ne pensi?
Purtroppo è vero. Colpa della mancanza di cultura sportiva  e colpa dello stesso ambiente della marcia che a volte tende a chiudersi in se stesso. C’è stata nel tempo una notevole riduzione dei praticanti ma bisogna ricordarsi che la marcia ha delle potenzialità notevoli (compresi atleti e tecnici attuali)  che andrebbero sviluppate e pubblicizzate. Non si può aspettare che la visibilità cresca casualmente, bisogna anche valorizzare quello che c’è adesso ricordando che la grande tradizione della disciplina non deve essere un ostacolo ma un motivo di orgoglio.

StefanoLaSorda

Stefano La Sorda da atleta, portacolori della rappresentativa Ticino

 

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Quali sono a tuo avviso i punti chiave nell’allenamento della tecnica della marcia?
Prima di tutto conoscere bene il regolamento (cosa sottovalutata e utile sia al tecnico che all’atleta) e ovviamente rispettarlo. Poi curare la:

– coordinazione e fluidità dei movimenti
– mobilità del bacino
– rullata dei piedi
Inoltre il tecnico deve trasmettere al marciatore i giusti input per aiutarlo ad acquisire il controllo della sua tecnica

 

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E nella sua preparazione atletica?
Una buona preparazione nella marcia è quella che aumenta le capacità dell’atleta senza penalizzare l’aspetto tecnico. I mezzi allenanti possono essere molteplici, chiaramente organizzati in modo logico a seconda dei periodi di programmazione. Infine non bisogna dimenticare che la quantità di KM degli allenamenti è importante, ma questo non deve fare passare in secondo piano il benessere psicologico del marciatore.

 

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Nel nostro sito teniamo molto a trattare temi inerenti l’allenamento giovanile, la base delle future prestazioni da adulti, che ne pensi?
È un ottima cosa, a livello giovanile si spinge troppo per cercare subito la prestazione, quando invece i progressi vanno ottenuti gradualmente. Anche qui è una questione di cultura sportiva; un sito con i contributi di molti allenatori giovanili può solo fare bene a tutto lo sport

 

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La marcia negli ultimi anni, vista anche la vicenda doping di Alex Schwazer, ha perso ancor più credibilità. È giusto che per colpa di un singolo atleta un intero movimento paghi le conseguenze?
Prima di tutto chiariamo che il primo a perdere di credibilità è stato lo stesso Schwazer; troppe bugie, troppi fatti non chiariti e adesso troppe provocazioni per fare pressione sul suo ritorno anticipato. È stato Campione Olimpico a Pechino ma ha detto di odiare la marcia, ha pensato bene di iniettarsi EPO e ora per il suo ritorno allestiscono uno show mediatico che tra deroghe, forzature e autorizzazioni sta andando oltre le regole. Ci sono tanti interessi in questa storia e tantissimo egoismo.
La marcia (quella vera), è fatta di atleti puliti e tecnici che lavorano ogni giorno in silenzio e con umiltà, sia che si vincano medaglie sia che non si vincano. Schwazer purtroppo per lui ha già scelto da tempo di non farne parte.

 

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Motto del nostro sito è “Lo sport ha bisogno di progettazione, innovazione, impegno costante.” Cit. Pietro Mennea. Cosa ne pensi?
In questa frase Mennea ha detto tutto. Nel caso dell’atletica (e della marcia) però ci vogliono anche persone disposte a collaborare tra loro accettando il confronto

 

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Collabori da anni con la FSM (Federazione Svizzera di Marcia ) per la diffusione della disciplina del tacco a punta; la FSM è a sé stante dalla Federazione di Atletica Svizzera (Swiss Athletics). Quali differenze con l’Italia?
Prima di tutto una maggiore autonomia. Una federazione a se stante per la marcia permette di gestire meglio le problematiche specifiche della disciplina, pur rimanendo legata alla federazione principale che è Swiss Athletics. Inoltre i dirigenti della FSM non sono politici di professione e hanno una vera passione per la marcia, e questo è fondamentale per raggiungere obiettivi comuni.
Una Federazione Autonoma per la marcia sarebbe un bell’esperimento da fare anche in Italia

 

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Quali sono le differenze con l’Italia dal punto di vista dei tecnici (considerazione, pagamento, formazione etc..)
Per quanto riguarda Swiss Athletics i tecnici hanno la possibilità di frequentare un programma di formazione e aggiornamento molto articolato e completo, e la figura del tecnico qualificato è molto importante.
In ambito FSM, realtà chiaramente più piccola, esistono pochi tecnici di riferimento, visto che è in corso un naturale passaggio generazionale anche per gli atleti ed i giudici di marcia. Per questo dopo qualche anno di pausa, sono stati rinnovati ed organizzati dei nuovi corsi per tecnici di marcia aperti anche ai tesserati non svizzeri. Quest’anno la FSM mi ha incaricato dell’organizzazione e gestione di un corso dove si sono diplomati 5 nuovi tecnici di marcia svizzeri e in cui c’è stata la partecipazione esterna di 4 giovani tecnici italiani.

 

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Quali consigli daresti ad un giovane che volesse diventare tecnico della marcia?

  • Fai marciare bene i tuoi atleti, bisogna sempre rispettare il regolamento. Poi si pensa alla prestazione cronometrica
  • Fatti capire dai tuoi atleti
  • segui sempre i loro allenamenti, la tecnica di marcia non si allena per corrispondenza

 

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E ad un giovane atleta che vorrebbe provare tale disciplina?

  • Impara bene il regolamento e comprendine le dinamiche
  • Per imparare la giusta tecnica di marcia ci vuole tempo e quindi costanza
  • Fidati del tuo allenatore e segui ciò che ti dice

 

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Si pensa spesso che alla marcia come ad una disciplina dove, oltre alle capacità dell’atleta, conta anche la capacità da parte dei giudici di applicare il regolamento in maniera oggettiva. Cosa ne pensi?
È questo il problema principale che affligge la specialità.
Il regolamento della marcia è molto chiaro e a mio parere di interpretazione univoca. Il problema è che sia a causa dei ritmi di gara, sia a causa dei percorsi (molte volte inadatti alla marcia) , succede che i giudici non siano nelle condizioni giuste per controllare gli atleti.
Quindi prima di tutto giudici capaci e formati costantemente; la formazione serva anche a dare uniformità nel metro di giudizio.
Poi giudici seri (a livello IAAF esiste un codice etico per giudici di marcia che andrebbe ufficializzato anche in Italia).
Ed infine circuiti per gare di marcia larghi, pianeggianti, su asfalto in buone condizioni e di lunghezza di almeno 2Km; questo sia per non mettere ingiuste difficoltà al gesto tecnico degli atleti, sia per mettere i giudici nella condizione di  svolgere in modo ottimale il loro compito.

 

Grazie tante a Stefano per la bella chiacchierata…

 

Nella foto di copertina: a Lugano nell’organizzazione della Lugano Trophy (Stefano a sinistra in compagnia del giornalista Paolo Sinibaldi).

 

 

Ti è piaciuta l’intervista a Stefano? In questa sezione puoi trovare tutte le nostre interviste:

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Esercitazioni speciali per i salti in estensione

5 Agosto 2015 by Redazione

esercitazioni speciali per i salti in estensione

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Nei salti in estensione si possono presentare diverse problematiche legate alle capacità degli atleti che si allenano.

Sovente le esercitazioni tecniche normali non sono sufficienti per dare all’atleta la possibilità di esprimere al meglio il gesto.

In alcuni casi, con metodi poco ortodossi, si può raggiungere più velocemente l’obiettivo di far provare e comprendere le corrette interpretazioni delle fasi che compongono il salto.

Per effettuare queste particolari esercitazioni, a volte bisogna utilizzare strumenti quali

  • pedane
  • rialzi
  • ostacoli in genere
  • elastici

Nella mia esperienza ho spesso fatto ricorso a tutti questi espedienti, convinto che potessero far provare le giuste sensazioni agli sventurati/e che ho allenato e che alleno.

Tutto quello che qui espongo, è risultato valido con quasi tutti i miei atleti e atlete, non ha un valore assoluto ma può dare qualche spunto per essere adattato ad altri.

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L'esecuzione analitica dei gesti

Prima di descrivere gli esercizi con i mezzi speciali, vorrei soffermarmi sull’importanza dell’esecuzione analitica dei gesti.

È mia convinzione che l’atleta debba conoscere bene la posizione in cui si deve presentare allo stacco, diretta conseguenza del corretto lavoro sugli ultimi appoggi, o di come deve uscire la gamba di volo.

Poniamo l’atleta frontalmente a un ostacolo, a una barriera delle siepi o altro, a una distanza di circa 1,5 m., in appoggio sul piede non di stacco.

Egli/ella deve andare, in equilibrio, in estensione sull’arto del penultimo appoggio e “sentire” il conseguente avanzamento del bacino.

Mantenendo la necessaria rigidità di tutto il sistema ed equilibrandosi con il corretto movimento delle braccia, deve azionare l’arto opposto che, passando sotto il gluteo con azione rotonda, deve impattare il terreno con tutta la pianta del piede.

L’estensione del piede e della gamba di stacco, con puntualizzazione dell’avanzamento del bacino, vengono completati dalla partenza della gamba di volo che deve passare sotto il gluteo con angolo del ginocchio piuttosto chiuso.

La parte finale dell’esercizio prevede l’arrivo del piede della gamba di volo sull’ostacolo.

Qui va considerata e analizzata la posizione del bacino, delle spalle, delle braccia, l’estensione della gamba di stacco e orientamento dello sguardo.

La distanza dell’ostacolo dal punto dello stacco è determinante per ottenere un angolo di uscita corretto della gamba di volo.

Per la fase di volo, io prediligo i passi in aria, l’analisi delle posizioni può essere fatta “appendendo” l’atleta, ad esempio, alla sbarra con apposite polsiere.

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Solitamente noi simuliamo il salto dagli ultimi tre passi, eseguendo poi al rallentatore la fase di volo.

L’esercizio è abbastanza difficoltoso e necessita di una buona padronanza del proprio corpo, di una discreta rigidità del sistema e di una buona preparazione della fascia addominale/dorsale.

Le posizioni nei vari passaggi e i controlli valutativi sono analoghi a quanto descritto sopra, orientamento dello sguardo compreso.

Il mancato utilizzo delle braccia come mezzi equilibratori dovrà essere compensato da un adeguato lavoro del bacino.

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Le esercitazioni speciali: lo stacco da pedana rialzata

L’esercizio speciale più diffuso per il saltatore in lungo è lo stacco da pedana rialzata, la superficie della quale deve essere piuttosto ampia, le mie sono da 60 x 80 cm, per non creare timori nell’atleta.

Questo lavoro serve per comprendere al meglio il tempo di stacco ed il corretto utilizzo del piede in una fase fondamentale del salto.

Lo stacco da rialzo è un esercizio che facilita l’azione stessa, basta pensare a quanto sono lunghi i salti nulli nei quali l’atleta poggia il piede sulle tavolette di nuova concezione.

In queste occasioni utilizzo una pedana alta 2 cm, oppure una da 8 o 16 cm quando voglio puntualizzare la componente di forza al momento dello stacco.

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La rincorsa che normalmente utilizzo è compresa tra i 6 ed i 10/12 passi, a seconda dell’enfatizzazione che voglio dare alle componenti forza e/o velocità.

L’altezza del rialzo non deve essere eccessiva, per evitare che gli angoli delle articolazioni interessate si discostino troppo da quelli ottimali in condizioni normali.

Per questo motivo propongo l’esercizio solo nella fase preparatoria del ciclo di allenamento e non nei cicli più vicini alla stagione agonistica.

Staccare da rialzo consente inoltre una fase aerea più alta e lunga, con conseguente possibilità di inserire esercizi per l’apprendimento ed il miglioramento dell’azione in volo.

Ad esempio si possono inserire le circonduzioni delle braccia, o possiamo chiedere all’atleta di effettuare all’apice della parabola di volo un cambio della posizione degli arti inferiori, o ancora di battere le mani sotto al ginocchio sinistro e poi sotto a quello destro (o viceversa).

Insomma esercizi che ci consentono di valutare quale grado di controllo del proprio corpo ha l’atleta durante la fase di volo.

Da non sottovalutare anche il lato ludico e divertente di questi esercizi.

Per esasperare questi aspetti solitamente faccio utilizzare tre pedane rialzate da 8, 16 e 34 cm.

La distanza tra le prime due è maggiore, interasse a 2m-2,20m, che non tra la seconda e la terza che sono posizionate con interasse 1,60-1,80m.

Questi parametri di posizionamento delle pedane, obbligano l’atleta ad una spinta più orizzontale sul penultimo passo ed a una grande velocizzazione degli ultimi due appoggi.

Perché l’ultimo passo sia efficace per la preparazione dello stacco, la spinta sul penultimo appoggio deve avere una direttrice più verticale. Automaticamente si determinerà un corretto angolo di uscita.

Le tre pedane consequenziali danno anche la sensazione di come devono essere effettuati gli ultimi passi, nei quali l’appoggio a tutta pianta è determinante per la buona riuscita del salto.

Anche in questa situazione non superiamo i 12 passi di rincorsa, rialzi compresi.

La fase aerea si allunga ulteriormente e possiamo provare tante esercitazioni di coordinazione in volo, di chiusura ed altro.

L’utilizzo dei rialzi non può prescindere dall’avanzamento costante del centro di massa, cioè, il bacino dell’atleta deve continuare a “viaggiare” orizzontalmente.

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La mia esperienza sul campo

Alleno una saltatrice in lungo che, all’inizio della carriera, aveva una carenza notevole di forza, bilanciata comunque da notevoli doti di velocità.

Altro problema era l’assetto di corsa e allo stacco, con il bacino che era sempre leggermente arretrato rispetto al modello tecnico corretto.

Decisi in quel periodo, con l’atleta che si trovava alla fine della categoria allieve e stava iniziando il primo anno juniores, di non preoccuparmi della componente forza per esaltare le sue qualità di velocità.

Per aumentare la forza avrei avuto tempo negli anni successivi.

Abbiamo adattato quindi il “modello tecnico” all’atleta, teorizzando un salto con un’accentuata componente orizzontale, determinata da un’alta velocità di uscita allo stacco, a discapito dell’altezza della parabola di volo.

Tutto questo presupponeva però un accentuato avanzamento del bacino negli ultimi passi di rincorsa, per fare in modo che il centro di gravità continuasse la sua corsa ad alta velocità prima e dopo lo stacco.

I passi finali poi non potevano essere quelli codificati nel modello standard, a causa delle scarse doti di forza e del rallentamento che poteva risultare dall’effettuazione di un penultimo passo più lungo. Quindi l’atleta effettuava passi della stessa ampiezza accorciando leggermente l’ultimo, sul quale esercitava anche un leggerissimo caricamento.

Per far provare all’atleta la sensazione di avanzamento costante del centro di gravità, ho provato inizialmente con un elastico fissato dal lato opposto della buca al bacino.

L’elastico deve consentire dai 10 ai 16 passi ed essere in tensione almeno fino al momento dello stacco, ma questa tensione non deve risultare eccessiva perché la corsa sia comunque controllabile.

L’azione trainante dell’elastico, se correttamente assecondata, anticipa effettivamente l’azione del bacino oltre a creare un effetto di supervelocità che costringe l’atleta anche ad un utilizzo rapido e marcato dei piedi.

Però l’elastico, come dicevo, deve essere assecondato e non è facile!

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L'utilizzo di pedane inclinate

Quindi ho adottato un sistema che prevedesse uno stacco da una posizione difficoltosa, cioè più in basso rispetto al piano di corsa, e che obbligasse nello stesso tempo la mia atleta ad anticipare l’azione di avanzamento del bacino prima dell’impatto con la pedana, per non finire completamente sbilanciata in avanti con il naso nella sabbia.

Ho costruito una pedana con il piano superiore inclinato di circa 6-8° e l’ho posizionata all’interno della buca di sabbia, con l’inclinazione rivolta nella direzione del salto.

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In pratica tutta l’azione di rincorsa è normale ma lo stacco avviene in posizione leggermente abbassata.

L’inclinazione verso avanti poi sbilancia tutto il corpo, obbligando quindi l’atleta a trovare una soluzione per riacquistare l’equilibrio di salto. C’è un’unica soluzione!

Il bacino-centro di gravità deve essere più avanti delle spalle al momento dello stacco.

Perché questo avvenga con certezza, l’azione di avanzamento del bacino deve iniziare con alcuni passi di anticipo sull’azione di stacco.

Abbiamo iniziato con rincorse corte fino a 6 passi per prendere confidenza con l’esercizio, poi ci siamo spinti a rincorse più consistenti.

Attualmente l’atleta è in grado di saltare dalla pedana inclinata anche con 16 passi.

Nel giro di un paio di mesi, utilizzando questo esercizio una o due volte a settimana nelle sedute tecniche, abbiamo potuto apprezzare i primi cambiamenti di assetto nella parte finale di rincorsa.

L’esercitazione con la pedana inclinata ha poi rivelato alcuni interessanti risvolti.

La presa di contatto determinata da queste condizioni coinvolge automaticamente tutta la pianta del piede e l’uscita dallo stacco è molto veloce ed in proiezione orizzontale.

Dopo alcuni stacchi effettuati sulla pedana inclinata, riportando l’atleta a saltare in condizioni normali, sul piano, ho potuto constatare una maggiore efficacia in tutta l’azione di stacco, dall’approccio, alla tenuta, fino all’uscita, con parabole di volo decisamente interessanti.

Quindi ritengo che questo esercizio, difficoltante per lo stacco e per gli angoli di esecuzione rispetto ad una situazione di gara, possa essere tranquillamente utilizzato anche nel periodo agonistico.

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Esercitazioni con riferimenti visivi: i tappetini da fitness

Dopo alcuni anni, grazie ad allenamenti costanti e progressivi nei carichi di lavoro, la mia atleta ha sviluppato maggiori doti di forza, oltre ad abilità maggiori nella coordinazione e nella tecnica di salto.

Quindi, oltre alle normali ricerche di aggiustamento di rincorsa e stacco per valorizzare i nuovi parametri di forza e velocità, abbiamo preso in considerazione la possibilità di riavvicinarci al modello di salto più classico.

Per reimpostare gli ultimi due passi, ho pensato di inserire dei riferimenti per obbligarla ad un penultimo passo più lungo dell’ultimo.

Dopo aver scartato ostacoli tipo bacchette di legno, che potevano risultare pericolosi se calpestati, o righe tracciate col gesso, poco visibili, ho optato per l’utilizzo di tappetini colorati da fitness.

I tappetini, lunghi 2m e larghi 60cm, di colori sgargianti, costituiscono un riferimento visivo importante e, calpestati, non causano alcun problema.

L’unico problema può sorgere nelle giornate ventose ma si può ovviare fissandoli lateralmente.

Il tappetino viene posizionato dai 4 metri alla fine dell’asse di battuta e lo stacco è da effettuarsi dal limite di pedana, a bordo buca.

Questa sistemazione determina un penultimo passo, obbligato, di almeno 2m e l’ultimo passo, piuttosto compresso, di circa 1,80m.

In altri termini l’atleta deve effettuare una spinta più orizzontale sul penultimo passo e una grande velocizzazione degli ultimi due appoggi.

Perché l’ultimo passo sia efficace per la preparazione dello stacco, la spinta sul penultimo appoggio deve avere una direttrice più verticale.

Se le due azioni sono eseguite correttamente, si determinerà un corretto angolo di proiezione in uscita, per il movimento verso avanti-alto del bacino, ed una sensazione ritmica adeguata.

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Allungare la fase di volo/atterraggio: ostacoli con paletti e nastro di plastica

Per migliorare, o allungare, le fasi di volo e atterraggio, può essere utilizzata un’esercitazione abbastanza divertente.

Occorrono quattro paletti leggeri in plastica, tipo i supporti per le bandierine del calcio d’angolo e nastro del tipo usato per delimitare aree in edilizia o simili.

Si piantano i primi due paletti a una distanza di 1,5m dal punto di stacco e di un paio di metri tra di loro.

Tra questi due pali fisseremo il nastro ad un’altezza di 1,20 – 1,50m.

Gli altri due paletti li posizioniamo 2,5 – 3m più in là, con il nastro allacciato ad un’altezza di 50 – 60cm.

Queste misure sono comunque da rapportare al grado di capacità di salto degli atleti.

Lo scopo dell’esercizio è di impostare la traiettoria di volo e, nello stesso tempo, di ricercare la chiusura il più lontano possibile, distendendo le gambe per superare il secondo nastro.

Consiglio di partire con 6/8 appoggi per prendere confidenza con il gesto, per arrivare ad effettuare salti anche con 10 o 12 passi.

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Variazione: ostacoli di cartone

Ultimamente ho modificato questo esercizio, sostituendo a paletti e nastri dei fogli di cartone che utilizzo nell’azienda dove lavoro.

I cartoni sono da 80 x 120 cm (misure pallet standard) o 100 x 120, e basta equilibrarli con un po’ di sabbia alla base.

Essi creano meno timori nell’atleta, e grazie ad una evidente maggior duttilità, possiamo spostarli a piacimento per creare le condizioni dell’esercizio.

È particolarmente simpatico l’esercizio per l’esecuzione dei passi in volo (2 e ½), che ha costretto la mia atleta a “lavorare” fino alla fine del volo, contribuendo peraltro a migliorare l’azione conclusiva del salto.

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Avanzamento del centro di gravità: tirare l'atleta con un elastico

L’avanzamento del centro di gravità, situato all’altezza del bacino, come già detto è fondamentale per la lunghezza del salto.

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Nell’esecuzione di un salto triplo diventa determinante.

La costante proiezione orizzontale del baricentro è prerogativa del salto triplo moderno, nel quale la velocità è la componente più importante.

Questa interpretazione del salto è, a mio avviso, applicabile ed alla portata di tutti gli atleti.

Per sensibilizzarli al balzo veloce e radente possiamo utilizzare un elastico, in trazione, che permetta di effettuare tra rincorsa, balzi e atterraggio, un’escursione di 30-40m.

L’elastico deve essere in tensione almeno fino al momento dell’ultimo stacco o jump, ma questa tensione non deve risultare eccessiva perché la corsa sia comunque controllabile.

Per questa esercitazione tecnica fisso, con un moschettone, una estremità dell’elastico ad una cintura o ad una imbragatura che sia il più possibile vicina al baricentro dell’atleta.

L’altro capo va assicurato ad una struttura adeguata, di solito uso uno degli ostacoli per le gare sulle siepi, posizionata al di là della buca di atterraggio.

Condizione determinante per la buona riuscita dell’esercizio è che l’atleta non opponga alcuna resistenza alla trazione creata dall’elastico, che anzi deve essere assecondata.

La sensazione che sarà percepita è quella dell’avanzamento costante e rapido del bacino, con conseguenti balzi molto radenti e veloci.

Ovviamente la presa di contatto a tutta pianta deve essere sempre sotto controllo.

Ho utilizzato questo esercizio, con buoni risultati, su tutte le combinazioni possibili di balzi, alternati, successivi e misti, dal triplo al decuplo e anche più in là.

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Utilizzo dei piani rialzati nel salto triplo

L’utilizzo dei piani rialzati nel salto triplo è certamente più problematico che nel lungo.

Se essi svolgono una funzione necessaria negli esercizi preparatori, penso ai rimbalzi pliometrici tra rialzi, la loro adozione per lo svolgimento dell’azione tecnica di salto vera e propria è abbastanza inconsueta.

Con l’impiego di un piano rialzato possiamo puntualizzare l’azione di stacco per il jump, oppure, posizionandolo sullo step andremo ad enfatizzare questo balzo.

Nello stesso tempo, con questa disposizione, oltre ad allungare probabilmente lo step stesso, metteremo l’atleta in condizione di dover sopportare e supportare un jump in condizioni più difficili a causa di un arrivo da una maggiore altezza.

Non ho, ovviamente, neppure preso in considerazione la possibilità di utilizzo di rialzo sul l’hop, condizione certamente deleteria sotto ogni punto di vista.

Tutto questo tra l’altro va contro la mia concezione del salto triplo.

Ritengo che l’azione più efficace sia quella che riscontriamo nei salti al femminile.

Meno forza e più velocità.

Quindi non uso piani rialzati per l’azione tecnica di salto se non nei periodi preparatori per gli scopi che ho indicato prima.

L’unica esercitazione che mi sento di proporre, solo con atleti abbastanza evoluti, prevede l’utilizzo di tre piani rialzati, uguali, per la determinazione della ritmica dei balzi.

È un esercizio abbastanza difficoltoso, che crea qualche timore e necessita di una buona conoscenza dell’atleta da parte del tecnico.

I rialzi, invece dei segni sul terreno, impongono una maggiore concentrazione sul gesto da parte dell’atleta.

La modulazione delle distanze degli stessi dà all’atleta diverse sensazioni che interpolate con la visione dell’allenatore portano alla scelta della miglior ritmica di esecuzione.

Lavorando con i più giovani, invece, ritengo che i segni sul terreno siano ottimali per l’impostazione della ritmica dei balzi.

Per convinzione personale chiedo ai miei atleti di non enfatizzare hop e step a discapito della velocità.

A cura di Enrico Porta

 

Chicco Porta

Chicco Porta

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Intervista ad Andrea Giannini

28 Luglio 2015 by Redazione

Oggi intervistiamo Andrea Giannini, nato a Grosseto il 18 dicembre 1976, ex atleta italiano specialista nel salto con l’asta (5,65 metri di PB), ora allenatore specialista Fidal, preparatore atletico e giornalista sportivo (commenta l’atletica leggera su Sky Sport e Fox Sports).

Ciao Andrea, parlaci un po’ di te, delle tue esperienze e della tua filosofia di allenamento (come e quando hai incontrato l’atletica leggera, le tue esperienze da atleta, perché sei diventato allenatore, il tuo percorso formativo, etc..)
L’atletica leggera è stata sempre parte di me, ed io parte di lei. Ho iniziato a frequentare i campi praticamente da neonato visto che il mio babbo (lo dico in toscano…) Daniele è stato allenatore e poi dirigente della “Massimo Pellegrini” Grosseto, società che negli anni ha sfornato tanti ottimi atleti. Devo dire che la mia famiglia, com’è giusto, non mi ha mai forzato in questa scelta, tant’è vero che fino a 12 anni ho praticato anche molti altri sport (soprattutto basket, baseball e nuoto), ma poi dal 1988 c’è stata la ‘folgorazione’ con il salto con l’asta che mi ha portato ad una scelta definitiva. Ovviamente, non mi sono specializzato subito in quello (ho continuato fino a 17 anni a fare anche 110hs e prove multiple) e questo devo dire grazie al mio allenatore Francesco Ambrogi nel sapermi gestire al meglio.

Negli anni, sono arrivato a conquistare il primato italiano Allievi con 5.00 e quello juniores con 5,50, che è ancora in mio possesso. A lievello assoluto forse avrei potuto dare qualcosa di più, ma gli infortuni mi hanno un po’ tagliato la strada. Non ho rimpianti comunque, ho dato il massimo per migliorare, ed evidentemente i miei limiti strutturali erano quelli. Nel frattempo, ho continuato a studiare e nel 2002 mi sono laureato all’ISEF di Firenze con una tesi proprio sulla mia programmazione del salto con l’asta; nel 2003 ho scelto di congedarmi dal gruppo sportivo delle Fiamme Gialle (dove ero entrato nel 1995), perché non avevo più nulla da dare a loro, e loro a me, ed ho iniziato la mia attività di preparatore atletico e giornalista sportivo. Nel frattempo ho continuato ad allenarmi, saltando ancora 5,30, misura che ad oggi mi permetterebbe di essere sempre tra i primi in Italia…

Ho deciso di fermarmi nel 2007, perché il mio corpo ha detto basta: schiena, spalle e tendini d’Achille non ne potevano più! Per quasi due anni sono rimasto lontano dalle piste di atletica, poi nel 2009, quando mi sono trasferito a Vigevano (per lavoro e soprattutto per amore) ho avuto la possibilità di iniziare ad allenare il salto con l’asta. Attualmente seguo un gruppo di 15 giovani, alcuni di loro molto promettenti, e da un paio d’anni collaboro con grande piacere con il settore tecnico della Liguria: regione piccola, ma con tanti tecnici bravi, preparati e motivati.

Sei stato atleta professionista nel salto con l’asta, un record personale di 5,65 metri, numerosi titoli nazionali vinti e vari record sia giovanili che assoluti. Questo tuo curriculum da atleta d’élite è un vantaggio o uno svantaggio ora che sei diventato allenatore?
Sicuramente uno svantaggio. Lo dico con grande rammarico.

Secondo te quali sono le difficoltà principali che un allenatore deve gestire nella preparazione e nella costruzione tecnica, anche a lungo termine, di un saltatore con l’asta?
La parola giusta è “costruzione tecnica”. A livello giovanile, il focus principale è “insegnare” il salto con l’asta attraverso una giusta tecnica ed allenamenti precisi e meticolosi ma non certo asfissianti. Per questo, ci vuole approfondita conoscenza della tecnica del salto con l’asta, incasellandola poi in un bouquet di allenamento generale, multilaterale e giocoso. Purtroppo spesso non è così. Si ha fretta, troppa fretta: si cerca la performance sin dalle categorie giovanili, specializzando troppo presto i ragazzi e tralasciando colpevolmente l’aspetto tecnico a scapito di quello puramente prestativo. Morale: spesso abbiamo ottimi saltatori a livello giovanile che poi si perdono una volta entrati nelle categorie assolute.

Da atleta hai fatto degli errori, che sono diventati chiari soltanto una volta diventato coach?
Da atleta, tecnicamente non sono mai stato fenomenale. Soprattutto da grande, avrei potuto mettere a punto alcuni particolari che solo adesso ho ben chiari. Da tecnico, ora ho in mente il salto perfetto: peccato perché ormai sono troppo vecchio per metterlo in pratica! Spero di farlo con i miei atleti…

Salto con l’asta: scuola Russa, Francese e Tedesca. Quale modello tecnico è migliore a tuo avviso?
Non parlerei di modello tecnico (né tantomeno di scuola), ma di modello di preparazione e prestazione. Ogni nazione (a questi aggiungerei anche la Polonia e gli USA, con questi ultimi che però hanno uno schema molto meno omogeneo) ha linee di indirizzo piuttosto definite per quanto riguarda programmazione e costruzione della performance, dà linee generali per quanto riguarda la tecnica ma lascia spazio alle particolarità. In genere, però, ci sono obiettivi e linee di indirizzo ben definite, decise dai tecnici federali. Una cosa che, attualmente, manca in Italia.

In base alla tua esperienza da allenatore, quali sono i punti fondamentali in un buon programma di allenamento nel salto con l’asta?
Tecnica, tecnica e ancora tecnica. E buone capacità di corsa.

A tuo avviso, quali sono le difficoltà principali che un allenatore di atletica leggera deve affrontare nel nostro paese?
Purtroppo la nostra atletica qualche anno fa ha subìto una svolta epocale, e quasi non ce ne siamo accorti. Prima il tecnico era soprattutto l’insegnante di educazione fisica che passava il pomeriggio al campo. Adesso i tempi sono cambiati: i tecnici fanno grandi sacrifici per seguire i ragazzi, spesso senza nemmeno un rimborso spese. Questo è frustrante e ingiusto, perché la professionalità dev’essere retribuita, come avviene in tutti gli sport più importanti. E nonostante questo, in Italia ci sono ancora tantissimi tecnici davvero bravi e preparati: basta vedere i risultati dei recenti campionati giovanili di Cali, Eskilstuna e Tallinn dove gli azzurri hanno fatto bene in molte specialità diverse.

Allenamento giovanile. A nostro avviso è la base per la costruzione di futuri campioni, per far questo pensiamo sia importante ritrovare la sua componente ludica ed educativa, non solo la voglia di risultati. Che ne pensi?
Purtroppo, la moltiplicazione di gare giovanili di livello internzionale e la corsa ad accaparrarsi un posto in un gruppo sportivo militare ha aumentato molto la competitività e la fretta di arrivare: un prezzo che si rischia di pagare successivamente.

Spesso i giovani sono nelle mani dei tecnici meno esperti, appena usciti dal corso istruttori. Pensi possa essere utile costruire un percorso che crei degli esperti/professionisti nell’allenamento dei giovani?
I tecnici esperti e professionisti sono sempre molto utili, sia per far crescere l’atleta sia per accompagnare nel processo di maturazione anche i tecnici meno esperti. In tal senso, credo che l’abolizione dei responsabili di settore sia stata una scelta un po’ azzardata. C’è bisogno di “tutor” esperti e qualificati, che stiano giornalmente a contatto con le realtà delle loro specialità, e che magari siano scelti per titoli, pubblicazioni e reali capacità come avviene negli altri stati europei.

Quali sono le figure che hanno ispirato il tuo modo di allenare?
Il mio ex tecnico Francesco Ambrogi, Vitaly Petrov, Carlo Vittori e, fuori dall’atletica, Julio Velasco. La fortuna di fare il preparatore atletico in molti altri sport, inoltre, mi permette di confrontarmi con realtà tecniche e programmatiche nuove e prendere loro il meglio.

Andrea Giannini

Si parla molto del modo di allenare all’estero, consa ne pensi? Pensi che in Italia gli allenatori siano così inferiori rispetto a quelli delle altre nazioni?
Non credo in Italia gli allenatori siano inferiori a quelli stranieri, anzi! Purtroppo, spesso, non sono messi in condizioni di allenare al meglio. Io però, da questo punto di vista, voglio essere ottimista. Magnani e Baldini stanno facendo un ottimo lavoro, lavorando in profondità come da tanto tempo non si faceva. Come ho già detto, ci sarebbe però bisogno di ricostruire attorno a loro il settore tecnico, delegando a figure altrettanto autorevoli e preparate.

Cosa ti piace dell’atletica leggera, rispetto ad altri sport?
Sport individuale: tu contro l’uomo, il cronometro, il metro. Ci metti la faccia, sempre.

Il consiglio che daresti ad un giovane che vorrebbe iniziare a fare il tecnico di atletica?
Di venire al campo, divertirsi ma allo stesso tempo essere preciso, meticoloso e responsabile. Le famiglie ci affidano dei giovani non solo per insegnare loro a correre veloce o saltare di più, ma soprattutto per farli crescere attraverso la conoscenza del proprio corpo, il rapporto con gli altri, il successo delle vittorie e la responsaiblità delle sconfitte.

Oltre all’atletica “convenzionale”, sei allenatore anche di atleti paralimpici, in particolare di Giusy Versace. Cosa ne pensi dell’attività paralimpica?
Con Giusy Versace è un’esperienza bellissima, che va avanti dal 2010 e che si concluderà, spero, con le Paralimpiadi di Rio nel 2016. Un’esperienza tecnica e umana che scorderò difficilmente. Per quanto riguarda l’atletica paralimpica in Italia, è una realtà molto in crescita anche se a mio modo di vedere spesso si bada troppo al risultato, e troppo poco alla sua valenza sociale. L’obiettivo primario, a mio avviso, dev’essere quello di dare la possiblità a molte persone di riscattarsi ed esperimersi attraverso lo sport, non di vincere solo medaglie.

Atletica, ma anche calcio: sei stato anche preparatore di alcune squadre dilettantistiche ed inoltre come giornalista tratti spesso di calcio. Cosa ne pensi della professionalità dei preparatori di calcio rispetto ai tecnici di atletica (a parte la differenza di stipendio…)
Come giornalista non tratto più di calcio da diversi anni: ormai mi dedico quasi esclusivamente all’atletica, e come Video Operatons Manager alla formazione di giovani giornalisti in campo internzionale (in questo caso, sì, anche nei grandi tornei di calcio). La mia esperienza di preparatore atletico nel calcio è stata molto formativa, mi ha insegnato a costruire la performance seguendo strade diverse da quelle che conoscevo. Ad alti livelli, i preparatori di calcio hanno una grandissima conoscenza. La differenza, rispetto ai tecnici di atletica che possono decidere in piena autonomia, è che facendo parte di uno staff i preparatori devono in qualche modo adattarsi alle esigenze del tecnico e dei giocatori, che sono molti e difficili da gestire tutti assieme. In qualche modo, insomma, il lavoro di gestione è più importante di quello di programmazione.

Ringraziamo Andrea per la disponibilità. Se volete conoscerlo meglio visitate il suo sito web andreagiannini.com

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Dalla multilateralità alla multidisciplinarietà

9 Luglio 2015 by Redazione

Quale è lo scopo con cui si inizia l’allenamento? 

Lo scopo è rappresentato dall’obiettivo che si intende raggiungere nell’arco di 10-15 anni: la prestazione sportiva!

E’ proprio l’obiettivo futuro a determinare gli scopi, i contenuti e gli obiettivi durante il corso degli anni. (E.Arbeit)

Compito dell’allenamento giovanile è quello di sviluppare le caratteristiche fisiche che in quel momento sono nelle condizioni migliori, cioè hanno i presupposti fisici e psichici migliori e più adatti ad essere allenati. 

Principi metodologici dell’attività giovanile sddsa

  • Dall’elementare al complesso
  • Dal facile al difficile
  • Dal generale allo specifico
  • Dal globale al particolare         (C. Vittori)

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Obiettivi dell’allenamento giovanile:

Miglioramento pianificato ed a lungo termine di uno stato specifico di prestazione fino ad un livello tale da rendere possibile iniziare l’allenamento per lo sport di alta prestazione. La pianificazione richiede che vi sia sempre un rapporto ottimale tra:

  • formazione generale
  • formazione speciale
  • condizioni di sviluppo dell’organismo

Stabilizzazione di una motivazione elevata al successo sportivo. Con la pratica di un solo sport (o disciplina sportiva) non si possono sviluppare uniformemente tutte le capacità coordinative. Solo richieste motorie diverse che si completano tra loro, garantiscono una formazione coordinativa multilaterale di base (formazione polisportiva).

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Caratteristiche dell’allenamento giovanile

“Gli atleti adulti si allenano per il presente mentre i giovani si allenano per il futuro” (Arbeit)

L’obiettivo finale determina i contenuti e gli obiettivi particolari durante il corso degli anni. Inizialmente è necessaria un’attività di base che ponga in primo piano l’acquisizione di un voluminoso repertorio di movimenti che sottenda ad una formazione multilaterale. Questo percorso consentirebbe la realizzazione di un bagaglio motorio basato sugli schemi motori di base, indispensabile per gli ulteriori apprendimenti.

Successivamente, infatti, il percorso sportivo si completa con l’apprendimento di obiettivi, costruiti funzionalmente gli uni sugli altri e rappresentati dalle abilità motorie.

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Perché la multilateralità?

  • Per stabilire il più precisamente possibile le attitudini di un ragazzo è necessario che le sue doti fisiche vengano sviluppate in ogni loro aspetto. (Bauersfeld – Schoeter)
  • Nel tempo, ci sono evoluzioni nei materiali e nelle tecniche. Solo un atleta con alti livelli di capacità coordinative, sviluppate in età giovanile attraverso attività multilaterale, può trasformare le tecniche già acquisite. (Bauersfeld -Schoeter

La pratica di attività multilaterali produrrà una ricchezza di esperienze, che determinerà apprendimenti significativi, i quali, immagazzinati nella memoria motoria, amplieranno le funzioni motorie producendo nuove abilità. Il risultato sarà quindi un gesto economico, in quanto il ragazzo potrà scegliere, dal proprio patrimonio motorio, il movimento più efficiente, ciò lo renderà più sicuro e lo porterà al miglior rendimento.

E.Hahn (1986) autorevole studioso sostiene in merito che il ”fondamento di ogni allenamento, nello sport di prestazione, è una formazione di base generale, che va oltre le varie discipline ed è impostato su larga scala, in cui ha gran valore la molteplicità dei modelli motori.

Più è vasto il repertorio di esperienze motorie in diverse discipline sportive, più facilmente si ottiene una strutturazione a livelli più alti di rendimento”.

Principio della multilateralità:

Per multilateralità si intende la scelta dei mezzi e l’organizzazione dei contenuti in modo da attivare ed affinare il maggior numero possibile di schemi motori e, costruire abilità motorie significative per, qualità e quantità tali da essere trasferibili nella acquisizione di abilità motorie specifiche della disciplina sportiva. In particolare le attività motorie saranno organizzate con l’attivazione del maggior numero di schemi motori e posturali, per la costruzione di abilità motorie significative per qualità, quantità e trasferibilità

Per MULTILATERALITA’ si intende inoltre la molteplicità di attività e contenuti motori che si sviluppano nel tempo attraverso:

  • FORMAZIONE MULTILATERALE GENERALE (ESTENSIVA) 9-11 anni: che ha per obbiettivo l’incremento delle capacità funzionali generali di rendimento dell’organismo (sviluppo delle capacità condizionali e delle capacità coordinative di base);
  • FORMAZIONE MULTILATERALE SPECIALE (INTENSIVA ORIENTATA) 12-14 anni: che ha l’obbiettivo di promuovere attraverso l’adozione di diversi mezzi speciali , lo sviluppo delle capacità maggiormente richieste per la/e specialità.
  • FORMAZIONE MULTILATERALE (INTENSIVA MIRATA) 15-17 anni

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Tappa della multilateralità estensiva (9-11 anni)

Contenuti ed obiettivi della preparazione:

Miglioramento delle capacità fisiologiche e della sensibilità dei gesti attraverso attività e giochi di grande movimento, imitativi, derivati e propedeutici dell’attività sportiva scelta.

Le esercitazioni dovranno essere tali da stimolare il sorgere ed il consolidarsi di apprendimenti di carattere generale, trasferibili anche in altre discipline sportive.

Obiettivi da raggiungere sono quindi la conoscenza e padronanza del proprio corpo, lo sviluppo degli schemi motori di base e delle capacità coordinative.multilateralità 1

 

  • Insegnamento della tecnica della corsa piana, della marcia, in forma semplice
  • Far prendere confidenza con palline e palle adatte alle dimensioni del giovane. Lanci ad una mano da tutte le posizioni, lancio a due mani da tutte le posizioni. Familiarizzazione con la tecnica di salto, gli esercizi di salto e la corsa con ostacoli
  • Sviluppo della forza generale con i mezzi della ginnastica e dell’acrobatica semplice.
  • Sviluppo dell’equilibrio e del ritmo con ogni mezzo (usando proposte ritmiche in ogni situazione, andature rettilinee avanti/indietro, movimenti rotatori singoli, continui, successivi sul posto e in avanzamento)
  • Sviluppo ed incremento della rapidità dei movimenti ciclici ed aciclici, dosati attraverso un lavoro sapiente che prediliga non solo la quantità ma soprattutto la qualità dei gesti. Lo sviluppo di questa qualità rappresenta l’obiettivo prioritario in questa fase per migliorare le capacità e le abilità motorie.

multilateralità 2Gran parte di queste proposte possono essere sviluppate attraverso un lavoro in circuito, con gruppi di lavoro, all’interno di moduli che comprendano una o più caratteristiche da sviluppare senza dimenticare che, in questo periodo della preparazione sarebbe opportuno utilizzare esercitazioni simmetriche che successivamente e progressivamente vengono sostituite da esercitazioni asimmetriche (specificità del gesto).

 

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Tappa della multilateralità intensiva (orientata) 12-14 anni

Contenuti ed obiettivi della preparazione:

Insegnamento tecnico specifico per perfezionare la padronanza dei gesti e assimilare gli elementi fondamentali della tecnica. Obiettivi da raggiungere sono la polivalenza e la multilateralità, il potenziamento fisiologico (sviluppo delle capacità condizionali), il perfezionamento degli schemi motori di base.

 

  • Apprendimento della tecnica degli esercizi generali del corpo libero della ginnastica e dell’acrobatica attraverso l’utilizzo di attrezzi ginnici, esercizi di pre-acrobatica, esercizi a coppie, sviluppo e consolidamento della capacità di equilibrio e coordinazione attraverso esercitazioni lineari e rotatorie
  • Apprendimento della tecnica degli esercizi di salto, della tecnica di salto, degli elementi fondamentali del salto con l’asta.
  • Apprendimento degli elementi tecnici della corsa con ostacoli. (esercizi generali e speciali con ostacoli da 50/60 cm.)
  • Apprendimento degli elementi tecnici dei lancio ( getto del peso, lancio del disco e del giavellotto – vortex)
  • Apprendimento della tecnica della corsa piana e degli esercizi generali e speciali di corsa
  • Sviluppo delle capacità ritmiche ( attraverso gli esercizi e durante la corsa)
  • Sviluppo in modo funzionale e corretto dei gruppi muscolari dei piede dell’addome e delle spalle.

 

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Obiettivi da perseguire

Blocco corsa – ostacoli, dal saper..multilateralità 3

  • Essere in grado di effettuare un appoggio corretto dei piedi a terra, senza frenare
  • Compiere movimenti coordinati braccia – gambe
  • Mantenere una buona postura durante la corsa
  • Passare gli ostacoli correndo, senza saltare
  • Mantenere il ritmo di corsa tra gli ostacoli (3-5-7 passi)
  • Sviluppare e fissare i primi esercizi speciali per gli ostacoli.

 

 Al saper…

  • Saper effettuare partenze in piedi e dai blocchi con energia e senza interruzioni
  • Passare gli ostacoli correndo e senza frenare
  • Saper realizzare cambi di ritmo durante la corsa sia in rettilineo che in curva mantenendo una tecnica corretta ed una azione decontratta.
  • Saper superare 5/7 ostacoli mantenendo un ritmo corretto e continuo fra distanze uguali
  • Saper correre 5/7 ostacoli a distanze variabili (3-4-5-6-7passi) superando gli ostacoli sia con la gamba destra che con la gamba sinistra.multilateralità 4

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Blocco salti;

  • Realizzare la rincorsa con ritmo progressivamente crescente (alto – lungo)
  • Tentare l’esecuzione dell’impostazione della gamba di stacco senza rallentamenti (sia con la gamba destra che con la sinistra)
  • Compiere movimenti di coordinazionone, associazione-dissociazione degli arti inferiori e superiori
  • Compiere movimenti di salto, di stacco (alto e lungo) facilitati
  • Compiere movimenti corretti (coordinati) al momento dello stacco
  • Saper interpretare in modo corretto una rincorsa nel salto in alto, (7 passi) e nel salto in lungo con non più di13/15 passi
  • Saper correre in progressione ogni tipo di rincorsa
  • Saper correre in cerchio e su raggi di curvatura di varie metrature (da 5 a 8 mt.)
  • Saper impostare una tecnica di stacco corretta, estensione allo stacco di tutto il corpo, coordinazione dei segmenti liberi, ultimi passi della rincorsa senza perdita di velocità.

 

multilateralità 5

Per il salto con l’ asta oltre a quanto detto e, ad una buona capacità di controllo negli esercizi di ginnastica e acrobatica è importante:

  • Saper correre con l’asta senza modificare la tecnica di corsa
  • Saper saltare in lungo realizzando presentazione ed imbucata con rincorsa corta
  • Saper realizzare la presentazione e l’imbucata con 4-6-8 passi di rincorsa
  • Con l’assistenza dell’allenatore, saper realizzare una rincorsa di due, quattro o sei appoggi, imbucata, stacco ed oscillazione avanti-alto con atterraggio in posizione frontale a gambe unite e semipiegate. Aumentando la lunghezza della rincorsa aumenta la velocità d’uscita dallo stacco, aumenta l’inerzia necessaria all’oscillazione del corpo in verticale.multilateralità 6

 

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Blocco lanci:

Fin dagli esercizi più semplici è opportuno ricordare che il movimento inizia sempre dai muscoli estensori degli arti inferiori, prosegue con i muscoli del tronco ed infine si conclude con i muscoli estensori degli arti superiori con gesti motori specifici di getto, lancio e tiro. Un altro aspetto comune a tutti i lanci, ma evidenziato anche nei salti è il ritmo in progressione della rincorsa, della traslocazione e della rotazione. La capacita di traslocazione e di rotazione è elemento da sviluppare e consolidare in ogni fase, in quanto suscettibile ad adattamenti e miglioramenti continui in funzione dello sviluppo delle abilità tecniche e delle modificate capacità condizionali.

multilateralità 7

Esercitazioni generali:

  • Pallone di 1 kg lanci da fermo frontali a due braccia sopra la testa (in piedi con arti divaricati sull’asse frontale e sagittale, in ginocchio, in ginocchio su un arto, seduti, supini..)
  • Pallone di 2-3-4 kg da fermo, spinte a due braccia dal petto in avanti-alto (piedi divaricati sull’asse frontale e sagittale) (in piedi, seduti, in ginocchio su un arto, in ginocchio su due arti)
  • da fermo, lanci dorsali, lanci frontali dal basso in avanti-alto
  • da fermo, lanci frontali dalla torsione a dx e sx in avanti-alto
  • salita sulla panca con un arto e lancio dal petto in avanti-alto
  • cadendo dalla panca, piegamento arti inferiori risalita e lancio dal petto in avanti-alto
  • da seduti sopra la panca, raddrizzamento arti inferiori e lancio dal petto in avanti-alto
  • con un passo (dx-sx o sx-dx) e lancio dal petto in avanti-alto
  • con un passo dx-sx, torsione del tronco a dx e lancio frontale dal petto in avanti alto (idem con un passo sx-dx , torsione a sx).

Lancio del giavellotto:

Palline, sassi, vortex (max 150gr.): lanci con un braccio propedeutici al lancio del giavellotto:

  • da fermo, arti divaricati frontali, braccio disteso dietro, arco del corpo e lancio
  • da fermo, arti divaricati sagittali, braccio disteso dietro, semipiegamento arto posteriore
  • spinta e puntello attivo anteriore, arco e lancio.
  • con un passo incrociato (sx-dx-sx) e lancio alto sopra la testa
  • braccio mantenuto in linea di lancio, rincorsa corta e lancio alto sopra la testamultilateralità 8

Lancio del disco:

Si tratta di realizzare un gesto semplice e corretto nella forma e nel ritmo

  • Spostarsi girando sull’asse (Concatenazione delle rotazioni)
  • Localizzare il reparto di rotazione, linea spalle / braccio,
  • Mantenere gli appoggi al suolo nella realizzazione del finale
  • Orientare l’attrezzo su una traiettoria di prestazione

Pianificare la meta, dominare le sensazioni esterocettive.

  • Lanciare in una direzione ad un bersaglio in una corsia
  • Esigere l’equilibrio
  • Percepire il fissaggio della gamba sinistra ed i successivi allineamenti
  • Giocare con lo spazio tempo S – DS utilizzando bastoni, clavette, palle con maniglia: lanci con un braccio propedeutici al lancio del disco

Lancio del peso:

Esercizi tecnici tecnica classica (lanciatore destro):

  • da fermo, lancio frontale: posizione frontale alla direzione di lancio, torsione del tronco e semipiegamento degli arti inferiori, lancio in avanti-alto.
  • da fermo: posizione laterale alla direzione del lancio, semipiegamento dell’arto posteriore in appoggio sull’ avampiede, torsione di 90° del tronco sull’asse “arto anteriore – spalla”, spinta arto posteriore ed anche frontali, prestiramento, apertura e chiusura dell’arto superiore libero e spinta finale del braccio lanciante.

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Tappa della multilateralità intensiva (mirata) 15-17 anni

Contenuti ed obiettivi della preparazione i contenuti negli aspetti generali sono:

  • Contenuti a carattere multilaterale per il 50% della preparazione, completamento dello sviluppo qualitativo necessario attraverso gli elementi specifici della tecnica, (indirizzare sempre più le esercitazioni verso il gesto specifico)
  • scelta della disciplina sportiva, acquisizione di abilità tecnico-tattiche e incremento delle capacità condizionali.
  • Realizzare, tenendo conto del livello di preparazione acquisito un approfondito e continuo lavoro sulla/e tecniche
  • Prosecuzione, nello sviluppo delle capacità fisiche della rapidità e della forza veloce

Obiettivi da perseguire:                        

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Blocco corsa – ostacoli,

  • Controllo della postura e l’allineamento di tutte le azioni
  • Controllo della frequenza e ampiezza del passo e capacità di modularlo
  • Saper effettuare la partenza dai blocchi in modo corretto ed efficace
  • Saper dominare la tecnica del passaggio dell’ostacolo (coordinazione) con l’utilizzo di esercizi speciali della tecnica e del ritmo della corsa tra gli ostacoli (la tecnica della corsa in funzione del ritmo tra gli ostacoli, più corti, più lunghi) E’ importante ricordare che la velocità è un fattore limitativo della tecnica, e che questa deve adattarsi per poter essere efficace ad ogni più piccola variazione della velocità.
  • Saper effettuare, modulare, la partenza dai blocchi in funzione della prove (corsa sul piano o con ostacoli, diversificazione del ritmo in funzione della distanza)

 

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Blocco salti:

  • Dominare il ritmo progressivo e crescente della rincorsa senza ridurre la velocità e senza abbassare le anche
  • Realizzare una impostazione corretta della gamba di stacco sia per il salto in lungo che per il salto in alto (la differenza è nell’impostazione degli ultimi passo)
  • Saper effettuare un ritmo corretto della rincorsa e saper coordinare l’azione dei segmenti liberi durante il volo
  • Saper effettuare una corretta tecnica nell’atterraggio per il salto in lungo ed una caduta corretta per il salto in alto
  • Saper effettuare un salto (lungo) utilizzano ambedue le gambemultilateralità 10

 

Per il salto con l’asta oltre agli esercizi proposti è importante:

  • Saper trasportare l’asta durante la rincorsa
  • Saper effettuare una presentazione ed una imbucata corretta dell’asta con una rincorsa di 10-12 passi
  • Saper fare un salto con 8 passi di rincorsa oscillando ed infilando verticalmente senza girare, toccando con i piedi un elastico posto a 50-60 cm. Più alto dell’impugnatura.

 

La sensazione del collegamento rincorsa – salto ed avanzamento con l’asta in flessione dà al saltatore la sicurezza per la successiva fase acrobatica sull’asticella.

  • Salti completi con rincorse variabili in base al momento della preparazione, (adeguando il tipo di asta e l’altezza delle impugnature.multilateralità 11

 

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Blocco lanci

Peso (velocità, altezza del rilascio,angolo di rilascio)

  • Dal lancio da fermo al lancio completo con partenza dorsale (classico o rotatorio)

 

Disco (Equilibrio, accelerazione, ritmo)

  • Lanci con ½ giro
  • Lanci con 1 giro partenza frontale
  • Lanci completimultilateralità 12

 

Giavellotto (accelerazione del corpo e dell’attrezzo, postura, rilassamento)

  • Lanci in movimento di passo o di corsa, passi incrociati mantenendo il braccio disteso e rilassato
  • Passi incrociati mantenendo l’attrezzo in linea, appoggio in anticipato del piede destro  ed appoggio in avanti del piede sinistro (posizione finale di lancio), lancio teso (anche a bersaglio).

Lanci con tre o cinque appoggi (di passo e di corsa):

  • Incrocio arto inferiore destro sull’arto inferiore  sinistro, spinta arto inferiore destro, appoggio piede sinistro (impulso), spinta dinamica radente ed appoggio anticipato del piede destro e del piede sinistro (posizione finale di lancio) e lancio in avanti.

 

Le fasi successive della preparazione dovranno prevedere uno sviluppo armonico dell’apparato neuro muscolare per innalzare il livello raggiunto e preparare il giovane ad una fase di specializzazione che porti verso una preparazione agonistica a carattere multilaterale (multidisciplinare) gareggiando sia in quelle che egli ritiene siano le sue specialità preferite, ma anche in quelle prove che a ragione sa di non padroneggiare perfettamente.

 

Alcuni riferimenti sono stati ripresi da un articolo di Giovanni Tucciarone apparso su Atletica Studi n°2 del 1994

 

A cura di Graziano Camellini

 

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Evoluzione di un saltatore con l’asta: dal reclutamento all’elevata qualificazione

8 Luglio 2015 by Redazione

Riproponiamo, per gentile concessione dell’autore, Andrea Giannini (ex atleta professionista di salto con l’asta ed ora allenatore), la tesi del corso di Allenatore Specialista FIDAL 2013-2015, come dice lui “un estratto frutto del mix di esperienze di atleta prima, e di allenatore poi”, presente anche sul suo sito web andreagiannini.com dove è possibile scaricarne il PDF.

L’articolo, vista la sua lunghezza, è diviso in 3 pagine diverse. Cliccare i numeri in fondo o in cima all’articolo per passare alla pagina successiva.

[su_heading size=”18″]Premessa[/su_heading]
Allenare
una specialità tecnicamente complessa come il salto con l’asta è già di per sé un compito non certo semplice; accompagnare un atleta nella sua crescita e nella sua evoluzione tecnica, strutturale e psicologica è soprattutto una scommessa, ma allo stesso modo un’esperienza esaltante, unica e formativa per l’atleta e l’allenatore stesso. Un’esperienza che non capita spesso nella vita di un tecnico, vista la fisiologica dispersione di atleti che abbandonano già dalle categorie giovanili, oppure per la scelta di molti allenatori di prendere e gestire atleti già evoluti o lavorare solo sui più giovani, saltando quindi molti di questi passaggi.

La mia esperienza personale

Il mio ventennale trascorso da atleta è senza dubbio un bagaglio ricco quanto ingombrante. Un record personale di 5,65 metri, tante maglie azzurre tra cui quella ai Campionati Mondiali, in Coppa Europa, alle Universiadi ed ai Giochi del Mediterraneo vinti nel 2001, un record italiano Junior a 5,50 tuttora in mio possesso, sono ricordi che rendono orgoglioso ed al tempo stesso danno autorevolezza e responsabilità al mio ruolo di allenatore. Tuttavia sarebbe sbagliato basarsi solo sul mio trascorso, un po perché l’immagine di “vecchia gloria” rischia di essere un po’ trita e patetica agli occhi dei giovani, ma soprattutto perché nell’atletica, come nello sport, ognuno ha il diritto di avere il proprio percorso evolutivo tecnico, fisico e della personalità. In questo senso i trascorsi all’ISEF di Firenze, i corsi FIDAL ma anche la tante esperienze negli altri sport come preparatore atletico si sono rivelate decisive per uno sviluppo tout-court dell’attvità di coach. Allo stesso modo, tecnica e metodologia si evolvono in continuazione, rendendo necessarie una continua formazione ed un proficuo scambio di idee con amici e colleghi di tutto il mondo.

Obiettivo: saltare bene

Il salto con l’asta, in fisica, può essere definito come la trasformazione di energia cinetica (rincorsa) in energia potenziale (caricamento dell’asta). Questo schema estremamente sintetico racchiude però in sé un’estrema accuratezza nella tecnica di esecuzione, dalla preparazione della rincorsa fino all’atterraggio sui materassi. Una tecnica che necessita di una grande conoscenza di base da parte dell’allenatore, e che dev’essere costruita con pazienza e con dovizia negli anni assieme all’atleta all’interno di una programmazione accurata ed equilibrata. Senza aver fretta di arrivare al risultato in poco tempo, e senza abusare dello sviluppo smodato di capacità condizionali in tenera età, accompagnando il naturale sviluppo fisico e psicologico dell’atleta. L’obiettivo dev’essere altresì quello di fornire al proprio atleta i migliori strumenti per dare il massimo di se stesso, ed allo stesso tempo vivere in un ambiente costruttivo e confortevole.

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Il reclutamento

Negli ultimi anni il reclutamento in atletica si è fatto più difficoltoso, a causa della concorrenza sempre più ampia degli altri sport e soprattutto del deterioramento del legame diretto con il mondo della scuola. Occorre dunque un modello nuovo di reclutamento, basato soprattutto su un’offerta globale di tutte le specialità dell’atletica, inizialmente attraverso un modello ludico ma sempre con un livello tecnico alto e ben definito. In parole povere: provare di tutto ma con grande accuratezza. Allo stesso modo, dev’essere compito dei tecnici, unito alle loro capacità di scouting e ad un’ottima dose di buon senso, capire verso quale specilità (o gruppi di specialità) indirizzare i giovani. In tal senso, è fondamentale la perfetta organizzazione delle società di atletica, unita ovviamente alla preparazione dei loro tecnici.

I requisiti per un saltatore con l’asta “futuribile” possono essere a grandi linee questi:

  • Ottime capacità di corsa (ritmo, velocità)
  • Buone capacità di stacco (coordinazione, reattività)
  • Propensione all’acrobaticità
  • Buona forza generale di base, soprattutto per quanto riguarda gli arti superiori
  • Flessibilità e mobilità articolare, soprattutto del cingolo scapolo-omerale
  • Disponibilità mentale nella risoluzione di problemi tecnici complessi
  • Disponiblità mentale ad intraprendere un percorso di medio-lungo periodo

La letteratura ci dice che la migliore età per iniziare il salto con l’asta è attorno agli 11-12 anni, ovviamente integrandolo ad altre specialità dell’atletica leggera. A questa età il giovane atleta ha raggiunto di solito un ottimo livello di capacità coordinative e motorie, ha un’ottima propensione per l’acrobaticità e per le attività più “spericolate” e infine, cosa ancor più vantaggiosa, la forza è assai poco o per nulla sviluppata, non essendo ancora stato raggiunto, nella maggior parte dei casi, lo sviluppo puberale. Ci sono però numerose eccezioni. A livello femminile, infatti, capita sempre più spesso di trovare ex-ginnaste che arrivano al salto con l’asta in età tarda, spesso perché “in uscita” dalla loro disciplina sportiva che è invece molto precocizzante. Queste atlete hanno in genere poche capacità di corsa (non avendola mai allenata) ma grande velocità di apprendimento in un gesto la cui costruzione ha molti punti in comune con la preparazione della ginnastica. E’ chiaro che, in quel caso come in molti altri, bisognerà adattare la preparazione a seconda dele esigenze costrunedo, oltre ad un buon salto globale, una capacità ritmica e di efficienza della rincorsa.

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Strumenti necessari per l’allenamento del salto con l’asta

  1. Strutture: pedana di salto con l’asta (meglio se al coperto), attrezzi per la ginnastica, pista, pedane e palestra per la muscolazione
  2. Disponibilità di tempo dell’allenatore, anche nel lungo periodo
  3. Capacità tecnica dell’allenatore (“insegnare” il gesto e “costruire” la condizione fisica)
  4. Ambiente favorevole, da condividere con altri compagni/gruppi soprattutto nelle categorie giovanili
  5. Motivazioni dell’atleta nel raggiungimento dei vari obiettivi

Pianificazione di un allenamento pluriennale: i punti chiave

In un lungo percorso da condividere con un atleta ci devono essere:

  1. Preparazione tecnica accurata sin dalle categorie giovanili
  2. Preparazione fisica globale nelle categorie giovanili
  3. Preparazione fisica specifica nelle categorie assolute
  4. Specializzazione tardiva (parziale nella categoria Allievi, totale dalla categoria Junior)
  5. Obiettivi tecnici e ludici nelle categorie giovanili, obiettivi prestativi nelle categorie agonistiche
  6. Psicologia e coaching

I mezzi di allenamento nell’asta nella seconda pagina dell’articolo

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L'abilità motoria

30 Giugno 2015 by Redazione

Abilità motoria

Articolo liberamente tradotto ed elaborato da Graziano Camellini e Luca Gori da un articolo di J-P Goussard e da J-P Famose in Apprentissage Moteur et Difficulté de la Tâche.

Cos'è un' abilità motoria?

Per “Abilità Motoria” (l’abilità sportiva è una sotto categoria della Abilità Motoria) si indica abitualmente il livello di “competenza” acquisito da una persona per ottenere uno scopo particolare.
Per esempio: andare a canestro, superare una asticella nel salto in alto ecc…

Questa capacità, nell’ottenere dei risultati fissati precedentemente dall’atleta stesso, si traduce concretamente in un movimento fisico appropriato. Nel momento in cui si parla di movimento umano ci si riferisce spesso ad una specifica posizione spazio-temporale del corpo e delle sue articolazioni. L’elemento spaziale è costituito dalla posizione dei segmenti articolari gli uni in rapporto agli altri. L’elemento temporale è costituito dal “timing”, la velocità, l’accelerazione, oppure i tempi di questi posizionamenti.

Consideriamo per esempio, il movimento del braccio nel lancio di freccette ad un bersaglio. In questo compito il praticante è abile non solamente se riesce a dare al suo movimento spaziale, una velocità, una ampiezza, un ritmo, una forza specifica ecc. capace di dare al movimento una direzione ed una traiettoria richiesta che sia allo stesso tempo precisa ed economica.

L’efficacia dell’abilità dipende di conseguenza dalla capacità nel generare la struttura spazio- temporale del movimento richiesto per ottenete il risultato.

Qual è la relazione tra il movimento ed il risultato ricercato?

Per ottenere questo risultato occorre acquisire una configurazione ideale del movimento, una tecnica?

Cosa viene appreso da un punto di vista motorio quando si apprende una abilità motoria?

Introduzione

L’idea fondante che emerge da questa ricerca scientifica in merito ai tratti principali che caratterizzano le attività motorie, possono definire l’attività motoria nel seguente modo:

L’abilità motoria è la capacità di acquisire, tramite apprendimento, un obiettivo prefissato, raggiungendone il massimo risultato esecutivo rapidamente o con il minor dispendio di energie o spesso con entrambe le cose (Guthrie 1957).

Questa definizione sottolinea chiaramente le caratteristiche di apprendimento dell’attività motoria, prodotto dell’apprendimento motorio.

Altre caratteristiche dell’abilità motoria sono più precisamente:

l’abilità motoria si definisce in rapporto ad un obiettivo da raggiungere (il cui risultato sia preventivamente fissato). Questa non si definisce come spesso succede nel campo dell’educazione fisica sportiva, come il rapporto di una rappresentazione mentale del movimento da realizzare. Questo è l’aspetto a cui l’abilità e finalizzata
l’abilità motoria è gerarchicamente organizzata, l’obiettivo principale è scomposto in sotto obiettivi
l’abilità motoria è efficienza;
l’abilità motoria è capacità di adattarsi, (i movimenti sono regolati in base all’esecutore e all’ambiente)
l’abilità motoria è coordinazione;

Le caratteristiche principali enunciate sopra sono anche le caratteristiche delle attività cognitive complesse (Leplant 1988).

LA NATURA DELL'ABILITA' MOTORIA

Capacità ed obiettivo

Con abilità motoria (abilità sportiva è in questo caso una sotto categoria), si intende normalmente il livello di competenza o il saper fare acquisito da un praticante di un obiettivo (gesto) particolare da raggiungere.

Gli esempi si sprecano: nel basket mettere la palla nel canestro; nel nuoto, in atletica, nel canottaggio, andare più veloce possibile; nel calcio è essere precisi nel passaggio o nel tiro; nella danza classica è riprodurre fedelmente una forma gestuale. Senza il raggiungimento di questi obiettivi non c’è abilità. L’abilità è dunque la capacità di un soggetto di raggiungere un obiettivo in maniera efficace ma allo stesso tempo efficiente.

Più genericamente un praticante è abile se è capace di raggiungere nella maniera appropriata l’obiettivo o lo scopo precedentemente fissate.

Altri autori hanno arricchito la definizione di Guthrie. Così Robb (1972) definisce l’abilità come il completamento di un compito motorio senza considerare la qualità del movimento; Arnold (1985) presenta l’abilità come la realizzazione fedele dell’obbiettivo del compito motorio. Se l’obiettivo è per esempio, il prendere al volo una palla, l’abilità nell’esecuzione del gesto non dipende dalla modalità esecutiva del movimento, ma dalla capacità di dimostrare di riuscire a intercettare la palla. Per contro, nel caso di un tuffo, in questo caso l’abilità dipende totalmente dalla modalità di realizzazione del movimento. Quindi se si vuole valutare il grado di abilità di un soggetto l’importante è identificare prima e con precisione l’obiettivo dell’attività motoria.

Queste capacità, nel raggiungere risultati prefissati si traducono concretamente con l’esecuzione di un movimento corporeo appropriato.

Tuttavia, la definizione di abilità in rapporto al raggiungimento di un obiettivo ha l’effetto di eliminare:

Tutte le raffigurazioni di un movimento che tecnicamente sono perfette ma inefficaci. Quest’ultimo caso si presenta frequentemente nella pratica sportiva. Non si può dire quindi che un praticante è abile se è capace di eseguire un salto ad altezze modeste. Così come, per un lanciatore di peso con una tecnica eccellente ma che non riesce a lanciare lontano, e ancora per un giocatore di tennis che può avere uno stile perfetto e non arriva a prendere la palla. Come giustamente ci ricorda Arnold (1985) : “quale che sia la perfezione della forma del movimento eseguito, un giocatore di hokey nel pantano sarà giudicato incompetente se non è nemmeno capace di segnare un gol, di costruire delle azioni con i compagni e di scartare i suoi avversari, cioè di perseguire l’obiettivo dell’ attività. E’ la stessa cosa vale per un giocatore di bowling: poco importa che i suoi gesti siano tecnicamente perfetti, l’essenziale è che faccia più punti possibile.
Tutte le attività riflesse o qualsiasi movimento fisico non orientato coscientemente verso un obiettivo. Abbiamo detto che tutti gli atti motori sono diretti intenzionalmente e con particolare attenzione ad un obiettivo. Se quest’ultimo è attenuto fortunosamente non si può parlare di abilità.

L’abilità non è il movimento

Nella media dell’educazione fisica e dello sport, si pensa troppo spesso che l’abilità sia possedere una tecnica gestuale perfetta, una raffigurazione ideale del movimento. L’efficacia dell’abilità risiede nella forma del gesto da realizzare e l’apprendimento motorio è considerato essenzialmente come l’apprendimento di un movimento. Il carattere finalizzato dell’abilità è dunque il concetto di obiettivo in rapporto al quale si definisce l’abilità, modificandone considerevolmente questo modo di vedere.

L’abilità motoria sotto intende due aspetti: l’aspetto motorio propriamente detto e l’aspetto che possiamo chiamare direzione intenzionale obiettiva.

In altre parole, bisogna distinguere da un lato l’esecuzione, cioè il movimento dei vari segmenti corporei gli uni in rapporto agli altri, osservabili attraverso varie metodiche di analisi, e dall’altro lato il significato preciso del movimento che determinerà il raggiungimento dell’obiettivo.

E’ quest’ultimo che conferisce all’azione motoria un suo significato comportamentale. Il comportamento motorio è regolato e modulato in ogni momento della sua esecuzione da un obiettivo cognitivo elaborato. Dire che un movimento è regolato e finalizzato da un obiettivo è come dire che è strumentalizzato in base all’effetto che si vuol ottenere e che, in certi casi si procede con una riorganizzazione dei suoi elementi in funzione dell’obiettivo da raggiungere. E’ l’obiettivo che regola ogni sequenza dei movimenti e ne dà un senso.

Prima di analizzare il rapporto obiettivo-movimento illustrato dal concetto di equivalenza funzionale, conviene soffermarci sulla struttura cinematica del movimento.

Il movimento è un insieme complesso caratterizzato da una struttura particolare con contrazioni muscolari integrate e coordinate che si traducono in un comportamento manifesto, cioè il movimento di un corpo e/o di parti di esso nel tempo e nello spazio. La figura cinematica del movimento che ne risulta è quindi un insieme di forze generate all’interno dell’organismo ma a volte anche combinate all’azione di forze esterne imposte all’individuo. Questa cinetica si acquisisce con la pratica e grazie alla regolazione ambientale fornita dall’obiettivo.

Essa è controllata anche da vincoli ambientali, biomeccanici e morfologici.

Nell’esercizio in cui si deve lanciare una palla su un obiettivo, diremo che il bambino è abile se riesce a dare al suo movimento una direzione spaziale, una velocità, una ampiezza, un ritmo e una forza globale tale da far fare alla palla la traiettoria richiesta per centrare il bersaglio.

L’efficacia dell’abilità dipende quindi da questa capacità, mettere in atto una buona strategia motoria per configurare il movimento richiesto al raggiungimento del risultato.

Pertanto, sorgono delle domande:

Qual è la relazione tra il movimento e il risultato ricercato?
Per raggiungerlo, bisogna acquisire, come si pensa generalmente, una configurazione “ideale” del movimento, una tecnica?
Questa configurazione "ideale" particolare di movimento non ha importanza se non nella misura in cui conduce in modo costante al raggiungimento dell’obiettivo. In breve ciò che viene appreso da un punto di vista motorio quando si trasforma in un'abilità sportiva?
Quali cambiamenti fondamentali nella configurazione del movimento si producono nella misura in cui progredisce l'acquisizione?

Lo studio dell'equivalenza funzionale, poi della ricerca dell'efficienza permettono di proporre degli elementi di risposte.

Equivalenza funzionale

Il concetto di equivalenza motoria o equivalenza funzionale (Hebb, 1949; Lashley, 1938) si riferiscono alla non specificità dei comandi motori, cioè a delle situazioni o agli stessi risultati (o risultati simili) che ci si possano aspettare con l’uso di più combinazioni muscolari diverse.

Pew (1970) ha osservato che nel tennis un giocatore non realizza mai due colpi nello stesso modo, nonostante l’obbiettivo sia lo stesso. Ciò che è memorizzato, una volta che l’abilità è ben appresa, non è necessariamente una mappa motoria fissa, ma una serie di relazioni muscolari che contribuiscono ad orientare l’abilità motoria. Concepiamo dunque l’apprendimento dell’abilità ricondotta ad una memoria in cui sono possibili un’ infinita varietà di configurazioni del movimento.

E’ stato anche dimostrato che la discorso intellegibile si verifica quando le articolazioni sono ostacolate, ciò presuppone l’uso di tracce vocali differenti per ottenere il suono desiderato (Mac Neilage, 1970). I muscoli sembrano capaci di modificare il loro compito funzionale da un movimento ad un altro. Se per esempio osserviamo il modo di scrivere, sembra che il sistema motorio possa produrre una grande varietà di movimenti intenzionali che asservano a scopi o risultati identici o in stretto rapporto, ma attraverso l’azione di muscoli e movimenti differenti. Per esempio una lettera o una parola possono essere scritti grandi o piccoli, con ambedue le mani o con i piedi, ecc.. (Greene,1972; Turvey, 1977).

“Prendiamo un esempio, al fine di stabilire la distinzione tra movimento azione ed abilità. Prima di tutto immaginate di essere su una scrivania e di scrivere la prima lettera del vostro nome utilizzando la vostra mano dominante. Poi immaginate di scrivere su un muro verticale, con un pezzo di gesso attaccato ad un manico di scopa, utilizzando le due mani. Potete realizzare l’una e l’altro esempio è l’abilità in oggetto è la scrittura. E’ tuttavia interessante ed importante notare che sono interessati gruppi muscolari differenti e sono quindi implicati movimenti diversi. Arriviamo allo stesso risultato per vie differenti …. anche se sono capace di scrivere su una superficie verticale, orizzontale, inclinata, e nelle diverse direzioni del mio foglio di carta, con una biro un gesso o un pennello, ecc… Se è disponibile un mappa motoria superiore, è possibile eseguire abilmente dei movimenti corretti che non sono mai stati realizzati precedentemente” (Stelmach e Larish, 1978).

Evidentemente, scrivere una lettera o una parola non è compito di una serie fissa di comandi motori. Com’è? La risposta che propone Turvey (1977) è fornita dal dominio del linguaggio, tramite il concetto di struttura profonda e superficiale. Come per il sistema del linguaggio, la programmazione del sistema di controllo motorio può essere considerato come comprendente delle parole (possono essere delle strutture coordinate o dei sottoprogrammi) e delle frasi (organizzazioni sintattiche) nelle quali sono inserite le parole. Il movimento abile osservabile è il risultato di una astrazione e di una struttura d’origine capace di produrre un numero infinito di movimenti possibili, nello stesso modo in cui la struttura profonda del linguaggio produce un numero infinito di frasi. La struttura profonda è un sistema astratto di principi e regole, a partire dalle quali colui che apprende può generare un numero infinito di movimenti. I movimenti prodotti rappresentano la struttura superficiale. ”L’abilità è al di là di quello che osserviamo, dietro gli eventi motori e come sono stati realizzati” (Leplant e Pailhous, 1981). L’abilità fa dunque nascere i comportamenti motori efficaci per un compito particolare o per un gruppo limitato di compiti.

La stessa cosa nel caso in cui il comportamento motorio si limiti ad un’azione ripetitiva, per esempio un salto a cavallo, non si può confondere l’abilità con la manifestazione dei differenti movimenti eseguiti. Così, l’abilità di scrivere la lettera A maiuscola può essere concepita in base ad una serie di regole astratte derivate da tentativi precedenti di scrittura della lettera o di altre lettere. Se la regola è applicata al movimento di un braccio o di una gamba ( alzare, abbassare e poi di traverso), la stessa forma fondamentale può così essere prodotta. Così esiste una struttura che determina l’ordine e la sequenza delle unità elementari dei movimenti che sono reclutate per un azione particolare.

Se accettiamo questa analogia di linguaggio, è evidente che la domanda relativa alla programmazione della risposta dovrà focalizzarsi sulla natura di questa struttura profonda e sulla modalità di acquisizione, cioè sulla modalità in qui essa si possa modificare con l’esperienza. Questa capacità di ricercare un obiettivo, tramite movimenti diversi, che è l’essenza stessa dell’abilità motoria, implica che l’essere abili non concerne il ricercare nella nostra memoria motoria un movimento particolare o almeno il suo programma, ma al contrario costruirlo ogni volta: “Il programma” non sarà scritto anticipatamente nella mappa (cablaggio) delle modalità di esecuzione, ma esisterà a livello di un generatore di funzione capace di mobilitare le capacità motorie necessarie all’esecuzione del movimento stesso in base all’obiettivo da raggiungere.

Questo generatore di funzione esiste innegabilmente nel sistema. Sappiamo di poter riprodurre con la stessa facilità una traiettoria motoria nello spazio (per esempio disegnare un otto) con l’uso di segmenti articolari più diversi (le mani, i piedi, il naso ecc..) che utilizzano le coordinazioni muscolari di infinita complessità. Si comprende come la necessità di introdurre delle nozioni tali che quelle “immagini obiettivo”, ”immagini matrice” per rendersi conto delle prescrizioni, deve avere quindi l’ipotetico generatore di funzione per organizzare questi tipi di comandi. Su questa linea di pensiero ci sono meno dettagli dell’esecuzione che devono essere programmati nella rappresentazione di un risultato finale da aspettarsi.

Una simile rappresentazione può provocare una correzione nell’evolversi della modalità di esecuzione. L’esitazione sui termini del concetto di programma motorio non è più adeguato perché quest’ultima nozione connota qualche cosa che è scritto precedentemente e che è sufficiente rileggere. Il generatore di funzione non rilegge il programma descritto precedentemente, è ricreato ogni volta che viene richiesto” (Paillard 1978). Perché il risultati possano essere attendibili per una varietà di modi, come una grande domanda di configurazioni di movimenti possibili, possano essere immagazzinati, accessibili e ritrovati nel cervello?

Se non esiste corrispondenza diretta tra la mappa motoria acquisita e l’azione (anche se a volte sembra goffa, inefficace e poco probabile) allora siamo interessati ad un processo costruttivo o generativo, quindi quando le risposte sono costruite o generate secondo una serie limitata di regole o di principi a partire da una larga varietà di sotto schemi o elementi che possono essere utilizzati da una moltitudine di finalità (Bernstein, 1967 Green,1972 Turvey, 1977).

Questa prospettiva costruttiva (equivalenza motoria) lascia intravvedere la possibilità di processi verticali nell’acquisizione delle abilità motorie.

 

ABILITA' MOTORIA ED ORGANIZZAZIONE GERARCHICA

Per approfondire questo concetto, ci serviremo di esempi noti del fucile proposti da Leontiev (1972) il quale conclude che tutte le abilità principali possono essere scomposte in sotto abilità elementari.

Le sotto abilità possono essere considerate come delle vecchie abilità principali, allacciare le stringhe delle scarpe è stata una acquisizione del vissuto, una abilità principale può diventare una sotto abilità svolta automaticamente. Si intende l’unità delle abilità (abilità parziali) che sono state regolate ad un livello di controllo più basso. Bruner (1971) chiama sotto-routine queste abilità elementari. In quanto tali, sono dirette ad un obiettivo particolare. L’apprendimento si traduce nella fusione di differenti abilità in un abilità unica, cioè la trasformazione di ciascuna abilità particolare in sotto obiettivi al servizio di un abilità più rilevante. L’analisi effettuata da uno psicologo sovietico Leontiev (1972) illustra bene questa trasformazione. Va notato che egli la chiama “operazione” quella che noi descriviamo come delle sotto abilità. Leontiev considera l’esempio di un tiratore di carabina: quando ha raggiunto l’obiettivo, lo scopo finale, ha raggiunto un abilità ben definita. Perché si fa ciò? In quale modo, attraverso quali metodiche, o sotto abilità, grazie alle quali si arriva all’obiettivo esecutivo. Un tiro adeguato necessita di numerose operazioni, ognuna delle quali risponde a condizioni determinate date dall’azione stessa; assumere una certa posizione, mettersi in gioco, prendere correttamente la mira, mantenersi compatti, trattenere il respiro e appoggiare bene il dito sul grilletto.

Per il tiratore queste sensazioni, questi iter non sono azioni indipendenti. Gli obiettivi corrispondenti non vengono distinti ogni volta ad un livello cosciente. Il tiratore non si chiede: ”bisogna che imbracci il fucile, trattenga il respiro”…ecc. Un solo obiettivo è coscientemente individuato, è fare centro. Evidentemente ciò significa che egli padroneggia tutte le operazioni motorie necessarie al tiro.

E’ molto diversa per i tiratori principiati. Essi devono in primo luogo saper tenere correttamente il fucile; questo ovviamente dipende da dove l’azione comincia, in seguito, la sua azione cosciente consiste nel mirare, ecc. Attraverso lo studio del tiro con la carabina o di qualsivoglia altra azione complessa, possiamo quindi notare che la catena motoria che la compone si forma inizialmente come delle abilità principali separate che non si trasformano in operazioni (o abilità elementari) che in seguito.

Così, imparare a tirare con la carabina, all’inizio consiste nell’imparare a raggiungere un certo numero di obiettivi indipendenti: prendere posizione, imbracciare, appoggiarsi correttamente sul grilletto, quindi integrare questi obiettivi in un abilità complessa: centrare il bersaglio. Allora ciascuno degli obiettivi indipendenti devono avere un sotto obiettivo al servizio di quello principale: centrare il bersaglio.

Leplat (1988) fa giustamente notare a proposito delle abilità cognitive complesse: “la caratteristica gerarchica delle abilità non significa che le unità che la compongono restano invariate ma si integrano nell’abilità superiore: quando l’abilità è stata acquisita ad un livello cognitivo elevato sarà difficile riuscire ad estrapolarne le componenti iniziali per riproporli in un’altra abilità; questi elementi iniziali si sono trasformati tramite l’integrazione e si sono persi in una qualche forma della loro individualità” Ciò sottolinea ulteriormente che per le abilità motorie complesse il principiante deve combinare in un nuovo modo degli elementi appresi precedentemente al fine di ottenere un nuovo obiettivo. Inoltre è ragionevole pensare che queste abilità parziali sono raggruppate in unità più grandi. Ciò ha il vantaggio ulteriore di elevare gli stadi di trattamento dell’informazione. Un autore americano Keele (1982) ha suggerito, prendendo per esempio la capacità di cambiare velocità nell’auto, una spiegazione di questo raggruppamento. Secondo quest’ultimo i programmi motori possono essere costruiti in raggruppamenti di unità di comportamento più piccole e una più grande. Ricordatevi quando eravate principianti l’azione di cambiare velocità nell’auto, il vostro comportamento era lento, a strappi, procedendo per tappe: levando il piede dall’acceleratore, poi schiacciavate la frizione, impugnavate la leva del cambio. Probabilmente compievate il tutto in tre movimenti distinti. All’opposto del comportamento del principiante si trova il pilota professionista che cambia marcia in una semplice azione combinata. La sua azione motoria non solo si sviluppa molto più velocemente, ed inoltre gli elementi dell’azione sono realizzati ad un ritmo preciso ed i movimenti dei piedi e delle mani sono coordinati in modo relativamente complesso. A differenza dell’azione di un principiante, dove l’azione sembra essere controllata soprattutto come una semplice unità programmata.

grazioano camellini

Graziano Camellini

Responsabile Prove Multiple Fidal Nazionale
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Perchè Lavillenie è il miglior saltatore con l'asta al mondo?

26 Giugno 2015 by Redazione

Sul profilo di facebook della IAAF è stata caricata una breve intervista al Coach di Renaud Lavillenie, Philippe D’Encausse.

La domanda era:

Perchè Renaud Lavillenie è il saltatore con l’asta più forte al mondo?

Questa la risposta, veramente sintetica:

  1. È il corridore più veloce mentre impugna un’asta.
  2. Non ha paura.
  3. Egli vuole essere il migliore.

Ecco il video dell’intervista:

 

Insomma, sembra che il saltatore con l’asta moderno debba essere dotato di grandi doti di velocità e ovviamente questa velocità deve saperla sfruttare durante la gara, deve avere una buona dose di incoscienza e deve aver voglia di darsi da fare per migliorare sempre di più!

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Lateralità: cos'è e come si sviluppa

3 Giugno 2015 by Redazione

Dopo aver affrontato il discorso della multilateralità qui, cerchiamo di spiegare attraverso il seguente articolo cos'è effettivamente la lateralità e quali sono le conseguenze riconducibili alla pratica dell'allenamento.

Vista la complessità del tema, l'articolo seguente vuole solo fornire uno spunto di riflessione sul tema, rimandando ad altre letture il suo approfondimento.

Cos'è la lateralità

La maggior parte degli "organi" del nostro corpo esiste in doppio esemplare (mani, piedi, emisferi cerebrali, polmoni, etc..), l'uno a destra l'altro a sinistra.

La simmetria è quasi perfetta, anche se esistono alcune differenze sia sul piano morfologico che, soprattutto, su quello funzionale.

Ad esempio non si usa la mano destra come la sinistra e lo stesso vale per l'occhio, la gamba, il piede, l'orecchio.

Si preferisce, spesso, l'utilizzo di un arto rispetto all'altro.

Questa differenziazzione è un adattamento intelligente del corpo che permette di guadagnare tempo e dà la possibilità di compiere azioni complesse con ruoli ben ripartiti tra la parte destra e quella sinistra.

In questo articolo, definiremo i concetti base per comprendere il fenomeno, in un articolo successivo proporremo dei semplici test da campo per trovare il proprio tipo laterale (con video).

Classificazione della lateralità

La lateralità non è soltanto morfologica, ma il fenomeno condiziona anche le percezioni cinestetiche e le abilità motorie dell'individuo. Lehmann, ad esempio, distingue la lateralità in:

  • Morfologica;
  • Funzionale, le principali sono: manuale, podalica, di rotazione;
  • Sensoriale, visiva ed uditiva;

In realtà la distinzione dei 3 tipi non ha confini rigidi, dal momento che tutte concorrono nello sviluppo dello schema corporeo.

Solo con riferimento a quella funzionale e considerando soltanto mano, piede e senso di rotazione, esistono 8 tipologie di lateralità che si possono trovare negli atleti.

Fatte queste premesse appare superficiale accontentarsi di capire soltanto se il nostro atleta è destrimane o mancino.

In realtà il problema, dal punto di vista motorio, è talmente complesso che ogni atleta ha il proprio tipo laterale specifico a seconda del compito richiesto.

Lateralizzazione

È il processo attraverso cui si sviluppa la lateralità, è dovuto a fattori sia genetici che ambientali.

È la capacità di individuare la destra e la sinistra sul corpo e di proiettare questi rapporti rispetto agli oggetti e allo spazio in generale.

È un'acquisizione di coscienza legata alla maturazione del sistema nervoso, sviluppata attraverso la differenziazione funzionale dei due emisferi cerebrali uno dei quali diviene dominante (prevalenza dell’emisfero sinistro, del cervello, su quello destro nel destrimane e viceversa nel mancino).

La lateralizzazione inizia dagli arti superiori, per passare al tronco e raggiungere, infine, gli arti inferiori;

La lateralità riguarda la mano, l’occhio, l’orecchio, il piede, la gamba, le spalle ed il bacino dell’atleta.

La preferenza laterale, nonostante abbia una base innata, può essere, in certa misura, condizionata dalle esperienze motorie e dall'allenamento proposto.

Dominanza

È un processo progressivo che coinvolge tutto un emi-corpo (lato destro o sinistro).

Dalla dominanza della mano si passa a quella dell’arto superiore per poi passare all’emi-tronco corrispondente ed infine all’arto inferiore.

Si giunge quindi alla lateralità intesa come uso abituale di un occhio, una mano, un piede posti sullo stesso lato del corpo.

Secondo Hunter, la direzionalità è riferita allo spazio esterno topografico (destra e sinistra), mentre la lateralità è riferita alla spazio interno (destra e sinistra).

La lateralità e la direzionalità possono essere condizionate dall'ambiente. Ad esempio si rilevano comportamenti diversi nei cittadini di paesi con guida a destra o a sinistra. 

Anche l'allenatore, ad esempio quando predispone un circuito di esercizi, lo fa secondo la propria "preferenza laterale e direzionale", favorendo, a volte incosapevolmente, gli atleti che presantano un tipo simile al suo.

Per lo stesso motivo, in un contesto ambientale a preferenza destrimane, i mancini risultano possedere un grado di lateralizzazione più debole rispetto ai destri.

Come e quando si sviluppa la lateralità?

Nella pratica:

  1. Nella fase dello sviluppo il bambino dovrebbe essere libero di dare corso al processo di lateralizzazione attraverso stimoli il più vari possibili, evitando però di contrariare le sue scelte laterali nell’eseguire un gesto (es: evitiamo la forzatura di obbligare i mancini a scrivere con la mano destra!)
  2. Nella fase del controllo completo l’atleta ha creato i presupposti per lo sviluppo di un primo livello di competenza tecnica.
  3. Quando l'atleta ha stabilizzato il proprio schema motorio, (in realtà in continua evoluzione per tutta la vita) si possono proporre esercitazioni che mettano in difficoltà il tipo laterale, utilizzando fenomeni fisiologici come quello dell’effetto Secenov e del transfert controlaterale.
  4. Nonostante non sia necessario il raggiungimento di ambidestrismo perfetto e talvolta nemmeno utile, viene consigliato, che nell'allenamento di base l'utilizzo dell'estremità non dominante con un rapporto di 1:2 rispetto a quella preferita.
  5.  Il miglioramento della sensibilità dell'estremità non dominante è importante, in quanto il suo effetto si trasferisce sulle potenzialità di quella dominante

Lateralità: perchè è importante nell'atletica?

Anche le discipline dell’atletica leggera possono essere lette dal punto di vista della lateralità.

Esistono alcune specialità “neutre” (solo a prima vista) ed altre che, talvolta, impongono agli atleti un compromesso rispetto al proprio tipo laterale: es. alto, asta, disco.

Gli stessi 100 metri, che a prima vista potrebbero sembrare estranei al fenomeno, sono condizionati dal tipo laterale dell'atleta: settaggio dei blocchi, rapporto arti inferiori ed arti superiori (possono essere omogenei o crociati) e lunghezza dei passi (ci sono asimmetrie tra destra e sinistra).
Il salto con l'asta e i lanci con rotazione sono le discipline che in maniera più evidente coinvolgono diverse espressioni di lateralità funzionale: manuale, podalica e di rotazione (impugnatura dell'attrezzo, arto inferiore di stacco/impulso, senso di rotazione del bacino e delle spalle)

Le prove multiple, con la semplice analisi dei gesti di gara, da sole ci dicono parecchio (ma non tutto) della lateralità del nostro atleta.

Già nel 1989 Oberbeck registrava che ben 11 dei 12 decatleti vincitori di Olimpiadi, Campionati Mondiali ed Europei, appartenessero due precise tipologie laterali:

  • mano destra, piede sinistro, giro antiorario;
  • mano sinistra, piede destro, giro orario.

Più difficile che gli allenatori delle specialità singole abbiano una conoscenza così approfondita del proprio atleta.

Alcuni semplici test, eseguibili sul campo, possono venire in aiuto per costruire un "passaporto" più consapevole delle caratteristiche del nostro atleta.

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Allenamento giovanile, multilateralità o specializzazione?
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Uso antinfiammatori in caso di tendinite cronica (tendinopatia)

28 Maggio 2015 by Redazione

Come già scritto nell’articolo sulla tendinite rotulea, nel corso della fase acuta di una tendinopatia/tendinite o di una lesione ai tessuti molli (muscoli e legamenti) il sanguinamento con successiva infiammazione giocano un ruolo importante come risposta dell’organismo a tale lesione,
Questo non avviene nelle tendinopatie croniche

Si definiscono tendinopatie croniche quelle che persistono per più di 6 settimane!

I fenomeni di sovraccarico (overuse) nelle tendinopatie croniche sono caratterizzati generalmente da tessuti con scarso apporto ematico (scarsa vascolarizzazione) e con collagene separato e degenerato, dove non è presente il classico apporto di cellulare e proteico tipico dell’infiammazione: il dolore cronico nel tendine e nei tessuti circostanti è mediato dal Glutammato e da altre vie non-prostaglandiniche, in altre parole non è infiammatorio!

La neo-vascolarizzazione è invece una peculiare di un tendine degenerato sintomatico, indice quindi di disfunzione e non di guarigione.

Questi cambiamenti tissutali e le vie dolorifiche utilizzate non sono quindi qualificanti una tendinite; al contrario, questi eventi sono più specificatamente riferiti a tendinosi o tendinopatia.

Tendinopatia: condizione clinica generica che riguarda tendini e zone immediatamente vicine.

Tendinite: processo infiammatorio, che viene definito anche più correttamente peritendinite perché in effetti riguarda il peritenonio.

Tendinosi patologia degenerativa cronica che colpisce chi continua a sottoporre a sforzi eccessivi i tendini la cui funzionalità è già compromessa.

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Principi generali per l’uso di antinfiammatori Steroidei e FANS in caso di tendinite

Nonostante il loro largo uso, c’è pochissima evidenza a supporto dell’utilizzo dei FANS nel trattamento di lesioni croniche tendinee. Molti pazienti sono inconsapevoli dei rischi dell’uso prolungato di Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS), tra i quali

  • tossicità gastrointestinale;
  • danni renali;
  • un aumentato rischio cardiovascolare.

La lunga durata della tendinopatia cronica potrebbe quindi incrementare il tasso di effetti collaterali dall’uso prolungato di FANS.

Per le tendinopatie croniche non-infiammatorie degenerative (tendinosi) l’iniezione di corticosteroidi potrebbe portare a breve termine ad una riduzione del dolore. Ad ogni modo non c’è evidenza ne per un sollievo dal dolore nel lungo periodo ne per un ritorno funzionale “pain-free” dato da simili iniezioni.
Addirittura è stato notato che l’uso di steroidi è in grado di predisporre il tendine a rottura, in modo particolare per i tendini rotuleo e achilleo.

Risulta ovvio quindi che in caso di tendinopatie croniche (sintomi da più di 6 settimane) l’uso di cortisone dovrebbe essere concesso solamente in maniera occasionale e con l’obiettivo principale di creare delle piccole “finestre” di assenza di dolore per permettere al paziente di intraprendere la riabilitazione specifica.

 

A cura di Matteo Pinelli

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Marinella Signori e Giulia Curone

18 Maggio 2015 by Redazione

Di seguito presentiamo una breve intervista a Marinella Signori e alla sua giovane atleta Giulia Curone, rispettivamente allenatrice ed atleta della Brixia Atletica 2014 A.S.D.
Giulia, al 1° anno allieva, ha recentemente corso i 100 metri in 12″22, a Mariano Comense, tempo al di sotto del minimo per i Campionati Mondiali Allievi.

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L’allenatrice…

Ciao Marnella, parlaci un pò di te, delle tue esperienze, la tua filosofia di allenamento…
Mi chiamo Marinella Signori, ho iniziato a fare atletica leggera quando avevo 14 anni, e non mi sono più fermata.
Ho cominciato con le campestri e il mezzofondo per poi passare alla velocità; ho partecipato a manifestazioni internazionali quali Universiade, giochi del Mediterraneo, campionati Mondiali, coppa Europa e tantissimi campionati italiani.
Ho personali di 7”58 nei 60 indoor, 11”64 nei 100m metri, 23”87 niei 200…

La mia semplice filosofia  è che l’allenamento paga sempre, magari non nei tempi che vorremmo, magari ci vuole un po’ di pazienza ma se ci si allena seriamente il risultato viene fuori prima o poi!

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A tuo avviso quale è stato il percorso che vi ha portato a questo ottimo risultato?
Giulia ha iniziato con i corsi di avviamento ed era seguita da Giorgio, mio marito; io ho cominciato a seguire alcuni atleti cadetti del corso (tra cui Andrea Federici) nel 2012 al Calvesi e so che Giulia avrebbe voluto fare qualcosa in più delle 2 ore settimanali del corso, ma ritenevamo fosse ancora troppo presto…era ancora categoria ragazza…e non  volevamo forzare i tempi. Ma da questo si capiva già allora che era molto motivata e che aveva ben chiaro il percorso da fare e gli obiettivi che voleva raggiungere…diciamo che aveva voglia di allenarsi un po’ più seriamente.

Passata cadetta è stato automatico l’inserimento nel gruppo di allenamento dei “grandi” e da quel momento il suo percorso di crescita non si è più fermato, 3 allenamenti settimanali da cadetta e ora che è allieva siamo a 4 allenamenti di circa un ora e mezza….e i miglioramenti sono stati evidenti già dalla stagione indoor. Diciamo che Giulia è molto motivata e ha fiducia nel lavoro che stiamo facendo, non si tira mai indietro anche se so che non ama le prove lunghe….ma sa che sono necessarie per raggiungere buoni risultati!

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Secondo te quali sono i punti “chiave” per un buon programma di allenamento nella disciplina che alleni (velocità e salti)?
Intanto la motivazione deve sempre essere alta, la fiducia nella persona che ti segue, la costanza negli allenamenti  e una buona programmazione dell’allenamento con ben chiare le finalità che si vogliono raggiungere.
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Quali sono, secondo te, le difficoltà principali che un allenatore di atletica leggera deve affrontare nel nostro paese?
Sicuramente la grandissima carenza di strutture per potersi allenare come si deve; ora su internet si vedono centri all’estero anche indoor che hanno tutto il necessario per poter fare un lavoro serio.
Attualmente noi a Brescia ci trasferiamo a Castenedolo durante la stagione invernale (20-30 minuti circa di viaggio) ma, ovviamente, non abbiamo una sala pesi attrezzata e il lavoro risulta difficile da gestire con una decina di atleti.
In estate ci alleniamo al campo di Nave ma anche qui ci dobbiamo portare attrezzi da casa, bilancieri per fare la forza, blocchi di partenza perchè non ce ne sono a sufficienza, e sono sempre 20, 30 minuti di viaggio in auto.
Ringraziamo i comuni che ci mettono a disposizione tutte queste strutture che ci aiutano da quando il campo a Brescia non c’è più, ma sicuramente non è una situazione che viviamo serenamente e ci crea qualche difficoltà.
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Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
Il mio obiettivo principale per Giulia è che diventi l’atleta bresciana più veloce di tutte, e quindi deve battere i miei record!

Quest’anno abbiamo già raggiunto la finale nei 60 piani, ai Campionati Italiani Allievi Indoor di Ancona, che era per noi uno degli obiettivi a breve termine; l’altro era fare il minimo per i mondiali… fatto, anche se siamo consapevoli che fare il minimo non vuole dire partecipare, ma va bene così, siamo al primo anno di categoria.
Quindi puntiamo alla finale ai Campionati Italiani Allievi.

Per una più ampia veduta ed obiettivi a lungo termine vi è la partecipazione ai campionati europei allievi del prossimo anno.

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Quali sono le figure che hanno ispirato il tuo modo di allenare?
Sicuramente devo molto di quello che sono al mio allenatore Alberto Ambrosio: tutto quello che ho imparato sull’allenamento e che ancora sto imparando l’ho appreso da lui, poi l’esperienza scolastica mi ha aiutato nell’approccio con i ragazzi di questa età.
Ora la cosa difficile è andare avanti ed accompagnarli nel percorso di crescita personale e atletica.

Quando frequento i campi di atletica tendo a chiacchierare e scambiare opinioni con tutti gli allenatori che conosco… e da ciascuno prendere qualche spunto, mettersi in gioco sempre!

Diciamo che sono stata fortunata, il mio primo allenatore è stato Alfredo Febbrari, lui mi ha scoperto e portato all’atletica; ha anche capito che ero una velocista e quindi poi sono stata seguita da Alberto Ambrosio con cui tutt’ora ho un bellissimo rapporto e che mi aiuta nel percorso di crescita anche come tecnico.

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La frase guida del nostro sito è: “Lo sport ha bisogno di progettazione,innovazione ed impegno costante” (P.Mennea), cosa ne pensi?
Sono assolutamente d’accordo.
La parte difficile è l’innovazione, con le strutture che abbiamo, e l’impegno costante: a volte è difficile ritagliare tempo per tutto, tra lavoro, famiglia etc etc; per fortuna nella mia famiglia 3 su 4 stanno al campo!!!!

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Secondo la tua esperienza, da che età dell’atleta è giusto iniziare a programmare le attività? Ossia quando finisce il gioco ed inizia l’”allenamento serio”?
Per esperienza personale si comincia a progettare qualcosa in più dalla categoria cadetti, mantenendo però quella caratteristica di gioco e divertimento come è giusto che sia.
Con il passaggio nella categoria assoluta, dagli allievi, si può cominciare a fare qualcosa in più, tipo inserire gradualmente qualche lavoro di forza o tecnica più specifica!

La scheda da atleta di Marinella Signori

[su_youtube_advanced url=”https://youtu.be/JobyHtbUn8w” width=”560″ height=”440″ rel=”no”]Video 3° Batteria[/su_youtube_advanced]

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L’atleta..

La frase guida del nostro sito è: “Lo sport ha bisogno di progettazione,innovazione ed impegno costante” (P.Mennea) cosa ne pensi?
Sono d’accordo con questa frase perchè per riuscire a raggiungere i propri obiettivi e  ottenere dei buoni risultati bisogna impegnarsi con costanza negli allenamenti.

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Giulia, complimenti per il minimo ottenuto. Questo inizio di stagione ti ha regalato molte soddisfazioni, credi che alla base ci sia quanto descritto dalla frase di Mennea?Secondo me si, perché alla base di un buon risultato c’è sempre un grande lavoro nell’allenamento. Infatti il mio risultato nei 100 metri è la conseguenza di un allenamento costante e dell’impegno  messo durante tutto l’anno.

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Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
Sicuramente il mio obiettivo principale è quello di crescere e migliorarmi ancora; poi per quanto riguarda questa stagione quello di ottenere il minimo per i mondiali sui 100 e 200 metri anche se so quanto sia difficile poi riuscire a partecipare. Nei 100 metri ci sono riuscita, ora si punta a quello sui 200; poi il prossimo anno ci saranno gli Europei allievi e si vedrà…

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Quale è il tuo allenamento preferito?

Non ho un allenamento preferito rispetto ad altri, mi piacciono più o meno tutti ma soprattutto mi piace variare, cioè non ripetere sempre lo stesso tipo di allenamento.

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Quale quello che ti piace meno?
Le prove lunghe durante la preparazione invernale, perché sono molto faticose e sempre dopo questo tipo di allenamento sono stanchissima.

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Hai qualche oggetto, rituale scaramantico prima/durante le gare?
Io sono una persona che crede molto in queste cose, quindi sì, anche io ho un rituale scaramantico prima di gareggiare: farmi fare la treccia dalla mia allenatrice ed usare il suo elastico. Senza quello non mi sento pronta per gareggiare.

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Com’è il rapporto con il tuo allenatore?
Con Marinella mi trovo molto bene, siamo molto unite anche se io sono molto introversa.
Prima delle gare lei mi incoraggia sempre a dare il massimo e poi, quando ottengo risultati è anche merito suo e dei suo consigli e allenamenti.

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Chi è, o è stato, il tuo “esempio”/idolo/mito nell’atletica?
Non ho nessuno, in particolare, come mito o esempio da seguire nell’atletica: credo che ognuno abbia la propria storia ed un talento diversi.

 

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Il video dei 100 metri nei quali Giulia ha corso in 12″22 a Mariano Comense (5° corsia)

[su_youtube_advanced url=”https://youtu.be/vpHOyOWKVh4?list=PLujYWcu0xkErWME1KBC-tAjXs3yadMyMr” width=”560″ height=”440″ rel=”no”]Video 3° Batteria[/su_youtube_advanced]

 

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