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Uno sguardo al futuro… 70 anni fa.

22 Settembre 2016 by Redazione

Uno sguardo al futuro… 70 anni fa.

Essere convinti della novità delle proprie idee e dei propri progetti, talvolta è legato a  ignoranza e presunzione.

Molto più spesso invece, i nostri, sono passi certo nuovi, ma che ricalcano orme già segnate.

Anche quando si tratta di atletica leggera.

Una traccia importante in questo senso l'ha lasciata Bruno Bonomelli: allenatore, giornalista, statistico, polemista, la cui figura, a Brescia e nello stesso periodo di Sandro Calvesi, ha dominato la scena atletica ben oltre i confini provinciali.

E ben oltre i confini del suo tempo.

Rileggere i suoi scritti oggi, nella raccolta “Bruno Bonomelli Maestro d'atletica",  pubblicazione dell'Asai datata 1994 e curata da Alberto Zanetti Lorenzetti, fa capire che certe conclusioni, oggi come allora, sono l'approdo naturale di un approccio sincero, onesto e intelligente (probabilmente sincerità ed onestà spesso sono il risultato dell'intelligenza quando non teme di affermare se stessa).

In questo modo capita che un sito come ilCoach, per sua natura volto all'evoluzione e alla modernità, riproponga concetti datati ormai quasi settanta anni.

Abbiamo lo sguardo rivolto al 2020, ma gli ashtag “#roadtoTokio” e cose simili, in effetti ci interessano poco e li ignoriamo, propensi a pensare che, presto soppiantati da altre pseudo novità, li vedremo già vecchi prima della prossima tornata Olimpica.

Se qualche presunzione dobbiamo avere, abbiamo quella di provare ad essere legati più alla contemporaneità che non all'attualità ed è con questa idea che riproponiamo qualche passo degli scritti di Bruno Bonomelli.

Operiamo in questo senso una sorta di quinto passaggio di stato, che riporta nell'etere immateriale ciò che è nato nella testa di Bonomelli, è finito su un foglio  di una macchina per scrivere, è passato alle rotative di un quotidiano, è stato condensato in un libro che voleva onorarne la memoria, ed oggi è liberato nuovamente nella rete.

Questo senza dimenticare un altro momento fondamentale, che dà valore alle parole di Bonomelli: quello del passaggio di tante ore sul campo di allenamento e di gara, elemento imprescindibile nella formazione  di chi voglia vestire il ruolo di “intellettuale” dell'atletica.

Le idee  per noi non sono solo di chi ha la fortuna e la bravura di inciamparci.

Sono anche di chi le fa proprie, le riconosce e le tramanda.

Gli uomini senza idee non sono quelli che non sanno arrivare primi, sono quelli che han paura di arrivare secondi e, proprio per questo, preferiscono copiare.

Perché copiare significa diffondere brutte copie, ripetizioni che fanno rumore e confusione rispetto ad un'idea che c'è già e funziona benissimo da sola.

Per guardare avanti insomma, occorre avere una bella memoria.

Bonomelli 70 anni fa scriveva dell'importanza:

  • della statistica;
  • dell'analisi;
  • di operare una valutazione di un movimento sportivo basata, non sul trasporto emotivo di un momento, ma effettuata su base concreta ed oggettiva.

Negli anni 50 diceva che:

[tweet]ogni campo di atletica ha bisogno di essere corredato da un impianto indoor e da una sala per la muscolazione[/tweet]

 

Basta questo per cancellare ogni perplessità nel riproporre oggi degli spunti “antichi” come quelli di Bonomelli, dovendo al contrario constatare che stiamo vivendo  in un futuro “vecchio” in maniera imbarazzante.

Quel che non cambia oggi come allora, è proprio l'aspetto che ha il futuro.

Ed il futuro, per noi come per Bonomelli, è il tempo del lavoro di ogni tecnico.

Noi oggi non vogliamo consolarci dicendo che gli stessi problemi che affliggono la nostra atletica ci sono sempre stati, che c'è sempre stato chi ha saputo criticare e proporre, ma che, comunque, niente è cambiato o cambierà.

Anzi!

Ricordiamo invece che, alle parole di Bonomelli, aveva fatto seguito un futuro (quello di una trentina abbondante di anni fa), in cui, seppur con le imperfezioni umane connesse ad ogni realizzazione di un progetto ideale, si era data sistematicità ad un processo di evoluzione culturale, nel mondo dello sport e dell'atletica italiana.

Presto vi proporremo software innovativi, nuovi strumenti e tecnologie in grado di offrire soluzioni e possibilità nuove al nostro lavoro.

Ma noi siamo convinti che non saranno principalmente gli strumenti, ma piuttosto le idee ed i progetti che potranno condurci ad una nuova  rinascita della nostra atletica!

Ecco qualche spunto di riflessione tratto dalla raccolta “Bruno Bonomelli Maestro d'atletica":

[…] “Giovedì 7 maggio a Verona si è inaugurato con una riunione nazionale il campo scolastico. Il campo è attrezzatissimo e dotato anche di una palestra. Una palestra nel recinto di un campo sportivo dovrebbe essere una cosa assolutamente normale, come normale dovrebbe essere, soprattutto in un campo di atletica, una tettoia con una sottostante pista lunga almeno una trentina di  metri, per dar modo agli atleti di allenarsi o di riscaldarsi i muscoli anche quando lo stato del cielo è incerto.

Ma, trattandosi appunto di cose che dovrebbero essere normali, ben difficilmente esse vengono messe in atto dai nostri solerti ed esperti dirigenti del C.O.N.I. e della FIDAL. Verona perciò è una gradita eccezione. [...]” (La segreta storia di un primato europeo, l'Unità, 13 maggio 1959)

“[…] Sportiva è quella nazione nella quale il giovane quattordicenne o il signore quarantenne, il primo per una naturale esigenza di carattere agonistico, il secondo per mantenersi giovane, possono quando lo desiderano iscriversi ad una società sportiva che abbia a disposizione una palestra ed un campo sportivo. E questo anche nel più piccolo Comune o nel rione di una grande città. […] ” (L'atletica leggera italiana presenta un modesto bilancio, Sport Italia, 2 marzo 1954)

 

Bonomelli però, per utilizzare un'espressione degli ultimi anni di Carlo Vittori, non era interessato soltanto ai “muri” in cui far crescere la scuola dell'atletica, ma anche allo studio, alla ricerca:

“Iniziando la rassegna dei risultati conseguiti dagli atleti italiani nel 1950, promettemmo ai lettori che avremmo ficcato il bisturi statistico anche nei meandri più reconditi del tessuto atletico nazionale, ma non avremmo mai creduto che il mantenere la promessa ci sarebbe costato una così enorme fatica. Ed invero, l'aver dovuto compilare le classifiche fino al 100° classificato in ogni specialità olimpionica, ci ha fatto sudare le proverbiali sette camicie. Ora però, a lavoro ultimato, la fotografia di quella che è stata l'attività atletica italiana nell'anno dei IV campionati europei, ci si presenta davanti in tutta la sua interessante realtà.

Essendo il primo anno che si fotografa il panorama atletico, fin quasi al limite del suo orizzonte, manca necessariamente ogni possibilità di paragone con altri precedenti panorami.

Può darsi che il lettore sia poco convinto delle ragioni che adduciamo per giustificare e legittimare la nostra fatica statistica; l'eco di queste critiche è già giunta al nostro orecchio. Si dice: ma perché tanto incolonnare di numeri? Ebbene, la legittimità delle nostre ricerche è invece data da un duplice ordine di idee.

  1. Forse di carattere un po' presuntuoso. Ci illudiamo, infatti, di preparare il materiale per successive costruzioni scientifiche, in quel campo indeterminato che sta fra la demografia, la biologia e l'antropometria.
  2. Costruire degli strumenti sensibili che consentano a critici e dirigenti di constatare se le iniziative prese nel campo atletico per dare nuova vita e nuovi indirizzi al movimento atletico italiano, abbiano o meno raggiunto il loro obiettivo.

Perché è chiaro che spendere milioni, organizzare miriadi di gare di propaganda, le più diverse tra loro, per poi dover aspettare dieci anni, quando si vince cioè un titolo olimpionico o si batte un primato del mondo , ad emettere un giudizio sull'utilità o la razionalità di tali organizzazioni, è un volersi troppo affidare all'indeterminatezza.

Si progredisce meglio invece quando, sulla base di dati il più possibile obiettivi, si possono vagliare esperienze di coloro che ci hanno preceduti e seguire passo passo le nostre.

(Soltanto le cifre ci possono dire quando lo sport è in progresso, Sport Italia 19 giugno 1951)

 

O ancora:

“La FIDAL, il CONI devono convincersi che deve essere costituito un centro statistico di studio, onde far sì che tanta nostra esperienza non vada perduta, e che si attinga largamente a quanto di buono si fa nelle altre nazioni sportive. Isolarsi dal proprio passato e dagli altri Paesi non può significare altro che la morte per involuzione.” (L'atletica leggera italiana presenta un modesto bilancio, Sport Italia, 2 marzo 1954)

Bonomelli non aveva di certo accesso agli strumenti offertici oggi, ad esempio, dagli amici di Atletica.me.

Ma ne capiva l'importanza.

E capiva la necessità di apertura ad un confronto anche oltre i confini nazionali, ad una continua messa in discussione delle conoscenze:

[…] “Al congresso di Trieste del 1956 Zauli emozionato annunciò che Oberweger si sarebbe recato negli Stati Uniti “ non per apprendere ma per insegnare” . Ecco allora spiegato come mai Oerter abbia vinto le Olimpiadi; Babka abbia superato i 61 metri, Oerter abbia superato Babka. È chiaro no? Gli allenatori statunitensi hanno carpito il segreto della scuola italiana del disco. Ancora quindici giorni fa lo Zauli in un convegno a Milano ha voluto ribadire come a Melbourne molti domandassero consiglio a Oberweger. Il che è abbastanza logico, perchè la gente non presuntuosa chiede sempre il parere di molti. E dopotutto il triestino vinse una medaglia di bronzo a Berlino 1936. Ciò che sorprende è invece che i nostri dirigenti abbiano la testa così dura da non comprendere che forse anche i nostri allenatori qualche volta potrebbero chiedere il parere di altri.

Forse allora vedremo anche noi in Italia qualcuno lanciare il disco oltre i 50 m.; qualcuno che non sia Consolini naturalmente. Santo cielo, sono forse tutti  rachitici i nostri giovani lanciatori?

Abbiamo gran paura invece si tratti di rachitismo cerebrale dovuto a dosi esagerate di “littorismo” ingerito in gioventù dai nostri dirigenti di oggi e di ieri. ( I sessanta metri nel lancio del disco, L'Unità, 10 aprile 1958)

[…] Ma il discorso deve tornare a Carlo Lievore. Sfiorando gli 80 metri egli non ha certo raggiunto il suo massimo potenziale. Quanto gli abbia giovato l'allenamento invernale impostato in prevalenza sul sollevamento di pesi calcolati “ad hoc”, è certo dimostrato da questa sua terza uscita. Nè bisogna dimenticare che nelle settimane precedenti egli aveva già scagliato l'attrezzo preferito a 77,37 (il 5 aprile a Padova) ed a 74,69 (l'11 aprile a Bologna).

Questa faccenda del sollevamento di pesi leggeri ci costringe però a fare un'amara constatazione. Tale sistema di allenamento muscolare non è di certo una scoperta ultrarecente. Essa era praticata dagli antichi greci e venne ripresa nel secolo scorso. Si può dire che essa è sempre stata presente nelle palestre estere; con qualche infiltrazione anche nelle nostre, naturalmente prima dell'altra guerra. […] Ebbene quando quattro anni fa un tale Bettella, reduce da ripetuti soggiorni in Finlandia parlò agli atleti italiani della pratica di allenamento dei pesi, si vide sommerso dai sorrisi ironici e di compatimento, nonché dalla considerazioni sprezzanti dei nostri tecnici federali. Il che significa che il nostro ambiente tecnico-dirigenziale non desidera affatto entrare in contatto con ciò che si fa all'estero in fatto di atletica.

E purtroppo quando poi accetta qualche rara idea – perché non ne può fare a meno – ha tendenza a trasformarla in dogma che non si può né si deve discutere.

In sostanza costoro non sono certo i diretti discendenti di Galileo, ma coloro che costrinsero con la violenza il grande pisano a ritrattare. (Il giavellottista Carlo Lievore può superare gli ottanta metri, L'Unità, 1 maggio 1959)

I tecnici de ilCoach oggi non si vogliono accontentare dell'aiuto di qualche bellissimo ed utile giocattolo tecnologico.

Vogliono anche trarre vantaggio dalle analisi di chi ha saputo inquadrare in maniera lucida ed intelligente quello che è il centro della questione del nostro lavoro.

 

[tweet]Le idee non sono solo di chi ha la fortuna e la bravura di inciamparci: sono anche di chi le fa proprie, le riconosce e le tramanda[/tweet]

Di Andrea Uberti

 

Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Andrea Uberti

Combined Events Coach | ilCoach.net ASD Vice President
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“Se una ragazza quando arriva è carina, chi se ne infischia se è in ritardo?

1 Settembre 2016 by Redazione

…Nessuno.” Cit.

 

Finito il carnevale, magro come non era mai stato prima, ci attendono ora quattro anni di quaresima.

Potevamo aspettarcelo nel modo in cui se lo sente uno studente che non ha studiato e, anche se non abbandona un pizzico di speranza, sa che il disastro è dietro l’angolo.

Potevamo confidare nel lampo di qualche singolo talento, capace di oscurare i problemi sistemici di una federazione ottuagenaria, fatta di podisti, corse colorate, rincorse al cesto gastronomico e in cui i tecnici non contano mai nulla.

Ma così non è stato.

Sarebbero bastate un paio di medaglie, un pizzico di fortuna immeritata e un’analisi disattenta sui perché e i per come di certi successi, e i tecnici italiani avrebbero strappato l’ennesima sufficienza risicata.

Ma quando non si sanno le cose, talvolta, piuttosto che essere promossi con tanti debiti, è meglio ripetere l’anno!

Parliamo di tecnici perché il nostro progetto si chiama IlCoach e perché siamo convinti che le qualità sportive dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze siano perfettamente paragonabili a quelle dei loro colleghi britannici, francesi o tedeschi, come dimostrano i buoni risultati che sono in grado di cogliere a livello giovanile.

Ma mentre il mondo corre, noi siamo fermi agli anni 70 e 80. Probabilmente peggio.

E, facendo riferimento a certa filmografia dell’epoca, dobbiamo ammettere che, se altre discipline sono state capaci di tenere a galla il sistema sportivo nazionale, l’atletica dovrà passare altri quattro anni nella classe delle ripetenti.

Così viene da pensare che non si tratti soltanto di portare l’atletica a scuola.

Piuttosto sembra che occorra riportare la scuola nell’atletica: la nostra involuzione è evidente e l’analfabetizzazione tecnica è dilagante.

Certamente siamo sicuri che anche in Italia ci siano tecnici di valore, ma crediamo che il livello generale sia mediamente troppo basso.

Un piccolo sito come il nostro, in un ambiente diverso, dovrebbe essere una piccola voce ridondante che corre su una strada ben delineata ed organizzata.

Ma così non è e, a quanto pare, sembra difficile che le soluzioni arrivino dall’alto.

Ogni giorno intercettiamo l’interesse di appassionati che continuano ad amare e vivere nell’atletica.

Nonostante tutto infatti, sui campi come sulla rete, assistiamo al fiorire di iniziative intelligenti, progetti vivaci e moderni, che quasi sempre son frutto di iniziative spontanee o locali o, spesso,  extra istituzionali.

Noi vogliamo essere uno dei catalizzatori di  queste competenze, di queste individualità che man mano inesorabilmente si perdono o, nella migliore delle ipotesi, non si valorizzano.

Pensiamo che sia necessario muoverci in questo senso, pensando in positivo, facendo quello che siamo in grado di fare da subito, con il semplice sostegno di chi, come noi, ama l’atletica.

E se poi un giorno arriverà la dirigenza dei sogni…tanto meglio!

Siamo certi che non saranno le giocolerie a farci vincere: per intraprendere nuovi voli bisogna correre e dotarsi di nuove ali.

Crediamo che i tecnici, per riavere voce,  abbiano bisogno di fare sistema, di parlare la stessa lingua,  di riappropriarsi di un linguaggio condiviso e transnazionale.

E devono far sistema su tanti comuni denominatori condivisi, quelle realtà di libera iniziativa e che portano istanza di rinnovamento di un mondo oramai stantio e superato

È necessario creare un albo, un sistema di aggiornamento e di crediti con una struttura ben organizzata: una piattaforma strutturata e pianificata su cui poi instaurare la nostra fantasia, le capacità di adattamento e di inventiva.

La figura del tecnico deve diventare quella di un professionista che si confronta nell’ambito di un sistema competitivo.

Non siamo scienziati, né terapisti, né metodologi.

Ma dobbiamo essere in grado di relazionarci fra di noi e in maniera puntuale e competente con tutte le figure che compongono un qualsiasi sistema sportivo organizzato.

Dobbiamo costruire un prodotto competitivo ed essere in grado di venderlo.

Bisogna creare almeno due forme di specializzazione: una orientata al settore agonistico, all’alto livello, ed una dedicata al giovanile, alla promozione.

Pensare di riservare ai più piccoli gli allenatori meno bravi è un errore di fondo enorme.

Gli allenatori, gli educatori del settore giovanile, sono il biglietto da visita di un’intera categoria e, iniziare bene, con un tecnico preparato, dà ai ragazzi, insieme a tanti altri vantaggi, quello di acquisire maggiore consapevolezza nella scelta futura della propria guida tecnica.

Partire subito con un professionista capace, eliminerebbe presto dai nostri campi certe figure di tecnici cialtroni, perché è difficile pensare che un allenatore improvvisato possa pensare di propinare stupidaggini a chi è già forte di un’impostazione corretta e ragionata.

Per occuparsi sia dell’avviamento che della qualificazione atletica, occorre avere precise competenze, passione, e professionalità, perché fare il tecnico di atletica leggera DEVE essere un lavoro.

Il volontariato può essere l’eccezione, non la regola.

Noi allenatori dobbiamo essere preparati, aggiornati, retribuiti e assicurati.

Aspettiamo da troppo tempo una rivoluzione.

IlCoach vuole muoversi in questa direzione: senza presunzione e con l’idea di collaborare e di cogliere l’aiuto di chiunque voglia darci una mano.

Abbiamo l’intenzione di provare a creare  dei progetti concreti, che magari diventino dei format sperimentali, che rispecchino un concetto più attuale di fare atletica, nella speranza che chi più di noi ha mezzi e doveri di promuovere la nostra disciplina, voglia far crescere l’eventuale germolio che saremo capaci di fare attecchire.

Riuscissimo a coinvolgere 50, 70, 100 tecnici che parlano la stessa lingua, si confrontano sulle stesse categorie, condividono se non il contenuto almeno le forme del proprio modo di progettare l’allenamento, sarebbe già un grande successo.

Il problema forse non sono soltanto le medaglie che coinvolgono comunque una piccolissima parte del nostro mondo.

È tutto l’ambiente dell’atletica che  ha bisogno di cambiare marcia e ci sono parecchi modelli virtuosi e più efficienti del nostro da cui prendere spunti e copiare soluzioni.

Ma anche in questo anno olimpico, disastroso per l’atletica italiana, Gianmarco Tamberi ha dimostrato che è ancora possibile vincere.

È pur sempre campione mondiale ed europeo in carica, oltre che al 2* posto nella graduatoria mondiale del salto in alto.

Forse è da lì che dobbiamo ricominciare e forse, prima di ogni altra cosa, dobbiamo provare a credere di poter vincere ancora.

Anche in quelle discipline “spaccone”, che da troppo tempo vincono solo gli altri.

Dobbiamo ricordarci che si possono vincere tutte le gare. Persino i 100 metri!

Ma ora no. Adesso ci tocca aspettare, ma non seduti!

Piuttosto dobbiamo lavorare in maniera paziente e consapevole.

Quattro anni senza un progetto sembrano lunghissimi.

Quattro anni, preparandosi con speranza per un appuntamento, godendo ogni giorno del proprio lavoro volano frenetici e velocissimi.

Perché cogliere la vittoria, un successo desiderato, realizzare la propria rivoluzione personale, è un po’ come incontrare una bella ragazza che si è fatta aspettare, tanto sì, ma mai troppo.

Se non è raggiungere il paradiso, è comunque abbastanza per dimenticarsi  il purgatorio che c’è stato prima.

 

-Che bellezza rivederti!” Sono secoli-. Aveva una voce sonora che vi metteva in imbarazzo, quando la incontravate in qualche posto. Uno gliela perdonava perché era così maledettamente carina, ma a me mi faceva sempre girare le scatole.

-È un piacere rivedere te,-dissi. E lo pensavo davvero.

-Come stai, ad ogni modo.

-Magnificamente bene. Sono in ritardo?

Le dissi di no, ma era in ritardo di circa dieci minuti. Però a me non me ne importava un accidente. Tutte quelle cretinate che mettono nelle vignette del “Saturday Evening Post” e compagnia bella, con quei tipi fermi a una cantonata con la grinta feroce perché le loro belle sono in ritardo- balle! Se una ragazza quando arriva è carina, chi se ne infischia che è in ritardo? Nessuno.

 

Di Andrea Uberti

 

Nell’immagine di copertina Chiara Loda, saltatrice in alto dell’ Atl. Virtus Castenedolo 

 

Bibliografia

Il giovane Holden, Salinger J.D. , Copwright 1951, Einaudi, 1961, 2001, 2004, 2008, Traduzione di Adriana Motti, titolo originale” The Catcher in the Rye”.

Filed Under: Allenatori Tagged With: allenatori, analisi, atletica italiana, crisi atletica italiana, flop atletica italiana, tecnici atletica leggera

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