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Cadetti/e: avviamento al salto in alto

25 Settembre 2015 by Redazione

Cadetti avviamento salto in alto

Il salto in alto è una di quelle specialità che affascina la maggior parte dei giovani per la sua componente “giocosa”, ma che presenta varie difficoltà logistiche per quanto riguarda la gestione di un allenamento rivolto al gruppo cadetti, che normalmente è piuttosto numeroso e disomogeneo.
Spiegherò qui una serie di esercitazioni a carattere generale che si possono utilizzare nell'avviamento al salto in alto in maniera semplice, con un gruppo vario di cadetti, accanto a delle proposte più specifiche che necessitano però di un’attenzione maggiore e che quindi andrebbero proposte soltanto ad un gruppo più selezionato di atleti, in possesso di buone doti e che abbiamo già effettuato un certo percorso di apprendimento motorio.

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Tecniche di salto

Nonostante le varie tecniche (frontale, sforbiciata, ventrale) si differenzino da quella Fosbury sotto molti aspetti, tra i quali il tempo di stacco, l’inclinazione del corpo e la rincorsa, a quest’età tali parametri sono secondari rispetto all’importanza fondamentale che riveste l’acquisizione di un vasto bagaglio motorio, che comprenda le altre tecniche principali di salto in alto. Queste sono infatti utilissime per stimolare la capacità di salto a 360 gradi, senza quindi andare ad insistere troppo sullo stacco Fosbury che è ormai assodato, risulta essere traumatico se eseguito in maniera intensiva in giovane età, quando la struttura piede-caviglia non si è ancora irrobustita completamente. A questo proposito ricordiamo che il piede del saltatore è come la mano del pianista, e dev’essere curata e potenziata sempre: dai 15 ai 17 anni è fondamentale rinforzare piedi e caviglie in modo da arrivare a 18 anni con una struttura ben irrobustita e pronta a sopportare adeguati carichi di lavoro (ma questo è un altro argomento che necessita di uno spazio a sé stante).

Tra le esercitazioni più comuni ricordiamo:

  • Salti frontali con stacco a piedi pari già leggermente ruotati nella direzione di rotazione del corpo e atterraggio sulla parte alta del dorso; per indicare la zona di stacco le prime volte si possono mettere dei cerchi oppure una riga a terra che non deve essere superata, perché la tendenza generale di chi è alle prime armi è quella di avvicinarsi troppo al materasso; l’asticella, o meglio ancora l’elastico, si può mettere ad altezza crescente (ad esempio sul ritto a sx si mette 1 m mentre in quello a dx 1,30m) cosicché si possono far saltare più atleti ad altezze diverse; per i più bravi si può aggiungere un over molto basso da superare dopo l’ultimo passo.
  • Stacchi frontali cercando di toccare col braccio un elastico posizionato in alto; questo esercizio può essere facilitato con l’aggiunta di un rialzo sull’ultimo appoggio oppure reso più difficile chiedendo agli atleti di portare in alto prima un solo braccio, e poi entrambi.
  • Stacchi frontali superando un ostacolo e atterrando su materasso o sulla sabbia.
  • Salti a sforbiciata con atterraggio in piedi sul materasso: questa richiesta evita di rischio di fare salti buttandosi sul materasso senza il controllo del proprio corpo; con atleti abili si possono allontanare i ritti e far saltare atterrando per terra: in questo caso ovviamente ci dev’essere massima attenzione anche da parte del tecnico. Non va dimenticato, inoltre, che dal momento che nel salto a sforbiciata non esiste rotazione lungo l’asse longitudinale, è inutile utilizzare una rincorsa in curva che anzi, diventerebbe addirittura controproducente.
  • Salto a sforbiciata lanciando una pallina da tennis al di là di un elastico posto in alto, in modo da percepire l’innalzamento della parte superiore del corpo.
  • Salto con tecnica ventrale: questi sono facilmente eseguibili da tutti coloro che sono in possesso di buone qualità atletiche, sono divertenti e si possono usare anche per fare delle mini-gare di salti non convenzionali.
  • Stacchi a canestro: esercizio che va bene a tutte le età e che può essere modificato a seconda delle esigenze: se inserito durante la corsa di riscaldamento, si chiede di staccare e di cercare di toccare il canestro con la mano prima usando un piede, e dopo qualche giro l’altro piede. Sarà curioso notare come molti ragazzi a quest’età abbiano ancora difficoltà a coordinare piede di stacco e braccio che va a canestro!!!! Una variante che prevede l’utilizzo delle braccia sincrone è quella di usare una palla medica leggera (1-2 kg) da lanciare nel canestro.
  • Salti a Fosbury da almeno 4-5 appoggi con o senza pedana rialzata sull’ultimo appoggio.

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La rincorsa

Per la buona riuscita del salto Fosbury, è fondamentale possedere un’ottima capacità di corsa in curva. 

Ricordiamo spesso ai nostri piccoli atleti che arricciano il naso di fronte ad un allenamento di velocità, che per saltare in alto bisogna non solo saper correre, ma anche farlo velocemente!!!

Tra le esercitazioni più usate ci sono:

  • Corsa in cerchi “a spirale”.
  • Corsa in curva seguendo un “8”.
  • Corsa seguendo una linea a S (ad esempio dalla 1° alla 6° corsia e viceversa).
  • Andature seguendo la rincorsa del salto in alto con successivo passaggio alla corsa in un determinato punto (indicativamente sul quartultimo appoggio) e stacco.
  • Rincorsa tenendo un bastone in alto oppure dietro il bacino che viene lasciato cadere (sempre intorno al quartultimo appoggio) per poi proseguire con corsa e stacco.
  • Rincorsa con hs o coni da superare ad intervalli regolari con passo saltellato o con passo stacco.

Queste esercitazioni, che si possono modulare in tantissimi modi (tipo di andatura, raggio di curvatura, velocità di esecuzione, oggetti da superare…) devono essere sempre eseguite con l’obiettivo di raggiungere un gesto tecnico che sia allo stesso tempo efficace e decontratto.

Un buon esercizio da proporre nei periodi lontani dalle competizioni, che è anche un metodo per disegnare una rincorsa ad un giovane, è quello di far saltare con rincorse casuali: si fa partire il ragazzo da un punto casuale che viene scelto da lui e mano a mano che si salta, l’allenatore aggiusta la rincorsa un poco per volta, che verrà poi misurata una volta concluso l’allenamento. Questo esercizio se ripetuto diverse volte, variando il raggio di curvatura oppure il numero di passi (che per i giovani non dovrebbe comunque superare i 6-8 appoggi), diventa un ottimo strumento per l’allenatore che può quindi stabilire quale tra quelle provate è la miglior rincorsa per quell’atleta.

Non dimentichiamo che per “miglior rincorsa” non si intende per forza quella che al momento permette di saltare di più ma dev’essere quella con cui riteniamo che l’atleta possa esprimere al meglio le proprie qualità.

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Valicamento ed atterraggio

Quando abbiamo a che fare con i giovani, dimentichiamo per un attimo i salti alla Stefan Holm col corpo che avvolge alla perfezione l’asticella! Certamente è di primaria importanza insegnare ai giovani gli esercizi di pre-acrobatica, i ponti, le cadute sul materasso, ma essendo comunque coscienti che ci vorrà del tempo affinché il ragazzo sia in grado di trasferire questi elementi nel salto vero e proprio. Per i giovani sono più importanti la globalità del salto, il collegamento corsa-stacco, la corretta percezione del proprio corpo nelle varie fasi piuttosto che la tecnica di valicamento.
Inoltre, molti degli errori che avvengono sopra l’asticella sono riconducibili, la maggior parte delle volte, ad errori commessi nell’ultima parte di rincorsa oppure a scarsa mobilità a livello di schiena e bacino.

Esercitazioni da proporre:

  • Cadute all’indietro sul materasso o corpo teso o sulla parte alta del dorso.
  • Salti dorsali con saltelli sul materasso oppure con partenza da terra.
  • Salti dorsali con superamento di un bastone partendo da una panca più alta del materasso; si possono eseguire variando le spinte in alto o in orizzontale.
  • Ponti a terra, alla sbarra o alla spalliera (con l’aiuto di un compagno).
  • Esercizi di ginnastica artistica: capriole avanti e indietro, rovesciate, verticali, verticali + ponte, capriole + salto dorsale: questi esercizi aiutano ad aumentare la percezione del proprio corpo in volo, qualità che è fondamentale per i saltatori in alto. Se è vero che la traiettoria di un corpo non si può modificare una volta che si è staccato da terra, è altrettanto vero che, ad alto livello, chi è capace di aggiustare in volo la posizione relativa dei vari segmenti del corpo (braccia, gambe e testa) ne può trarre grossi vantaggi in termini di cm superati. (A questo proposito rimando alla bellissima analisi fatta da Jesus Dapena e tradotta in italiano su “Analisi biomeccanica del Fosbury Flop” (Nuova Atletica n.131, pp 64-76) sul confronto tra altezza dell’asticella e altezza del baricentro)
  • Ponti a terra, alla sbarra o alla spalliera (con l’aiuto di un compagno).

A breve saranno disponibili i video delle esercitazioni qui proposte.

A cura di Elisa Bettini

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Gli altri articoli di Elisa:

Relazione Raduno Lombardo J/P a cura di Enzo Del Forno (salto in alto)

Avviamento salto in alto nelle categorie Esordienti e Ragazzi

 

 

 

 

elisa bettini

Elisa Bettini

Allenatrice 2° Livello Fidal
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La resistenza aerobica intensiva e specifica

12 Agosto 2015 by Redazione

La resistenza aerobica intensiva e specifica

Il concetto di sviluppo e incremento della resistenza aerobica specifica è da interpretare in due diverse fasi della preparazione, dapprima in forma Intensiva e successivamente in forma Specifica, in relazione ai ritmi gara individuati per ogni atleta. A mio avviso questa tipologia di allenamento (R/A/ Intensiva )  è tra le più importanti da sviluppare e curare come forma di successo per l’ ultramaratoneta d’elite.
Come abbiamo già detto nei precedenti articoli, la fonte energetica di utilizzo muscolare per correre una 100 km è costituita dai carboidrati in parte, ma soprattutto in maniera più massiccia dall’ utilizzo dei grassi. Ebbene la capacità di utilizzare questa energia, è dovuta dallo sviluppo e l’ incremento della cosiddetta Potenza Aerobica Lipidica

L’ allenamento per migliorare e incrementare la Potenza Lipidica è costituito non solo da corsa prolungata, ma condotta anche ad una velocità alla quale il consumo dei grassi è elevato. Mi riferisco alla velocità di Soglia Aerobica ( S/A/2 ).
Parliamo quindi di tutte quelle andature di corsa Media, Progressiva, con variazioni a blocchi, tipica dei maratoneti. Quindi migliorare la Potenza Lipidica attraverso lo sviluppo di questi mezzi di allenamento con l’ obiettivo finale di enfatizzare sempre più il volume di corsa e non l’ intensità, che invece favorisce il consumo dei zuccheri ( glicogeno).
A tal proposito si possono utilizzare sedute di allenamento sottoforma di ripetute lunghe da 5 a 7 km, con una prima parte estensiva a ritmo gara e la successiva  in forma ripetuta a velocità vicino la s/a/2. Esempi:

  • C/A/E 15 km + s/a/2 al 90%: 3 x 7 km rec 1km
  • C/A/E 15 km + s/a/2 dal 80 al 90%: km 7/6/5/4/3/ rec 1km

In alternativa tratti di corsa interi da 26 a 42 km a seconda dello stato di forma dell’ atleta, con volumi indirizzati ad un chilometraggio maggiore rispetto a quelli di un maratoneta.

Visto la specificità di questi allenamenti, preferisco, se ve ne fosse la possibilità, la partecipazione a gare di maratona o similari.
Chiaramente bisogna essere attenti ad interpretare bene quello che è la % d‘ impegno di questa prova che ci dovrà consentire un dispendio energetico al max dell’ 80/87% per poi proiettarci ai successivi allenamenti senza la necessità di dover recuperare troppo. Sicuramente da 2 a 3 maratone nell’ arco della preparazione possono creare il segnale biologico giusto e necessario al fine di garantire un importante disponibilità energetica.

È utilissimo eseguire ogni fine mese un test di “ Verifica Condizionale “ per determinare meglio la crescita in ambito aerobico nei valori di soglia, in modo da apportare le relative modifiche programmatiche.

Se si è impossibilitati a disputare la maratona, possiamo utilizzare allenamenti alternativi molto efficaci detti "lavori a Blocchi Speciali", prove eseguite in doppia seduta giornaliera, con la possibilità di correre nello stesso tempo su ritmi sostenuti senza penalizzare il volume della doppia seduta, che può arrivare anche a 38/45 km complessivi.

Attenzione! 

Dopo una prova del genere è preferibile dedicare l’ allenamento del giorno successivo alla rigenerazione con l’ utilizzo di attività polivalenti come la piscina, bike, o il riposo.

Maurizio Riccitelli

Maurizio Riccitelli

Allenatore Ultramaratona
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Esercitazioni speciali per i salti in estensione

5 Agosto 2015 by Redazione

esercitazioni speciali per i salti in estensione

Per migliorare la navigazione e la velocità di caricamento della pagina, l'articolo è diviso in 2 pagine, terminata la prima cliccare sul numerino "2" in alto o in basso a sinista per passare alla second a parte.

Nei salti in estensione si possono presentare diverse problematiche legate alle capacità degli atleti che si allenano.

Sovente le esercitazioni tecniche normali non sono sufficienti per dare all’atleta la possibilità di esprimere al meglio il gesto.

In alcuni casi, con metodi poco ortodossi, si può raggiungere più velocemente l’obiettivo di far provare e comprendere le corrette interpretazioni delle fasi che compongono il salto.

Per effettuare queste particolari esercitazioni, a volte bisogna utilizzare strumenti quali

  • pedane
  • rialzi
  • ostacoli in genere
  • elastici

Nella mia esperienza ho spesso fatto ricorso a tutti questi espedienti, convinto che potessero far provare le giuste sensazioni agli sventurati/e che ho allenato e che alleno.

Tutto quello che qui espongo, è risultato valido con quasi tutti i miei atleti e atlete, non ha un valore assoluto ma può dare qualche spunto per essere adattato ad altri.

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L'esecuzione analitica dei gesti

Prima di descrivere gli esercizi con i mezzi speciali, vorrei soffermarmi sull’importanza dell’esecuzione analitica dei gesti.

È mia convinzione che l’atleta debba conoscere bene la posizione in cui si deve presentare allo stacco, diretta conseguenza del corretto lavoro sugli ultimi appoggi, o di come deve uscire la gamba di volo.

Poniamo l’atleta frontalmente a un ostacolo, a una barriera delle siepi o altro, a una distanza di circa 1,5 m., in appoggio sul piede non di stacco.

Egli/ella deve andare, in equilibrio, in estensione sull’arto del penultimo appoggio e “sentire” il conseguente avanzamento del bacino.

Mantenendo la necessaria rigidità di tutto il sistema ed equilibrandosi con il corretto movimento delle braccia, deve azionare l’arto opposto che, passando sotto il gluteo con azione rotonda, deve impattare il terreno con tutta la pianta del piede.

L’estensione del piede e della gamba di stacco, con puntualizzazione dell’avanzamento del bacino, vengono completati dalla partenza della gamba di volo che deve passare sotto il gluteo con angolo del ginocchio piuttosto chiuso.

La parte finale dell’esercizio prevede l’arrivo del piede della gamba di volo sull’ostacolo.

Qui va considerata e analizzata la posizione del bacino, delle spalle, delle braccia, l’estensione della gamba di stacco e orientamento dello sguardo.

La distanza dell’ostacolo dal punto dello stacco è determinante per ottenere un angolo di uscita corretto della gamba di volo.

Per la fase di volo, io prediligo i passi in aria, l’analisi delle posizioni può essere fatta “appendendo” l’atleta, ad esempio, alla sbarra con apposite polsiere.

[su_youtube_advanced url="https://youtu.be/RRWAOvUFGAc?list=PL94DB16D4881C624F" width="560" height="440" rel="no"][/su_youtube_advanced]

Solitamente noi simuliamo il salto dagli ultimi tre passi, eseguendo poi al rallentatore la fase di volo.

L’esercizio è abbastanza difficoltoso e necessita di una buona padronanza del proprio corpo, di una discreta rigidità del sistema e di una buona preparazione della fascia addominale/dorsale.

Le posizioni nei vari passaggi e i controlli valutativi sono analoghi a quanto descritto sopra, orientamento dello sguardo compreso.

Il mancato utilizzo delle braccia come mezzi equilibratori dovrà essere compensato da un adeguato lavoro del bacino.

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Le esercitazioni speciali: lo stacco da pedana rialzata

L’esercizio speciale più diffuso per il saltatore in lungo è lo stacco da pedana rialzata, la superficie della quale deve essere piuttosto ampia, le mie sono da 60 x 80 cm, per non creare timori nell’atleta.

Questo lavoro serve per comprendere al meglio il tempo di stacco ed il corretto utilizzo del piede in una fase fondamentale del salto.

Lo stacco da rialzo è un esercizio che facilita l’azione stessa, basta pensare a quanto sono lunghi i salti nulli nei quali l’atleta poggia il piede sulle tavolette di nuova concezione.

In queste occasioni utilizzo una pedana alta 2 cm, oppure una da 8 o 16 cm quando voglio puntualizzare la componente di forza al momento dello stacco.

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La rincorsa che normalmente utilizzo è compresa tra i 6 ed i 10/12 passi, a seconda dell’enfatizzazione che voglio dare alle componenti forza e/o velocità.

L’altezza del rialzo non deve essere eccessiva, per evitare che gli angoli delle articolazioni interessate si discostino troppo da quelli ottimali in condizioni normali.

Per questo motivo propongo l’esercizio solo nella fase preparatoria del ciclo di allenamento e non nei cicli più vicini alla stagione agonistica.

Staccare da rialzo consente inoltre una fase aerea più alta e lunga, con conseguente possibilità di inserire esercizi per l’apprendimento ed il miglioramento dell’azione in volo.

Ad esempio si possono inserire le circonduzioni delle braccia, o possiamo chiedere all’atleta di effettuare all’apice della parabola di volo un cambio della posizione degli arti inferiori, o ancora di battere le mani sotto al ginocchio sinistro e poi sotto a quello destro (o viceversa).

Insomma esercizi che ci consentono di valutare quale grado di controllo del proprio corpo ha l’atleta durante la fase di volo.

Da non sottovalutare anche il lato ludico e divertente di questi esercizi.

Per esasperare questi aspetti solitamente faccio utilizzare tre pedane rialzate da 8, 16 e 34 cm.

La distanza tra le prime due è maggiore, interasse a 2m-2,20m, che non tra la seconda e la terza che sono posizionate con interasse 1,60-1,80m.

Questi parametri di posizionamento delle pedane, obbligano l’atleta ad una spinta più orizzontale sul penultimo passo ed a una grande velocizzazione degli ultimi due appoggi.

Perché l’ultimo passo sia efficace per la preparazione dello stacco, la spinta sul penultimo appoggio deve avere una direttrice più verticale. Automaticamente si determinerà un corretto angolo di uscita.

Le tre pedane consequenziali danno anche la sensazione di come devono essere effettuati gli ultimi passi, nei quali l’appoggio a tutta pianta è determinante per la buona riuscita del salto.

Anche in questa situazione non superiamo i 12 passi di rincorsa, rialzi compresi.

La fase aerea si allunga ulteriormente e possiamo provare tante esercitazioni di coordinazione in volo, di chiusura ed altro.

L’utilizzo dei rialzi non può prescindere dall’avanzamento costante del centro di massa, cioè, il bacino dell’atleta deve continuare a “viaggiare” orizzontalmente.

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La mia esperienza sul campo

Alleno una saltatrice in lungo che, all’inizio della carriera, aveva una carenza notevole di forza, bilanciata comunque da notevoli doti di velocità.

Altro problema era l’assetto di corsa e allo stacco, con il bacino che era sempre leggermente arretrato rispetto al modello tecnico corretto.

Decisi in quel periodo, con l’atleta che si trovava alla fine della categoria allieve e stava iniziando il primo anno juniores, di non preoccuparmi della componente forza per esaltare le sue qualità di velocità.

Per aumentare la forza avrei avuto tempo negli anni successivi.

Abbiamo adattato quindi il “modello tecnico” all’atleta, teorizzando un salto con un’accentuata componente orizzontale, determinata da un’alta velocità di uscita allo stacco, a discapito dell’altezza della parabola di volo.

Tutto questo presupponeva però un accentuato avanzamento del bacino negli ultimi passi di rincorsa, per fare in modo che il centro di gravità continuasse la sua corsa ad alta velocità prima e dopo lo stacco.

I passi finali poi non potevano essere quelli codificati nel modello standard, a causa delle scarse doti di forza e del rallentamento che poteva risultare dall’effettuazione di un penultimo passo più lungo. Quindi l’atleta effettuava passi della stessa ampiezza accorciando leggermente l’ultimo, sul quale esercitava anche un leggerissimo caricamento.

Per far provare all’atleta la sensazione di avanzamento costante del centro di gravità, ho provato inizialmente con un elastico fissato dal lato opposto della buca al bacino.

L’elastico deve consentire dai 10 ai 16 passi ed essere in tensione almeno fino al momento dello stacco, ma questa tensione non deve risultare eccessiva perché la corsa sia comunque controllabile.

L’azione trainante dell’elastico, se correttamente assecondata, anticipa effettivamente l’azione del bacino oltre a creare un effetto di supervelocità che costringe l’atleta anche ad un utilizzo rapido e marcato dei piedi.

Però l’elastico, come dicevo, deve essere assecondato e non è facile!

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L'utilizzo di pedane inclinate

Quindi ho adottato un sistema che prevedesse uno stacco da una posizione difficoltosa, cioè più in basso rispetto al piano di corsa, e che obbligasse nello stesso tempo la mia atleta ad anticipare l’azione di avanzamento del bacino prima dell’impatto con la pedana, per non finire completamente sbilanciata in avanti con il naso nella sabbia.

Ho costruito una pedana con il piano superiore inclinato di circa 6-8° e l’ho posizionata all’interno della buca di sabbia, con l’inclinazione rivolta nella direzione del salto.

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In pratica tutta l’azione di rincorsa è normale ma lo stacco avviene in posizione leggermente abbassata.

L’inclinazione verso avanti poi sbilancia tutto il corpo, obbligando quindi l’atleta a trovare una soluzione per riacquistare l’equilibrio di salto. C’è un’unica soluzione!

Il bacino-centro di gravità deve essere più avanti delle spalle al momento dello stacco.

Perché questo avvenga con certezza, l’azione di avanzamento del bacino deve iniziare con alcuni passi di anticipo sull’azione di stacco.

Abbiamo iniziato con rincorse corte fino a 6 passi per prendere confidenza con l’esercizio, poi ci siamo spinti a rincorse più consistenti.

Attualmente l’atleta è in grado di saltare dalla pedana inclinata anche con 16 passi.

Nel giro di un paio di mesi, utilizzando questo esercizio una o due volte a settimana nelle sedute tecniche, abbiamo potuto apprezzare i primi cambiamenti di assetto nella parte finale di rincorsa.

L’esercitazione con la pedana inclinata ha poi rivelato alcuni interessanti risvolti.

La presa di contatto determinata da queste condizioni coinvolge automaticamente tutta la pianta del piede e l’uscita dallo stacco è molto veloce ed in proiezione orizzontale.

Dopo alcuni stacchi effettuati sulla pedana inclinata, riportando l’atleta a saltare in condizioni normali, sul piano, ho potuto constatare una maggiore efficacia in tutta l’azione di stacco, dall’approccio, alla tenuta, fino all’uscita, con parabole di volo decisamente interessanti.

Quindi ritengo che questo esercizio, difficoltante per lo stacco e per gli angoli di esecuzione rispetto ad una situazione di gara, possa essere tranquillamente utilizzato anche nel periodo agonistico.

[su_youtube_advanced url="https://youtu.be/KuZLErl7MpE" width="560" height="440" rel="no"][/su_youtube_advanced]

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Esercitazioni con riferimenti visivi: i tappetini da fitness

Dopo alcuni anni, grazie ad allenamenti costanti e progressivi nei carichi di lavoro, la mia atleta ha sviluppato maggiori doti di forza, oltre ad abilità maggiori nella coordinazione e nella tecnica di salto.

Quindi, oltre alle normali ricerche di aggiustamento di rincorsa e stacco per valorizzare i nuovi parametri di forza e velocità, abbiamo preso in considerazione la possibilità di riavvicinarci al modello di salto più classico.

Per reimpostare gli ultimi due passi, ho pensato di inserire dei riferimenti per obbligarla ad un penultimo passo più lungo dell’ultimo.

Dopo aver scartato ostacoli tipo bacchette di legno, che potevano risultare pericolosi se calpestati, o righe tracciate col gesso, poco visibili, ho optato per l’utilizzo di tappetini colorati da fitness.

I tappetini, lunghi 2m e larghi 60cm, di colori sgargianti, costituiscono un riferimento visivo importante e, calpestati, non causano alcun problema.

L’unico problema può sorgere nelle giornate ventose ma si può ovviare fissandoli lateralmente.

Il tappetino viene posizionato dai 4 metri alla fine dell’asse di battuta e lo stacco è da effettuarsi dal limite di pedana, a bordo buca.

Questa sistemazione determina un penultimo passo, obbligato, di almeno 2m e l’ultimo passo, piuttosto compresso, di circa 1,80m.

In altri termini l’atleta deve effettuare una spinta più orizzontale sul penultimo passo e una grande velocizzazione degli ultimi due appoggi.

Perché l’ultimo passo sia efficace per la preparazione dello stacco, la spinta sul penultimo appoggio deve avere una direttrice più verticale.

Se le due azioni sono eseguite correttamente, si determinerà un corretto angolo di proiezione in uscita, per il movimento verso avanti-alto del bacino, ed una sensazione ritmica adeguata.

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Allungare la fase di volo/atterraggio: ostacoli con paletti e nastro di plastica

Per migliorare, o allungare, le fasi di volo e atterraggio, può essere utilizzata un’esercitazione abbastanza divertente.

Occorrono quattro paletti leggeri in plastica, tipo i supporti per le bandierine del calcio d’angolo e nastro del tipo usato per delimitare aree in edilizia o simili.

Si piantano i primi due paletti a una distanza di 1,5m dal punto di stacco e di un paio di metri tra di loro.

Tra questi due pali fisseremo il nastro ad un’altezza di 1,20 – 1,50m.

Gli altri due paletti li posizioniamo 2,5 – 3m più in là, con il nastro allacciato ad un’altezza di 50 – 60cm.

Queste misure sono comunque da rapportare al grado di capacità di salto degli atleti.

Lo scopo dell’esercizio è di impostare la traiettoria di volo e, nello stesso tempo, di ricercare la chiusura il più lontano possibile, distendendo le gambe per superare il secondo nastro.

Consiglio di partire con 6/8 appoggi per prendere confidenza con il gesto, per arrivare ad effettuare salti anche con 10 o 12 passi.

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Variazione: ostacoli di cartone

Ultimamente ho modificato questo esercizio, sostituendo a paletti e nastri dei fogli di cartone che utilizzo nell’azienda dove lavoro.

I cartoni sono da 80 x 120 cm (misure pallet standard) o 100 x 120, e basta equilibrarli con un po’ di sabbia alla base.

Essi creano meno timori nell’atleta, e grazie ad una evidente maggior duttilità, possiamo spostarli a piacimento per creare le condizioni dell’esercizio.

È particolarmente simpatico l’esercizio per l’esecuzione dei passi in volo (2 e ½), che ha costretto la mia atleta a “lavorare” fino alla fine del volo, contribuendo peraltro a migliorare l’azione conclusiva del salto.

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Avanzamento del centro di gravità: tirare l'atleta con un elastico

L’avanzamento del centro di gravità, situato all’altezza del bacino, come già detto è fondamentale per la lunghezza del salto.

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Nell’esecuzione di un salto triplo diventa determinante.

La costante proiezione orizzontale del baricentro è prerogativa del salto triplo moderno, nel quale la velocità è la componente più importante.

Questa interpretazione del salto è, a mio avviso, applicabile ed alla portata di tutti gli atleti.

Per sensibilizzarli al balzo veloce e radente possiamo utilizzare un elastico, in trazione, che permetta di effettuare tra rincorsa, balzi e atterraggio, un’escursione di 30-40m.

L’elastico deve essere in tensione almeno fino al momento dell’ultimo stacco o jump, ma questa tensione non deve risultare eccessiva perché la corsa sia comunque controllabile.

Per questa esercitazione tecnica fisso, con un moschettone, una estremità dell’elastico ad una cintura o ad una imbragatura che sia il più possibile vicina al baricentro dell’atleta.

L’altro capo va assicurato ad una struttura adeguata, di solito uso uno degli ostacoli per le gare sulle siepi, posizionata al di là della buca di atterraggio.

Condizione determinante per la buona riuscita dell’esercizio è che l’atleta non opponga alcuna resistenza alla trazione creata dall’elastico, che anzi deve essere assecondata.

La sensazione che sarà percepita è quella dell’avanzamento costante e rapido del bacino, con conseguenti balzi molto radenti e veloci.

Ovviamente la presa di contatto a tutta pianta deve essere sempre sotto controllo.

Ho utilizzato questo esercizio, con buoni risultati, su tutte le combinazioni possibili di balzi, alternati, successivi e misti, dal triplo al decuplo e anche più in là.

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Utilizzo dei piani rialzati nel salto triplo

L’utilizzo dei piani rialzati nel salto triplo è certamente più problematico che nel lungo.

Se essi svolgono una funzione necessaria negli esercizi preparatori, penso ai rimbalzi pliometrici tra rialzi, la loro adozione per lo svolgimento dell’azione tecnica di salto vera e propria è abbastanza inconsueta.

Con l’impiego di un piano rialzato possiamo puntualizzare l’azione di stacco per il jump, oppure, posizionandolo sullo step andremo ad enfatizzare questo balzo.

Nello stesso tempo, con questa disposizione, oltre ad allungare probabilmente lo step stesso, metteremo l’atleta in condizione di dover sopportare e supportare un jump in condizioni più difficili a causa di un arrivo da una maggiore altezza.

Non ho, ovviamente, neppure preso in considerazione la possibilità di utilizzo di rialzo sul l’hop, condizione certamente deleteria sotto ogni punto di vista.

Tutto questo tra l’altro va contro la mia concezione del salto triplo.

Ritengo che l’azione più efficace sia quella che riscontriamo nei salti al femminile.

Meno forza e più velocità.

Quindi non uso piani rialzati per l’azione tecnica di salto se non nei periodi preparatori per gli scopi che ho indicato prima.

L’unica esercitazione che mi sento di proporre, solo con atleti abbastanza evoluti, prevede l’utilizzo di tre piani rialzati, uguali, per la determinazione della ritmica dei balzi.

È un esercizio abbastanza difficoltoso, che crea qualche timore e necessita di una buona conoscenza dell’atleta da parte del tecnico.

I rialzi, invece dei segni sul terreno, impongono una maggiore concentrazione sul gesto da parte dell’atleta.

La modulazione delle distanze degli stessi dà all’atleta diverse sensazioni che interpolate con la visione dell’allenatore portano alla scelta della miglior ritmica di esecuzione.

Lavorando con i più giovani, invece, ritengo che i segni sul terreno siano ottimali per l’impostazione della ritmica dei balzi.

Per convinzione personale chiedo ai miei atleti di non enfatizzare hop e step a discapito della velocità.

A cura di Enrico Porta

 

Chicco Porta

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Intervista ad Andrea Giannini

28 Luglio 2015 by Redazione

Oggi intervistiamo Andrea Giannini, nato a Grosseto il 18 dicembre 1976, ex atleta italiano specialista nel salto con l’asta (5,65 metri di PB), ora allenatore specialista Fidal, preparatore atletico e giornalista sportivo (commenta l’atletica leggera su Sky Sport e Fox Sports).

Ciao Andrea, parlaci un po’ di te, delle tue esperienze e della tua filosofia di allenamento (come e quando hai incontrato l’atletica leggera, le tue esperienze da atleta, perché sei diventato allenatore, il tuo percorso formativo, etc..)
L’atletica leggera è stata sempre parte di me, ed io parte di lei. Ho iniziato a frequentare i campi praticamente da neonato visto che il mio babbo (lo dico in toscano…) Daniele è stato allenatore e poi dirigente della “Massimo Pellegrini” Grosseto, società che negli anni ha sfornato tanti ottimi atleti. Devo dire che la mia famiglia, com’è giusto, non mi ha mai forzato in questa scelta, tant’è vero che fino a 12 anni ho praticato anche molti altri sport (soprattutto basket, baseball e nuoto), ma poi dal 1988 c’è stata la ‘folgorazione’ con il salto con l’asta che mi ha portato ad una scelta definitiva. Ovviamente, non mi sono specializzato subito in quello (ho continuato fino a 17 anni a fare anche 110hs e prove multiple) e questo devo dire grazie al mio allenatore Francesco Ambrogi nel sapermi gestire al meglio.

Negli anni, sono arrivato a conquistare il primato italiano Allievi con 5.00 e quello juniores con 5,50, che è ancora in mio possesso. A lievello assoluto forse avrei potuto dare qualcosa di più, ma gli infortuni mi hanno un po’ tagliato la strada. Non ho rimpianti comunque, ho dato il massimo per migliorare, ed evidentemente i miei limiti strutturali erano quelli. Nel frattempo, ho continuato a studiare e nel 2002 mi sono laureato all’ISEF di Firenze con una tesi proprio sulla mia programmazione del salto con l’asta; nel 2003 ho scelto di congedarmi dal gruppo sportivo delle Fiamme Gialle (dove ero entrato nel 1995), perché non avevo più nulla da dare a loro, e loro a me, ed ho iniziato la mia attività di preparatore atletico e giornalista sportivo. Nel frattempo ho continuato ad allenarmi, saltando ancora 5,30, misura che ad oggi mi permetterebbe di essere sempre tra i primi in Italia…

Ho deciso di fermarmi nel 2007, perché il mio corpo ha detto basta: schiena, spalle e tendini d’Achille non ne potevano più! Per quasi due anni sono rimasto lontano dalle piste di atletica, poi nel 2009, quando mi sono trasferito a Vigevano (per lavoro e soprattutto per amore) ho avuto la possibilità di iniziare ad allenare il salto con l’asta. Attualmente seguo un gruppo di 15 giovani, alcuni di loro molto promettenti, e da un paio d’anni collaboro con grande piacere con il settore tecnico della Liguria: regione piccola, ma con tanti tecnici bravi, preparati e motivati.

Sei stato atleta professionista nel salto con l’asta, un record personale di 5,65 metri, numerosi titoli nazionali vinti e vari record sia giovanili che assoluti. Questo tuo curriculum da atleta d’élite è un vantaggio o uno svantaggio ora che sei diventato allenatore?
Sicuramente uno svantaggio. Lo dico con grande rammarico.

Secondo te quali sono le difficoltà principali che un allenatore deve gestire nella preparazione e nella costruzione tecnica, anche a lungo termine, di un saltatore con l’asta?
La parola giusta è “costruzione tecnica”. A livello giovanile, il focus principale è “insegnare” il salto con l’asta attraverso una giusta tecnica ed allenamenti precisi e meticolosi ma non certo asfissianti. Per questo, ci vuole approfondita conoscenza della tecnica del salto con l’asta, incasellandola poi in un bouquet di allenamento generale, multilaterale e giocoso. Purtroppo spesso non è così. Si ha fretta, troppa fretta: si cerca la performance sin dalle categorie giovanili, specializzando troppo presto i ragazzi e tralasciando colpevolmente l’aspetto tecnico a scapito di quello puramente prestativo. Morale: spesso abbiamo ottimi saltatori a livello giovanile che poi si perdono una volta entrati nelle categorie assolute.

Da atleta hai fatto degli errori, che sono diventati chiari soltanto una volta diventato coach?
Da atleta, tecnicamente non sono mai stato fenomenale. Soprattutto da grande, avrei potuto mettere a punto alcuni particolari che solo adesso ho ben chiari. Da tecnico, ora ho in mente il salto perfetto: peccato perché ormai sono troppo vecchio per metterlo in pratica! Spero di farlo con i miei atleti…

Salto con l’asta: scuola Russa, Francese e Tedesca. Quale modello tecnico è migliore a tuo avviso?
Non parlerei di modello tecnico (né tantomeno di scuola), ma di modello di preparazione e prestazione. Ogni nazione (a questi aggiungerei anche la Polonia e gli USA, con questi ultimi che però hanno uno schema molto meno omogeneo) ha linee di indirizzo piuttosto definite per quanto riguarda programmazione e costruzione della performance, dà linee generali per quanto riguarda la tecnica ma lascia spazio alle particolarità. In genere, però, ci sono obiettivi e linee di indirizzo ben definite, decise dai tecnici federali. Una cosa che, attualmente, manca in Italia.

In base alla tua esperienza da allenatore, quali sono i punti fondamentali in un buon programma di allenamento nel salto con l’asta?
Tecnica, tecnica e ancora tecnica. E buone capacità di corsa.

A tuo avviso, quali sono le difficoltà principali che un allenatore di atletica leggera deve affrontare nel nostro paese?
Purtroppo la nostra atletica qualche anno fa ha subìto una svolta epocale, e quasi non ce ne siamo accorti. Prima il tecnico era soprattutto l’insegnante di educazione fisica che passava il pomeriggio al campo. Adesso i tempi sono cambiati: i tecnici fanno grandi sacrifici per seguire i ragazzi, spesso senza nemmeno un rimborso spese. Questo è frustrante e ingiusto, perché la professionalità dev’essere retribuita, come avviene in tutti gli sport più importanti. E nonostante questo, in Italia ci sono ancora tantissimi tecnici davvero bravi e preparati: basta vedere i risultati dei recenti campionati giovanili di Cali, Eskilstuna e Tallinn dove gli azzurri hanno fatto bene in molte specialità diverse.

Allenamento giovanile. A nostro avviso è la base per la costruzione di futuri campioni, per far questo pensiamo sia importante ritrovare la sua componente ludica ed educativa, non solo la voglia di risultati. Che ne pensi?
Purtroppo, la moltiplicazione di gare giovanili di livello internzionale e la corsa ad accaparrarsi un posto in un gruppo sportivo militare ha aumentato molto la competitività e la fretta di arrivare: un prezzo che si rischia di pagare successivamente.

Spesso i giovani sono nelle mani dei tecnici meno esperti, appena usciti dal corso istruttori. Pensi possa essere utile costruire un percorso che crei degli esperti/professionisti nell’allenamento dei giovani?
I tecnici esperti e professionisti sono sempre molto utili, sia per far crescere l’atleta sia per accompagnare nel processo di maturazione anche i tecnici meno esperti. In tal senso, credo che l’abolizione dei responsabili di settore sia stata una scelta un po’ azzardata. C’è bisogno di “tutor” esperti e qualificati, che stiano giornalmente a contatto con le realtà delle loro specialità, e che magari siano scelti per titoli, pubblicazioni e reali capacità come avviene negli altri stati europei.

Quali sono le figure che hanno ispirato il tuo modo di allenare?
Il mio ex tecnico Francesco Ambrogi, Vitaly Petrov, Carlo Vittori e, fuori dall’atletica, Julio Velasco. La fortuna di fare il preparatore atletico in molti altri sport, inoltre, mi permette di confrontarmi con realtà tecniche e programmatiche nuove e prendere loro il meglio.

Andrea Giannini

Si parla molto del modo di allenare all’estero, consa ne pensi? Pensi che in Italia gli allenatori siano così inferiori rispetto a quelli delle altre nazioni?
Non credo in Italia gli allenatori siano inferiori a quelli stranieri, anzi! Purtroppo, spesso, non sono messi in condizioni di allenare al meglio. Io però, da questo punto di vista, voglio essere ottimista. Magnani e Baldini stanno facendo un ottimo lavoro, lavorando in profondità come da tanto tempo non si faceva. Come ho già detto, ci sarebbe però bisogno di ricostruire attorno a loro il settore tecnico, delegando a figure altrettanto autorevoli e preparate.

Cosa ti piace dell’atletica leggera, rispetto ad altri sport?
Sport individuale: tu contro l’uomo, il cronometro, il metro. Ci metti la faccia, sempre.

Il consiglio che daresti ad un giovane che vorrebbe iniziare a fare il tecnico di atletica?
Di venire al campo, divertirsi ma allo stesso tempo essere preciso, meticoloso e responsabile. Le famiglie ci affidano dei giovani non solo per insegnare loro a correre veloce o saltare di più, ma soprattutto per farli crescere attraverso la conoscenza del proprio corpo, il rapporto con gli altri, il successo delle vittorie e la responsaiblità delle sconfitte.

Oltre all’atletica “convenzionale”, sei allenatore anche di atleti paralimpici, in particolare di Giusy Versace. Cosa ne pensi dell’attività paralimpica?
Con Giusy Versace è un’esperienza bellissima, che va avanti dal 2010 e che si concluderà, spero, con le Paralimpiadi di Rio nel 2016. Un’esperienza tecnica e umana che scorderò difficilmente. Per quanto riguarda l’atletica paralimpica in Italia, è una realtà molto in crescita anche se a mio modo di vedere spesso si bada troppo al risultato, e troppo poco alla sua valenza sociale. L’obiettivo primario, a mio avviso, dev’essere quello di dare la possiblità a molte persone di riscattarsi ed esperimersi attraverso lo sport, non di vincere solo medaglie.

Atletica, ma anche calcio: sei stato anche preparatore di alcune squadre dilettantistiche ed inoltre come giornalista tratti spesso di calcio. Cosa ne pensi della professionalità dei preparatori di calcio rispetto ai tecnici di atletica (a parte la differenza di stipendio…)
Come giornalista non tratto più di calcio da diversi anni: ormai mi dedico quasi esclusivamente all’atletica, e come Video Operatons Manager alla formazione di giovani giornalisti in campo internzionale (in questo caso, sì, anche nei grandi tornei di calcio). La mia esperienza di preparatore atletico nel calcio è stata molto formativa, mi ha insegnato a costruire la performance seguendo strade diverse da quelle che conoscevo. Ad alti livelli, i preparatori di calcio hanno una grandissima conoscenza. La differenza, rispetto ai tecnici di atletica che possono decidere in piena autonomia, è che facendo parte di uno staff i preparatori devono in qualche modo adattarsi alle esigenze del tecnico e dei giocatori, che sono molti e difficili da gestire tutti assieme. In qualche modo, insomma, il lavoro di gestione è più importante di quello di programmazione.

Ringraziamo Andrea per la disponibilità. Se volete conoscerlo meglio visitate il suo sito web andreagiannini.com

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Le trappole del successo

22 Luglio 2015 by Redazione

Il successo arriva quando l’opportunità incontra la preparazione (Zig Ziglar)

 

Esiste merito senza successo, ma non esiste successo senza qualche merito (François de La Rochefoucauld)

 

Il successo è un concetto che cerchiamo di perseguire in ogni ambito della nostra esistenza.

Fin dai primi momenti di vita, lo sviluppo è caratterizzato da successi: i più visibili sono imparare a camminare e a parlare.

Col passare degli anni si susseguono successi scolastici, lavorativi e, per alcuni, sportivi.

Ogni volta che si decide di intraprendere un’attività e di impegnarsi in essa, ci si pone un obiettivo, per raggiungere il quale si mettono in campo energie fisiche e psichiche. Si insegue, dunque, il successo.

La ricerca del successo è ciò che alimenta la nostra motivazione. Utilizzare tempo ed energie per inseguire un obiettivo non sarebbe così facile senza essere convinti di poterlo raggiungere.

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I PRO DEL SUCCESSO

Avere successo in un’attività ha diverse conseguenze positive. Raggiungere l’obiettivo aumenta l’autostima, potenzia la motivazione, porta con sé soddisfazione, gioia ed entusiasmo.

Ma non è sempre scontato raggiungere la meta prefissata: a volte il successo viene trovato anche in obiettivi minori o modificati con il corso degli eventi. Il segreto per riuscire più facilmente nel proprio intento non si trova in libri motivazionali o in “formule magiche” tanto declamate ultimamente.

La forza, la spinta verso l’esito positivo delle nostre azioni si trovano dentro di noi, ma è necessario incanalarle nel modo corretto, individuando quali sono le motivazioni che ci spingono ad agire, trovando il significato che ha per ognuno di noi l’obiettivo che stabiliamo.

Cercando di capire i perché del nostro comportamento, possiamo capire meglio come agiamo nel mondo e cosa possiamo fare per migliorare le nostre strategie. Uno psicologo dello sport agisce in tal senso, cercando le motivazioni e i significati reali che avrebbe il successo per ogni persona, e potenziando le capacità e le risorse già presenti.

Uno dei segreti per raggiungere il successo più facilmente si trova nell’obiettivo stesso. In primo luogo dunque, prima di modificare o potenziare le strategie di azione, è necessario porsi con criterio gli obiettivi.

Questi devono essere Specifici, Misurabili, Accessibili, Realistici e Sfidanti Legati al Tempo (SMART).

Un consiglio utile è proprio quello di non porsi obiettivi troppo lontani nel tempo: sarebbe come passare da un pianerottolo all’altro senza utilizzare gli scalini. Meglio dunque avere sì l’obiettivo importante, ma farlo precedere da obiettivi di percorso, più piccoli, più vicini nel tempo e meno sfidanti.

Raggiungere dieci piccoli obiettivi darà più soddisfazione rispetto a tentare per mesi di raggiungerne uno. Un esempio: per vincere i campionati italiani di Luglio, è più utile iniziare a pensare a riprendere la forma nell’ottobre precedente, superare la preparazione invernale di novembre e dicembre, affrontare le gare invernali, superera la preparazione primaverile, iniziare a gareggiare, fare il minimo, entrare in finale e, ultimo ma di certo più importante, vincere la finale.

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I CONTRO DEL SUCCESSO

Raggiungere un obiettivo può portare a un calo di motivazione. La tensione psicologica e fisica calano, la soddisfazione è elevata, la voglia di ricominciare a lavorare in vista di un’altra meta è poca. Un esempio: si lavora anni per superare il proprio muro (ogni atleta ne ha uno: in gergo, il muro è una misura o un tempo che non si riesce a superare, spesso indicante una cifra tonda o un centimetro/metro in più o un secondo/minuto in meno). Un giorno, finalmente, la misura o il tempo arriva: festa grande, soddisfazione. Ci si trova a camminare sulle nuvole per qualche tempo chiedendosi “l’ho fatto davvero?” (citazione da un paziente).

Ma poi?

Ecco il vero problema. Superato un obiettivo, DEVE essercene un altro. Di qualsiasi natura. Che sia sportivo, lavorativo, affettivo, familiare o altro. Ma l’uomo è fatto per lavorare per raggiungere obiettivi. Un atleta è abituato ad averli, a organizzare la sua vita e le sue forze in funzione di una meta.

Soprattutto se l’obiettivo futuro è sportivo, è necessario darsi il tempo per festeggiare e per godersi la soddisfazione, ma poi tornare concentrati verso il futuro. Si rischia di avere un calo di motivazione e di concentrazione tale da non sfruttare il momento atletico positivo e di sprecare occasioni importanti. È bello fare il minimo per i campionati italiani, ma è necessario, per la soddisfazione personale, saper sfruttare la possibilità di gareggiare alla manifestazione nazionale.

Altro pericolo: non sapersi godere il momento. Spesso mi trovo a chiedere ai pazienti:

ti dici mai quanto tu sia stato/a bravo/a?

La risposta è quasi sempre no!

L’atleta è spinto a guardare sempre in avanti, non dandosi respiro e non godendosi il momento e la soddisfazione, non percependo nel profondo le emozioni positive, che sono la benzina principale del nostro motore.

Dopo tanto lavoro, è necessario sapersi dare una pacca sulle spalle e farsi i complimenti, senza aver paura di cadere nell’esagerazione.

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PAURA DI VINCERE: LA NIKEFOBIA

A volte vivere una vita in relazione ad un obiettivo porta con sé la paura di raggiungerlo.

L’identità di un’atleta o di una persona con un obiettivo molto alto è strettamente legata agli sforzi che si fanno per raggiungere tale meta.

Alla base della fobia della vittoria è presente l’identità della persona basata sul lavoro per raggiungere l’obiettivo. Un atleta che ha passato anni a impegnarsi per pervenire una meta importante ha organizzato la sua vita e la sua esperienza basandosi sulle necessità dell’attività che sta svolgendo. Da li la domanda, spesso inconscia: “e dopo, cosa posso fare?”.

Dunque quando le potenzialità e le risorse sono percepite tali da poter avvicinare la fantomatica meta, nasce anche la paura di raggiungerla che, come dicevamo, spesso è inconscia. Si può esprimere tramite malesseri, infortuni psico-somatici, incompleta espressione del potenziale, ansia pre-gara.

Se un atleta dovesse percepire uno o più di tali sintomi, una spiegazione potrebbe essere il timore di raggiungere l’obiettivo e di non aver più un motivo di impegnarsi. In tali casi, l’intervento di uno psicologo dello sport può essere utile per scoprire il problema e porvi rimedio.

Come abbiamo visto in questo breve articolo, la ricerca del successo è alla base delle attività sportive. Ha i suoi pro e i suoi contro, come tutte le cose, e di certo è necessario tenere presente una cosa fondamentale: può anche non essere raggiunto. Il fallimento fa parte dell’attività sportiva agonistica tanto quanto il successo. “Se avessimo più successi che fallimenti, non ci godremmo così tanto il successo quando arriva” (cit. di un atleta)

Nel prossimo articolo parleremo appunto del fallimento e di quanto sia importante “permettersi di fallire”.

A cura di Martina Fugazza

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Per vedere gli altri articoli di Martina visita la sezione Psicologia

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Intervista a Yohanes Chiappinelli e Maurizio Cito

21 Luglio 2015 by Redazione

Di seguito presentiamo l’intervista a Yohanes Chiappinelli, neo Campione Europeo Juniores nei 3000 siepi, e al suo coach Maurizio Cito, giovane tecnico toscano che lo segue fin dalla categoria Cadetti.

Iniziamo con le domande a Maurizio per comprendere cosa c’è dietro a questo bellissino Oro Europeo.

Per leggere l’intervista a Yohanes andate sulla seconda pagina dell’articolo (cliccate il numero 2 in alto a o in basso a sinistra)

Ciao Maurizio, parlaci un pò di te, delle tue esperienze e della tua filosofia di allenamento.
Ho iniziato a correre nel 2000 da primo anno cadetto e nel 2007, per gioco, ho conseguito il primo livello da Tecnico Fidal (il corso era stato fatto a Siena pista in cui opero!!).
Ho iniziato ad allenare realmente dal 2009 a seguito di alcune delusioni sportive dovute soprattutto a un errato percorso tecnico seguito nelle categorie giovanili, da qui la mia filosofia di crescere l’atleta rispettando i tempi fisiologici di sviluppo e puntando molto sulla stimolazione delle fasi sensibili; a 14-15 si devono creare i presupposti condizionali e coordinativi per poter poi sopportare sia la mole di lavoro futura sia avere una molteplicità di mezzi da poter inserire nel proseguo vita atletica del ragazzo!
Nel 2011 ho frequentato e superato il corso di allenatore di secondo livello, nel 2015 sono diventato docente e formatore Fidal e sto frequentando il corso di allenatore specialista (3° livello).

Yohanes, in Svezia, ha dominato i 3000 siepi con una gara subito all’attacco e chiusa in 8’47”58. Un risultato che vi aspettavate? Avevate deciso insieme una partenza così aggressiva?
Avevamo costruito la gara così ed è andata perfettamente secondo i piani ci aspettavamo un crono migliore ma con quel vento era impossibile correre forte ma l’importante era vincere, la strategia era di partire ai 200 metri subito al primo ostacolo così da cogliere di sorpresa gli avversari mettere un ritmo da capogiro come solo Yohanes sa fare e sperare che gli avversari si attaccassero, così è stato tempo 4 giri hanno pagato caro lo sforzo iniziale!!! Ovviamente a Said e Simone avevamo detto di stare in fondo al gruppo perché sapevano di questa cosa e di fare una gara d’attesa così da riprendere i vari “cadaveri” durante il Km finale, così è stato con Colombini addirittura 4° in finale, peccato per Said solo 13° bloccato nell’ultimo mese da magagne fisiche!

Yohanes è uno dei talenti della Nazionale Juniores nei 3000 siepi, quali sono stati, a tuo avviso, i punti chiave dei suoi risultati in questi anni?
Yohanes ha delle doti innate sopraffine, sicuramente il lavoro di correzione tecnica della corsa e un lavoro massiccio sulla reattività e forza esplosiva in un’età sensibile hanno reso in discesa il suo percorso nelle siepi nonostante la sua statura!

Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
Yohanes ha 17 anni e ancora frequenta le superiori e fino alla maturità gli impegni agonistici saranno le manifestazioni di categoria (europei e mondiali) mentre gli obiettivi tecnici proseguiranno sulla strada percorsa fino adesso e quindi di ampliare ulteriormente le sue conoscenze motorie e consolidare ciò che di buono è stato già fatto!

Come pensi di accompagnarlo in questo percorso?
Ogni anno stilo una programmazione in cui gli stimoli allenanti differiscono sia per intensità sia per volume sia per densità e ogni anno inserisco nuovi mezzi anche in base a quello che noto così da personalizzare al meglio il suo programma, il tutto rispettando la legge della progressività ad esempio Yohanes nell’inverno 2013 (in vista di Eugene 2014) correva 60 Km settimanali mentre nell’inverno 2014 (previsione Eskilstuna 2015) ne ha corsi 75. Sono volumi bassi ma non perché sono un allenatore “leggero” alcune sue sedute di allenamento durano anche 3 ore ma in questo periodo del suo percorso atletico mi interessano maggiormente altri aspetti.

Secondo te quali sono le difficoltà principali che un allenatore deve affrontare nella preparazione e nella costruzione tecnica di un siepista?
Se un atleta è portato per quella specialità, non ci sono grosse difficoltà nell’avviamento delle siepi anzi a mio avviso sono anche meno monotone come proposta allenante, i problemi sussistono quando in età giovanile non è stato lavorato in modo corretto e viene meno il bagaglio motorio, correggere un ragazzo di 20 anni che corre da 5, col solo obiettivo di conseguire una prestazione trascurando il resto, diventa veramente difficile perché bisogna in primis far prendere coscienza dell’errore poi cancellarlo dopo di che correggerlo e infine consolidare lo schema motorio corretto…in bocca al lupo!!!

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In base alla tua esperienza da allenatore, quali sono i punti fondamentali in un buon programma di allenamento, il mezzofondo ed in particolare per le siepi?
Un buon programma di allenamento più che paragonarlo a una ricetta con “l’ingrediente segreto” lo paragonerei a un bel vestito su misura, perciò è da valutare da atleta ad atleta sia per caratteristiche tecniche, che psicologiche, che fisiologiche! Questo fa capire quanto sia importante osservare monitorizzare e testare il proprio atleta proprio per conoscere come risponde alle varie proposte allenati così da poter stilare un programma sempre più su misura. Per le siepi sicuramente la mia filosofia è di inserire costantemente negli allenamenti con gli ostacoli durante l’anno: ho notato che molti sono dei buoni mezzofondisti che un mese prima della gara si improvvisano siepisti facendo 10×400 con 4-5 Hs!!!

A tuo avviso, quali sono le difficoltà principali che un allenatore di atletica leggera deve affrontare nel nostro paese?
La mancanza di risorse e la consapevolezza che a oggi questo ruolo non potrà mai diventare un lavoro vero e proprio ad eccezione dei pochi atleti, riconvertiti in tecnici dei gruppi sportivi militari che comunque lavorano con atleti già formati, il restante della categoria si basa sul volontario e questo è causa diretta di una mancanza di professionalità e responsabilità soprattutto in quelle fasce di età dove a maggior ragione gli atleti andrebbero tutelati maggiormente a livello tecnico!

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Quali sono le figure che hanno ispirato il tuo modo di allenare?
Nella mia carriera atletica ho avuto tre allenatori e tutti e tre hanno dato le basi al tecnico che sono oggi. Il primo mi ha trasmesso carisma, leadership e soprattutto tanta motivazione per intraprendere questo percorso dopo le mie esperienze poco felici in età giovanile. Il secondo Claudio Pannozzo è quello che mi ha aperto a un concetto metodologico e tecnico su come allenare e far crescere un ragazzo in eta giovanile mentre il terzo Tiziano Marzotti mi ha trasmesso l’importanza di capire su quali substrati lavoriamo a ogni seduta di allenamento e perciò un modello più fisiologico. Poi la fortuna di allenare un talento come Yohanes mi ha dato l’occasione di avere delle vie preferenziali per confrontarmi con allenatori italiani di altissimo spessore come il compianto Arcelli, Gigliotti, Dotti, Incalza, Ghidini e molti altri.

Si parla molto del modo di allenare all’estero, consa ne pensi? Pensi che in Italia gli allenatori siano così inferiori rispetto a quelli delle altre nazioni?
Nel mezzofondo va molto di voga il modello americano dell’Oregon Project, ma onestamente oltre che vedere video con apparecchi fantascientifici e qualche programma, dove un pò di spunti li ho presi anche io, per il resto conosco poco del loro modello di allenare anche perché quello che trovo spesso è solo come pubblicizzarlo!

Inoltre ho avuto un esperienza diretta col modello americano collegiale grazie ad una mia atleta partita alla volta degli states dopo aver ricevuto una borsa di studio sportiva e ho visto come lavorano e diciamo che non condivido quasi niente di quello che fanno:

  • Nessuna programmazione, tutti si allenano con lo stesso programma e fanno le gare necessarie all’università finalizzandole al bisogno
  • Nessun tipo di test
  • Nessuna tutela per la crescita e l’integrità dell’atleta, questa ragazza, durante i loro campionati indoor, in 24 ore ha corso 5 gare (800Q-1500Q-3000F-800F-1500F)

Il loro grosso pregio sta nell’avere alla base un sistema di assistenzialismo (fisioterapie-strutture-psicologi etc etc.) molto efficiente rispetto al nostro ed inoltre hanno delle gare spettacolari. Il primo problema italiano sta proprio nella difficoltà di trovare gare!

In conclusione penso che per ottenere un risultato ci siano più strade buone percorribili e la via più sicura è quella che conosciamo meglio e non quella maggiormente pubblicizzata quindi sono un forte sostenitore dei tecnici italiani e ritengo frustante il fatto di essere denigrati gratuitamente da tecnici esteri solo per la mancanza di “curriculum”, dietro a un risultato ci dovrebbe essere un sistema efficiente che in Italia a oggi è ridicolo rispetto ai paesi emergenti.

Cosa ti piace dell’atletica leggera, rispetto ad altri sport?
La sua oggettività e la sua misurabilità!

Il consiglio che daresti ad un giovane che vorrebbe iniziare a fare il tecnico di atletica?
Di affiancarsi a un tecnico valido e di fare gavetta anche in più specialità, ho allenato la marcia per due anni sotto stretta sorveglianza di Marco Ugolini e devo dire che mi ha fatto notare delle cose sotto altre prospettive che tutt’ora mi tornano utili.

Yohanes è uno degli atleti under 20 inseriti nel progetto Fidal, iniziato lo scorso anno, in previsione delle Olimpiadi di Rio del prossimo anno. Dopo gli Europei partirà per il Brasile per uno stage di allenamento, con test fisici e medici giornalieri. Cosa ne pensi dell’iniziativa?
Il progetto più che di allenamento sarà di ricerca, sicuramente sarà una bella esperienza e magari riuscirò ad avere dei dati spendibili. L’unica cosa che mi lascia perplesso è che ragazzi così giovani siano così impegnati in viaggi e manifestazioni in giro per il mondo, questo mi fa paura soprattutto nelle categorie allievi.

Nella seconda pagina dell’articolo l’intervista a Yohanes

Immagine di copertina realizzata e gentilmente concessa da Ph. Andrea Bruschettini

Ecco gli altri contributi di Maurizio:

Maurizio Cito: l’allenamento di Yohanes Chiappinelli da Cadetto 

Maurizio Cito: programmazione stagione 2015-16 di Yohanes Chiappinelli (3000 siepi) 

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Distribuzione ottimale hop, step, jump nel salto triplo femminile

21 Luglio 2015 by Redazione

Bydgoszcz (Polonia) dal 09 al 11-08-2019 Campionati  Europei a squadre ,European Team Championships - foto di Giancarlo Colombo/A.G.Giancarlo Colombo

In copertina Ottavia Cestonaro. Foto Fidal.

Di seguito pubblichiamo un interessante articolo in formato PDF realizzato e gentilmente messo a disposizione da Enrico Porta, Tecnico Fidal Specialista nei Salti.

Enrico ha filmato tutta la gara di salto triplo femminile ai Campionati Italiani Assoluti 2009 di Milano, per poi analizzare i filmati mediante il software gratuito Kinovea.

L'articolo, nonostante sia stato realizzato nel 2009, è ancora di estrema attualità.

Ecco i punti sui quali conviene ragionare dopo aver letto l'articolo:

  • lo stacco da 11 metri è veramente giustificato e necessario per la maggioranza delle atlete in Italia?
  • forzare ("tirare" come scrive Enrico) Hop e Step influisce negativamente sul Jump, e di conseguenza la lunghezza del salto?
  • qual'è la distribuzione ideale dei 3 balzi del triplo, Hop, Step e Jump, per quanto riguarda le donne?

Buona lettura

[su_document url="https://www.ilcoach.net/wp-content/uploads/2015/07/analisi-triplo-ASSOLUTI-2009.pdf" width="400" height="400"]modulo[/su_document]

A cura di Enrico Porta

Chicco Porta

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Aallenatore specialista salti in estensione
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Il passo stacco (video)

17 Luglio 2015 by Redazione

Crida Boras

In copertina Veronica Crida. Foto Fidal.

Come già detto nell'articolo di presentazione delle andature d'impulso, il passo stacco è un'andatura caratterizzata da una azione di spinta con ricaduta sull’arto libero, quindi successione degli appoggi di questo tipo:

  1. spinta forte del destro;
  2. accentuata fase di volo;
  3. ricaduta sul sinistro;
  4. rapido passaggio sul destro e ulteriore spinta con accentuata fase di volo (e viceversa)

Naturalmente si possono utilizzare tanti appoggi di corsa quanti si vuole prima di dare impulso, per cui la variabilità dell’ esecuzione è notevole.

  • L’azione guida dell’ esercizio è l’ idea di dare impulso con il piede che sta dietro.
  • Il passo-stacco fa sentire molto bene il concetto di estensione ,e va eseguito con l’ idea di allontanare il piu’ possibile il baricentro dal piede che spinge a terra e di fissare il piu’ possibile la posizione  del corpo dopo il distacco da terra. La posizione prevede che l’ arto di spinta sia ben esteso, il busto eretto e le braccia ben bloccate con la mano del braccio anteriore all’ altezza degli occhi.
  • I gomiti sono flessi a 90° e anche l’ arto libero è flesso al ginocchio a 90°.

Da sottolineare, pero’ , che una volta staccati i piedi da terra , si puo’ evitare di tenere forzatamente esteso l’ arto di spinta.

Interessante anche considerare che l’ esercizio eseguito con un solo passo di intervallo risulta essere , di fatto, rivolto allo sviluppo della forza di salto o, genericamente, un esercitazione di abilità. Perché diventi piu’ efficace come esercizio tecnico per il salto occorre collegarlo con la corsa e quindi inserire qualche appoggio intermedio in piu’.

Le varianti esecutive , come per il precedente esercizio, possono essere riferite ad aspetti coordinativi ( utilizzo diversificato degli arti superiori) , all’ inserimento di attrezzi da superare (over/ostacolini e altro particolarmente utile per l’ apprendimento dell’ esercitazione), al ritmo e alla velocità dell’ esecuzione agendo anche sul numero di passi di corsa inseriti tra uno stacco e l’ altro, alla traiettoria piu’ o meno “verticale”

Video: il passo stacco

[su_youtube_advanced url="https://youtu.be/h4XMxZ0se9s" width="560" height="440" rel="no"]Video 3° Batteria[/su_youtube_advanced]

Analisi delle sequenze video

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

VIDEO 1 :  passo-stacco : esecuzione globale

Viene proposta l’ esecuzione globale con un passo di corsa di intervallo e la spinta sempre sullo stesso arto.

  • L’esecuzione è buona, con corretta azione dell’ arto di spinta in efficace sinergia con l’ arto libero e con attiva partecipazione degli arti superiori
  • L’estensione del corpo è buona cosi’ come il mantenimento della velocità .

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

Video 2  : Esecuzione del passo – stacco superando gli ostacoli

Video 3 : Esecuzione con superamento di ostacoli e , poi, senza ostacoli

L’ atleta, che è buon esecutore dell’ esercizio, mostra, di fatto, una progressione per apprendere l’ andatura:

  • esecuzione con superamento di ostacoli , che facilita l’ idea dello spingere e ricadere sull’ arto libero (video 2)
  • esecuzione con superamento, all’ inizio della serie, di alcuni ostacoli e conclusione senza ostacoli (video 3).

Per insegnare ai ragazzi dare il compito concreto di superare “qualcosa” è certamente di aiuto per apprendere, inizialmente, l’ esercitazione.

Poi, una volta appreso, in forma grezza, il movimento si puo’ richiedere l’ esecuzione , nella medesima serie, del gesto con superamento di attrezzi frapposti.

  • Osservare l’ azione di tutta pianta del piede di stacco, l’ottima estensione dell’ arto di spinta e la tenuta molto buona del busto.
  • Un po’ meno precisa l’ azione delle braccia con una tendenza ad incrociare davanti eccessiva.

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

Video 4 : Passo stacco con circonduzione alternata delle braccia

L’ esercizio è proposto (e ben eseguito) con circonduzione alternata degli arti superiori.

  • L’ azione è fluida ed efficace e la coordinazione è precisa.
  • Il movimento delle braccia non influisce negativamente sulla qualità della spinta che continua ad essere efficace.

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

Video 5 - 6: Esecuzione con due passi di intervallo (tre appoggi dei piedi) e cambio dell’ arto di spinta

Esecuzione con due passi (tre appoggi di intervallo) con componente coordinativa (cambio gamba di spinta) e idea di lavoro sugli ultimi tre appoggi prima dello stacco.
  • Esecuzione buona, ma  un po’ troppo lenta e meccanica nel video 5, mentre la azione è piu’ veloce e continua nella 6° sequenza

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

Video 7: Esecuzione del passo stacco con tre passi ( 4 passi ) di intervallo

Esecuzione del passo- stacco con tre passi (4 appoggi) di intervallo .

  • L’ esecuzione rispetta pienamente i parametri guida stabiliti e mostra buon mantenimento della velocità e buona continuità dell’ azione di corsa.

Quando l’ esecuzione è richiesta a giovani atleti ritengo sia preferibile una azione di corsa molto fluida e continua. In atleti piu’ evoluti una certa preparazione dello stacco con un piu’ evidente abbassamento sul penultimo può essere piu’ adeguata

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

 

Video 8: Esecuzione del passo stacco con intervallo progressivamente piu’ lungo fino a 5 passi - stacco

Il filmato  mostra una certa  lentezza e pesantezza esecutiva, che, nonostante il progressivo aumento del numero di passi , non permette di cogliere la crescita di velocità.

Il ritmo cresce nell’ intervallo finale con i cinque passi e, in quel momento, è possibile cogliere l’ aumento della velocità e del ritmo.

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

Video 9-10-11:

  • Esecuzione nettamente “orizzontale” (video 9)
  • poi decisamente “verticale” (video 10)
  • e quindi esecuzione iniziale radente e  conclusione verticalizzando (video 11)

L’ ultima esecuzione è molto interessante e vorrebbe incidere sulla capacità di verticalizzare pur mantenendo l’ avanzamento, proprio quella tipica del lunghista!

Naturalmente l’ esecuzione con un solo passo di intervallo rende tutto un  po’ piu’ facile, ma meno correlato con la capacità di correre e saltare , che è sempre fondamentale.

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

Conclusioni

Come già detto per il passo saltellato è importante sottolineare che l’ apprendimento di queste esercitazioni è sicuramente importante e deve essere realizzato  con cura  ma sempre correlato con lo sviluppo della tecnica del gesto-gara, per evitare di costruire abilità fini a se’ stesse e non utilizzabili per il miglioramento del gesto che resta sempre il vero obiettivo!

[su_note note_color="#8bc751" radius="1"]L'atleta nel video è Stefano Magnini , classe 1988 , record 16,08 metri nel triplo  (7.24 salto in lungo - 11.24  100 mt e 22.43 sui 200 mt), tre volte campione italiano Universitario e nove volte finalista agli assoluti con tre podi (Milano 2009 - Ancona 2011 - Ancona 2012)

Il classico atleta di "capacità medie" che con dieci anni di lavoro costante ed umile arriva a buon livello![/su_note]

Articolo a cura di Giuseppe Balsamo

N.B.: ci teniamo a far notare che, essendo video amatoriali, la qualità video non è sicuramente eccellente.

[su_divider text="torna su" divider_color="#8bc751"] [/su_divider]

Il passo saltellato (video)

 

 

Giuseppe Balsamo

Giuseppe Balsamo

Professore | Tecnico Fidal ASA Salti
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Stretching: cosa dicono le ricerche

16 Luglio 2015 by Redazione

STRETCHING: COSA DICONO LE RICERCHE

Sulla base delle conoscenze attuali, in base alle numerose ricerche che esistono sullo stretching e sulle sue diverse applicazioni, possiamo affermare alcune considerazioni importanti riguardanti questa pratica. Cerchiamo quindi di fare chiarezza su questa pratica diffusa e forse fin troppo abusata da parte di alcuni atleti e allenatori.

 

Stretching e riscaldamento

Lo stretching non è il miglior mezzo sul quale basare la fase di riscaldamento pre-gara e/o pre-allenamento. Questo non significa assolutamente che non può trovare una posizione in quest’ambito, ma che al contrario debba essere integrato in un piano di riscaldamento basato essenzialmente su esercitazioni di tipo dinamico, che si rivelano senz’altro più adatte ad ottenere un idoneo innalzamento della temperatura muscolare sino al raggiungimento dei suoi livelli ideali.

La temperatura ideale alla quale il muscolo ottimizza le proprie caratteristiche visco-elastiche, è all’incirca di 39° C, a questa temperatura diminuisce infatti la viscosità dei tessuti, migliora l’elasticità dei tendini, si aumenta la velocità di conduzione nervosa e si modifica positivamente l’attività enzimatica, inoltre l’innalzamento della temperatura muscolare costituisce un’efficace misura preventiva nei confronti degli infortuni riducendo i rischi di stiramento o strappo muscolare.

Lo stretching è largamente utilizzato nell’ambito del riscaldamento tuttavia, secondo alcuni Autori (Alter, 1996; Wiemann e klee, 2000) la sua possibile efficacia nel provocare un innalzamento della temperatura del muscolo, sarebbe molto discutibile, tanto che alcuni studi dimostrerebbero addirittura un suo effetto negativo in questo senso. In effetti, occorre ricordare che il tipo d’azione muscolare che ritroviamo nel corso dello stretching è praticamente sovrapponibile a ciò che avviene in una contrazione eccentrica.

Dal momento che nel corso di una contrazione di tipo eccentrico, la vascolarizzazione muscolare viene interrotta ed il lavoro svolto diviene in tal modo di tipo anaerobico, determinando un aumento dell’acidosi, oltre ad una marcata anossia cellulare, è facilmente comprensibile come lo stretching non possa essere considerato come il mezzo d’elezione nell’ambito del riscaldamento. Utilizzare lo stretching come unico mezzo esclusivo sul quale basare il riscaldamento pre-gara e/o pre-allenamento, sembrerebbe quindi sicuramente insufficiente e scorretto. Tuttavia, integrare razionalmente lo stretching in uno schema di riscaldamento basato soprattutto su altri tipi d’esercitazione, maggiormente efficaci nel far aumentare la temperatura interna del muscolo, come un’idonea alternanza di contrazioni e rilassamenti, è sicuramente la scelta più corretta. Come ricorda Shrier (1999), non dobbiamo mai dimenticarci delle peculiarità della persona: molti atleti necessitano di un solo esercizio di allungamento per muscolo, mentre altri richiedono più esercizi e più tempo da dedicare allo stretching.

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Stretching e prevenzione dei danni muscolari

Non è razionale pensare che sia sufficiente una sola pratica dello stretching per poter prevenire in forma sistematica gli incidenti di natura muscolare. Data la multifattorialità degli infortuni, non è giustificato poter pensare ad una completa inutilità dello stretching in questo campo. La scelta più obiettiva e corretta sembrerebbe considerare lo stretching come uno dei molteplici mezzi di prevenzione da adottare nell’ambito di una strategia preventiva di tipo integrato e sinergico.

Una ricerca di Simic et Al. Del 2013 afferma che i risultati dimostrano chiaramente che lo Stretching Statico prima dell’esercizio ha un effetto negativo sulla forza muscolare massima e sulle prestazioni muscolari, mentre i corrispondenti effetti acuti sulla potenza muscolare rimangono ancora poco chiari. Questi risultati sono universali, indipendentemente dal soggetto di età, genere, o lo stato di formazione. Il meccanismo maggiormente correlato al possibile danneggiamento della fibra muscolare, risulterebbe essere la contrazione di tipo eccentrico. La ragione della maggior incidenza traumatica a livello muscolare, riscontrabile durante una situazione di contrazione eccentrica, è con ogni probabilità imputabile alla maggior produzione di forza registrabile nel corso di quest’ultima, rispetto a quanto non avvenga nella modalità di attivazione di tipo concentrico od isometrico.

Infatti durante una contrazione eccentrica, la forza espressa dal distretto muscolare risulta essere di ben tre volte maggiore di quella espressa, alla stessa velocità, durante una contrazione concentrica. Inoltre, durante una contrazione eccentrica, risulta maggiore anche la forza prodotta dagli elementi passivi del tessuto connettivo del muscolo sottoposto ad allungamento. Soprattutto in riferimento a questo dato, occorre sottolineare come anche il fenomeno puramente meccanico dell’elongazione, possa giocare un ruolo importante nell’insorgenza dell’evento traumatico. Durante la contrazione eccentrica il muscolo è in effetti sottoposto ad un fenomeno di “overstretching” che, in quanto tale, può determinare l’insorgenza di lesioni a livello dell’inserzione tendinea, della giunzione muscolo-tendinea, oppure a livello di una zona muscolare resa maggiormente fragile da un deficit di vascolarizzazione. E’ interessante notare come siano i muscoli bi-articolari quelli maggiormente esposti ad insulti traumatici, proprio per il fatto di dover controllare, attraverso la contrazione eccentrica, il range articolare di due o più articolazioni. Anche la diversa tipologia delle fibre muscolari presenta una differente incidenza di evento traumatico. Le fibre di tipo FT (fibre a contrazione rapida che intervengono nelle azioni muscolari rapide ed intense) sono infatti maggiormente esposte a danni strutturali rispetto alle ST (fibre muscolari a contrazione lenta, reclutate in azioni muscolari di scarsa entità ma di lunga durata) probabilmente a causa della loro maggior capacità contrattile, che si traduce in un’accresciuta produzione di forza, e di velocità di contrazione, rispetto alle fibre di tipo ST.

Inoltre i muscoli che presentano un’alta percentuale di FT, sono generalmente più superficiali e normalmente interessano due o più articolazioni, fattori entrambi predisponenti al danno strutturale. Inoltre è interessante notare come l’evento traumatico sia prevalentemente localizzato a livello della giunzione muscolo-tendinea, a testimonianza del fatto che in questa zona, si verifichi il maggior stress meccanico.

Per tutta questa serie di motivi lo stretching è stato sempre considerato come la miglior forma di prevenzione nei confronti dei danni muscolari. Tuttavia recentemente numerosi Autori, a seguito di protocolli di studio specifici, non hanno rilevato alcun beneficio, derivante da una pratica assidua e regolare dello stretching, nei riguardi della prevenzione dei danni all’UMT. Una possibile spiegazione di questa mancanza di correlazione tra capacità d’elongazione del muscolo e diminuzione degli incidenti muscolari, potrebbe risiedere nel fatto che in effetti lo stretching provoca una sorta di effetto antalgico nei confronti dell’allungamento stesso.

Shrier e Pope (2000), hanno mostrato che lo stretching effettuato prima dell’esercizio non ha alcun effetto nella prevenzione dei traumi, sia in acuto che in cronico. Altre ricerche (Hartig, 1999, Hilyer, 1990) non sono arrivate a stabilire un livello minimo di stretching, in termini di tempo al giorno, affinchè possa produrre risultati significativi. La pratica dello stretching indurrebbe quindi una diminuzione della sensazione dolorosa indotta dall’allungamento, data da un aumento della soglia dei nocirecettori, permettendo in tal modo all’atleta di sopportare allungamenti muscolari di maggiore entità, situazione che potrebbe anche paradossalmente aumentare il rischio di traumatismi a livello muscolare.

La considerazione finale sull’incidenza dello stretching sul rischio d’incidenti a livello muscolo-tendineo, è che comunque l’eziologia di tali eventi traumatici sia talmente multifattoriale da rendere improbabile l’ipotesi che in questo campo la pratica dello stretching possa costituire una sorta di rimedio universale, ma è molto più plausibile ed obiettivo considerare lo stretching come uno dei mezzi utilizzabili nell’ambito di un piano rivolto alla prevenzione degli incidenti muscolari.

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Stretching e prestazione

Sono molti gli studi ritrovabili in bibliografia che documentano (Wiemann e Klee, 2000; Fowles, 2000; Kekonen, 2001) in seguito ad una precedente seduta di stretching, una diminuzione della prestazione di sprint, una perdita della capacità di forza massimale e di resistenza alla forza, oppure di capacità di salto e quindi della possibilità da parte dell’UMT (unità muscolo tendinea) di accumulare energia elastica nel corso della fase eccentrica del movimento e di restituirla, sotto forma di lavoro meccanico, durante la fase concentrica dello stesso.

Una recente ricerca di Kay, A. D., and A. J. Blazevich del 2012, ha affermato che lo stretching statico per un totale di 45 sec può essere utilizzato come routine senza il rischio di una diminuzione significativa nella performance delle attività forza o di velocità. Per tempi di allungamento più lunghi(ad esempio, 60 s) ci sono maggiori probabilità di causare una piccola o moderata riduzione delle prestazioni. Questa perdita della capacità prestativa in seguito ad un seduta di stretching, trova sostanzialmente tre tipi di spiegazione.

In primo luogo, occorre sempre considerare il fatto che l’allungamento è, da un punto di vista biomeccanico, assimilabile ad una contrazione di tipo eccentrico, la cui intensità può raggiungere livelli di tipo massimale. Per questo motivo, facendo precedere alla prestazione, una seduta di stretching particolarmente intensa, si corre sia il rischio di produrre dei danni alla struttura muscolare. Un secondo fattore che potrebbe spiegare il fenomeno, è costituito dal fatto che un’eccessiva sollecitazione in allungamento di alcuni gruppi muscolari a discapito di altri, potrebbe costituire un fattore di perturbazione della coordinazione sia tra gruppi muscolari sinergici, che tra agonisti ed antagonisti. Un ultimofattore è costituito dal fatto che il tendine, nel corso di un allungamento di una certa intensità e durata, attraversa una fase di riorganizzazione delle proprie fibre di collagene che vengono nuovamente orientate meno obliquamente di quanto non fossero nella precedente fase di riposo.

Questo fenomeno va sotto il nome di “creeping” e comporta una diminuzione delle capacità del tendine, nel corso di un ciclo stiramento-accorciamento, di poter accumulare e restituire energia elastica. Dal momento che il tendine è il maggior interprete del fenomeno di risposta elastica, quest’ultimo fattore potrebbe assumere un ruolo determinante nella diminuzione delle capacità di salto registrabile in seguito ad una precedente intensa seduta di stretching.

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Stretching e prevenzione dei DOMS*: Delayed Onset Muscle Soreness

L’utilizzo dello stretching nella prevenzione del fenomeno del delayed onset muscle soreness apparirebbe ingiustificato e sostanzialmente inutile.

Il fenomeno del “delayed onset muscle soreness”, successivo ad un allenamento di tipo eccentrico ha un origine metabolica e meccanica ben precisa, è quindi molto probabile che la pratica dello stretching non abbia un’influenza di tipo positivo sul fenomeno in questione. Alcuni lavori testimoniano di come neppure una seduta di stretching effettuata prima di una seduta d’allenamento eccentrico, oppure durante, o dopo la stessa, sia in grado di diminuire la sensazione dolorosa percepita dagli atleti nell’ambito delle 24-48 ore susseguenti alla sessione di lavoro. Freiwald, 1999; Schober, 1990; affermano che lo stretching statico non rappresenta il miglior modo per facilitare il drenaggio del sangue, anzi, la compressione dei capillari interrompe la vascolarizzazione.

*DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness): indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata, associato a un aumento dello sforzo fisico (sia come intensità che come volumi), è una normale risposta fisiologica a sforzi maggiori, o lo svolgimento di attività fisiche a cui non si è abituati (porta ad adattamento ad esso). Il dolore e il disagio associato ai DOMS solitamente raggiunge il picco tra le 24 e le 48 ore a seguito dell’esercizio fisico, e si estingue entro 96 ore.
Dai non addetti ai lavori è spesso ed erroneamente associato ad accumulo di acido lattico nei muscoli.

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Concludendo, come dobbiamo comportarci?

Abbiamo toccato diversi punti importanti in questo articolo che possono servire a tutti gli allenatori e atleti che si cimentano tutti i giorni nella pratica dello stretching, abbiamo chiarito alcuni dubbi attraverso spiegazioni dettagliate fornite da numerosi studiosi nel campo della ricerca dello sport.

Vediamo quindi alcuni messaggi importanti da portare con noi mentre andiamo al campo di allenamento, in pista o durante ogni nostra seduta di training:

  1. Non basiamo il riscaldamento solo esclusivamente sullo stretching ma integriamolo con altre esercitazioni dinamiche e sport specifiche.
  2. Lo stretching non previene gli infortuni ma è uno dei tanti mezzi che aiuta a prevenirli. La sola pratica dello stretching non è sufficiente e va integrata con altre pratiche poiché le cause degli infortuni sono molteplici.
  3. Lo stretching svolto prima di una prestazione di forza potrebbe creare una diminuzione di essa.
  4. Lo stretching non rappresenta il miglior modo per prevenire i DOMS dato che non facilita il drenaggio sanguigno poiché la compressione dei capillari interrompe la vascolarizzazione.

Maurizio Tripodi

un ringraziamento a Matteo Ferrari che mi ha aiutato nella stesura di questi articoli sullo stretching

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Gli altri articoli di Maurizio:

Prevenzione degli infortuni

Lo stretching: mezzi e metodi

Lo stretching: video pratico

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Intervista di Steve Landells a Pascal Martinot-Lagarde

8 Luglio 2015 by Redazione

Libera traduzione dell’intervista di Steve Landells a Pascal Martinot-Lagarde, pubblicata sul sito IAAF lunedì 6 luglio 2015. Ecco l’articolo originale in lingua inglese: Personal Best: Pascal martinot Lagarde. 

Il vincitore della Diamond League 2014 nei 110 ostacoli, oltre che Campione Europeo Indoor nei 60hs Pascal Martinot-Lagarde è attualmente uno dei più forti ostacolisti in circolazione.

Abbiamo chiesto al 23enne, stella nascente dell’atletica francese, l’Europeo più veloce lo scorso anno nei 110m ostacoli, di parlarci delle cose che per lui sono realmente importanti.

Il mio miglior risultato in atletica
Senza dubbio quando lo scorso anno, a Monaco, ho abbattuto la barriera dei 13″ nei 110hs (prima ed unica volta finora per Pascal).
Nella storia solo 17 uomini vi sono riusciti. È significativo, come i 18 metri nel salto triplo, i 9″80 nei 100m o i 6 metri nel salto con l’asta. Riuscirci è stata una cosa fantastica.

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La mia più grande delusione
Nel 2014 ai Campionati Europei di Zurigo. venivo da  4 vittorie in Diamond League e dopo quella gara ne vinsi un altro incontro di DL, ma durante i Campionati in Svizzera feci una brutta gara in finale. (Pascal finì con la medaglia di bronzo alle spalle del russo Sergey Shubenkov).

Il mio migliore amico nell’atletica
Mio fratello maggiore, Thomas, che ha 27 anni ed ha un personale nei 110 hs di 13″26. Mi alleno con lui e gareggio contro lui e questo è un grande vantaggio per entrambi.

Il mio miglior rivale
Sono in dubbio tra Aries Meritt, il Campione Olimpico 2012, e il cubano Orlando Ortega. Entrambi sono davvero forti. Orlando ottiene regolarmente ottime prestazioni ed è finalista Olimpico. Aries detiene il record mondiale di 12″80 anche se ora è un po fuori condizione, dopo un periodo di infortuni. È sempre emozionante gareggiare contro di loro.

Il miglior atleta che abbia mai visto
Senza dubbio, si tratta di Usain Bolt. Il nostro sport è diventato più divertente da quando Bolt ha corso alle Olimpiadi di Pechino 2008.

La pista di atletica che preferisci
Non è facile, per me, scegliere quale è la pista preferita. Sono indeciso tra Eugene che è la pista della mia prima vittoria in Diamond League, nel 2014. Poi c’è Monaco dove ho infranto per la prima volta il muro dei 13″, correndo il Record Francese in 12″95. Ultimo ma non meno importante, lo Stade de France di Parigi, dove ho corso per due volte il PB (Pascal corse 13.12 nel 2013 e 13,05 nel 2014), è’un meeting speciale per me, essendo a casa mia.

Il miglior consiglio ricevuto dall’allenatore
Sono 2 i consigli tecnici che ho ricevuto e che sono stati fondamentali per migliorare la mia tecnica da ostacolista

Il primo è che le spalle deve essere sempre avanzate e la seconda è che i primi passi dopo la partenza dal blocco devono essere al centro della corsia e senza andare troppo a sinistra o a destra.

La mia più grande debolezza
La partenza è probabilmente la mia debolezza. Si tratta di un elemento così importante per ottenere il massimo negli ostacoli alti.

La miglior canzone pre-gara
“Wings” del duo hip-hop americano Macklemore & Ryan Lewis. Adoro ascoltarla prima di una gara importante.

Il mio più grande vizio
Ovviamente il cibo, io adoro la tipica colazione francese con latte al cioccolato e pane tostato con burro e marmellata di fragole.

Steve Landells per la IAAF

Fonte: iaaf.org

*Foto di copertina dell’amico Levi Roche Mandji (quello vestito di giallo…), fatta a Londra lo scorso mese.

Profilo Pascal Martinot-Lagarde

110 ostacoli

 

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