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Goal setting: fare centro con gli obiettivi!

20 Dicembre 2015 by Redazione

“Lo sport offre una differente prospettiva di vita: insegna ad affrontare le delusioni e stimola le energie per conquistare obiettivi più costruttivi” Charléne Wittstock

 

La stagione agonistica è alle porte per molti atleti. La maggior parte di noi sta affrontando una preparazione invernale intensa e disagevole. Ma dopo la pausa natalizia, e per alcuni anche prima, iniziano le competizioni indoor, di cross e invernali.
Una cosa fondamentale per affrontare correttamente la stagione agonistica è porsi gli obiettivi nel modo più corretto e adeguato. Per farlo, è necessario parlare chiaramente con il proprio allenatore, che può dare opinioni oggettive sullo stato di forma e sulle potenzialità che possono essere sfruttate.

 

Le caratteristiche di un obiettivo SMART

Per essere psicologicamente valido, è necessario che ogni obiettivo abbia le seguenti caratteristiche:
  • SPECIFICO: deve essere relativo a qualcosa di specifico e alla specialità affrontata. Non vale come obiettivo il dirsi “voglio andare meglio dell’anno scorso”. Meglio di cosa? Meglio di quanto? Anche il porsi mete come arrivare a podio alla tale competizione non è un obiettivo valido: dipende solo da noi o anche dagli altri partecipanti[su_spacer size=”10″]
  • MISURABILE: in questo l’atletica ci viene in aiuto, con le sue misurazioni in secondi, minuti, centimetri e metri oggettive e non discutibili. Non abbiate paura a porvi obiettivi al centesimo o al centimetro[su_spacer size=”10″]
  • ACCESSIBILE: a tutti piace sognare. A tutti è capitato di pensare di poter raggiungere mete importanti. Ma è necessario essere oggettivo. Gli obiettivi ci servono se abbiamo le competenze per raggiungerli! Altrimenti non faranno altro che farci passare la motivazione, la determinazione e la fiducia in noi stessi.[su_spacer size=”10″]
  • SFIDANTE: ogni obiettivo deve rappresentare una vera e propria sfida. Se è un risultato scontato rischia di non stimolare la motivazione e la determinazione necessarie a raggiungere mete sempre più alte.[su_spacer size=”10″]
  • LEGATO AL TEMPO: l’obiettivo deve avere una scadenza, dovete poter dire di averlo raggiunto o di averlo mancato. Spesso la scadenza è relativa all’ultima data utile per fare tale risultato. Queste sono le caratteristiche da seguire attentamente per porsi obiettivi validi dal punto di vista psicologico. Tale metodo aiuta a utilizzare tutte le proprie risorse e a sviluppare tutte le potenzialità atletiche.

 

Ansia

Quando parlo di goal setting con alcuni degli atleti che seguo, mi viene spesso detto che il solo fatto di pensare ad un obiettivo provoca ansia e fa nascere una grande paura di non raggiungere la meta prevista, al punto che molti si rifiutano all’inizio di pensare ad un obiettivo a lungo termine. L’obiettivo serve per avere ben presente dove si vuole arrivare e quali risorse è necessario mettere in campo nel momento in cui si deve preparare e affrontare la prestazione. È normale provare ansia e tensione a riguardo, è comunque una dimostrazione di possedere o no le capacità per far avverare i propri sogni. L’importanza dell’obiettivo è però fondamentale ed è necessario superare la tensione e i sentimenti negativi affrontandoli nel miglior modo possibile.

Una corretta modalità è quella di porsi obiettivi a breve termine dopo aver stabilito la meta finale della stagione agonistica. In questo modo si otterrà un duplice effetto positivo: prima di tutto ogni volta che si raggiunge un obiettivo, anche non esageratamente alto, si aumenta la propria autostima e la propria selfefficacy, ossia la percezione della propria efficacia. Inoltre si fa un ulteriore passo per raggiungere l’obiettivo finale. Inevitabilmente, per poter avvicinarsi sempre più alla meta prevista, ad ogni obiettivo raggiunto ne seguirà un altro.

 

Obiettivi mancati

Porsi obiettivi comporta il pericolo di non raggiungerli. Nel momento in cui l’obiettivo è scaduto o mancato si dovrà superare un momento di delusione, frustrazione e tristezza. Molte volte nella vita capita di non centrare gli obiettivi ma questo non vieta agli atleti di superare questi sentimenti negativi per poter raggiungere nuove mete e porsi nuovi traguardi per la successiva stagione agonistica. Provare sentimenti negativi di fronte a obiettivi mancati è assolutamente normale. Il consiglio in questo caso è accettare queste emozioni e cercare diverse mete per avere una nuova motivazione per affrontare nuovi allenamenti e nuove sfide.

Per un ulteriore approfondimento su questo argomento vi rimando all’articolo le opportunità dell’insuccesso.

 

Obiettivi raggiunti

Porsi obiettivi può anche significare il raggiungimento di essi. Se un obiettivo viene raggiunto sicuramente si prova grande soddisfazione e grande gioia, soprattutto se è il traguardo finale della stagione agonistica. Anche qui, come si parlava nell’articolo le trappole del successo a cui vi rimando per un ulteriore approfondimento, ci sono dei pericoli. Il mio consiglio è di vivere la felicità di festeggiare abbondantemente il successo ma di tornare presto alla propria attività e a porsi obiettivi per la stagione successiva in modo da non lasciar cadere la motivazione e la determinazione e da non dormire sugli allori. Buon lavoro dunque e buona stagione agonistica

Buon lavoro dunque e buona stagione agonistica

 

 

A cura di Martina Fugazza

Filed Under: Psicologia Tagged With: ansia, atletica leggera, fare centro, goal setting, il Coach, il coach better yourself, il_Coach, ilcoach, ilcoach psicologia, ilcoach.net, Martina Fugazza, obiettivi, obiettivi mancati, obiettivi raggiunti, obiettivo smart, psicologia e sport, psicosport, psiocologia, trackandfield

Si riparte!!!

22 Ottobre 2015 by Redazione

psicologia negli sprint

Per essere il numero uno, devi allenarti come se fossi il numero due. (Maurice Greene)

 

Ottobre, per l'atletica leggera, è il mese in cui riprende la preparazione invernale.

Come molti atleti e allenatori sanno, questo è un periodo molto lungo e molto delicato. Le caratteristiche principali di tale momento sono il disagio dovuto alle modalità di allenamento, le condizioni atmosferiche e di temperatura disagevoli, la frustrazione dovuta alla lontananza dalle competizioni, la possibile mancanza di motivazioni e la grande fatica fisica a cui gli atleti sono sottoposti. Tutte queste caratteristiche rendono i mesi di preparazione invernale difficili da affrontare.

Molte sono le emozioni che si susseguono. Tali emozioni possono essere dovute molti fattori, ad esempio la rabbia di vedere il traguardo lontano, la paura di non riuscire a raggiungere il goal finale, la tristezza di non vedere subito i frutti del proprio lavoro. Inoltre il grande stress fisico che a cui gli atleti sono sottoposti può provocare ricadute anche dal punto di vista mentale. La stanchezza fisica porta a una stanchezza mentale dovuta anche alla grande concentrazione necessaria a sostenere gli sforzi che la vita sportiva, lavorativa e scolastica richiede.

Come sempre, fortunatamente, il bicchiere non è solo mezzo vuoto. Questo periodo possiede anche molti lati positivi. La speranza di raggiungere degli obiettivi importanti durante la stagione agonistica, la felicità che si prova quando, nelle rare occasioni di test, si notano i miglioramenti, la soddisfazione che si percepisce quando si riesce a concludere un allenamento pesante, sono sensazioni  importanti che aiutano gli atleti ad affrontare la preparazione invernale.

Un primo mio consiglio per affrontare tale periodo è di prestare attenzione a tali sensazioni positive. Si tende spesso a concentrarsi e a ricordarsi le emozioni negative e gli eventi che ci hanno fatto stare male. Sforzatevi a dare alle situazioni positive l’importanza che meritano. Soffermatevi sulla soddisfazione, sulla gioia, sul benessere quando le provate. Tali momenti sono importanti, sono occasioni di “fare il pieno” di motivazioni e di emozioni positive, e vi aiuteranno ad affrontare “la salita” degli allenamenti.

Di certo è necessario saper affrontare i lati negativi di questo lungo è difficile periodo e alcuni consigli possono sicuramente esservi utili. Partirei subito dalla possibilità di provare una grande frustrazione per non poter percepire i miglioramenti e per affrontare delle situazioni disagevoli a causa della bassa temperatura, del buio, del tempo atmosferico non sempre a favore degli atleti. Tale sentimento è normale. Pensare di fare qualcosa di sbagliato a lasciarsi andare a tale emozione non serve. Come dico spesso ai miei atleti, l’emozione negativa deve essere accolta così com'è, tenendo ben presente che l’emozione, per definizione, è temporanea, e passa.

Gli atleti devono far fronte, a volte, a momenti di bassa motivazione. Anche questo tipo di sensazione è normale, soprattutto a metà del percorso, perché si vede la meta ancora lontana, il lavoro fatto inizia a stancare e il pensiero degli allenamenti ancora da affrontare può sembrare insostenibile. Tale sensazione è superabile accettandola senza sentirsi in colpa e ripensando alla soddisfazione che si prova al termine degli allenamenti giornalieri. Richiamando una sensazione positiva si potrà avere la spinta ad affrontare una nuova sfida alla ricerca di tale positività.

Affrontare la fatica può essere difficoltoso per un atleta. La consapevolezza di allenarsi fino al proprio limite fisico e di tornare a casa stanchi tanto da far fatica a guidare o a mangiare, non è una buona compagna di vita. Il mio consiglio in questo caso è di porsi obiettivi intermedi, anche settimanali, da raggiungere. Provate a pensare di dover salire fino al decimo piano a piedi. Ora provate a pensare di affrontare un pianerottolo alla volta. Un aiuto alla motivazione e alla determinazione nel concludere il periodo di preparazione è pensare ad ogni allenamento come se fosse l’unico, senza pensare a quello che si dovrà affrontare domani o la settimana prossima. In caso di allenamenti che producono particolare stress, può aiutare pensare a una prova alla volta.

Infine, un ultimo consiglio: ogni atleta affronta la preparazione invernale per raggiungere un obiettivo nella stagione agonistica. Definire correttamente e mettere per iscritto tale obiettivo può aiutare a non perdere la rotta e la motivazione.

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Gli obiettivi devono avere tali caratteristiche:

  • Essere SPECIFICI: devono essere relativi ad una cosa in particolare (es: non è corretto dire “voglio andare meglio dell’anno scorso”, è meglio dirsi “vorrei fare 54 metri”).
  • Essere MISURABILI: l’unità di misura è necessaria, e l’atletica leggera in questo ci aiuta con i suoi risultati oggettivi (“vorrei fare 85 metri”).
  • Essere ACCESSIBILI: devono poter essere raggiunti (è bellissimo voler andare alle Olimpiadi, come tutti i giovani atleti sognano, ma è necessario essere realisti).
  • Essere SFIDANTI: un po’ di pepe è necessario, devo poter percepire l’insicurezza di non raggiungere l’obiettivo e quindi la necessità di impegnarmi al 110% per avere la possibilità di riuscire (se l’anno precedente si è riusciti a raggiungere i 25”, è sfidante voler raggiungere i 24”90).
  • Essere LEGATI AL TEMPO: gli obiettivi, per essere tali, hanno una scadenza. Oltre tale scadenza devono definirsi raggiunti o mancati.

Gli obiettivi sono plastici, possono modificarsi col tempo, possono essere alzati o abbassati a seconda dell’andamento della preparazione e dello stato psico-fisico dell’atleta.

Definirli e metterli per iscritto aiuta molto.

Attenzione: il binomio allenatore –atleta in questo è fondamentale. Definite i vostri obiettivi con il vostro allenatore, avere il suo punto di vista è molto utile.

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Qualche consiglio per gli allenatori, che seguono i loro atleti con passione e condividono con loro le speranze, i disagi dovuti alle condizioni atmosferiche e le frustrazioni degli allenamenti.

CONDIVIDETE. Condividete con gli atleti i vostri pensieri, spiegate le vostre motivazioni. Non date nulla per scontato. Ciò che viene taciuto può essere frainteso e possono crearsi tensioni. Chiedete ai vostri atleti di condividere le loro emozioni con voi. Siate empatici, accettando le emozioni e le lamentele, che di certo non mancheranno, ma siate fermi nella vostra posizione. Siete voi gli allenatori, essere accoglienti significa ascoltare e supportare, non significa cedere alle richieste o lasciarsi andare insieme agli atleti alla frustrazione o alla tristezza.

Non mancheranno i momenti di frustrazione e di scarsa motivazione anche per voi. I miei consigli a riguardo non sono diversi da quelli che ho proposto agli atleti. In tal caso, parlatene con i vostri colleghi, con i dirigenti, con gli amici. Parlarne agli atleti potrebbe essere controproducente. In caso di domande da parte loro di fronte al vostro malumore, a volte basta una semplice frase di spiegazione (ad esempio “oggi sono di malumore, passerà”).

 

Rimango a disposizione per qualsiasi dubbio o vostra necessità.

 

Vi auguro buon lavoro, e buona fatica.

 

Martina Fugazza

 

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Gli altri articoli di Martina pubblicati sul nostro sito li trovate nella sezione:

PSICOLOGIA

Martina Fugazza

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Filed Under: News, News, Psicologia Tagged With: ilcoach psicologia, martina fugazz, Martina Fugazza, preparazione invernale, psicologia, psicologia allenamento, psicologia atletica leggera, psicologia dello sport, psicologia preparazione invernale, psicologia sport, psicologia sportiva, SI RIPARTE, sport e psicologia

Frustrazione, questa sconosciuta!

3 Luglio 2015 by Redazione

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In copertina Elena Carraro. 

Viaggio all’interno di una componente fondamentale della vita emotiva e sociale, a cui non si è più allenati.

“I ragazzi di oggi hanno tutto”.

 

Quante volte abbiamo sentito questa frase?

Sotto molti aspetti equivale a realtà. Ma non è del tutto corretta. Ai giovani manca una cosa fondamentale: la frustrazione.

Non sembra nulla di invitante. Chi mai potrebbe volersi sentire frustrato?

Eppure è una situazione che capita spesso nella vita.

La frustrazione è uno stato d’animo negativo dovuto a condizioni ambientali e sociali che portano a non poter avere ciò che si desidera.

Le emozioni di base solitamente presenti sono rabbia e tristezza.

È una condizione normale, che si può presentare anche più volte al giorno. Chi si sottopone a una dieta, per esempio, sperimenta la frustrazione ogni volta che si avvicina l’orario del pasto, e non solo.

Un’altra frustrazione molto attuale è la voglia e il bisogno di lavorare e non trovare occasione di poter sfruttare le proprie capacità.

LA FRUSTRAZIONE NELL’INFANZIA
Il grande studioso Donald Winnicott (1896-1971), uno psicologo appartenente al gruppo degli indipendenti, sostiene che una madre non debba rispondere immediatamente a ogni richiesta dell’infante. Nei primi mesi di vita è infatti necessario che il bambino sperimenti la frustrazione prima che la madre accolga i suoi bisogni. Non per nulla, Winnicott chiama la madre ideale, che non interviene immediatamente ad ogni minimo vagito, “sufficientemente buona”.

Imparare la difficile arte dell’autoregolazione delle emozioni negative è di fondamentale importanza fin dai primi giorni di vita. Di certo, una madre che non risponda adeguatamente alle esigenze del bambino può portare a scompensi emotivi troppo grandi per essere gestiti dall’infante, causandogli problemi nella vita futura.

Sperimentando la frustrazione e una risposta adeguata da parte della madre alle sue esigenze, il bambino impara che le emozioni negative sono passeggere e troveranno conforto: sono quindi gestibili in attesa dell’adulto. Il bambino troverà, così, il modo di auto-consolarsi, mettendo in atto comportamenti compensatori, come ciucciare il proprio dito.

Quando crescono, e raggiungono l’età prescolare, spesso non sanno come gestire la frustrazione e le emozioni che questa comporta. Se a un bambino, per esempio, viene rubato un gioco, può agire come detta l’emozione della rabbia, urlando o diventando violento.

Un compito fondamentale dell’adulto di riferimento è aiutare il bambino ad autoregolarsi, insegnandogli quali sono le emozioni e quali caratteristiche hanno, indicandogli strategie corrette per le loro gestione.

Ancora una volta dunque gli adulti sono una guida fondamentale per i bambini e per il loro corretto sviluppo sociale e relazionale.

IL RISCHIO CHE COMPORTA
Oltre ad essere una normale condizione sgradevole della mente umana, la frustrazione rappresenta anche un pericolo.

Sperimentare condizioni negative, se non si è adeguatamente supportati e non si hanno le risorse per superarle, può portare a un decadimento dello stile di vita o a un disagio psichico.

Possiamo vedere questo pericolo concretizzarsi in un’orribile notizia dello scorso settembre. Un ragazzo ventenne ha ucciso la sua ex ragazza dopo un suo ennesimo rifiuto per poi suicidarsi.

La fine di una relazione o un rifiuto portano, talvolta, a sofferenze emotive così grandi da essere superate solo dopo molto tempo.

Quando non si ha la capacità di gestire la frustrazione, la sofferenza può portare a mettere in atto comportamenti disadittavi.

È il caso dei fatti di cronaca di cui sopra. Senza escludere problemi di cui non conosciamo l’esistenza, questo giovane uomo non ha saputo gestire la frustrazione e la sofferenza emotiva, compiendo un gesto estremo.

Come loro, molti ragazzi non sono in grado di autoregolarsi e superare i momenti negativi. Non necessariamente arrivano a compiere gesti antisociali o dannosi per la propria salute, ma dopo un insuccesso possono rinunciare e obiettivi importanti, come una laurea.

In tutto questo un ruolo fondamentale è ricoperto dall’autostima, un processo che porta il soggetto a percepirsi capace e adeguato ad affrontare la vita e le sue difficoltà. Si basa sulle auto percezioni di efficacia e sulla valutazione degli altri percepita dal soggetto. Ad esempio, un bambino che riuscirà negli studi impegnandosi e ottenendo bei voti e che si sentirà apprezzato da chi lo circonda per le sue capacità, avrà un’autostima alta.

Molti sono i fattori, dunque, che portano a considerare la frustrazione un pericolo per i ragazzi e gli adulti.

Ne abbiamo molti esempi, forse troppi.

LA RISORSA CHE RAPPRESENTA

Il bicchiere non è solo mezzo vuoto.

La frustrazione infatti può rappresentare un’importante occasione di crescita, personale e sociale.

Sperimentare una condizione negativa può dare la spinta a modificare tale situazione.

Per sfruttare la frustrazione è necessaria una personalità forte e un’autostima elevata. Si entra così in un circolo virtuoso: se si impara a superare momenti negativi ed ad agire correttamente, l’autostima e il senso di autoefficacia si alzano, permettendo così di poterne affrontare altri, rinforzandosi ulteriormente.

Tornando all’esempio della disoccupazione, sperimentare la frustrazione può portare a cercare tutte le soluzioni possibili per raggiungere il proprio obiettivo, anche percorrendo strade che non si credeva adatte alla propria personalità.

In psicologia questo comportamento viene chiamato resilienza: la capacità di affrontare le difficoltà in modo vincente e uscirne fortificati.

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LO SPORT: PALESTRA DI RESILIENZA

Lo sport come palestra di vita. Solo un modo di dire? No di certo.

Bambini e ragazzi che affrontano settimanalmente uno sport che preveda competizione e agonismo, con sé stessi o con gli altri, saranno adulti allenati alla resilienza.

Imparare a faticare, a lavorare in squadra e da soli, cercare di migliorarsi, agire per raggiungere un obiettivo, sono solo alcune delle competenze che aiutano una persona per tutta la sua vita. Essere in grado di superare la frustrazione è un’altra abilità che si aggiunge al lungo elenco dell’eredità che lo sport agonistico lascia all’individuo.

La pratica agonistica è costellata di frustrazioni.

Alcuni esempi:

  • non raggiungere un obiettivo prefissato
  • un infortunio
  • l’esclusione dalla squadra
  • le difficoltà che si possono incontrare a conciliare la vita sociale
  • scolastica e lavorativa con la vita sportiva.

Se un atleta, di ogni livello, è in grado di superare le frustrazioni che incontrerà, potrà godere di una carriera sportiva lunga e colma di successi personali.

Dice qualcuno: la cosa peggiore non è fallire, ma non tentare. Poca resilienza porterebbe a rinunciare all’obiettivo dopo una frustrazione.

Un atleta di ogni età, può subire quindi situazioni frustranti, provando le emozioni negative di rabbia e tristezza, percependo lo sconforto per dover cambiare obiettivo, ritardare il suo raggiungimento o cambiare la strada per conquistarlo.

La motivazione, le capacità di coping, l’autostima e l’autoefficacia che derivano dalla pratica sportiva portano a trovare una modalità per superare tale situazione.

Facendo riferimento al film “Cool Runnings”, tre giamaicani cadono nella finale dei 100 metri durante le selezioni per le Olimpiadi del 1988. perdono così la possibilità di coronare il loro sogno e raggiungere l’obiettivo più grande di una carriera sportiva. Cambiano strada, e riescono a partecipare alle Olimpiadi invernali di Calgary come prima squadra giamaicana di bob a quattro. Resilienza.

CONCLUSIONI
La frustrazione è il pane quotidiano per molte persone. Fin da neonati la sperimentiamo e la affrontiamo.

Troppi adulti sono costantemente preoccupati di far vivere frustrazioni inutili ai loro figli, come ad esempio i genitori che chiedono ripetutamente all’allenatore di far giocare il bambino per non farlo sentire escluso.

La bellissima verità è che i bambini e i ragazzi, con il giusto sostegno, sono perfettamente in grado di superare tali momenti di frustrazione.

Questa considerazione porta ad un’altra, altrettanto bella e tranquillizzante. La vita di oggi, relazionale, sociale e lavorativa è colma di frustrazione. Ma con il corretto sostegno, tutto può essere affrontato.

Martina Fugazza

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Frustrazione, questa sconosciuta!

3 Luglio 2015 by Redazione

Viaggio all’interno di una componente fondamentale della vita emotiva e sociale, a cui non si è più allenati.

“I ragazzi di oggi hanno tutto”.

 

Quante volte abbiamo sentito questa frase?

Sotto molti aspetti equivale a realtà. Ma non è del tutto corretta. Ai giovani manca una cosa fondamentale: la frustrazione.

Non sembra nulla di invitante. Chi mai potrebbe volersi sentire frustrato?

Eppure è una situazione che capita spesso nella vita.

La frustrazione è uno stato d’animo negativo dovuto a condizioni ambientali e sociali che portano a non poter avere ciò che si desidera.

Le emozioni di base solitamente presenti sono rabbia e tristezza.

È una condizione normale, che si può presentare anche più volte al giorno. Chi si sottopone a una dieta, per esempio, sperimenta la frustrazione ogni volta che si avvicina l’orario del pasto, e non solo.

Un’altra frustrazione molto attuale è la voglia e il bisogno di lavorare e non trovare occasione di poter sfruttare le proprie capacità.

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LA FRUSTRAZIONE NELL’INFANZIA
Il grande studioso Donald Winnicott (1896-1971), uno psicologo appartenente al gruppo degli indipendenti, sostiene che una madre non debba rispondere immediatamente a ogni richiesta dell’infante. Nei primi mesi di vita è infatti necessario che il bambino sperimenti la frustrazione prima che la madre accolga i suoi bisogni. Non per nulla, Winnicott chiama la madre ideale, che non interviene immediatamente ad ogni minimo vagito, “sufficientemente buona”.

Imparare la difficile arte dell’autoregolazione delle emozioni negative è di fondamentale importanza fin dai primi giorni di vita. Di certo, una madre che non risponda adeguatamente alle esigenze del bambino può portare a scompensi emotivi troppo grandi per essere gestiti dall’infante, causandogli problemi nella vita futura.

Sperimentando la frustrazione e una risposta adeguata da parte della madre alle sue esigenze, il bambino impara che le emozioni negative sono passeggere e troveranno conforto: sono quindi gestibili in attesa dell’adulto. Il bambino troverà, così, il modo di auto-consolarsi, mettendo in atto comportamenti compensatori, come ciucciare il proprio dito.

Quando crescono, e raggiungono l’età prescolare, spesso non sanno come gestire la frustrazione e le emozioni che questa comporta. Se a un bambino, per esempio, viene rubato un gioco, può agire come detta l’emozione della rabbia, urlando o diventando violento.

Un compito fondamentale dell’adulto di riferimento è aiutare il bambino ad autoregolarsi, insegnandogli quali sono le emozioni e quali caratteristiche hanno, indicandogli strategie corrette per le loro gestione.

Ancora una volta dunque gli adulti sono una guida fondamentale per i bambini e per il loro corretto sviluppo sociale e relazionale.

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IL RISCHIO CHE COMPORTA
Oltre ad essere una normale condizione sgradevole della mente umana, la frustrazione rappresenta anche un pericolo.

Sperimentare condizioni negative, se non si è adeguatamente supportati e non si hanno le risorse per superarle, può portare a un decadimento dello stile di vita o a un disagio psichico.

Possiamo vedere questo pericolo concretizzarsi in un’orribile notizia dello scorso settembre. Un ragazzo ventenne ha ucciso la sua ex ragazza dopo un suo ennesimo rifiuto per poi suicidarsi.

La fine di una relazione o un rifiuto portano, talvolta, a sofferenze emotive così grandi da essere superate solo dopo molto tempo.

Quando non si ha la capacità di gestire la frustrazione, la sofferenza può portare a mettere in atto comportamenti disadittavi.

È il caso dei fatti di cronaca di cui sopra. Senza escludere problemi di cui non conosciamo l’esistenza, questo giovane uomo non ha saputo gestire la frustrazione e la sofferenza emotiva, compiendo un gesto estremo.

Come loro, molti ragazzi non sono in grado di autoregolarsi e superare i momenti negativi. Non necessariamente arrivano a compiere gesti antisociali o dannosi per la propria salute, ma dopo un insuccesso possono rinunciare e obiettivi importanti, come una laurea.

In tutto questo un ruolo fondamentale è ricoperto dall’autostima, un processo che porta il soggetto a percepirsi capace e adeguato ad affrontare la vita e le sue difficoltà. Si basa sulle auto percezioni di efficacia e sulla valutazione degli altri percepita dal soggetto. Ad esempio, un bambino che riuscirà negli studi impegnandosi e ottenendo bei voti e che si sentirà apprezzato da chi lo circonda per le sue capacità, avrà un’autostima alta.

Molti sono i fattori, dunque, che portano a considerare la frustrazione un pericolo per i ragazzi e gli adulti.

Ne abbiamo molti esempi, forse troppi.

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LA RISORSA CHE RAPPRESENTA

Il bicchiere non è solo mezzo vuoto.

La frustrazione infatti può rappresentare un’importante occasione di crescita, personale e sociale.

Sperimentare una condizione negativa può dare la spinta a modificare tale situazione.

Per sfruttare la frustrazione è necessaria una personalità forte e un’autostima elevata. Si entra così in un circolo virtuoso: se si impara a superare momenti negativi ed ad agire correttamente, l’autostima e il senso di autoefficacia si alzano, permettendo così di poterne affrontare altri, rinforzandosi ulteriormente.

Tornando all’esempio della disoccupazione, sperimentare la frustrazione può portare a cercare tutte le soluzioni possibili per raggiungere il proprio obiettivo, anche percorrendo strade che non si credeva adatte alla propria personalità.

In psicologia questo comportamento viene chiamato resilienza: la capacità di affrontare le difficoltà in modo vincente e uscirne fortificati.

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LO SPORT: PALESTRA DI RESILIENZA

Lo sport come palestra di vita. Solo un modo di dire? No di certo.

Bambini e ragazzi che affrontano settimanalmente uno sport che preveda competizione e agonismo, con sé stessi o con gli altri, saranno adulti allenati alla resilienza.

Imparare a faticare, a lavorare in squadra e da soli, cercare di migliorarsi, agire per raggiungere un obiettivo, sono solo alcune delle competenze che aiutano una persona per tutta la sua vita. Essere in grado di superare la frustrazione è un’altra abilità che si aggiunge al lungo elenco dell’eredità che lo sport agonistico lascia all’individuo.

La pratica agonistica è costellata di frustrazioni.

Alcuni esempi:

  • non raggiungere un obiettivo prefissato
  • un infortunio
  • l’esclusione dalla squadra
  • le difficoltà che si possono incontrare a conciliare la vita sociale
  • scolastica e lavorativa con la vita sportiva.

Se un atleta, di ogni livello, è in grado di superare le frustrazioni che incontrerà, potrà godere di una carriera sportiva lunga e colma di successi personali.

Dice qualcuno: la cosa peggiore non è fallire, ma non tentare. Poca resilienza porterebbe a rinunciare all’obiettivo dopo una frustrazione.

Un atleta di ogni età, può subire quindi situazioni frustranti, provando le emozioni negative di rabbia e tristezza, percependo lo sconforto per dover cambiare obiettivo, ritardare il suo raggiungimento o cambiare la strada per conquistarlo.

La motivazione, le capacità di coping, l’autostima e l’autoefficacia che derivano dalla pratica sportiva portano a trovare una modalità per superare tale situazione.

Facendo riferimento al film “Cool Runnings”, tre giamaicani cadono nella finale dei 100 metri durante le selezioni per le Olimpiadi del 1988. perdono così la possibilità di coronare il loro sogno e raggiungere l’obiettivo più grande di una carriera sportiva. Cambiano strada, e riescono a partecipare alle Olimpiadi invernali di Calgary come prima squadra giamaicana di bob a quattro. Resilienza.

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CONCLUSIONI
La frustrazione è il pane quotidiano per molte persone. Fin da neonati la sperimentiamo e la affrontiamo.

Troppi adulti sono costantemente preoccupati di far vivere frustrazioni inutili ai loro figli, come ad esempio i genitori che chiedono ripetutamente all’allenatore di far giocare il bambino per non farlo sentire escluso.

La bellissima verità è che i bambini e i ragazzi, con il giusto sostegno, sono perfettamente in grado di superare tali momenti di frustrazione.

Questa considerazione porta ad un’altra, altrettanto bella e tranquillizzante. La vita di oggi, relazionale, sociale e lavorativa è colma di frustrazione. Ma con il corretto sostegno, tutto può essere affrontato.

 

A cura di Martina Fugazza

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Filed Under: Psicologia Tagged With: allenamento giovanile, bambini e frustrazione, frustrazione, frustrazione e giovani, frustrazione e sport, frustrazione e vita, il Coach, il coach psicologia, ilcoach better yourself, ilcoach psicologia, ilcoach.net, importanza sport nei giovani, psicologia, psicologia dello sport, vantaggi e svantaggi frustrazione

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