
Spesso quando si parla di allenamento della forza, anche per i saltatori e sprinter e quindi atleti che necessitano di sviluppare alti livelli di potenza e velocità, l'idea è ancora rivolta ad allenamenti in stile bodybuilding e all'idea che l'allenamento della forza è soltanto correlato ad un aumento di massa muscolare, riduzione del range articolare e utilizzo di serie ad esaurimento.
Questo è un approccio metodologicamente sbagliato nello sviluppo delle prestazioni di uno sprinter.
Ma gli errori nell'approccio dello sviluppo della forza sono molti e oggi ho intenzione di spiegarne 5 a mio avviso davvero importanti.
Errore N° 1. Lo squat è l'esercizio più importante per l'allenamento della forza nello sprinter.
Mi piace molto lo squat e lo reputo un ottimo esercizio multiarticolare per lo sviluppo della forza degli arti inferiori e che se allenato senza vincoli, quindi non al multipower (castello), aiuta a migliorare anche l'attivazione e il rinforzo del core, della stabilità e della mobilità dell'atleta.
Lo squat però può essere eseguito in vari modi: completo, sotto al parallelo, in 1/2 accosciata e in 1/4 squat.
Qual è la miglior variante di squat?
Dipende da cosa vogliamo ottenere.
Lo squat completo, quindi con i glutei che sfiorano le caviglie è molto utile per migliorare la forza generale e rinforzare anche tutta la muscolatura posteriore, i glutei e i femorali, oltre ai quadricipiti e alla muscolatura adduttoria.
E' inoltre un ottimo esercizio per migliorare la mobilità degli arti inferiori, ma risulta molto tecnico e se non si hanno grosse doti di mobilità potrebbe avere più svantaggi che vantaggi specie a carichi molto alti.
Tra le varianti parziali di squat quello sotto al parallelo è il più interessante in quanto non necessita dello sviluppo di una mobilità articolare estrema, permettendo in ogni caso comunque un rinforzo comunque completo della muscolatura.
Lo squat sotto il parallelo (indicato con "Squat PL" nell'immagine 1) è già più che sufficiente per far lavorare molto bene glutei, quadricipiti e femorali.
Gli squat "parziali"
Gli squat sopra al parallelo (1/2 squat, 1/3 squat e 1/4 squat) sono ovviamente ottimi esercizi per lo sviluppo della forza ad angoli più specifici e per lo sviluppo della potenza, ma se eseguiti male possono dare delle problematiche ed inoltre sono esercitazioni che fanno intervenire quasi unicamente la muscolatura quadricipite.
Inoltre per ottenere un transfer sullo sviluppo di forza e potenza andrebbero poi utilizzati con carichi molto elevati.
Gli allenatori di powerlifting probabilmente storceranno il naso (e l'immagine 1 lo può confermare, visto il nome dato al 1/4 squat da Paolo Evangelsita nel suo libro DCSS) a vedere le versioni di squat sopra al parallelo, ma credo che questo dipenda dalle influenze che hanno dal loro sport.
Questo non significa che siano meglio alcune varianti rispetto ad altre, ma che va analizzato il contesto, il livello dell'atleta e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Sicuramente possiamo dire che squat parziali a carichi bassi non servono a nulla, se non a pensare che si sta facendo qualcosa.
Pensando a lungo termine, personalmente preferisco utilizzare le varianti di squat completo con i giovani e i principianti e man mano che i livelli di forza diventano interessanti iniziare ad aprire gli angoli facendoli diventare più specifici.
Nel video sotto vediamo il 1/4 squat eseguito da atleti della nazionale Cubana di salti, sotto l'attenta visione del Prof. Carlo Buzzichelli

Il primo obiettivo in palestra dovrebbe essere costruire un fisico equilibrato
Un atleta, velocista o saltatore, necessita di uno sviluppo armonico di tutta la muscolatura sia di quella che interviene nell'azione specifica di gara (glutei, ischiocrurali e gastrocnemio sono i prime movers principali). In caso contrario potrebbero crearsi problemi di infortuni, ed eccessive masse muscolari in muscoli che sono importanti si per correre veloci ma in un ottica di costruzione completa (i quadricipiti sembrano avere un azione isometrica e di stabilizzazione nell'accelerazione).
Uno dei problemi più grossi che mi è capitato di vedere a questo proposito è nella pianificazione e programmazione dell'allenamento, con programmi di allenamento della forza che prevedono numerose varianti di squat in tutte le salse, portando nel tempo a questo problema.
Un allenamento della forza completo dovrebbe prevedere una costruzione armonica dell'atleta, meglio se a lungo termine, con l'utilizzo di esercizi che vadano a creare un rapporto ottimale tra forza di agonisti e antagonisti.

Immagine 2. Rapporto forza tra agonisti ed antagonsiti. Tratto e adattato da "Periodizzazione dell'allenamento sportivo"
Per fare l'esempio dello squat, che sviluppa molto la forza e l'ipertrofia dei quadricipiti, dovrebbe prevedere almeno lo stesso numero di serie e ripetizioni di un esercizio per lo sviluppo della forza degli antagonisti come ischiocrurali e glutei (ad esempio stacco da terra).
Alcuni autori oltreoceano indicano addirittura di dedicare 2 esercitazioni per la catena posteriore per ogni esercitazione per quella anteriore.
Ma questo per un atleta che non ha scompensi.
Un atleta che ha dedicato ha sviluppato in maniera eccessiva la muscolatura dei quadricipiti con l'utilizzo di squat in tutte le varianti è giusto che abbandoni per un periodo sufficientemente lungo questi esercizi e si dedichi a lavori per il rinforzo di muscoli molto importanti per la performance ma anche per la prevenzione infortuni.
Ricordiamo che la maggior parte degli infortuni negli sprinter avvengono agli ischiocrurali.

Errore N° 2. Non conoscere il buffer ed allenarsi sempre ad esaurimento.
Le pratiche di cedimento muscolare sono famose nel Bobyduilding in quanto sono importati per lo sviluppo dell'ipertrofia dell'atleta.
Il velocista o il saltatore però, che devono spostare velocemente o "lanciare" lontano il proprio corpo, necessitano di ottimale rapporto peso-potenza.
Con alcuni soggetti, soprattutto i più giovani, potrebbe essere previsto un periodo di sviluppo ipertrofico utile a creare adattamenti strutturali (rinforzo di tendini e legamenti) ma senza la volontà di uno sviluppo spropositato delle masse muscolari che tra l'altro comunque aumentano anche con un allenamento di forza non improntato all'ipertrofia, e senza l'obiettivo primario dell'estetica.
Pensa a stimolare il SNC più che il muscolo in se!
Un altro motivo che dovrebbe spingere a non esagerare con lavori ad esaurimento è il fatto che nel velocista o saltatore l'obiettivo primario è stimolare il SNC per far si che sia in grado di migliorare sia la sua coordinazione intramuscolare che intermuscolare migliorando nel tempo la capacità di esprimere forza in tempi brevi.
Per questo è necessario per noi allenatori conoscere il concetto di buffer, ovvero il differenziale tra il numero di ripetizioni che potrebbero essere eseguite ad esaurimento ed il numero di ripetizioni programmate.
E' un parametro molto importante nell'allenamento della forza per il miglioramento della performance e fondamentale se si vuole che l'allenamento successivo in pista non sia compromesso da un affaticamento eccessivo del SNC.
Ti faccio un esempio.
Cos'è il buffer nella pratica?
Se prendiamo un intensità del 85% con il quale un atleta di potenza solitamente esegue 5 reps ad esaurimento potremmo chiedere al nostro atleta di fare:
- 5 reps ad esaurimento - Buffer = 0 (allenamento di forza assoluta e quindi ipertrofia)
- 3 reps - Buffer = 5% (allenamento di forza relativa)
- 2 reps - Buffer = 10% (allenamento di forza relativa e potenza)
- 1 reps - Buffer = 15% (allenamento di forza relativa e potenza)
Con un allenamento ad esaurimento a carichi elevati, come in questo caso, alleneremo principalmente la forza assoluta (aumento di forza accompagnata anche da aumento di peso corporeo), e la forza relativa (solo in caso di tempi di recupero molto molto elevati).
Più il buffer sale e più lavoreremo su adattamenti verso la forza relativa (aumento forza senza aumento ipertrofico) e la potenza.
Modulare gli stimoli variando il buffer
Conoscendo così il concetto di buffer, ampiamente spiegato nel libro "Periodizzazione dell'allenamento sportivo" potremo decidere di variare lo stimolo allenante nel corso della stagione con 3 strategie:
- mantenendo il carico aumentiamo le ripetizioni, con aumento il volume e riduzione del buffer e maggiori adattamenti strutturali del muscolo (hyp), ad esempio 3 x 6 @ 75% (buffer 5%) --> 3 x 8 @ 75% (buffer 0)
- mantenendo lo stesso buffer incrementiamo l'intensità e quindi riduciamo le ripetizioni, ad esempio da 3 x 6 @ 75% (buffer 5%) --> 3 x 3 a 85% (buffer 5%). Questa è la strategia in caso di ricerca di adattamenti nella forza massima
- mantenendo la stessa intensità riduciamo le ripetizioni andando ad aumentare il buffer, es: 3 x 6 @ 75% (buffer 5% --> 3 x 3 @ 75% (buffer 15%). In questo caso siamo passati da un allenamento di forza relativa ad un allenamento di potenza
Diventa quindi importante saper conoscere e gestire al meglio questo parametro per gli adattamenti voluti ed in ottica velocità e salti è molto importante nella fasi di sviluppo della potenza saperlo modulare al meglio.
Quando è fondamentale utilizzare il buffer?
Risulta molto importante aumentare il buffer nella fase agonistica, dove l'allenamento della forza e della potenza entra nella cosidetta "fase di mentenimento": in questo caso come vedremo nel 4° punto l'obiettivo è quello di mantenere i livelli di forza acquisiti durante il periodo preparatorio, ridurre la fatica residua, stimolare il SNC senza affaticarlo e aumentare così la readiness (prontezza alla performance)
Errore N° 3. Pensare di poter "trasformare la forza"
In Italia, purtroppo, è ancora molto in voga la pratica della "trasformazione della forza", ovvero il far seguire ad esercitazioni di forza (a volte ad esaurimento) altri esercizi dinamici sport specifici alla massima velocità (andature, sprint o balzi) con l'idea che la forza guadagnata vada subito trasformata nel gesto sport specifico.
Vi confesso che anche io, quando più di 10 anni fa ho iniziato ad allenare, ho provato queste metodiche, ma nonostante l'inesperienza, usandole con gli atleti e a volte sperimentandole su me stesso mi accorgevo che qualcosa non andava e che non mi piaceva proporre allenamenti di velocità con la muscolatura affaticata.
Aggiornandomi e studiando mi sono accorto poi che i miei dubbi erano corretti e che si trattava di una teoria ormai ampiamente superata, che nel 2020 dovrebbe essere bandita da ogni sala pesi, e spesso confusa con la PAP, metodica invece molto interessante ed utile ma completamente diversa.
Perchè è sbagliato il concetto di trasformazione della forza?
La forza, per svilupparsi, necessita di uno stimolo (allenamento) e un tempo di recupero sufficientemente adeguato (24-72h a seconda del tipo di allenamento).
3 ripetizioni al 90% di un esercizio non mi aumentano nell'immediato la forza, al massimo mi affaticano il SNC e la muscolatura, andrò quindi a fare un esercizio alla massima velocità come uno sprint con un affaticamento con il rischio di incappare in infortuni.
La forza e la potenza necessitano inoltre di un certo tempo (in settimane) per essere sviluppate.
Pensare di trasformare la forza in potenza da un esercizio all'altro è assolutamente utopistico.
Lo abbiamo accennato nel punto sopra, ma è giusto rimarcarlo.
La velocità, le capacità di salto e di potenza vanno allenate in stato di freschezza del SNC e muscolare, farlo dopo aver pre-affaticato l'organismo no ha alcun senso, soprattutto con velocisti, saltatori e lanciatori.
Quindi, non ha mai senso fare esercizi con i sovraccarichi intervallati da esercizi di potenza, sprint o esercitazioni più esplosive?
Diciamo che dipende cosa vogliamo ottenere dal punto di vista dell'allenamento della forza.
Esistono alcuni metodi che sfruttano il così detto Post Activation Potentation (PAP), come il metodo a contrasto o Complex Training che effettivamente sembrano dare buoni risultati sullo sviluppo della potenza.
In pratica si è visto che dopo una stimolazione del SNC con sovraccarichi o esercitazioni pliometriche (anche il traino pesante da questo effetto), dopo un corretto tempo di recupero (>3') si registra una riduzione dei tempi di sprint breve (10-30 metri, un miglioramento nelle capacità di salto e in generale un miglioramento della capacità di esprimere potenza)
Ma anche in questo caso, e ci tengo a rimarcarlo, non si tratta di trasformazione della forza, ma dello sfruttamento di un meccanismo chiamato PAP, spesso sfruttato anche nel pre-gara per massimizzare le prestazioni.
La PAP, della quale magari parleremo meglio in un prossimo articolo, però non va considerata un vero e proprio allenamento di forza ma uno stimolo nervoso che permette di massimizzare la performance dell'esercitazione successiva, solitamente più specifica.
Per ottenere questo effetto l'esercizio di "forza" dovrebbe coinvolgere gli stessi muscoli motori che saranno usati nel secondo esercizio, utilizzare range di movimento abbastanza specifici, essere eseguito con carichi medio-alti e buffer molto alti (quindi mai ad esaurimento) ed essere seguito, come detto sopra, da un recupero che permetta di massimizzare l'effetto della stimolazione (>3').
Inoltre, essendo un esercitazione volta a massimizzare il secondo esercizio va impostato con poche esercitazioni, spesso soltanto una e poche serie (2-3).
Questo non lo porta sicuramente ad essere considerato il metodo d'eccellenza per migliorare in modo equilibrato i livelli di forza dell'atleta.
Personalmente considero i metodi che sfruttano la PAP evoluti e indicati per atleti con alle spalle già alcuni anni di allenamento con i sovraccarichi.
Errore N° 4. Allenare la forza in inverno ed abbandonarla in estate
Altra pratica utilizzata molto sulle piste di atletica è quella di dedicare l'inverno all'allenamento della forza (durante la preparazione generale) per poi abbandonarla totalmente nel periodo estivo (periodo pre-competitivo e competitivo), pensando che siano sufficienti le sole esercitazioni pliometriche per mantenerla.
Questo porta ad alcune problematiche sia a medio termine che a lungo termine:
- calo delle performance;
- difficoltà nel raggiungimento del picco nella gara clou della stagione;
- stallo della performance nelle stagioni successive e decadimento tecnico
Vediamoli nel dettaglio.
Calo della performance
I benefici di un aumento dei livelli di forza nei confronti del miglioramento delle prestazioni atletiche durano fino a quando gli adattamenti del SNC causati dall'allenamento sono mantenuti.
Se interrompiamo l'allenamento si va incontro al tanto temuto deallenamento, gli adattamenti ottenuti e gli effetti positivi svaniscono abbastanza velocemente, questo porta ad una riduzione delle performance poi in gara.
Difficoltà nel raggiungimento del picco nella gara clou della stagione
Il lavoro di forza influisce positivamente sul raggiungimento del picco di forma nella gara clou negli sport di potenza.
Capita spesso che la migliore performance è ottenuta proprio nella prima gara della fase competitiva, poco dopo aver interrotto l'allenamento di forza.
Togliere totalmente l'allenamento della forza non permette un miglioramento successivo delle performance.
Stallo della performance nelle stagioni successive e decadimento tecnico
A lungo termine, se l'obiettivo è quello di portare l'atleta a migliorarsi in più stagioni, è controproduttivo eliminare l'allenamento della forza nel periodi competitivo, in quanto all'inizio della preparazione successiva probabilmente si troverà ad un livello di forza molto simile a quello dell'inizio preparazione della stagione appena trascorsa.
Questo porta ad uno stallo a lungo termine che non permette di avere una crescita costante delle abilità biomotorie dell'atleta.
Inoltre vi è anche un aspetto tecnico da considerare.
Spesso nelle esercitazioni di forza di un atleta che non sia un powerlifting (che deve cercare una tecnica perfetta) va trovato un compromesso tra una buona tecnica esecutiva, che permetta di massimizzare il reclutamento muscolare, di eseguire l'esercitazioni in sicurezza evitando infortuni inutili e il tempo a disposizione.
Lo sprinter infatti dovrebbe dedicare tempo a migliorare la tecnica di corsa più che la tecnica esecutiva di uno squat.
Va ricercata quindi una tecnica esecutiva corretta che eviti infortuni e massimizzi gli adattamenti allenamenti.
Se però noi interrompiamo per svariati mesi l'allenamento di forza e quindi l'esecuzione di certi esercizi quando torneremo in sala pesi la stagione successiva probabilmente dovremo ricominciare da capo il processo di apprendimento, vanificando ancora una volta il lavoro fatto la stagione successiva.
Per evitare questi effetti negativi, durante tutto il periodo competitivo andrebbero pianificate e programmate sessioni di mantenimento della forza con l'obiettivo di stimolare il SNC e mantenere le proprietà contrattili della muscolatura.
Come impostare il "mantenimento della forza"?
Le sedute di mantenimento avranno volumi ridotti rispetto a quelle dei cicli di preparazione per evitare di creare eccessivo affaticamento che potrebbe poi portare a ridurre le performance nei gesti specifici.
Errore N° 5. Allenare la forza sempre con gli stessi carichi
Nell'allenamento capita spesso di lasciarsi andare a seguire le mode del momento.
Una cosa che di tanto in tanto noi allenatori dovremmo invece fare è andare a rivederci i principi dell'allenamento, le linee guida che dovrebbero essere alla base di ogni buon programma di allenamento.
Uno dei più antichi tra questi principi è quello dell'aumento progressivo dei carichi.
E qui arriva una delle storie più antiche nel mondo della metodologia dell'allenamento
Si narra che il primo a sfruttare questo principio fu Milone di Crorone, discobolo dell'Antica Grecia che, per diventare più forte, da ragazzo si caricò un vitello sulle spalle. Con il crescere del vitello, Milone diventava sempre più forte, fino a diventare l'uomo più forte al mondo quando il vitello divenne toro adulto.

Immagine 3. Milone da Crotone, tratta da Deipnosofista
Per creare adattamenti strutturali e fisiologici ma anche psicologici, i carichi di allenamento andrebbero incrementati in modo progressivo nel tempo, intervallando fasi di salita dei carichi a fasi di "scarico" (per massimizzare l'adattamento ed evitare l'overtraining).
Molti allenatori utilizzano invece il metodo del "carico standard", forse impauriti, in modo del tutto ingiustificato, che i carichi troppo elevati possano essere dannosi per la performance e per la salute dell'atleta.
Non volendo entrare nel dettaglio sul discorso prevenzione infortuni, nel quale l'allenamento della forza ricopre un ruolo molto importante e ormai scientificamente provato, mi soffermerò sui benefici di un aumento dei carichi nel miglioramento performance e sul fatto che mantenere sempre lo stesso carico potrebbe far decrescere la prestazione nel corso della stagione.
Se un atleta durante il suo allenamento di forza esegue sempre 5 ripetizioni di squat con 100 kg avrà degli adattamenti allenanti all'inizio della preparazione, ma a lungo andare l'allenamento diventerà sempre meno allenante e nel corso della stagione sarà addirittura controproducente, perdendo in realtà tempo nella sala pesi.
Se come allenatori abbiamo paura a far salire il carico sul bilanciere allora forse avrebbe senso non perdere tempo in una sala pesi e dedicarci alle cose che pensiamo più utili e meno dannose.
Ricordiamoci però che le forze di picco al contatto col terreno nella fase di appoggio della corsa a bassa velocità si attestano intorno a 2-2,5 volte il peso corporeo e ad alte velocità possono raggiungere 4 o 5 volte il peso corporeo.
Lascio a voi il calcolo di quanto peso su un bilanciere dovremmo mettere per ottenere le stesse sollecitazioni!
Letture consigliate
A. Roncari, P. Evangelista, A Biasci, Project Exercise. Biomeccanica applicata la fitness e al bodybuilding. Vol. 2, Project Invictus

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Taper: un esempio pratico nello sprint

Nell’atletica moderna si riesce sempre più spesso ad avere accesso a programmazioni di atleti d’elite. Tuttavia la sensazione, da allenatore non professionista, è quella che alcuni tipi di programmazione siano applicabili, sia per disponibilità di tempo che logistiche, solo ad atleti di elevata qualificazione. In quest’ottica voglio mostrare questo piano di taper che ho deciso di proporre ai miei atleti in preparazione delle gare di fine stagione.
Questo ciclo di allenamento verrà svolto da 5 atleti uomini della categoria assoluti i cui SB variano fra 12"34 a 11"50 e tra i 25"14 e i 23"84. Nessuno di questi 5 atleti ha subito gravi infortuni nel corso della stagione e complessivamente si presentano in buone condizioni in questo finale di stagione.
Le manifestazioni che abbiamo puntato sono le 2 gare che si svolgeranno Martedì 4 luglio e Giovedì 6 luglio a Gavardo. La pista è nota per essere molto veloce e il clima ideale delle serate della cittadina in provincia di Brescia dovrebbe consentire il raggiungimento di buoni risultati.
ll taper che mi accingo a descrivere in questo articolo prevede una durata di circa 10 giorni e si svolge dopo 2 settimane di “carico”.
Le manifestazioni a cui abbiamo puntato sono le 2 gare che si svolgeranno Martedì 4 Luglio e Giovedì 6 Luglio a Gavardo. La pista è nota per essere molto veloce e il clima ideale delle serate bresciane dovrebbe consentire il raggiungimento di buoni risultati.
Ritengo che un buon taper abbia 3 obiettivi principali:
- L’atleta deve rimanere sano;
- L’atleta deve arrivare alla manifestazione riposato;
- L’atleta deve arrivare alla manifestazione pronto mentalmente quanto fisicamente
Alla luce di questi obiettivi ritengo che debbano essere svolti allenamenti con volumi medio o medio-bassi e che debba essere data la priorità a 2 fattori:
- la tecnica
- l'esecuzione del “race plan”.
I giorni in cui viene previsto un impegno ad intensità massimale o quasi sono 3: Lunedi 26, Giovedì 29 e Domenica 2 Luglio. Come si può notare i 3 giorni prevedono un volume di lavoro decrescente: dai 360/480m del primo giorno, si passa ai 330/350m del secondo giorno ai 170m~ del terzo giorno.
I giorni di allenamento più blandi prevedono esercitazioni di rapidità generale che a mio parere hanno il merito di prendere qualche caratteristica dell’allenamento pliometrico per inserirla in esercitazioni simili al gesto di corsa, rimanendo comunque poco tassanti per il sistema nervoso.
Venerdì 30 ho dato la possibilità di svolgere un lavoro a carattere aerobico poiché, sebbene non ritengo necessario l’esecuzione di questa esercitazione, credo che un atleta debba essere anche allenato a seconda dei propri punti di forza e di gradimento. Gli atleti in questione sono sempre stati abituati a svolgere, da chi li ha allenati prima di me, preparazioni comprendenti grandi volumi e quindi sono rimasti “affezionati” ad allenamenti ad alto tasso volumetrico e a quella sensazione di stanchezza che poi si trasforma in soddisfazione. Per questo motivo ho collocato questo tipo di esercizio Venerdi 30, infatti, precedendo il giorno di riposo, non dovrebbe inficiare sull’esecuzione delle sedute seguenti.
Ho collocato l’unico allenamento in palestra di questo periodo 5 giorni prima della gara. Sempre per i pregressi atletici degli atleti in questione ho ritenuto opportuno proporre solo un’esercitazione con sovraccarichi poiché, avendo eseguito poco questo tipo di lavoro negli anni precedenti, lascia molta fatica residua e di solito viene mal tollerata, perciò mi sono limitato al minimo indispensabile.
In questo periodo il mio atteggiamento come coach deve essere quello del semplice supervisore, molte esercitazioni sono proposte con un ampio delta di volume e di recupero ES: 3 o 4 120m, 100m volume max, 3-5 Over, 6-8’+…poiché credo che solo l’atleta stesso possa conoscere le giuste sensazioni da ricercare per arrivare al risultato desiderato.
A livello di cue e di consigli preferisco che il contesto dell’allenamento detti l’esecuzione del gesto: il lavoro svolto sulla tecnica specifica e sul “piano di gara” viene solo ricordato ad inizio allenamento. Esercitazioni come gli over, che nel mio allenamento, sono presenti un giorno si e l’altro pure hanno lo scopo di fornire l’ambiente ideale per lo sviluppo della tecnica senza attivare la parte conscia dell’atleta stesso.
Questo taper delinea solo le caratteristiche generali dell’allenamento che andremo a svolgere. Ritengo che, in generale durante tutto l’anno, ma in particolare durante i periodi di tapering l’allenamento debba essere malleabile e adattato alle condizioni di forma e di salute del singolo atleta nella singola giornata. Ritengo che piani troppo rigidi e impostati abbiano il grosso difetto di non lasciarsi interpretare dall’atleta.
Spero che questo articolo possa servire come spunto di riflessione; mostrare il lavoro in programma prima di aver ottenuto i risultati sperati mi espone a critiche nel caso in cui il piano naufragasse, ma spero che possa portare altri allenatori nella mia stessa situazione a diffondere il prodotto del loro lavoro per poter crescere insieme.
Taper 10 giorni pre Gavardo
GIOVEDI 6: Gara 100m
MERCOLEDI 5: Riposo
MARTEDI 4: Gara 200m
LUNEDI 3: Riposo o Warmup + Allunghi blandi
DOMENICA 2:
- 2-4 Over a distanza corsa
- Blocchi à Volume max 100m (3/4 prove), torneo
- 1 x 70m Curva, blocco
SABATO 1: Riposo
VENERDI 30: Tecnica e Aerobico
- 3-4 Circuito Rapidità: 20+20m Over a 1,70m à 20+40m Dribble Rapido
- 3-5 60m Progressione tecnica
- 2-3 x 3 150m R: 1’/3’ Ritmo Aerobico
GIOVEDI 29: Blocchi + V.Max
- Blocchi à Volume max 80m (2/3 prove), torneo
- Max: – 2 x 60m R:6/8’ (Uscita curva); 1 x 120/150m Curva, blocco
- Forza: 3 x 3 Hang Clean; 3 x 3 Hang Snatch; 5 Ldf
MAR27 o MER 28: Uno dei 2 giorni si riposa
- Generale: 10/15 Lanci palla medica (Frontali da petto o palla fra le gambe)
- 2-3 Circuito Rapidità: 20+20m Over a 1,70m à 20+40 Dribble Rapido
- 4-6 60/80m Progressione tecnica
LUN 26: Tecnica + Speed Endurance
- 3-5 Over a distanza corsa
- 3-4 120m (Uscita di curva) R: 10’+
Legenda:
- I range delle prove sono rappresentati dal trattino es: 2-4
- “Over a distanza corsa” si intende una corsa fra ostacolini di 10cm posti a distanza di 2,10/15m, comunque un’ampiezza che risulta adeguata alla corsa normale di ogni persona e preceduti da un preavvio di 25m ca..
- Per dribble 20/40 si intende una corsa di 20m seguita da una rullata leggermente alta, ma molto rapida di 40m.
- Con “torneo” si intendono le partenze da blocco tutti insieme come se fosse una gara

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Biomeccanica della corsa in curva

Immagine di copertina da Atl-eticamente Foto, Ph. Valeria Biasioni
Nell'atletica leggera tutte le gare oltre i 100 metri prevedono una porzione di corsa in curva. Le gare dove la corsa in curva influisce maggiormente nella prestazione finale sono i 200 metri, la 4x100 metri, i 300 metri (per le categorie giovanili) e i 400 metri piani. Con il seguente articolo, precedentemente pubblicato su www.demotu.it scopriamo le leggi della fisica che regolano questo tipo di corsa.
La corsa in curva
Un moto curvilineo in cui il modulo del vettore velocità si mantiene costante, è chiamato uniforme lungo la traiettoria perché il corpo si muove percorrendo spazi uguali in tempi uguali.
In questo tipo di moto non si ha un’accelerazione dovuta ad un cambiamento di valore della velocità, ma solo accelerazione vettoriale dovuta al fatto che la velocità, pur considerando lo stesso valore, cambia di direzione; si dirà che il moto possiede un’accelerazione centripeta il cui significato sta ad indicare che l’accelerazione è diretta verso il “centro di curvatura” della traiettoria (figura 1).

Figura 1 – Nel moto circolare uniforme velocità ed accelerazione centripeta sono vettori (quindi nella figura le lettere “a” e “v” dovrebbero avere una freccia sopra), diretti rispettivamente secondo la tangente ed il raggio.
Questo tipo di accelerazione è quella che imprime il corridore nel tratto curvilineo della gara dei 200 metri o nella frazione in curva della staffetta 4x100 metri per non uscire dalla stessa traiettoria ed il suo valore è pari al quadrato della velocità diviso il raggio di curvatura: Ac = V2 / R
L’accelerazione centripeta è la sola accelerazione che può avere un moto curvilineo uniforme, ma se il moto non è uniforme, oltre all’accelerazione centripeta bisognerà considerare un’altra accelerazione dovuta al fatto che la velocità cambia anche di valore; questa accelerazione associata ai cambiamenti di valore della velocità prende il nome di accelerazione tangenziale e si definisce in modo del tutto analogo a quella dei moti rettilinei.
L’accelerazione tangenziale e quella centripeta, non sono altro che le componenti, lungo la tangente e la normale alla traiettoria del vettore risultante che definisce, in senso vettoriale, l’accelerazione del moto in un certo istante.
Se l’accelerazione centripeta è causata da una forza diretta verso il centro, per il principio di azione e reazione vi sarà una forza uguale ma di verso contrario rivolta verso l’estremo della traiettoria.
A questa forza, il cui vettore ha direzione passante per il centro ed è diretto verso l’esterno della circonferenza, prende il nome di forza centrifuga, ed è quella che spinge il corridore dei 200 metri fuori dalla traiettoria curvilinea.
In pratica il corridore che corre lungo l’arco di una circonferenza, è sottoposto all’accelerazione centripeta che cambia la direzione del vettore velocità e, per mantenere l’equilibrio, egli deve inclinarsi in modo tale che la forza di reazione R agente sui piedi sia indirizzata verso il centro di gravità (figura 2 A). La forza risultante W, uguale alla somma della forza di reazione R e della forza peso G, sarà diretta verso il centro di curvatura ed avrà il valore della forza centripeta mv2/r, dove v è la velocità del corridore ed r il raggio di curvatura della corsia; le grandezze esposte sono evidenziate nella figura 2 A, mentre l’angolo d’inclinazione del corridore è determinato dalla seguente formula:
tgq = W/G da cui (mv2/r)/mg = v2/rg
Dalla formula si ricava che l’angolo d’inclinazione varia al variare della velocità di corsa e del raggio di curvatura; in particolare aumenta all’aumentare della velocità ed al diminuire del raggio della curva, e diminuisce quando la velocità rallenta ed aumenta il raggio di curvatura.

Figura 2 A, B – Nella figura di sinistra (A) l’assetto di un corridore che corre su un raggio di curvatura ampio (pista all’aperto); nella figura di destra (B) l’assetto di un corridore che corre su una curva inclinata con basso raggio di curvatura (pista al coperto). (da Krzysztof, 1998 – mod.)
Un corridore di una gara di 200 metri che percorresse una curva di 20 metri di raggio ad una velocità di 10 m/s, sarebbe inclinato all’interno della curva di circa 30° (figura 2 A); a tale inclinazione cambierebbe il modo di poggiare il piede a terra con la difficoltà di dovere esprimere la stessa forza che in rettilineo, ma soprattutto sarebbe sottoposto ad una pressione decisamente superiore.
Il vantaggio degli atleti che notoriamente usufruiscono correndo nelle corsie esterne è, quindi, riassumibile nei seguenti punti:
- L’essere meno inclinati a parità di velocità essendo il raggio di curvatura r più grande[su_spacer size="10"]
- Il modificare, di conseguenza, meno il modo di poggiare il piede a terra[su_spacer size="10"]
- Il sottoporre, di conseguenza, il piede ad una pressione minore
Per effettuare il calcolo di questo sovraccarico a cui il piede è sottoposto durante la corsa in curva, si ipotizzi lo stesso atleta che corra alla stessa velocità su una pista inclinata di 30° (figura 2 B), condizione tipica delle piste al coperto; la forza di reazione R agente su di lui sarebbe pari a:
R = mg/cosq; da cui mg/cos 30° = 1,15 mg
Se il corridore pesasse 70 kg, egli si sentirebbe più pesante di circa il 15%, ed i suoi piedi sarebbero sottoposti ad un carico di 789,7 N; in pratica si sentirebbe nelle condizioni di pesare 80,5 kg, cioè come se corresse con un giubbotto zavorrato di 10,5 kg.
A questo bisogna considerare, inoltre, che durante la corsa in rettilineo il corridore deve superare le resistenze nel movimento orizzontale come la forza d’attrito o della resistenza dell’aria, ma anche quella verticale di sollevare il proprio corpo che, nel caso della corsa in curva, è gravato ulteriormente.
Un altro aspetto importante da considerare è che l’atleta percorre una curva effettuando dei passi in linea che non possono, ovviamente, descrivere esattamente l’arco di circonferenza della corsia; a tal uopo è conveniente ricordare il legame matematico che unisce una circonferenza ed i poligoni regolari.
Un poligono regolare è un poligono avente tutti i lati congruenti e tutti gli angoli congruenti; esso è inscrivibile in una circonferenza e circoscrivibile a un’altra, e le due circonferenze hanno lo stesso centro, detto centro del poligono. L’apotema del poligono è il raggio della circonferenza inscritta, ed il raggio del poligono è il raggio della circonferenza circonscritta (figura 3)
All'aumentare del numero dei lati la misura del perimetro di un poligono regolare circoscritto ad una circonferenza diminuisce avvicinandosi alla misura della lunghezza della circonferenza stessa. Si prendano ad esempio il quadrato circoscritto e poi l'ottagono regolare circoscritto ad una medesima circonferenza, si avrà che il perimetro dell'ottagono è minore del perimetro del quadrato ma maggiore della lunghezza della circonferenza.
Infatti, si consideri il triangolo DEF (figura 4), siccome in ogni triangolo un lato è minore della somma degli altri due, si avrà che EF < (ED + DF); applicando tale ragionamento opportunamente ai lati del quadrato e dell'ottagono si otterrà la proprietà.
Considerando, quindi, una circonferenza di raggio r e tutti i poligoni regolari inscritti, la misura del perimetro di tali poligoni diminuirà all'aumentare del numero dei lati e si avvicinerà indefinitamente al valore della lunghezza della circonferenza (figura 5).
In pratica:
- Nella corsa in curva su una traiettoria circolare l’atleta percorre una spezzata che si può disegnare unendo i punti tracciati idealmente da ciascun piede di appoggio e spinta. Maggiore è la lunghezza del passo dell’atleta e minore sarà il numero dei segmenti che costituiscono la spezzata che caratterizza la traiettoria. E’ evidente che il minore percorso è lo stesso arco di circonferenza mentre tutte le infinite spezzate tracciabili comportano un percorso sempre maggiore quanto minore è il loro numero e quindi maggiore la lunghezza dei singoli segmenti. In sintesi un atleta con il passo lungo percorre, in curva, uno spazio maggiore rispetto ad un atleta con il passo più breve. Un atleta con il passo lungo nel momento del contatto con il suolo deve fare una “sterzata” maggiore quindi con maggiore dispendio energetico rispetto alla “sterzata” che deve compiere un atleta con il passo più corto.[su_spacer size="10"]
- La forza centripeta che si esplica nel moto circolare è direttamente proporzionale alla massa e al quadrato della velocità angolare e inversamente proporzionale al raggio di curvatura. Nella fase di volo tra un appoggio ed un altro il corpo dell’atleta non ha alcun contatto con il suolo e procede solo ed esclusivamente secondo moti inerziali rettilinei. Nel contatto con il suolo l’atleta deve però effettuare un spinta in avanzamento (come nella corsa rettilinea) e una ulteriore spinta di direzione e verso diretta dall’atleta al centro della curva circolare per descrivere la sua traiettoria pseudo- circolare (una spezzata) e vincere la forza centrifuga. Il corpo dell’atleta inoltre si inclina verso il centro della curva per meglio bilanciare tale nuova sollecitazione. Nel momento della spinta il piede di contatto (maggiormente quello esterno) esplica una spinta sia per effettuare l’avanzamento sia per descrivere una traiettoria spezzata. Questa ulteriore spinta trasversale che deve esprimere l’atleta e che compare nella corsa in curva aumenta il suo peso poiché la forza centrifuga si somma all’effetto della gravità terrestre. Il risultato è paragonabile alla corsa con sovraccarichi. In teoria si dovrebbe migliorare la potenza e l’efficacia della
In definitiva una buona prestazione in curva è funzionale a:
- Un passo più breve che consente di percorrere spazi minori (si possono facilmente calcolare conoscendo il numero dei passi in curva rispetto quelli della corsa in rettilineo).[su_spacer size="10"]
- Un elevato livello di potenza muscolare che consenta di sopportare le maggiori spinte da esprimere in curva per superare la gravità terrestre e la forza
Conclusioni
In conclusione gli atleti meno alti, con ampiezze del passo minori, non muniti di particolari doti di reattività e quindi con tempi di contatto un po’ più lunghi, con particolari doti di forza ed in particolare di forza esplosiva, riescono ad esprimersi meglio in curva rispetto ad altri atleti di pari valore cronometrico o anche più veloci in rettilineo, ma con caratteristiche antropometriche e di corsa opposte, cioè più alti, con maggiore ampiezza del passo, più reattivi, meno forti ed esplosivi.
Assume particolare importanza, quindi, al momento di scegliere i componenti della staffetta 4x100 metri ed all’assegnazione della frazione da compiere, conoscere le caratteristiche dei soggetti nella corsa in rettilineo ed in curva, considerando i parametri relativi alla ritmica del passo ed i suoi aspetti biodinamici, preferendo quegli atleti che presentano i valori migliori.
Di Furio Barba (Università degli Studi di Napoli “Parthenope” Facoltà di Scienze Motorie - Docente Scuola dello Sport del CONI) e Ing. Giulio Spagnuolo

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Gli sprint contro resistenza nell’allenamento della velocità

In copertina Alexi Atchori Essoh. Foto di Roberto Passerini.
Traduzione di un articolo preso dal libro "Sprints & Relays: Contemporary Theory, Technique and Training" edit by Jess Jarver - Mountain View, CA 94040 USA 2006.
Nell'articolo originale, "Resistance Runs in speed training" (pag. 51-57), gli autori (Ralph Mouchabahani, Albert Gallofer, Hans Herman Dickhuty - Germany) analizzano l'influenza degli sprint contro resistenza e facilitati nello sviluppo della velocità, giungendo alla conclusione che il valore di queste esercitazioni non va sicuramente trascurato ma nemmeno enfatizzato in maniera eccessiva.
Introduzione
La pratica dell’allenamento, gli studi scientifici e i convegni han fatto sorgere diversi interrogativi sull’efficacia di certe metodiche di allenamento. Con la seguente ricerca vorremo valutare, attraverso uno studio condotto su base scientifica, cosa sia utile effettivamente all’allenamento della velocità e come il riscontro di queste esercitazioni possa essere verificato. L’ efficacia dell’allenamento non è collegata solamente all’incremento dei carichi e delle intensità, ma dovrebbe essere supportato su fondamenti scientifici ed essere costruito su solide basi anche per quanto riguarda l’aspetto coordinativo.
Il seguente contributo è semplicemente l'ennesimo spunto di ragionamento e non pretende di essere esaustivo o esente da critiche. Il suo significato è quello di fornire un’analisi critica e uno stimolo per incoraggiare ulteriori studi per trovare nuove filosofie di lavoro nell’allenamento della velocità.
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I termini del problema
Il nostro tentativo è mostrare che la strada per raggiungere alte prestazioni nella velocità non sia solo legata allo sviluppo di rilevanti (e rilevabili? n.d.r.) parametri diretti, ma più probabilmente dipenda dallo sviluppo sinergico di tutti i fattori. Questa combinazione coordinata dei differenti parametri si verifica nelle attività inter ed intramuscolari che caratterizzano la pratica di allenamento della corsa di velocità che si sviluppa nelle seguenti fasi:
- Reazione – partenza (drive)
- Partenza – accelerazione
- Accelerazione – raggiungimento massima velocità
- Massima velocità (mantenuta il più lungo al possibile) – fase di decadimento della velocità
La complessità del fenomeno richiederebbe di includere tutte le componenti che hanno rilievo nella performance nella corsa di velocità:
- Tempo di contatto a terra
- Elettromiografia dei seguenti muscoli:
- vasto mediale;
- retto femorale;
- bicipite femorale;
- gluteo massimo;
- tibiale
- gastrocnemio
- Rilevamento tempo fino ai 40 metri, con parziali ogni 10 metri
- Analisi del lattato (richiesta energetica a seconda di diversi carichi di lavoro)
- Analisi cinematica del movimento con video con telecamere ad alta frequenza
Il rilevamento dei tempi di contatto è un parametro biomeccanico semplice da definire ma di difficile acquisizione. Può, ad esempio, essere estrapolato dall’analisi video ad alta frequenza.
Tuttavia, nello sprint è importante mantenere un errore di approssimazione il più piccolo possibile.
Un tempo di contatto ridotto di 0,01 secondo in una gara di 100 metri che si compone di circa 50 appoggi a terra, comporterebbe un miglioramento di mezzo secondo.
Utilizzare pedane ergometriche potrebbe essere un vantaggio, ma queste devono essere "calpestate" dagli atleti senza cambiare la normale azione di corsa, creando un problema complicato.
Per questo studio noi (gli autori) abbiamo inserito il dispositivo di rilevamento dei tempi di appoggio in speciali scarpe chiodate riducendo notevolmente il margine di errore.
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Metodi dello studio
Agli atleti è stato chiesto di svolgere due prove che comprendessero le condizioni più significative:
- partenza
- corsa con traino
- super-velocità
Nella prima prova venivano effettuati rilievi elettromiografici del muscolo retto femorale e del bicipite mentre nella seconda prova si rilevavano i parametri relativi all’intervento di glutei e vasto mediale
L’azione di tibiali e gatrocnemi veniva considerata in entrambe le prove.
Si è effettuato un recupero di tre minuti fra le prove e di 15 minuti fra le serie. In questo modo ogni atleta coinvolto nello studio era impegnato per circa un’ora.
Le rilevazioni elettromiografiche sono state registrate telemetricamente così da ottenere una condizione di corsa realistica.
I tempi di contatto al suolo erano rilevati attraverso speciali scarpe chiodate e anche questi dati erano trasmessi telemetricamente.
Si sono utilizzate attrezzature per svolgere supervelocità e traino.
Il sovraccarico utilizzato per il traino variava dai 2,5 ai 5 kg a seconda del livello di qualificazione dell’atleta impiegato nel test.
Gli atleti più prestanti hanno utilizzato il carico maggiore.
Il carico per il traino (molto ridotto n.d.r.) è stato scelto deliberatamente in modo che fosse sufficiente a comportare uno stimolo muscolare ma non elevato al punto da cambiare i tempi di contatto al suolo.
Sono stati effettuati test ematici per verificare l’accumulo di acido lattico e questo verrà di seguito discusso nella parte relativa ai risultati.
Lo studio si è sviluppato nell’arco di due giorni analizzando tre atleti ogni giorno. Le condizioni sono rimaste inalterate all’interno dell’impianto di atletica indoor di Kornwestheim. Il periodo dell’anno (8 e 9 gennaio) è stato scelto perché gli atleti preparati per la stagione al coperto si trovavano in condizioni ideali per ottenere alte prestazioni.
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Risultati
I dati relativi ai tempi di contatto al suolo, indicano che le prove effettuate con carichi molto diversi, danno dei risultati che differiscono sensibilmente (fig. 1)
La figura 2 mostra il diverso impegno muscolare rapportato tra corsa con traino, supervelocità e corsa libera.
Tutti i muscoli considerati hanno dovuto affrontare un impegno maggiore nelle prove con traino.
Tuttavia, la prove di corsa con traino non comportavano uno sforzo contro un peso elevato ma piuttosto si richiedeva di effettuare uno sprint, di superare il momento di inerzia portando il carico in movimento e di mantenere la velocità.
D’altra parte invece la supervelocità mostrava un alleggerimento del lavoro dei glutei, dei retti femorali dei tibiali e dei gastrocnemi, mentre il vasto mediale faceva registrare un impegno maggiore.
Questo sembra essere riconducibile alla accresciuta stiffness dovuta alla maggior velocità ottenuta attraverso il traino con supervelocità.
Un’ altra spiegazione potrebbe essere che la maggior attivazione del vasto mediale sia il risultato di un meccanismo di protezione che serve a stabilizzare l’articolazione del ginocchio alla maggior velocità.
È interessante notare che l’impegno ed il disimpegno del muscolo termina non appena il gancio viene staccato, mentre l’atleta continua a mantenere la stessa andatura senza diminuire la velocità per altri 10, 15 metri.
Le velocità aumenta parimenti anche quando il traino di resistenza viene staccato. Una riduzione apprezzabile dei tempi di contatto si verifica tra il 5 ed il sesto doppio appoggio nella corsa con traino (89,6ms negli ultimi 3 appoggi doppi contro i 105,3 ms rilevati tra il 4 ed il sesto doppio appoggio).
Il tempo di contatto nella super-velocità mostra una minima riduzione al momento dello sgancio prima che sia ulteriormente accorciato. Il minor tempo di contatto si realizza nella fase di massima velocità ed è significativamente ridotto rispetto allo sprint libero (78,6 ms negli ultimi 3 doppi appoggi). I tempi di appoggio al terreno negli sprint liberi sono ridotti gradualmente sino al momento della massima velocità (82,3 m/s negli ultimi 3 doppi appoggi).
Il tempo medio di contatto in tutti e nove i doppi appoggi (in millisecondi) è stato:
- Super-velocità: 89,6 ms
- Sprint: 93,9 ms
- Traino: 108,4 ms
L'alleggerimento dell'impegno dei glutei è stato chiaramente rilevato nella super-velocità mentre la corsa con traino comportava un aggravio del lavoro in questo distretto (fig. 3)
Nello sprint libero l’intervento dei glutei è significativamente minore rispetto al traino. La corsa con traino comporta una accresciuta attività del retto femorale (fig. 4), mentre il traino per la supervelocità all’inizio produce un alleggerimento dell’impegno di questo muscolo. L’attivazione del retto femorale non subisce variazioni dopo lo sgancio in ognuna delle tre condizioni.
L’attivazione del bicipite femorale non è sovraccaricata durante la supervelocità ed aumenta leggermente nel traino.(fig5). Va notato che i bicipiti femorali, chiamati a sollevare le gambe sotto le anche, non dovrebbero essere messi in maggiore difficoltà perché un’azione di accelerazione in avanti è la base di una falcata lunga e veloce.
Questo compito è molto più semplice in condizioni senza sovraccarico.
Il vasto è stato l’unico muscolo a mostrare un’accresciuta attivazione durante le prove di super-velocità. Sembra infatti che i ridotti tempi di contatto al suolo necessitino di una maggiore attività stabilizzatrice che non è contemplata nello sprint libero (fig. 6).
I tibiali sono stati leggermente meno sollecitati nella super-velocità rispetto allo sprint libero al fine di produrre un minor tempo di contatto. Una più elevata pre-attivazione comporta tempri più ridotti al suolo (fig. 7).
Il gastrocnemio è il muscolo fondamentale nell’azione della gamba ed ha mostrato un significativo alleggerimento nella supervelocità e un evidente sovraccarico nel traino. Il minor tempo di contatto nella super-velocità sembra avere un significato collegato al sistema nervoso. Dopo lo sgancio il gastrocnemio lavora allo stesso modo in tutte le tre condizioni. I valori medi dei soggetti mostrano una maggiore attività del gastrocnemio e per questo un minore tempo di contatto nella supervelocità. (fig.8)
Per riassumere dai diagrammi presentati si rileva inequivocabilmente che la corsa con traino comporta un accrescimento dell’attività muscolare che viene invece ridotta dalla supervelocità.
E’ anche ovvio che il livello di attività muscolare, successivamente al momento dello sgancio, torni alla situazione iniziale,
Una comparazione dei tempi di appoggio dice inoltre che, più alte velocità possono essere ottenute nonostante una minore attivazione muscolare o addirittura grazie a questa riduzione.
Lo sprint libero (partenze) può essere valutato come condizione intermedia.
Il nostro esperimento, come studi analoghi, rivela che l’effetto della super-velocità diviene efficace solo dopo la fase di accelerazione e può, in relazione alla qualificazione dell’atleta, esser mantenuta per non più di 10 o 15 metri,
I campioni di lattato non mostrano un incremento significativo con il crescere delle velocità e la conseguente riduzione dei tempi di contatto. Ogni prova è stata effettuata a velocità massimale o sovra massimale con 3 minuti di recupero tra le due prove e 12 minuti di recupero tra le serie ( traino, partenze, super-velocità).
La rilevazione del lattato ha indicato un aumento fino a 10 mmol/l al 12esimo minuto ma è scesa dopo le prime due serie a 5 minuti dal lavoro.
Per qualche ragione sconosciuta questo non è avvenuto nella terza serie.
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Discussione
Si può dire che la super-velocità e la corsa con traino non crei una situazione di allenamento artificiale laddove l’obbiettivo sia il transfer degli stimoli creati (in questo senso è un esercizio specifico).
Tuttavia, entrambe queste esercitazioni specifiche non vanno ne sopravvalutate ne trascurate. Vanno considerate come esercitazioni complementari con un'influenza positiva sulle componenti della corsa di velocità.
Le corse con traino dovrebbero sempre permettere un azione di corsa fluida permettendo un esecuzione con tempi di contatto al suolo simili a quelli richiesti dall’attività di gara.
È provato che un esecuzione che preveda lo sgancio è efficace quando viene adattata al livello prestativo dell’atleta.
Negli atleti da 11" nei 100 metri dovrebbe essere previsto lo sgancio dopo 25-30 metri, che possono essere portati fino a 30-40 (max 45) per gli atleti più veloci.
L'allenatore può rilevare ad occhio nudo un aumento di frequenza dei passi come un aumento dell’ampiezza dopo lo sgancio.
È importante che le prove di super-velocità permettano uno sprint coordinato e permettano all’atleta di provare a mantenere la velocità raggiunta per almeno 10 metri dopo lo sgancio.
Chi osserva dovrebbe vedere che le frequenze aumentano senza che i passi si accorcino.
Lo sgancio della supervelocità deve essere adattato ai limiti coordinativi dell’atleta.
Come riferimento si possono tenere 40-45 metri per gli atleti da 11", che diventano 45-55 per i più veloci.
Queste distanze indicano il limite dopo cui un atleta non è più in grado di coordinare lunghezza e frequenza dei passi.
L’aspetto fondamentale è il modo in cui queste esercitazioni assistite sono eseguite.
L’unico modo per ottenere riscontri positivi sulla coordinazione intra ed intermuscolari è quello che prevede una esecuzione di buon livello con una corsa coordinata e fluida.
Le quattro fasi di transfer sono ancora:
- Reazione – partenza (drive) il primo passo avanti;
- Partenza – accelerazione
- Accelerazione – massima velocità
- Massima velocità– mantenimento della velocità – fase di decadimento della velocità
Da un punto di vista dei sistemi energetici le sei prove eseguite ad intensità massimale e sovra massimale con tre minuti di recupero tra le ripetizioni e 12 tra le serie sono sufficienti a creare uno stimolo per la velocità.
Questi possono essere ricreati in maniera efficace nelle esercitazioni purché si rispettino i principi dell’allenamento che per lo sviluppo della velocità prevedono tempi di appoggio molto brevi, altrimenti il rischio è quello di trasformare questo allenamento in un lavoro di "speed endurance"
Peggio ancora, allungare i tempi di contatto può sviluppare schemi motori non desiderabili.
Anche se (come può essere notato nella fig. 1) i tempi di appoggio che si riducono dopo lo sgancio nella corsa col traino, non hanno effetto sulla velocità.
D’altra parte invece, nella super-velocità i tempi di contatto ridotti vengono mantenuti anche dopo lo sgancio.
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Conseguenze pratiche
I seguenti principi dovrebbero essere rispettati nella pratica dell’allenamento:
- Gli stimoli di velocità nella direzione della massima velocità possono essere riprodotti solo quando hanno un riscontro nei tempi di contatto dei piedi al suolo;
- Tutte le condizioni di allenamento dovrebbero essere informate alle richieste prestative sopra menzionate;
- Le condizioni di allenamento riprodotte devono permettere un gesto tecnico il più vicino a quello di gara;
- Più lo situazione dell’esercitazione si discosta dagli schemi motori del gesto tecnico più diviene inefficace;
- Stimoli sovra massimali dovrebbero essere proposti solo ad atleti ad alto livello coordinativo. Questi sono raggiunti dopo lo sgancio nella supervelocità e rinforzati con esercitazioni tecniche;
- La corsa con traino deve permettere una tecnica corretta di sprint e serve a stabilizzare e a migliorare il livello di forza veloce. Lo sgancio dopo la fase di accelerazione in questo caso ha un effetto favorevole;
- L’allenamento dello sprint è efficace prima di tutto in relazione al suo aspetto qualitativo piuttosto che a quello quantitativo.
[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"][su_divider][/su_divider]
[su_note note_color="#8bc751" radius="1"]Le nostre riflessioni (ilcoach.net):
Ricordiamo che queste metodiche (traino e super-velocità) vanno considerate mezzi di allenamento per lo sport di alto livello.
Il loro utilizzo nel periodo dell'adolescenza (e anche nelle fasce d'età precedenti) andrebbe evitato o comunque fortemente limitato, in quanto esistono altri mezzi di allenamento che offrono la possibilità di ottenere miglioramenti comunque notevoli.
Anche nello studio proposto si ribadisce che le esercitazioni di traino e super-velocità debbano essere eseguite rispettando un modello di esecuzione tecnica di buon livello.
Prima di proporle, a nostro avviso, questo buon livello deve essere già stato raggiunto!!![/su_note]
A cura di Andrea Uberti e Andrea Dell'Angelo
[su_divider text="torna su" divider_color="#8bc751"][su_divider][/su_divider]

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Intervista a Giovanni Galbieri e Alessandro Nocera
In Italia si parla molto del modo di allenare all’estero, molti atleti si sono trasferiti fuori dall’Italia per provare nuovi metodi di allenamento, cosa ne pensi? Hai mai pensato di farlo anche tu?
Nella seconda pagina dell’articolo l’intervista ad Alessandro Nocera, coach di Giovanni, che ci racconta un po la sua filosofia di allenamento e cosa c’è dietro gli ottimi risultati con gli atleti che allena.
Intervista: Salvino e Filippo Tortu
In questo articolo proponiamo l’intervista a Filippo Tortu, che nell’ultimo mese è diventato la nuova “promessa” della velocità Italiana (MPI Allievi nei 100 metri e nei 200 metri), e al suo allenatore nonchè babbo Salvino Tortu.
Iniziamo con l’intervista a coach Salvino (quella a Filippo nella seconda pagina dell’articolo!!)
1) Ciao Salvino, parlaci un pò di te, delle tue esperienze, la tua filosofia di allenamento…
Ho iniziato a fare atletica in Sardegna nel lontanissimo 1975. Pura vocazione in quanto non avevo a disposizione una pista, mi allenavo, per modo di dire, lungo una ferrovia. Ogni tanto andavo a Sassari per essere seguito da un bravissimo tecnico che poi avrebbe allenato Gianni Puggioni, Mauro Doppiu. Preparato come pochi. A Roma, all’epoca dell’università, sono stato seguito da Carlo Arrighi prima e dal mitico Plinio Castrucci poi. Non ero certo un fenomeno e correvo i 100 mt in 10″6. Ho smesso non appena laureato, nel 1983, ed ho ripreso da Master 12 anni più tardi seguito da Roberto Caglio, tecnico di grande livello se è riuscito “nell’impresa” di farmi correre da quarantenne in 10″8 i 100 mt. e 22″41 i 200 mt.
Ho iniziato ad allenare, casualmente, circa diciotto anni fa e la mia prima vittima è stato Il Duca, alias Ferdinando Savarese, cofondatore di Queenatletica. Attualmente oltre a Filippo seguo un gruppo ben assortito in cui spiccano i famigerati fratelli Rodella. Mio fiore all’occhiello Giancarlo D’Oro, ragazzino di cinquantatre anni. Tinge di bianco i suoi capelli ancora corvini per non fare sfigurare troppo i ragazzi con cui si allena. Sarebbe lungo parlare delle metodologie di allenamento perciò mi limito a dire che presto un’attenzione quasi maniacale nel cercare di trovare nei miei atleti una quanto più corretta azione di corsa
2) Filippo, grande talento, i tempi ottenuti quest’anno lo dimostrano. Cosa ne pensi di lui e delle sue possibilità di crescita?
Si tratta di un ragazzo dalle potenzialità enormi di crescita perché ancora non è terminata la spinta biologica. Proprio per questo motivo la nostra metodologia di allenamento è chiaramente indirizzata ad assecondare la crescita stessa.
Mi spiego con un esempio: un centimetro guadagnato in altezza ci obbliga a dovere reimpostare il corretto assetto di corsa. E questo avviene di frequente se si considera che Filippo nelle ultime due stagioni è cresciuto di circa 10 cm..
3) A tuo avviso quale è stato il percorso che vi ha portato a questo ottimo risultato?
Sono monotono. Il lavoro svolto sulla corretta tecnica di corsa. Le sue capacità hanno fatto il resto.
4) Nei 200 di domenica a Chiari ha corso in maniera particolare, distribuendo le energie in maniera diversa dagli altri (partenza in apparenza controllata, drive lungo, fase lanciata impressionante), senza mai irrigidirsi. Ci avete lavorato in allenamento oppure sono le sue caratteristiche naturali ad averlo portato a correre in questo modo?
Ci abbiamo lavorato tanto come ho detto, intervenendo sui punti di forza del ragazzo. Filippo ha sempre il controllo della corsa, naturalmente, unito ad un’azione decontratta e ad una capacità di “attivarsi” veramente notevoli.
5) Ha corso molto forte anche Pietro Pivotto, ma con una distribuzione ritmica diversa (partenza più esplosiva, da 100metrista, è passato alla fase lanciata prima, gli ultimi 50 metri è calato di ritmo ed ha iniziato ad irrigidirsi). Pensi possa migliorare il suo tempo soltanto provando a distribuire le energie diversamente?
Ha semplicemente distribuito in maniera differente rispetto a Filippo, chiudendo con un gran tempo. Pivotto ha sicuramente ampi margini di miglioramento che possono manifestarsi già nel corso di questa stagione.
6) Secondo te quali sono i punti “chiave” per un buon programma di allenamento di un velocista (e in particolare in un 200ista?)
Sono banale se insisto nell’aspetto legato alla tecnica di corsa? Tutto il resto è ovviamente necessario ma è comunque compendio.
Livio Berruti ha vinto un’Olimpiade in questo modo. Non voglio guidare un’auto con trecento cavalli e le gomme lisce, a meno che non decida di andare a passo d’uomo.
7) Si dice spesso che un genitore non possa essere un buon allenatore, sembra che questa sia l’eccezione che conferma la regola. Che ne pensi di questo?
Ho due figli velocisti, Giacomo vive a Torino ed è allenato da Alessandro Nocera, Filippo dal sottoscritto. Devo dire che tutto scorre con grande naturalezza ed il rapporto padre allenatore in entrambi i casi rimane fuori da casa. Per fortuna abbiamo tanti altri interessi al di fuori dell’atletica per cui ognuno di noi ha degli spazi propri.
8) Quali sono le difficoltà principali, a tuo avviso, che un allenatore di atletica leggera deve affrontare nel nostro paese?
Mancanza di vocazioni. Dobbiamo però essere noi i primi a fare un mea culpa se non riusciamo a fare appassionare i ragazzi.
9) Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
Continuare ad accompagnare la crescita di Filippo senza avere fretta. I risultati per ora sono indicativi, danno una grande spinta, ma non sono ancora fondamentali.
10) Quali sono le figure che hanno ispirato il tuo modo di allenare?
Castrucci, grande uomo “da campo”, lo ricordo con immensa nostalgia. Mi confronto spesso con Alessandro Nocera che stimo particolarmente.
11) Atletica ed allenamento all’estero: molti atleti italiani nell’ultimo periodi sono “emigrati” all’estero per allenarsi, cosa ne pensi?
Non voglio giudicare il lavoro di altri tecnici in quanto non ho avuto modo di conoscerne le metodologie di allenamento.
12) Fidal Nazionale: si criticano spesso il suo operato e le sue scelte tecniche. Che ne pensi a riguardo, da allenatore di un atleta di interesse nazionale?
La Federazione mi sta seguendo con particolare attenzione, mediante le figure di Alfio Giomi, come “Superadvisor”, e di Stefano Baldini come responsabile giovanile: devo dire che sono veramente attenti e presenti.
E’ giusto farlo notare visto che spesso si parla solo di cose negative riguardo la Fidal.
Nella seconda parte l’intervista a Filippo
