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Allenamento e ciclo mestruale

7 Dicembre 2020 by Redazione

ciclo mestruale e allenamento 2

La performance in un perfetto connubio tecnico atleta

Pochi sono i tecnici che, nella pianificazione di un allenamento, tengono in considerazione le diverse caratteristiche fisiologiche tra atleta maschio e femmina, riducendo il tutto ad una programmazione standardizzata.

Molte sono le ricerche le quali hanno affrontato l’argomento attraverso studi sul training femminile.

Da tali ricerche è emerso che la donna, in allenamento, vive situazioni notevolmente diverse dai maschi, sia da un punto di vista biologico che psicologico.

Considerando che in un pianificazione, mirato al raggiungimento di una performance di alto livello, nulla deve essere lasciato al caso, perchè non prestare attenzione ad alcune variabili fisiologiche che giorno dopo giorno le donne si trovano ad affrontare?

Se solo l’1 % del risultato finale fosse intaccato da superficialità non sarebbe da considerare un fallimento?

L’allenatore in primis si dovrà cimentare nello studio, dei principali aspetti fisiologici e ormonali, del ciclo mestruale, e poi stabilire un rapporto di fiducia e rispetto con l’atleta, basato inizialmente solo sull’ascolto e l’osservazione, soprattutto con giovani atlete, e poi, man mano che il rapporto diverrà più solido, anche di confronto e dialogo.

Da qui si potrà iniziare un monitoraggio alla ricerca dei punti deboli e di forza dell’atleta.

Aspetti fisiologici del ciclo mestruale

In questo articolo vi presento alcune considerazioni che vogliono favorire in chi legge qualche riflessione.

Per una trattazione più dettagliata sull'argomento vi consiglio un buon testo di fisiologia tipo questo:

Fisiologia dell'uomo

Oligomenorrea e Amenorrea

Atlete praticanti sport d’endurance spesso incorrono in oligomenorrea o ancor peggio amenorrea.

L’amenorrea si manifesta quando la massa magra è inferiore al 20%.

Atlete con amenorrea presentano una densità ossea 20 volte inferiore ad atlete con cicli regolari.

Una prolungata amenorrea può causare, nella giovane donna, le stesse conseguenze della menopausa.

Le atlete più soggette ad amenorrea, sono quelle praticanti sport d’endurance, quindi maggiormente soggette a microfratture da stress.

Il progesterone

Dall’ovulazione subisce un notevole incremento da circa 100 a 800 ng/dl in pochissimi giorni determinando:

  • incremento di circa ½ grado della temperatura corporea. Incremento che interferisce sulla corsa perché si inizia a dissipare calore ad una temperatura corporea più alta;
  • aumento della ventilazione polmonare (determina una minor disponibilità di ossigeno per i muscoli);
  • maggiore ritenzione idrica responsabile di un aumento della viscosità muscolare. Viscosità che può essere la causa di traumi muscolari.

Molti altri sono gli ormoni che intervengono nell’arco del ciclo mestruale, ognuno con una sua peculiarità, tuttavia la loro trattazione non può essere affrontata in questo articolo in quanto complessa a articolata. 

Raccolta dei dati e pianificazione dell’allenamento

Inizialmente, la mia idea di pianificazione del training, era strutturata in modo che il mesociclo combaciasse con il ciclo mestruale, con un periodo di scarico di 5 giorni (ultimi due giorni della fase premestruale e primi 3 giorni della fase mestruale), e un altro periodo di riposi, di circa 3 giorni, nell’ipotetica fase ovulatoria.

Questo sistema non è ottimale poiché non permette una valutazione corretta sulla performance dell’atleta durante i periodi di riposo.

In seguito a questa errata pianificazione, la mia atleta si è trovata ad affrontare un impegno agonistico importante, in una perfetta condizione di forma, ma con le “gambe scariche”, poiché il suo punto debole sono alcuni giorni della fase mestruale, tendenzialmente dal 2/3° giorno in poi.

Il mio consiglio è di applicare una classica programmazione, riportando nell’agenda la data, in che fase del ciclo si trova l’atleta, il tipo di lavoro somministrato, i relativi risultati e infine un sistema di valutazione dello stato psicofisico e del livello di difficoltà che l’atleta attribuisce al lavoro svolto.

Per questo ultimo punto basta utilizzare una semplice scala di Borg, strutturata su 2 livelli.

Tabella 1. Esempio di periodizzazione dell'allenamento

In questo modo potrò confrontare lo stesso lavoro nelle varie fasi del ciclo e verificare dove l’atleta esprime la maggior performance.

Una volta individuato il periodo di miglior resa, si dovrà fare in modo che combaci con l’evento sportivo più importante.

Oggigiorno vi sono un’infinità di mezzi che, un buon ginecologo, potrà consigliare all’atleta.

Conclusioni

Per concludere la riflessione è la seguente: conoscete la vostra atleta, amate la vostra professione?

Bene, cercate di conoscere cosa succede in lei.

Le variazioni nell’arco del ciclo sono minime?

Meglio per voi, ma dovete saperlo.

Solo in questo modo, attraverso una accurata analisi e scelta metodologica, si potrà raggiungere il miglior risultato.

fabio lotti

Fabio Lotti

Tecnico 3° Livello Fidal - Velocità e ostacoli
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Filed Under: Basi dell'allenamento, Infortuni, Preparazione atletica Tagged With: allenamento e ciclo, ciclo, ciclo mestruale

Misurare la flessibilità degli atleti per migliorare le performance

30 Novembre 2020 by Maurizio Tripodi

Misurare la flessibilità. Teast di Sit and reach
Nell'immagine l'atleta Alice Minuzzo che esegue il sit-and-rich-test. Realizzata da Sistemha 

 

"L’allenamento è un’arte che si basa sulla scienza … ed un allenamento senza valutazione è un itinerario senza meta."
Carmelo Bosco

Perché misurare la flessibilità dei nostri atleti

La flessibilità è una di quelle capacità motorie che spesso non vengono considerate fondamentali per la performance atletica, ma l'assenza di questa non permetterebbe alle altre capacità di esprimersi al meglio.

In atletica leggera abbiamo discipline dove avere una buona flessibilità è fondamentale al fine del risultato sportivo.

Infatti, avere una ridotta flessibilità non permetterebbe all'atleta di esprimere tutto il suo potenziale, per questo dobbiamo considerarla una capacità fondamentale ai fini di un’ottima performance sportiva.

Spesso gli atleti che partecipano a determinate discipline arrivano tra le mani del tecnico con un bagaglio genetico che li porta ad avere una buona flessibilità di base, ma questo non deve farci pensare di trascurare l'argomento.

Sappiamo con certezza che l'allenamento influisce sulla flessibilità del soggetto maggiormente della genetica.

Immaginate due gemelli, e quindi due soggetti con lo stesso patrimonio genetico, e immaginate che uno pratichi ginnastica artistica e l’altro basket: pensate che abbiano la stessa flessibilità?

Per migliorare è importante valutare il punto di partenza

Non esiste ad oggi una modalità per misurare la "flessibilità generale" di un soggetto.

La flessibilità è una capacità che identifica la libertà di movimento di una o più articolazioni, e per questo non ci basterà un solo parametro per avere un’idea dell'atleta che si ha davanti.

Sicuramente vi sarà capitato di conoscere atleti che mostrano grandi gradi di libertà di movimento degli arti inferiori a discapito di una grande rigidità della parte superiore.

Oppure, per esperienza ancora più frequente, soggetti che hanno una limitata flessibilità degli arti inferiori e un’eccessiva flessibilità del tratto lombare, condizione che spesso porta a problemi di colonna.

Come misurare la flessibilità?

Essendo una capacità che è "articolazione dipendente", per ogni articolazione o gruppo di articolazioni è previsto un test differente.

Naturalmente, saranno comparabili solo i test che vengono effettuati sulla stessa articolazione con la medesima misurazione.

Parlo di medesima misurazione, perché abbiamo la possibilità di misurare la flessibilità in due modi: i gradi angolari oppure le misure lineari.

Vi faccio un esempio

Per misurare la flessione di un ginocchio possiamo usare un goniometro per rilevare i gradi della massima flessione e massima estensione, deducendone così i gradi di ROM (range of movement) dell'articolazione; per misurare la flessibilità della catena posteriore possiamo usare i centimetri lineari, che separano le punte delle dita della mano dalle punte delle dita dei piedi in un esercizio come il sit and rich (Immagine in alto).

Questa misura ha il compito di dare un parametro di flessibilità delle articolazioni interessate in quello specifico movimento.

Quindi, la prima cosa che deve fare il tecnico è identificare quali articolazioni o gruppo di articolazioni è più intelligente monitorare, al fine della performance che dovrà esprimere l'atleta.

Non esistono ad oggi parametri che ci consentano di dire che per una disciplina sia più intelligente misurare un’articolazione piuttosto che un’altra.

Sarebbe vantaggioso capire quale articolazione misurare per ogni specifica disciplina, ma per fare questo bisognerebbe avere un gruppo di tecnici di disciplina che si impegnano a scambiarsi le informazioni necessarie ad identificarle (tecnici de ilcoach.net mi metto a disposizione se foste interessati a questa ricerca).

Molto probabilmente, l'ideale sarebbe costruire una batteria di test che possano dare una visione il più precisa possibile della flessibilità dell'atleta in analisi.

È anche per questo motivo che non esiste una standardizzazione universalmente riconosciuta del test di flessibilità più utilizzato, il sit-and-rich-test. Infatti, differenti agenzie mostrano protocolli differenti nell’esecuzione della misurazione.

Per questo, non penso che il tecnico si debba troppo soffermare su come effettuare la misurazione, meglio dedicarsi all'analisi di evoluzione del dato.

Quando misurare la flessibilità?   

Una volta identificati i test che riteniamo più utile svolgere, vi raccomando di effettuarli in condizione di riposo o dopo un leggero riscaldamento (e di usare sempre la medesima prassi).

Chiunque abbia praticato sport sa che fare lo stretching all'inizio dell'allenamento o prima della gara, permette di raggiungere range articolari impossibili da raggiungere al termine dell’allenamento o della gara.

Svolgere i test all'inizio dell'allenamento renderà sicuramente più valido il dato estrapolato.

La flessibilità è una capacità che possiede la caratteristica di variare molto velocemente, quindi ricordate che la misurazione che state svolgendo è la fotografia di quell'istante, e non rappresenta sicuramente la flessibilità di quel soggetto in un periodo di tempo lungo.

Pensate a quando un vostro atleta subisce un piccolo infortunio o quando è affaticato per via del carico di allenamento dei giorni precedenti; in questi casi si sono subite delle riduzioni di flessibilità (che chi ha fatto l'atleta conosce bene).

E quindi, quando misurarla per avere un dato utile al tecnico e alla programmazione del lavoro?

A mio avviso, la scelta di quando e come misurare la flessibilità, deve andare di pari passo a quella che è la programmazione e la periodizzazione del lavoro che avete impostato.

Ogni disciplina ha le sue caratteristiche e queste richiedono programmazioni e allenamenti molto diversi tra loro.

Per questo non mi permetto di dare delle indicazioni che potrebbero essere perfette per alcuni e sbagliate per altri.

Pensando a un’operazione di monitoraggio continuativa, potrebbe essere interessante svolgere 2/3 semplici test tutte le settimane. I test dovranno avere la caratteristica di poter essere svolti dall'atleta in maniera autonoma, cosi da non perdere tempo. Al campo si va per allenarsi, non per misurarsi continuamente. Un monitoraggio di questo genere potrebbe darci delle indicazioni continue sullo stato del nostro atleta.

Conclusioni

Per rispondere con coerenza alle domande: perché, come e quando misurare la flessibilità, dobbiamo prima fare un’operazione di monitoraggio collettivo.

Ad oggi, non abbiamo abbastanza dati per indicare delle linee guida; è compito di noi tecnici e trainer costruire un database che possa dare delle risposte a questi quesiti.

Io e la mia struttura ci mettiamo a disposizione se un gruppo di tecnici si volesse mettere in gioco per cominciare quest’avventura.

Ritengo non sia difficile grazie alle nuove tecnologie, tutto sta nel mettersi in gioco, e a far questo, chi si occupa di sport, dovrebbe essere capace!

Letture consigliate

Stretching e flessibilità. Teoria, tecnica e didattica

Maurizio Tripodi

Prof. Maurizio Tripodi

Laureato Magistrale Scienze Motorie | Professore Università Cattolica di Milano
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Filed Under: Basi dell'allenamento, Infortuni, Infortuni nella corsa, News Tagged With: flessibilità, misurazione, mobilità articolare, Stretching, test, valutazione

Distorsione laterale della caviglia dell’atleta

17 Novembre 2020 by Redazione

Meccanismo-lesionale-VA Visione Anteriore

Distorsione laterale della caviglia: una guida per gli allenatori

Scrivo questo articolo partendo da un'esperienza personale, avendo gareggiato in atletica leggera nelle specialità di salto in lungo e triplo.

Sei anni fa stavo rifinendo la preparazione che mi avrebbe portato ai campionati italiani di categoria promesse, ma una banalissima storta compromise la possibilità di partecipare.
Come è successo a me, può capitare a tutti un incidente nel corso della propria carriera sportiva.

Certi rischi purtroppo fanno parte del gioco, possono essere ridotti, ma non sono eliminabili. Il problema non è quindi ridurre a zero l'insorgenza di questi incidenti di percorso (cosa pressoché impossibile) ma piuttosto è saper reagire in maniera veloce, per riuscire ad uscirne completamente e nel minor tempo possibile.

Questo è il primo di una serie di articoli rivolti a chi lavora sul campo.

Il fisioterapista, il fisiatra e l'ortopedico sono gli specialisti a cui rivolgersi nel caso in cui ci accorgiamo che quella che volgarmente è chiamata storta, ha costituito un imprevisto che va oltre al fastidio o al dolore momentaneo.

Il problema però è che sul campo generalmente non sono presenti queste figure e l'allenatore si trova solo a dovere gestire emergenze che spesso vanno oltre alle competenze che gli spettano .

Tra l'infortunio e l'intervento dell'operatore sanitario esiste un momento in cui è molto importante cercare di non fare errori.

Per questo motivo ho pensato che fosse importante che anche l'allenatore avesse a disposizione un vademecum chiaro che desse risposte semplici ma puntuali su come agire nell'immediato;

Questo non con l'obiettivo di sostituirsi agli specialisti, ma per saper dare una primissima valutazione sulla possibile gravità di un problema, porre in essere degli interventi atti a ridurre gli esiti di un incidente e, soprattutto, evitare comportamenti che possano aggravare ulteriormente la situazione.

Se vuoi approfondire l'argomenti ti consigliamo il seguente libro: Esercizio terapeutico: fondamenti e tecniche

Valutazione immediata di distorsione della caviglia

La distorsione laterale di caviglia è la lesione muscolo-scheletrica più comune degli arti inferiori sia in persone che praticano ‘sport’ sia fra la popolazione generale.

Lo stesso evento che produce una distorsione può risolversi in pochi minuti (e permettere nei casi più fortunati di proseguire con la seduta di allenamento) fino ad arrivare, nelle peggiore delle ipotesi, ad una frattura del complesso piede caviglia che necessita lunghi periodi di stop ed interventi specialistici.

Segni e sintomi di distorsione laterale.

In ambito specialistico questi indicatori di gravità si chiamano RED FLAGS’ e ci aiutano nell'ipotizzare una possibile una frattura del complesso piede-caviglia e dovrebbero essere sempre presi in considerazione per una corretta gestione nell’immediato della problematica.

Una loro esclusione permetterà all’allenatore di atletica leggera di essere guidato verso un processo orientato alla riabilitazione del proprio atleta.

L’obiettivo principale di questo articolo è quello di fornire le principali raccomandazioni basate sull’evidenza al fine di guidare l’allenatore di atletica leggera in un ragionamento clinico per educarlo ad una valutazione immediatamente successiva ad un trauma di una distorsione laterale di caviglia ed eventualmente di fare ‘referral’, ossia inviare l’atleta in pronto soccorso o ad un professionista sanitario qualificato (ortopedico, fisiatra, fisioterapista, ecc.) per ulteriori accertamenti.

Come effettuare la valutazione?

Vi sono cinque raccomandazioni da adottare nell’immediato secondo quanto indicato da ≥ al 75% degli esperti nel settore1:

  1. Meccanismo di lesione;
  2. Storia di precedenti distorsioni laterali di caviglia e/o degli arti inferiori;
  3. Capacità di carico immediatamente dopo l’evento e durante la valutazione clinica in fase acuta;
  4. Valutazione clinica delle ossa;
  5. Valutazione clinica dei legamenti.

Altre raccomandazioni hanno ricevuto dagli esperti nel settore un consenso < 75%1 e sono:

  • Valutazione soggettiva.
  • Storia di altre lesioni e storia medica;
  • Esami strumentali.
  • Raggi X, risonanza magnetica e/o ultrasuoni;
  • Integrità legamentosa.
  • ‘Test’ del legamento talo-fibulare posteriore.

Le raccomandazioni che hanno raggiunto un consenso≥ 75%1 sono quindi quelle a cui gli esperti danno maggiore credito. Per questo ho corredato ogni raccomandazione, che ha raggiunto un consenso ≥ 75%1, con  una spiegazione teorica ed un esempio pratico.

Al termine dell’articolo vi è un una ‘check-list’, compilata sulla base dell’esempio pratico descritto di seguito, che rappresenta una procedura standardizzata utilizzabile dall’allenatore di atletica leggera a seguito di una distorsione acuta di caviglia (tabella 5).

Tabella 1. Valutazione della distorsione laterale di caviglia nell’immediato: meccanismo di lesione

Meccanismo di lesione nella distorsione laterale

Perché?

Consapevolezza delle caratteristiche meccaniche delle distorsioni laterali di caviglia e guida alla valutazione dei tessuti

Come?

Se l’atleta di atletica leggera presenta una eccessiva inversione del retro-piede o un movimento combinato di flessione plantare ed adduzione del complesso piede-caviglia

Esempio pratico

L’atleta ha una distorsione laterale di caviglia perché riferisce un improvviso cedimento verso l’esterno del complesso piede-caviglia associato ad un forte dolore in tale sede, durante un atterraggio da un ostacolo dopo un esercizio per il salto in lungo.

 


Valutare se vi sono state precedenti distorsioni laterali di caviglia e/o degli arti inferiori

Perché?

Fattore di rischio primario di recidiva ed indicativo della presenza di disfunzioni meccaniche e/o sensori-motorie irrisolte

Esempio pratico.

L’atleta ha una storia di precedente distorsione laterale di caviglia al piede sinistro (2014, documentabile con ecografia e risonanza magnetica). Inoltre ha avuto altre problematiche muscolo-scheletriche allo stesso piede quali calcificazione all’interno del retinacolo degli estensori del complesso piede-caviglia (2016, documentabile con radiografia) e sindrome di Haglund bilateralmente (2017, documentabile con radiografia).
Nessuna precedente lesione alla caviglia destra, alle ginocchia, alle anche ed al emi-bacino bilateralmente.

Capacità di carico immediatamente dopo l’evento

Perché?

Stabilire la probabilità di frattura delle ossa del complesso piede-caviglia

Come?

Utilizzando il protocollo ‘Ottawa Ankle Rules’3.

2 ipotesi:

  1. Se l’atleta di atletica leggera riferisce dolore nella ‘zona malleolare’ e se questo é accompagnato dal dolore alla palpazione distale (6 cm) dal margine posteriore del malleolo mediale o dolore alla palpazione distale (6 cm) dal margine posteriore del malleolo laterale o un’inabilità al carico per almeno 4 passi immediatamente dopo la lesione e durante la valutazione clinica, una radiografia risulta essere necessaria;
  2. Se l’atleta di atletica leggera riferisce dolore nella ‘zona del medio-piede’ e se questo è accompagnato dal dolore alla base del V° metatarso e/o dolore sull’osso navicolare o un’inabilità al carico per almeno 4 passi immediatamente dopo la lesione e durante la valutazione clinica, una radiografia risulta essere necessaria

Note: Le ‘Ottawa Ankle Rules’ sono in grado di escludere la possibilità di eventuale frattura di caviglia, più che fare diagnosi di frattura4. È consigliata l’esecuzione del ‘test’ da parte di un professionista sanitario qualificato. Ciò al fine di garantire l’accuratezza diagnostica dello stesso.

Esempio pratico:

L’atleta riferisce dolore nella ‘zona malleolare’, ma tale dolore non è accompagnato da dolore alla palpazione distale (6 cm) del margine posteriore del malleolo mediale/laterale o un’inabilità al carico per almeno 4 passi immediatamente dopo la lesione e durante la valutazione clinica. Inoltre l’atleta presenta dolore alla base del V° metatarso, ma non presenta dolore nella ‘zona del medio-piede’ (‘Ottawa Ankle Rules’).

L’atleta non necessità di recarsi in pronto soccorso per eventuale rischio di frattura di caviglia. L’atleta viene comunque portato in pronto soccorso per ulteriori accertamenti. A seguito di esame radiografico non si riscontrano fratture e viene posta diagnosi dal medico ortopedico di distorsione laterale di caviglia medio-grave con consiglio all‘utilizzo di un tutore semi-rigido per circa due settimane e stampelle per la deambulazione.

Valutazione clinica dei legamenti dopo distorsione alla caviglia

Perché?

Integrità o meno dei legamenti laterali di caviglia

Come?
  1. Esame per il legamento peroneo-astragalico anteriore. Palpazione (la replicazione del dolore noto al paziente dopo palpazione del margine anteriore dell’estremità distale del malleolo laterale indica possibile lesione del legamento) [con l’articolazione della caviglia in flessione plantare e il piede in inversione e adduzione palpare il legamento a livello della sua origine sul margine anteriore dell’estremità distale del malleolo laterale]; ‘Stress test’ (la replicazione del dolore noto al paziente dopo sollecitazione del legamento peroneo-astragalico anteriore indica possibile lesione) [l’articolazione della caviglia viene portata passivamente in flessione plantare, a cui vi si associa una inversione ed adduzione di piede]; ‘Test’ del cassetto anteriore (da effettuare 4-6 giorni dopo la lesione) (se non vi è la presenza di un solco, la probabilità di rottura completa del legamento è bassa) [‘test’ non descritto]
  2. Esame per il legamento peroneo-calcaneare. Palpazione (la replicazione del dolore noto al paziente dopo palpazione del legamento indica possibile lesione dello stesso) [il paziente è posizionato supino. Il legamento è palpabile lungo una linea orientata di circa 135° dall’estremità del malleolo laterale al bordo postero-laterale del calcagno o distalmente rispetto ai tendini peroneali]; ‘Stress test’ (replicazione del dolore noto al paziente dopo sollecitazione indica possibile lesione legamentosa) [flessione dorsale passiva di caviglia, combinata con l’inversione passiva del retro-piede]
    Note: È consigliata l’esecuzione dei ‘test’ da parte di un professionista sanitario qualificato. Ciò al fine di garantire l’accuratezza diagnostica degli stessi.
Esempio pratico:

L’atleta presenta positività alla palpazione e al ‘test’ di sollecitazione del legamento peroneo-astragalico anteriore; Gli esami del legamento peroneo-calcaneare risultano negativi.

SINTESI TEORICO/PRATICA DELLA VALUTAZIONE DELLA DISTORSIONE LATERALE DI CAVIGLIA NELL’IMMEDIATO


Meccanismo di lesione

  • Improvviso cedimento verso l’esterno del complesso piede-caviglia associato ad un forte dolore in tale sede

Storia di precedenti distorsioni laterali di caviglia e/o degli arti inferiori

  • Precedente distorsione laterale di caviglia, calcificazione all’interno del retinacolo degli estensori al piede sinistro e sindrome di Haglund bilateralmente

Capacità di carico immediatamente dopo l’evento e durante la valutazione clinica in fase acuta

  • Capacità di caricare la caviglia per almeno quattro passi immediatamente dopo la lesione e durante la valutazione clinica

Valutazione clinica delle ossa

  1. Dolore nella ‘zona malleolare’, ma nessun dolore a livello del margine posteriore del malleolo mediale/laterale.
  2. Nessun dolore nella ‘zona del medio-piede’, ma dolore alla base del V° metatarso

Valutazione clinica dei legamenti

  • Positività alla palpazione e al ‘test’ di sollecitazione del legamento peroneo-astragalico anteriore
    Note: Solo le informazioni essenziali sono state inserite nel riepilogo dell’esempio pratico.

Note sul protocollo di valutazione

Tale valutazione rappresenta uno strumento per stabilire la gravità della lesione, escludere segni e sintomi di fratture e la conseguente necessità di ulteriori accertamenti in pronto soccorso.

La valutazione clinica delle ossa e dei legamenti necessita, per essere accurata, dell’esecuzione da parte di un professionista sanitario qualificato (medico dello ‘sport’, fisioterapista, ecc.).

È bene ricordare che al momento le uniche raccomandazioni che presentano elevato grado di evidenza scientifica sono le seguenti 2:

  • ‘Ottawa Ankle Rules’. Strumento di valutazione accurato e valido, che può essere utilizzato con atleti che hanno una sospetta frattura di caviglia/piede entro una settimana dopo il trauma iniziale.
    Per evitare l’uso non necessario di radiografie, le ‘Ottawa Ankle Rules’ sono raccomandate da medici di emergenza, medici generici e/o fisioterapisti come strumento di esame fisico primario per escludere l’eventuale presenza di fratture a livello del complesso del piede/caviglia;
    l’elevata sensibilità e specificità dell’esame obiettivo mediante il ‘test’ del cassetto anteriore sono ottimizzate se la valutazione clinica è ritardata di 4-5 giorni dopo il trauma. Le lesioni legamentose di caviglia sono classificate in: grado I, leggera distorsione di caviglia; grado II, moderata distorsione di caviglia con lesione parziale del legamento perone-astragalico anteriore; grado III, grave distorsione di caviglia con rottura totale del legamento peroneo-astragalico anteriore.
  • Nei casi in cui sia presente ematoma, accompagnato da dolore alla palpazione distale del perone o un ‘test’ del cassetto anteriore positivo, è probabile una rottura del legamento perone-astragalico anteriore.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1 Delahunt E, Bleakley CM, Bossard DS, Caulfield BM, Docherty CL, Doherty C, Fourchet F, Fong DT, Hertel J, Hiller CE, Kaminski TW, McKeon PO, Refshauge KM, Remus A, Verhagen E, Vicenzino BT, Wikstrom EA, Gribble PA. Clinical assessment of acute lateral ankle sprain injuries (ROAST): 2019 consensus statement and recommendations of International Ankle Consortium. Br J Sports Med. 2018 Oct; 52(20): 1304-1310.

2 Vuurberg G, Hoorntje A, Wink LM, van der Doelen BFW., van den Bekerom MP, Dekker R, van Dijk CN, Krips R, Loogman MCM, Ridderikhof ML, Smithuis FF, Stufkens SAS, Verhagen EALM, de Bie RA, Kerkhoffs GMMJ. Diagnosis, treatment and prevention of ankle sprains: update of an evidence-based guideline. Br J Sports Med. 2018 Aug; 52(15): 956-970.

3 Stiell IG, Greenberg GH, McKnight RD, Nair RC, McDowell I, Reardon M, Stewart JP, Maloney J. Decision rules for the use of radiography in acute ankle injuries. Refinement and prospective validation. JAMA 1993 Mar; 269(9):1127-1132.

4 Beckenkamp PR, Lin CC, Macaskill P, Michaleff ZA, Maher CG, Moseley AM. Diagnostic accuracy of the Ottawa Ankle and Midfoot Rules: a systematic review with meta-analysis. Br J Sports Med 2017;51(6):504-10.

5 Esercizio terapeutico. Fondamenti e tecniche di Carolyn Kisner, Lynn Allen Colby John Borstad, edizioni Piccin-Nuova Libraria 

Michele Vignoni ilCoach Foto

Michele Vignoni

Fisioterapista | Specializzato in Orthopaedic Manipulative Phisical Therapist (PT, OMPT)
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Core stability: cos’è e come si allena

27 Marzo 2019 by Redazione

Core Stability ilCoach

Abbiamo già trattato in altri articoli di "core training", ma spesso si sente parlare di "core stability" oppure di "core strenght" .

Cominciamo a mettere un pò di ordine chiarendo cos'è la "core stability".

Core stability: cos'è e come si allena

Per Core stability si intende l'esercizio fisico che allena la stabilità della zona addomino-lombare

La definizione di core la potete trovare nell'articolo Il concetto di core

Allenare la stabilità del core, vuol dire migliorare la capacità che abbiamo di mantenere una determinata posizione della nostra zona addomino-lombare. Questa capacità ci permette di utilizzare il core come solida base d'appoggio, sul quale esercitare delle forze (ad esempio le spinte degli arti inferiori per correre), ed è naturale immaginare come migliori la nostra capacità di assorbire delle perturbazioni esterne.

Immaginate di dover lanciare un giavellotto da fermi, poi immaginate di fare la stessa cosa, ma con i piedi su una tavola da surf nel mare. Dove pensate di effetturare il lancio più lungo? naturalmente dove siete più stabili, cioè con i piedi a terra.

Cosa vuol dire stabile? è la capacità di mantenere una determinata posizione.

La stabilità del core è naturalmente e direttamente influenzata dalla forza dei muscoli interessati, ma non è detto che un muscolo forte sia stabile. Un muscolo potrebbe essere forte, ma non capace di adattare la sua contrazione in funzione del mantenimento della stabilità. Come potete facilmente intuire il sistema nervoso centrale è il regista della capacità di stabilizzare.

Quindi come possiamo allenare la stabilità del core?

La richiesta che dobbiamo sempre fare è: attenzione al rapporto tra bacino e cassa toracica, questi segmenti corporei dovranno stare fermi in una determinata posizione (solitamente la posizione neutra). Su questa posizione statica richiesta, applicheremo delle forze esterne, e il soggetto dovrà riuscire a  mantenere la posizione richiesta nonostante le perturbazioni esterne.

Quindi la caratteristica principale è quella del mantenimento di una contrazione isometrica dei muscoli del core per mantenere intatto il rapporto tra cassa toracica e bacino, questo deve essere il punto di partenza sul quale costruire il nostro esercizio di core stability.

Rispettando sempre il principio di aumento progressivo del carico, non sforzatevi a inventare gli esercizi più difficili del mondo se il vostro atleta non è ancora capace di fare le cose semplici. Troppo spesso noi allenatori ci lasciamo trascinare dalla voglia di fare sempre di più, ma in questo caso specifico meglio poco e fatto bene, che tanto e fatto male.

Gli esercizi di core stability si distinguono per essere esercizi statici o con lenti movimenti, senza sovraccarichi e come abbiamo già detto, ci aiutano a migliorare il reclutamento da parte del sistema nervoso e il controllo di questo su il nostro corpo.

Naturalmente ci sono centinaia di esercizi di core stability, dai più semplici ai più difficili, ognuno di loro mette l'accento sulla stabilità del core in una determinata direzione (ad esempio sul piano saggittale piuttosto che su quello frontale).

Di seguito alcune immagini degli esercizi base della "core stability sistemha"

 

Core stanìbility. Il ponte

Core stability. Estensioni delle gambe in quadrupedia

Core stability. Plank laterale sulle ginocchia

 

Core stability. Ponte mono-articolare

 

Core stability. Ponte laterale

Maurizio Tripodi

Prof. Maurizio Tripodi

Laureato Magistrale Scienze Motorie | Professore Università Cattolica di Milano
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Il ciclo cumulativo dell’infortunio

3 Ottobre 2018 by Redazione

Ciclo-cumulativo-infortunio-768x422

Quando sentiamo i muscoli duri e sono dolorosi al tatto, cosa è successo?

Perché ci capita spesso di avere dei muscoli o dei gruppi muscolari che sembrano costantemente contratti?

Se non siete degli sportivi ma siete dei sedentari, avete presente cosa sono queste tensioni che si creano a livello del trapezio (tra cervicale e spalle per intenderci).

Cos'è il ciclo cumulativo dell'infortunio?

Quello che porta il muscolo ad essere sempre contratto è lo stimolo che riceve dal sistema nervoso, questa sovra-stimolazione può essere dovuta da molteplici fattori, il più frequente è quello di incorrere in un infortunio di qualsiasi genere. Tutti abbiamo presente quando si prende una forte contusione, alla quale corrisponde un'infiammazione che fa contrarre involontariamente i muscoli di quella zona, al punto da rendere difficili i movimenti. Queste "contrazioni involontarie" hanno la funzione di sopperire il movimento che altri gruppi muscolari non svolgono correttamente a causa di un infortunio. Questo avviene perché il nostro sistema nervoso centrale protegge le zone infortunate, modificando il movimento del soggetto. L'esempio più semplice e quello di una caviglia slogata: la zoppia che ne deriva è un adattamento che il sistema nervoso svolge per scaricare l'arto infortunato, ne consegue che i gruppi muscolari dell'arto abile verranno richiamati ad un lavoro extra (per spiegarla molto grossolanamente )

Non solo i grandi traumi si portano dietro queste risposte del sistema nervoso, ma anche i piccoli infortuni o gli atteggiamenti posturali scorretti che mandano eccessivamente in affaticamento determinati gruppi muscolari (una scorretta seduta in ufficio ad esempio).

Il continuo reclutamento di determinate fibre muscolari porta allo spasmo del muscolo cioè al mantenimento costante di una contrazione basale eccessiva (da non confondere con il crampo), che spesso non limita i movimenti ma li modifica. Sapete bene che il muscolo è composto da parti contrattili e parti non contrattili, e che entrambe hanno caratteristiche che possono limitare la flessibilità muscolare. Un muscolo che ha un tono basale eccessivo, avrà di per sé una flessibilità ridotta, ma questo a lungo andare andrà a creare delle adesioni tra i tessuti molli del muscolo che limiteranno ancora di più la flessibilità muscolare. Queste adesioni vengono chiamate volgarmente "nodi" o "trigger point", li riconoscete perché spesso, ma non sempre, sono dolorosi se premuti dal terapista o con il foam roller.

Queste adesioni condizionano la flessibilità statica e dinamica del muscolo, portando il soggetto ad un controllo neuromuscolare alterato. Ne deriva che questo altera la relazione tensione-lunghezza del singolo muscolo e il rapporto di contrazione tra muscoli sinergici o agonisti.

Quando si è in una condizione di controllo neuromuscolare alterato, si è in una condizione di squilibrio muscolare che porta le articolazioni a lavorare fuori dalle fisiologiche libertà di movimento, predisponendoci di conseguenza ad un aumento del rischio di cadere in un nuovo infortunio.

Quindi se mi sono fatto male una volta, mi rifarò male nuovamente?

Questa è una delle domande più frequenti che mi fanno quando spiego questo argomento.

Non è matematico, ma è vero che aumentano i rischi di infortunio.  Non bisogna disperare ma continuare ad allenarsi per ridurre il rischio di imbattersi di nuovo in un infortunio. Ciò vuol dire allenarsi per ricreare un equilibrio muscolare corretto, riducendo l'attività di sovra-stimolazione da parte del sistema nervoso attraverso l'utilizzo del foam roller o di un terapista, e contestualmente attivando i muscoli inibiti dal controllo neuromuscolare alterato.

Ricreando un equilibrio muscolare corretto, mettiamo il soggetto in condizione di apprendere i gesti tecnici nel miglior modo possibile, così da ridurre la probabilità di un nuovo infortunio.

 

Cosa portare a casa:

  • non sottovalutare grandi e piccoli infortuni;
  • inibisci i muscoli sovra-stimolati;
  • attiva i muscoli inibiti;
  • allenati con gesti tecnici svolti correttamente (fondamentale!)

Bibliografia :

NASM - essentials of corrective exercise training , 2018

Phil Page, Clare C. Frank, Robert Larden - Assessment and treatment of muscle imbalance - the janda approach , 2010

Cheatham SW, Kolber MJ, Cain M, Lee M. - THE EFFECTS OF SELF-MYOFASCIAL RELEASE USING A FOAM ROLL OR ROLLER MASSAGER ON JOINT RANGE OF MOTION, MUSCLE RECOVERY, AND PERFORMANCE: A SYSTEMATIC REVIEW. Int J Sports Phys Ther. 2015 Nov;10(6):827-38.

Romero-Moraleda B, La Touche R, Lerma-Lara S, Ferrer-Peña R, Paredes V, Peinado AB, Muñoz-García D. -

Neurodynamic mobilization and foam rolling improved delayed-onset muscle soreness in a healthy adult population: a randomized controlled clinical trial.

PeerJ. 2017 Oct 13;5:e3908. doi: 10.7717/peerj.3908. eCollection 2017.

Sullivan KM, Silvey DB, Button DC, Behm DG. - Roller-massager application to the hamstrings increases sit-and-reach range of motion within five to ten seconds without performance impairments.

Int J Sports Phys Ther. 2013 Jun;8(3):228-36.

Maurizio Tripodi

Prof. Maurizio Tripodi

Laureato Magistrale Scienze Motorie | Professore Università Cattolica di Milano
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Rottura del menisco e sport

5 Gennaio 2017 by Redazione

Immgine da Wikimedia.com

Il menisco rotto è forse la lesione più diffusa al ginocchio, soprattutto negli sportivi. I menischi infatti hanno la funzione di “ammortizzatore” dei carichi che vengono applicati sull’arto inferiore e che passano attraverso le strutture del ginocchio. Se il menisco si rompe si va ad interrompere “una macchina” che fino a quel momento funzionava perfettamente. Spesso non è un menisco rotto il problema di per sé, ma le conseguenze che ne deriveranno a livello articolare. E’ fondamentale negli sportivi una corretta valutazione e un giusto trattamento, se si è alle prese con una lesione meniscale. Purtroppo, a differenza di altre zone del nostro corpo, i menischi hanno una scarsa capacità rigenerativa.

CLASSIFICAZIONE DELLE PRINCIPALI LESIONI DEL MENISCO

Una lesione al menisco può avere è principalmente due cause:

  • traumatica;
  • degenerativa

Tra i professionisti e gli amatori dello sport la causa che principalmente porta alla lesione meniscale è chiaramente la causa traumatica. Le sollecitazioni che vengono trasmesse al ginocchio durante i gesti sportivi, possono operare la barriera della resistenza della cartilagine meniscale e portare alla lesione.

Le lesioni degenerative sono invece legate a movimenti che si compiono nella vita quotidiana con sollecitazioni date su menischi non più perfettamente in salute, che magari con l’avanzare dell’età non ha più quelle caratteristiche elastiche e di resistenza che aveva negli anni precedenti.

 

COSA CAUSA LA LESIONE DEL MENISCO?

Di solito le lesione di natura traumatica si verifica per movimenti torsionali innaturali del ginocchio. Nel caso in cui il trauma si verifica nel momento in cui l’articolazione sta ruotando verso l’esterno, il rischio è quello di andare a lesionare il menisco mediale. In altri casi, la rottura del menisco può succedere per colpa di alcuni movimenti di iperestensione.  Spesso quando la lesione è di natura traumatica si possono associare altre lesioni a strutture anatomiche del ginocchio (es. i legamenti crociati e/o i legamenti collaterali). In altri casi, invece, la causa è di natura degenerativa, come nelle persone anziane, che accusano il menisco rotto dopo dei movimenti all’apparenza davvero banali e abituali.

 

QUALI SONO I PRINCIPALI SINTOMI DI UN MENISCO ROTTO?

Il sintomo più spesso associato alle lesioni del menisco è il dolore, a cui spesso si accompagna un versamento articolare con gonfiore, che si vede ad occhio nudo sul ginocchio. In alcuni casi, si può vere ,invece, un vero e proprio blocco articolare, che impedirà i movimenti di flesso-estensione dell’articolazione . Il dolore diventa più intenso esattamente nella posizione che ha causato la lesione stessa. Di solito, il paziente non riesce a estendere o a flettere del tutto l’articolazione, così come nota una sorta di scricchiolio dell’articolazione insieme ad una sensazione dolorosa, a cui si associa una infiammazione della membrana sinoviale con formazione di liquido sinoviale ce provocherà gonfiore e tumefazione.

 

COME VIENE ESEGUITA LA DIAGNOSI?

Un diagnosi di menisco rotto viene posta inizialmente a livello clinico, dallo specialista ortopedico, che valuterà l’articolazione dato che il medico andrà alla ricerca dei vari sintomi descritti in precedenza.

Per la diagnosi di certezza bisognerà poi sottoporsi a degli esami strumentali, di cui il principale esame per la diagnosi è la risonanza magnetica nucleare. Esami come la radiografia del ginocchio, sono inutili al fine della diagnosi, così come invece una TAC può essere utile (ma meno della risonanza magnetica) in caso vi siano dubbi di lesioni ossee associate non chiarite in precedenza.

 

MENISCO ROTTO E SPORT: COME AGIRE?

Se la diagnosi di certezza è stata fatta e siete degli sportivi, quello che molto si chiedono è: che fare adesso? Soprattutto se si è sportivi, a qualsiasi livello.

Cominciamo col dire che la soluzione definitiva di solito è la meniscectomia selettiva in artroscopia, cioè l’asportazione selettiva del frammento rotto. In alcuni casi selezionati, e per lo più nei giovani, si può provare la sutura meniscale (casi particolari tipo lesioni a tutto spessore del menisco).

In realtà una lesione al menisco non vuol dire per forza intervento chirurgico. È  molto importante capire la sintomatologia residua provocata dalla lesione una volta terminata la fase acuta. Se, una volta passata l’infiammazione, non si hanno blocchi articolari, non si hanno dolori e i fastidi provocati sono minimi, il menisco rotto non va operato! E’ tranquillamente possibile conviverci e “gestirlo” evitando magari delle ipersollecitazioni sul ginocchio. Questo vale per le persone comuni e gli sportivi saltuari\amatoriali.

Diverso appare il discorso nello sportivo, soprattutto agonista\professionista: le sollecitazioni continue ed estreme a cui si sottopone il ginocchio nella maggiorparte degli sport,  sono mal compatibili con una lesione meniscale seppur piccola. La situazione può essere gestibile con le opportune cure (fisioterapia) per alcuni periodi (es: evitare l’intervento per qualche settimana\mese per poter partecipare a competizioni particolarmente importanti o per cui ci si è preparati a lungo). Non è pensabile però evitare l’intervento, soprattutto se si ha una carriera sportiva davanti e\o si ha intenzione di fare attività agonistica per diversi anni ancora.

L’intervento di meniscectomia selettiva artroscopia è un intervento veloce e sicuro, eseguito in day hospital, che permette di riprendere una normale attività sociale dopo qualche giorno, e negli sportivi, di solito è possibile tornare ad allenarsi attivamente dopo circa 30 giorni.

 

A cura del Dott. Michele Massaro

Specialista in Ortopedia e Traumatologia

www.protesiginocchioanca.com

Responsabile scientifico di www.blog gerbone.com

 

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Filed Under: Infortuni Tagged With: menisco, menisco e corsa, menisco e sport, menisco rotto, ortopedia, rottura menisco

Periostite da sovraccarico per sport ad impatto: come prevenirla e curarla

6 Dicembre 2016 by Redazione

periostite tibiale

EZIOLOGIA E MECCANISMO DI LESIONE NELLA MEDIAL TIBIAL STRESS SYNDROME (PERIOSTITE)

La “Medial Tibial Stress Syndrome” (conosciuta come periostite tibiale o shin splint) è una debilitante patologia da sovraccarico della tibia sostenuta da atleti che effettuano attività da impatto (running, salti, calciatori ecc…). E’ caratterizzata una periostite sottocutanea antero-mediale o postero-mediale della tibia , più frequente vicino alla giunzione tra il terzo medio e distale della tibia o semplicemente nel terzo distale.

FATICA DELLA PARTE CORTICALE DELL’OSSO

Nella MTSS sono presenti  nella maggioranza dei casi delle microfratture dell’osso corticale associato con la periostite. L’osso corticale sottoposto a carichi ciclici fallisce nel contrastare sia le forze in tensione che quelle in compressione, con il risultato che si vengono a formare dei micro-crack tibiali dovuti alla mancanza di adattamento al carico imposto. Ad ogni modo questi “crack” microscopici non si estendono eccessivamente, così che si arrestano (nella MTSS) prima che ci sia un a frattura macroscopica.

CAUSE DELLA MTSS

L’origine su tibia e perone del muscolo Soleo è largamente responsabile di questa lesione. Anche il muscolo Flessore lungo delle dita e il Tibiale posteriore possono portare a questa sindrome. Ciò che causano è di fatto una periostite longitudinale da trazione. La tensione sviluppata dalle fibre che uniscono il complesso muscolo-tendineo all’osso corticale  possono causare una irritazione del periostio.

 

Da qui la necessità di dividere in tre categorie la problematica:

TIPO 1:  dolore tibiale distale che può risultare in periostite o edema sulla superficie antero-mediale del terzo medio-distale della tibia dovuto a microtrauma (microcrack) dell’osso corticale. Questo viene causato dal formarsi di un momento flessorio alla tibia dato dalla contrazione dei muscoli Gastrocnemio e Soleo causanti un bending anteriore durante la fase del push-off del running.

TIPO 2: Dolore lineare posteromediale, causato dalla forte fascia profonda dei muscoli posteriori del polpaccio che si attaccano linearmente al bordo posteromediale della tibia. Quindi è una problematica da tensione all’attacco della fascia profonda posteriore al margine postero-mediale della tibia.

TIPO 3: Una combinazione del tipo 1 e 2, frequente nei runner di media e lunga distanza o nell’osso giovane immaturo dove la crescita non è ancora completa.

 

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 1: A) Visione anteriore e mediale della tibia, con il largo inserto ad indicare l’inserzione della fascia profonda. B) Sezione assiale tibiale illustrante i quattro compartimenti con le coperture fasciali

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 1: A) Visione anteriore e mediale della tibia, con il largo inserto ad indicare l’inserzione della fascia profonda. B) Sezione assiale tibiale illustrante i quattro compartimenti con le coperture fasciali

PERIOSTITE O MICROTRAUMA DELLA CORTICALE, QUALE VIENE PRIMA?

Non è ancora chiaro se sono i microtraumi dell’osso corticale a causare una reazione dell’osso (periostite) o se, al contrario, è la periostite che se protratta porta poi a microtraumi della corticale.

Nel secondo caso l’eccessiva o ripetuta trazione dei muscoli attraverso  le fibre di Sharpey  risultano poi in periostite tibiale, la quale potrebbe portare poi con l’andare del tempo a microtraumi corticali così come potrebbe anche fermarsi a periostite. Una cosa è certa, l’edema del periostio è stata osservata prima del formarsi dei microcracks tibiali.

Nella prima teoria è postulato invece che microcracks corticali avvengano per prima come risposta ad un eccessivo training da impatto, affermandoli quindi come precursori della periostite.

RADIOGRAFIA E RISONANZA MAGNETICA

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 2: Immagine RMN pesata in T2 illustrante una linea longitudinale di edema periostale sulla corticale mediale, consistente con la regione del dolore

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 2: Immagine RMN pesata in T2 illustrante una linea longitudinale di edema periostale sulla corticale mediale, consistente con la regione del dolore

L’esame radiografico non mostra alcun segno visibile fino alla 3-4’ settimana, da qui il ruolo predominante della risonanza magnetica quale indagine diagnostica di prima scelta per la valutazione della MTSS.

La stadiazione  si differenzia sia per il sito reattivo (diafisi prossimale, media o distale) che per la gravità, riconoscendone quattro livelli: i gradi 1 e 2 sono una reazione tibiale diffusa (MTSS) mentre i gradi 3 e 4 rappresentano le reazione più localizzate  (fratture da stress). Il complesso di tipo 4 si differenzia ulteriormente in 4a (frattura corticale parziale) e 4b (frattura corticale totale).

ESAME FISICO

Il maggior disagio del paziente è la presenza di dolore diffuso lungo il terzo medio-distale della tibia associato con l’attività. Nelle fasi iniziali del problema il dolore è peggiore all’inizio dell’esercizio e gradualmente diminuisce durante l’allenamento o entro pochi minuti dal termine dello stesso. Col progredire del problema vi è tuttavia una tendenza ad avvertire dolore con esercizi leggeri e potrebbe presentarsi anche a riposo

Errori di allenamento sembrano essere i fattori maggiormente coinvolti nello sviluppo della MTSS, specialmente quando l’atleta fa “TROPPO o troppo in fretta”, come quando vi è un recente incremento dell’attività, intensità o durata, ma anche quando si predilige o si è costretti a correre su superfici rigide o neve. Atleti con una storia passata di infortuni agli arti inferiori sono più a rischio di incorrere in questo disturbo.

E’ bene ricordare che le donne sono più soggette a un peggioramento della situazione con lo sviluppo di fratture da stress. Ciò è dovuto molto probabilmente al riscontro dell’alta incidenza di ridotta densità ossea e osteoporosi, specialmente nelle donne con amenorrea o disordini alimentari.

La combinazione di errori di allenamento con anormalità meccaniche sono quindi i maggiori fattori di rischio per lo sviluppo della MTSS.

La rima mediale della tibia (origine del Tibiale posteriore e del Soleo) è spesso dolorosa alla palpazione, specialmente al terzo medio-distale della tibia. E’ bene escludere in principio problematiche di carattere neuro-vascolare.

La MTSS è frequentemente associata ad anormalità biomeccaniche degli arti inferiori: ad esempio la presenza di ginocchio varo/ valgo, torsione tibiale, antiversione femorale, anormalità dell’arco plantare e dismetria.

Nell’esame fisico bisogna altresì valutare la mobilità della caviglia e della articolazione sottoastragalica: l’iperpronazione della sottoastragalica sembra essere il più comune fattore di rischio.

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 3: Iperpronazioone dell’articolazione sottoastragalica

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 3: Iperpronazioone dell’articolazione sottoastragalica

 

Squilibri muscolari e poca flessibilità, specialmente a carico del tricipite surale, sono piuttosto comuni. Può però verificarsi anche che una debolezza degli stessi li renderebbe più soggetti a fenomeni di fatica, con successiva alterazione nella biomeccanica della corsa e stress a livello tibiale. Va ricercata oltre al resto anche la poca flessibilità degli ischiocrurali e del quadricipite.

La debolezza dei muscoli del CORE è un importantissimo fattore di rischio per le lesioni agli arti inferiori. La forza nei muscoli pelvici e delle anche è di fondamentale importanza nel mantenere il giusto controllo e meccanica tra il complesso lombo-pelvico e le gambe.

La stabilità lombare e delle anche è fondamentale; di seguito un piccolo esempio dell’esecuzione del ponte in bipodalica dove il bacino deve mantenersi livellato

 

 

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 4: Ponte in bi podalica per il rinforzo dei muscoli glutei

Periostite. Come prevenirla e curarla. Figura 4: Ponte in bi podalica per il rinforzo dei muscoli glutei

Gli infortuni agli arti inferiori sono associati ad anormalità strutturali o funzionali in qualsiasi parte della catena cinetica, anche lontano dal sito di lesione. Così disfunzioni dell’ articolazione sacroiliaca, della colonna o della pelvi possono contribuire allo sviluppo dei sintomi. L’acronimo  “TART” (Tenderness, Asymmetry, Restricted motion, and Tissue texture abnormality) ci aiuta in questo caso nel ricordarci cosa cercare lungo l’intera catena cinetica quale possibile fattore contribuente o provocante il disturbo del paziente.

L’esame della scarpa dell’atleta potrebbe rivelare la parte più consumata della stessa, in linea con una discrepanza nella lunghezza degli arti inferiori o con altre anormalità biomeccaniche funzionali.

E’ utile infine valutare correttamente la meccanica della corsa per vedere se vi sono grossolane alterazioni di movimento.

TRATTAMENTO

Fase acuta – Ghiaccio e riposo

Molti sostengono l’importanza del riposo nelle fasi acute del problema; ad ogni modo un periodo prolungato di riposo non è sempre la scelta ideale e altre terapie sono indicate per favorire un ritorno più veloce dell’atleta alla sua attività. Da qui l’importanza del riposo relativo con l’utilizzo di altri mezzi di allenamento (nuoto e bici ad esempio). La crioterapia viene utilizzata nelle fasi acute del problema: il ghiaccio può essere applicato sulla zona dolente direttamente dopo l’esercizio per 15-20 minuti.

Terapie come ultrasuoni, mobilizzazione dei tessuti molli, stimolazione elettrica,  potrebbero far parte di questo primo periodo riabilitativo.

Fase subacuta

In questo periodo occorre  modificare la routine dell’allenamento e far fronte alle anormalità biomeccaniche. Già SOLO RIDURERE LA FREQUENZA  E L’INTENSITA’ DEL CHILOMETRAGGIO SETTIMANELE DEL 50 % può essere un valido strumento da adottare in questi casi

Occorre chiedere all’atleta di evitare la corsa su superfici troppo dure o instabili, prediligendo la corsa su superfici più ammortizzanti.

Durante questa fase l’atleta potrebbe beneficiare del cross training  con altra attività a basso impatto (corsa in piscina, nuoto, cyclette ecc..). Dopo la risoluzione dei sintomi è possibile incrementare molto gradualmente  il carico di allenamento (durata e/o intensità) e aggiungere esercitazioni sport-specifiche (salti, pliometriche, eccentriche) evitando ovviamente qualsiasi riproduzione del dolore.

TRATTAMENTO ED ESERCIZI

RINFORZO e STRETCHING DEL POLPACCIO: un programma di stretching e rinforzo della muscolatura del tricipite surale può prevenire fenomeni di fatica. E’ altresì importante il rinforzo del tibiale anteriore.

Periostite. Come prevenirla e curarla Figura 5: Rinforzo in eccentrica del polpaccio e stretching

Periostite. Come prevenirla e curarla Figura 5: Rinforzo in eccentrica del polpaccio e stretching

I pazienti possono beneficiare dal rinforzo della muscolatura del CORE e delle anche. Sviluppare addominali forti e glutei migliora la meccanica di corsa e previene gli infortuni agli arti inferiori.

LE SCARPE

L’utilizzo di scarpe adeguate può ridurre l’incidenza di MTSS. Gli atleti dovrebbero guardare le scarpe con suole e intersuola sufficientemente shock-absorbing, riducendo così le forze trasmesse lungo l’arto inferiore  e l’incidenza di MTSS. E’ bene inoltre alternare diversi tipi di scarpe, così come cambiare scarpe quando hanno raggiunto circa 600-700 km, una distaza alla quale la scarpa ha perso il suo potere ammortizzante e supporto  anche del 40%.

ORTESI

Individui con problemi biomeccanici del piede potrebbero beneficiare di un ortesi; ad esempio in caso di eccessiva pronazione, piede piatto, malallineamenti casuati da anormalità dell’avampiede o del retropiede si può trovare giovamento dall’utilizzo dei plantari.

TERAPIA MANUALE

Il trattamento per la MTSS deve includere la correzione delle disfunzioni dell’intera catena cinetica: colonna, sacroiliaca, bacino e squilibri muscolari. Lo scopo principale è ristabilire un pieno ROM, riequilibrare la simmetria e l’equilibrio muscolare agonisti-antagonisti, sciogliere tessuti molli troppo tesi, ristabilendo la massima funzionalità del sistema neuro-muscolo-scheletrico

TRAINING PROPRIOCETTIVO

L’allenamento propriocettivo di equilibrio è cruciale nella rieducazione neuromuscolare. Questo può essere raggiunto con esercizi in carico monopodalico su superfici instabili. Il miglioramento propriocettivo incrementa l’efficienza delle articolazioni e dei muscoli posturali stabilizzanti e aiuta il corpo a reagire alle incongruità del terreno, prevenendo così una ricaduta del problema.

FATTORI INTRINSECI

Bisogna verificare certi fattori di rischio intrinseci della persona, specialmente con le ragazze atlete, includendo in essi anormalità nutrizionali e ormonali. Una richiesta di Calcio (range variabile tra 1000 - 2000 mg giornalieri) e vitamina D sono essenziali per la forza dell’osso.

Altri potenziali trattamenti

Terapie con onde d’urto

Le onde d’urto vengono utilizzate per trattare varie tendinopatie degli arti inferiori. E’ da verificare tuttavia la reale efficacia delle stesse.

Iniezioni 

Le iniezioni di cortisone sono ancora utilizzate per trattare certe condizioni dolorose dell’arto inferiore; rimane tuttavia sempre elevata la potenzialità distruttiva dello stesso sul tessuto connettivo. Ultimamente sta prendendo piede la tecnica del dry needling (molto valida) e  l’utilizzo dei PRP per stimolare la guarigione locale. Rimane tuttavia da valutare la reale utilità di questo tipo di terapie.

Agopuntura

Solamente uno studio ha identificato benefici per la MTSS tramite l’utilizzo dell’agopuntura. Rimane quindi dubbia la sua adeguatezza per tale tipo di problematica.

L’efficacia delle onde d’urto, iniezioni e agopuntura rimane di conseguenza non ancora del tutto chiara, soprattutto per la presenza di risultati contrastanti e di una ricerca insufficiente.

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Matteo Pinelli

Fisioterapista
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Filed Under: Infortuni Tagged With: cura, eziologia, infortuni, lesioni, Medial Tibial Stress Syndrome, periostite tibiale, prevenzione, shin splint

Corse ad ostacoli: la prevenzione degli infortuni

11 Ottobre 2016 by Redazione

Martina hs nave

In questo articolo pubblichiamo la Tesi di Laurea in Scienze Motorie di Michela Pellanda, ostacolista dell'Atletica Brescia 1950, specializzata nei 400hs.

Ecco la sua Tesi di Laurea da titolo :

"LA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI NELLE DISCIPLINE AD OSTACOLI DELL’ATLETICA LEGGERA"

Vista la lunghezza della tesi, è stato inserito un indice con i nomi dei capitoli, ogni capitolo presenta un link che rimanda al contenuto specifico. Buona lettura e buono studio!!!

Introduzione

Le corse ad ostacoli dell’atletica leggera

Analisi biomeccanica della corsa e del passaggio dell’ostacolo

Infortuni ed ostacoli

Prevenzione degli infortuni

Conclusioni ed indicazioni pratiche per l'allenamento

Bibliografia

Ringraziamenti

 

INTRODUZIONE

Prevenire significa ridurre il più possibile il rischio di infortunio mantenendo alta la performance dell’atleta.

Per prima cosa quindi bisogna analizzare la prestazione dell’atleta, analizzando il gesto (o i gesti) atletico che compie durante le sedute di allenamento e in gara.

All’interno di questa analisi non dobbiamo tralasciare la frequenza (numero di sedute a settimana/mensili) e la varietà degli allenamenti (seduta di pesi, sedute di corsa, sedute di tecnica di ostacoli, ecc.) il luogo dove l’atleta si allena e le tipologie del terreno (pista, asfalto, erba, sintetico, ecc.).

Tutte le discipline dell’atletica leggera sono classificate come sport di non contatto, non solo per il fatto che la maggior parte delle gare si svolge in corsia, ma anche perché i contatti vengono sanzionati con la squalifica dalla competizione. Diversamente nelle corse ad ostacoli possiamo avere infortuni da contatto con gli ostacoli, così come quelli da contatto apparente (con il terreno per esempio dalla discesa dall’ostacolo), da sovrallenamento, da cattivo allenamento e infine quelli da non contatto.

Le tipologie di infortunio da non contatto, da sovrallenamento, da cattivo allenamento e in parte anche quelli da contatto apparente, fanno parte di una categoria di infortuni, dove è maggiormente possibile operare per ridurli. La conoscenza quindi del gesto tecnico, e soprattutto delle varietà di infortuni che possono colpire l’atleta in una particolare disciplina (epidemiologia), può aiutare a prevenirli.

Un altro dato da analizzare per la prevenzione è senza dubbio lo stato di salute dell’atleta. Infatti ci possono essere malformazioni, squilibri muscolari, fragilità di alcuni muscoli o tendini che non devono assolutamente essere sottovalutati, così come gli eventuali dolori (campanelli d’allarme) che l’atleta avverte durante l’allenamento. La valutazione dello stato di salute dell’atleta si compone di test da campo e da laboratorio essenziali per l’allenatore, in quanto deve andare a “costruire la performance” partendo dall’atleta che gli si pone davanti e allo stesso tempo monitorare eventuali miglioramenti o peggioramenti dovuto all’allenamento stesso.

La gara per un atleta rappresenta il lavoro di una vita, in pochi secondi si giocano anni di sacrifici e dedizione e, analizzandola dal punto di vista scientifico, possiamo paragonarla alla punta di un iceberg.

Tutto quello che sta al di sotto è assolutamente da scoprire e da far funzionare, se si vogliono raggiungere i massimi risultati umanamente possibili per l’atleta, analizzando i vari fattori che danno vita alla sua realizzazione.

Lo scopo del mio scritto è quello di integrare la prevenzione degli infortuni con l’allenamento stesso: vorrei sottolineare il fatto che l’obiettivo primario per un atleta rimane quello di ottenere il massimo della prestazione, così come quello della prevenzione. Non possiamo eliminare parti dell’allenamento o ridurre le gare solo per la salute dell’atleta, ma possiamo, tramite lo studio e la pratica, costruire un modello di allenamento adattabile ad ogni atleta.

 

CAP. 1: LE CORSE AD OSTACOLI NELL’ATLETICA LEGGERA

1.1 Modello prestativo delle gare ad ostacoli

Nell’atletica leggera le gare inferiori ai 100mt vengono considerate gare di potenza, mentre quelle che vanno dai 100mt ai 400mt, considerando anche le corse ad ostacoli (hs), si classificano come gare di velocità. Il loro impegno è di tipo anaerobico, in quanto la loro durata varia dai 10 ai 60 secondi.

Le corse ad ostacoli (100hs, 110hs e 400hs) si contraddistinguono da quelle di velocità pura in quanto la prestazione è il risultato di un compromesso fra diverse costanti come l’altezza dell’ostacolo, la distanza dell’ostacolo dalla partenza e dall’arrivo, la distanza fra gli ostacoli e il numero di questi, e fra variabili: dati antropometrici e predisposizione alla specialità da parte dell’atleta.

In tutte le gare ad ostacoli le barriere sono sempre 10, ma nelle gare veloci, a differenza di quelle del giro di pista, la ritmica (numero di passi fra gli ostacoli) è uguale per tutti gli atleti ed è di 3 passi in 9,14m per gli uomini e 8,50m per le donne. In base alle caratteristiche di ciascun atleta, sia uomini che donne, il primo ostacolo (distanza di 13,72m per gli uomini e 13,00m per le donne) può essere attaccato con 8 passi, come di consuetudine, o con 7. Questo porta l’atleta a modificare la posizione dei blocchi, portandoli più vicino alla linea di partenza, a modificare l’ampiezza del passo per questi primi metri. Per gli uomini gli ostacoli sono alti 1,067m, mentre per le donne 84cm.

I passi di gara risultano quindi 49-50 per le donne e 50-52 per gli uomini. Questo comporta un notevole limite per l’espressione della massima prestazione di ogni atleta: con la crescita fisica e prestativa l’atleta non deve mai perdere di vista questo caposaldo e l’allenamento deve vertere sul fatto che questi parametri sono inamovibili.

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 110hs

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 110hs. Tratto da officinaatletica.blogspot.it

 

 

Nei 400hs invece, il discorso è leggermente più approssimato. La ritmica è propria di ogni atleta e deve assicurargli la maggior efficienza di corsa possibile, in modo da riuscire a portare a termine la gara senza troppe difficoltà che ne compromettano la buona riuscita. Sia nella gara maschile che in quella femminile, le distanze degli ostacoli sono le stesse: dalla partenza al primo sono 45m, 35m fra le barriere e infine 40m dal decimo ostacolo all’arrivo. Gli ostacoli per le donne sono alti 76 cm contro i 91 degli uomini. Il numero dei passi è fondamentale per il mantenimento della ritmica, ma tuttavia deve essere analizzato soggettivamente per ogni atleta: la tecnica di passaggio dell’ostacolo si differenzia da quella delle gare veloci in quanto può essere meno curata nei particolari di tronco e braccia.

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 400hs

Passaggio dell’ostacolo ideale in una gara di 400hs Tratto da officinaatletica.blogspot.it.

 

 

Questo non vuol dire che non si devono fare sedute di tecnica ma, data l’altezza minore delle barriere, il suo passaggio è già più facilitato. È invece da sottolineare l’importanza del consolidamento di una corretta ritmica di gara, in modo da non far perdere troppo nel superamento degli ostacoli rispetto alla fisiologica diminuzione della prestazione in seguito all’insorgere della fatica. Ci saranno atleti con differenziali notevoli fra la distanza piana e quella con ostacoli riconducibili al fatto che la ritmica non sia ancora ben consolidata o addirittura errata; per l’eventuale progresso della prestazione è utile fare test di corsa ampia (per esempio sui 100m) in modo da trovare la ritmica consona all’atleta che si ha di fronte. Allo stesso modo ci sono ostacolisti che non riescono ad esprimersi al massimo nel giro senza barriere riducendo il differenziale anche a meno di un secondo, ma se si trovano a correre frazioni di staffetta 4x400m, conseguono parziali nettamente più bassi.

1.2 Caratteristiche dell’ostacolista

Le caratteristiche antropometriche dell’ostacolista, rispetto al velocista, incidono maggiormente in campo maschile: infatti un atleta dalle lunghe leve è avvantaggiato nella gara veloce, in cui il bacino deve superare un’altezza considerevole (1.067m). In campo femminile non ci sono particolari esigenze di altezza siccome sia nei 400hs che nei 100hs sempre più atlete normotipo vincono medaglie o ottengono ottime prestazioni a livello mondiale.

Archiviata la prima parte di “genetica” passiamo alle qualità fisiche che incidono maggiormente sulla prestazione di alto livello: ovviamente tutti possono praticare atletica leggera e quindi dedicarsi alle competizioni con ostacoli, ma ci saranno alcuni soggetti che, grazie all’allenamento e alle proprie caratteristiche fisiche, primeggeranno su altri. Una delle capacità fondamentali è sicuramente la coordinazione: una buona coordinazione generale favorisce l’apprendimento delle tecnica di passaggio degli ostacoli e lo sviluppo futuro della stessa. Oltre alla coordinazione, la mobilità articolare è sicuramente un fattore da non tralasciare: si “costruisce” già in giovane età ed è indispensabile per qualsiasi disciplina dell’atletica leggera. Un buon ostacolista deve essere innanzitutto un buon velocista: deve avere buona velocità di base, buona capacità di reazione e rapidità nell’esecuzione dei gesti. Per i 400isti ad ostacoli sono indispensabili sia l’orientamento spazio-temporale (la ritmica, oltre a variare da soggetto a soggetto, può cambiare anche in base alle condizioni climatiche o ad eventi casuali come la caduta di un vicino di corsia, ecc.) e la modulazione dinamica della propria condizione fisica, frequenza ed ampiezza passo in funzione della propria ritmica. Importanti, inoltre, sono le componenti piscologiche anche in funzione di un futuro recupero da un infortunio o da un evento accidentale durante la gara.

 

1.3 Programmazione di una stagione agonistica dell’ostacolista

Proviamo ad analizzare un’intera stagione agonistica per avere un quadro generale di cosa affronta l’atleta annualmente. In atletica leggera i periodi agonistici sono due: quello invernale che dura circa due mesi (gennaio e febbraio, tranne per le gare campestri/strada che iniziano a dicembre e potrebbero protrarsi fino a marzo) e quello estivo che vede gli appuntamenti clou in luglio-agosto con meeting anche a settembre. Nonostante ci siano campionati del mondo ed europei anche indoor, la parte più importante della stagione rimane quella outdoor. Da fine aprile a circa metà agosto le occasioni per gareggiare non mancano di certo: l’allenatore, collaborando con l’atleta, si preoccupa di stendere un programma delle competizioni personalizzato, incentrato sugli avvenimenti importanti (campionati italiani e internazionali). L’articolazione dei periodi annuali degli allenamenti viene chiamata periodizzazione dell’allenamento ed è organizzata in cicli. Questo avviene perché per ogni atleta è difficile mantenere il miglior stato di forma psico-fisico per più di qualche settimana, dunque, per questa ragione i cambiamenti della forma sportiva (costruzione, mantenimento o perdita di essa) sono soggetti a variazioni temporali cicliche. Un ciclo di allenamento viene dunque suddiviso in:

  • Periodo di preparazione: questo periodo iniziale si articola in due fasi, il cui obiettivo comune è quello di preparare l’atleta alla stagione che lo aspetta. Nella prima fase spicca la preparazione generale, dove le esercitazioni sono volte a “costruire” organicamente l’atleta, formando anche i presupposti psichici e motivazionali dello stesso. La seconda fase viene chiamata “precompetitiva”, durante la quale aumentano le esercitazioni a carattere specifico per consentire all’atleta di orientarsi verso l’imminente periodo competitivo. Negli sportivi di alto livello invece il volume e l’intensità del carico sono pressoché costanti per entrambe le fasi, in quanto il loro livello iniziale di preparazione è già di per sé molto alto.

Solitamente il periodo di preparazione coincide con quello invernale, l’atleta dunque affronta volumi di lavoro elevati (che si differenziano sia per il centista e il quattrocentista) diminuendo l’intensità di percorrenza delle prove stesse rispetto ai propri limiti personali. Inoltre si incrementano gli allenamenti e le sedute di pesi: in una programmazione corretta l’atleta anno dopo anno dovrebbe affrontare carichi crescenti, in modo da far crescere con essi anche la performance stessa. In età giovanile, fino ai 18 anni, è essenziale la gradualità della programmazione stessa; capita che ci siano ragazzi/e biologicamente avanti rispetto ai coetanei: questo non deve far cadere l’allenatore nell’errore di somministrare loro carichi inappropriati. Durante questo periodo l’atleta non abbandona gli ostacoli e affronta sedute di tecnica per perfezionarsi. Nella fase precompetitiva invece l’ostacolista veloce può iniziare a introdurre sedute di ritmica di ostacoli proiettandosi sui 60hs indoor.

  • Periodo agonistico: questo è il periodo fondamentale per l’atleta nel quale può raggiungere gli obiettivi prestabiliti. I carichi che il soggetto può sostenere dipendono dalle proprie capacità individuali e attraverso un’adeguata scelta delle competizioni permettono all’atleta di arrivare alla gara clou preparato sia fisicamente che psicologicamente. In questo periodo è importante l’approccio mentale in una disciplina come gli ostacoli, dove c’è poco spazio per l’improvvisazione. I lavori di corsa diventano più qualitativi che quantitativi e di grande importanza sono gli allenamenti di ritmica di corsa, cercando di avvicinarsi sempre di più al clima della competizione (o competizioni) che l’atleta dovrà affrontare: eventuali doppi o tripli turni per i campionati internazionali o nazionali. Le sedute di forza con i pesi sono ridotte e tramutate in seduta di forza speciale.[su_spacer size="10"]
  • Periodo di transizione: questo periodo è caratterizzato dalla fisiologica perdita dello stato di forma che consegue il periodo di gara, dunque volume e intensità del carico diminuiscono per permettere all’atleta di recuperare fisicamente e psicologicamente. Questa fase è considerata comunque di recupero attivo, in modo da evitare che i parametri della prestazione diminuiscano eccessivamente. Se pensiamo al periodo post-indoor possiamo classificarlo come periodo di transizione che può durare dalle due alle tre settimane, in base all’intensità della stagione al coperto, per introdurre l’atleta al successivo periodo di preparazione per la stagione outdoor.

L’allenatore può decidere di compiere per l’atleta una periodizzazione semplice, escludendo ad esempio le gare della stagione indoor, o di disporre una doppia periodizzazione. In questo caso il periodo di preparazione iniziato in autunno finirà a gennaio in occasione dell’esordio indoor e il periodo agonistico si concluderà nel mese successivo. I mesi da marzo ad aprile/maggio saranno utilizzati sia come periodo di transizione che come ri-preparazione per la stagione outdoor.

 

CAP. 2: ANALISI BIOMECCANICA DELLA CORSA E DEL PASSAGGIO DELL’OSTACOLO

2.1 Biomeccanica di corsa

Analizzare la biomeccanica di corsa è fondamentale per capire come e perché accadono determinati infortuni. Pensiamo alla corsa come ad un ciclo produttivo di una fabbrica: conoscendo ogni parte ed ogni funzione ad essa delegata, ricostruendone il meccanismo, potremmo intervenire minuziosamente e riconoscerne gli eventuali problemi prima che avvengano dei guasti.

La biomeccanica di corsa è diversa dalla biomeccanica del cammino. Oltretutto si differenzia in base alle velocità del soggetto: aumentando la velocità diminuisce il tempo d’appoggio del piede e superando i 7m/s (25,2 km/h) non aumenta più l’ampiezza del passo ma la frequenza degli appoggi.

Ovviamente vari fattori determinano la meccanica di corsa: l’età, il sesso, le differenti tipologie antropometriche, il tipo di calzatura, il tipo di terreno e le diverse abilità dell’individuo.

Un ciclo di corsa è compreso fra due appoggi dello stesso piede (destro-sinistro-destro per esempio): si differenzia dal ciclo di deambulazione perché non vi troviamo un doppio appoggio dei piedi e abbiamo una fase di volo. L’appoggio del piede (destro in questo esempio) si compone di tre fasi: fase di ammortizzazione che solitamente avviene con la parte posteriore del piede, a basse velocità viene appoggiato anche il tallone mentre man mano che la velocità aumenta l’appoggio è sempre più verso il mesopiede. In questa fase i muscoli che si contraggono sono il tricipite surale e il tibiale anteriore, normalmente antagonisti, ma che lavorando insieme in questa fase danno stabilità al piede. Contemporaneamente il vasto laterale, quello mediale e il retto femorale sono attivi per contrastare le forze d’impatto al suolo. La seconda fase è quella di appoggio vero e proprio, mentre l’ultima è la fase di spinta: qui il tricipite surale si contrae concentricamente per provvedere alla spinta in avanti del corpo.

 

Al momento dello stacco del piede da terra, il ginocchio viene portato all’altezza delle anche tramite la contrazione concentrica del quadricipite femorale: se il ginocchio supera i 90° di flessione dell’anca, allora interviene il muscolo ileo-psoas. In fase di discesa intervengono i flessori di gamba, guidati dal bicipite femorale, contraendosi concentricamente, diminuiscono gli angoli di flessione e preparano l’arto alla discesa; quando il piede è a terra il ginocchio non è mai completamente esteso. A questo punto il piede destro si prepara all’impatto a terra e il ciclo ricomincia. Ovviamente l’arto sinistro compie lo stesso ciclo ma precisamente alla fine della fase di spinta del piede destro, incomincia la contrazione concentrica del bicipite femorale per la discesa della gamba.

Modello ideale della corsa

Corsa ad ostacoli. Modello ideale della corsa. Tratto da "Therapeutic exercise for musculoskeletal injuries"

 

La teoria vorrebbe che il tronco fosse completamente perpendicolare al terreno ma numerosi studi hanno stabilito che un’inclinazione dai 4 ai 7°, fino agli 11° negli sprinter, è compatibile con una buona corsa. Gli arti superiori si muovono alternati agli arti inferiori: l’angolo delle spalle rispecchia quello dell’anca, così come quello del gomito è conciliabile con l’angolo del ginocchio.

 

2.2 Biomeccanica di passaggio dell’ostacolo

La corsa dell’ostacolista si scosta leggermente da quella dello sprinter puro, dal momento che l’atleta ha un numero preciso di passi da fare all’interno della propria gara e allo stesso tempo superare 10 barriere per giungere all’arrivo. La tecnica di passaggio dell’ostacolo è caratterizzata dall’attacco di “prima gamba” e al passaggio laterale di “seconda gamba”: come abbiamo già ricordato l’ostacolista veloce attaccherà sempre con la stessa gamba, destra o sinistra che sia, le barriere, mentre per il quattrocentista c’è la possibilità di alternarle.

La gamba di attacco supera l’ostacolo frontalmente: quando l’anca è flessa (punto 2) il ginocchio viene portato oltre i 90° di flessione di anca (punto 3) e qui, con la contrazione eccentrica dei flessori femorali, la gamba viene distesa sopra la barriera (punto 5 e 6) e preparata alla discesa e al conseguente impatto al suolo.

Fase attacco dell'ostacolo

Corse ad ostacoli. Fase di attacco dell’ostacolo. Tratto da "Il manuale dell’istruttore di atletica leggera"

 

 

La seconda gamba invece è flessa e rotata lateralmente per superare la barriera. Alla discesa dell’ostacolo troviamo la prima gamba a ginocchio esteso (l’unico momento in cui il ginocchio dovrebbe essere completamente esteso, punto 10) con il piede in flessione plantare (in gergo tecnico: a martello) e il bacino sopra l’appoggio: questo per sfuggire avanti e continuare la normale azione di corsa mentre il ginocchio della seconda gamba (o gamba di spinta) è tenuto alto frontalmente (punto 11).

Fase di valicamento e discesa ostacolo

Corse ad ostacoli. Fase di valicamento e discesa dall’ostacolo. Tratto da Il manuale dell’istruttore di atletica leggera

 

 

In fase di attacco il busto è leggermente flesso in avanti per “chiudersi” sopra l’ostacolo e gli arti superiori, come nella corsa, compensano i segmenti inferiori.

Nei 400hs non c’è un’esasperazione particolare per la perfezione della tecnica di passaggio: infatti sia uomini che donne eseguono semplicemente un “passo più lungo” al momento dell’attacco; il loro obiettivo è quello di perdere il meno possibile a livello di decimi, talvolta centesimi. L’altezza delle barriere consente quindi di scivolare via senza modificare eccessivamente il passo di corsa, per questo anche la flessione del busto non è poi così marcata. Di determinante attenzione invece sono i particolari per quanto riguarda gli ostacolisti veloci: il baricentro nei 110hs deve superare ben 10 volte un’altezza di 106,7 centimetri. Questo comporta una rapidità di esecuzione dei gesti di valicamento delle barriere: il busto è più flesso per facilitare la discesa della prima gamba e il corrispondente avanzamento delle anche, per riprendere l’azione di corsa nei 9,14 metri successivi.

Vedi anche:

Ostacoli: salto o corsa? 

Ostacoli: tecnica di passaggio

 

CAP. 3: INFORTUNI E CORSA AD OSTACOLI

3.1 Classificazione degli infortuni

Cosa intendiamo col termine “infortunio”?

Cosa rappresenta un infortunio per un atleta, sia di alto che basso livello?

Un infortunio indica l’impossibilità di concludere la competizione o l’allenamento, al massimo delle potenzialità psico-fisiche proprie dell’atleta in quella circostanza. Guardando qualsiasi disciplina sportiva, possiamo accorgerci che in determinate situazione è impossibile prevenire questi traumi, basti pensare ad un contatto fra giocatori di rugby o calcio. D’altra parte è ugualmente possibile prevenirne altri, legati all’inadeguatezza dell’abbigliamento sportivo, del terreno o delle strutture dove allenarsi/competere, ad una metodica di allenamento insufficiente o scorretta o ad un esecuzione imperfetta del gesto atletico che a lungo andare danneggia le configurazioni umane.

Le cosiddette “lesioni da sport” sono divisibili i in due categorie:

  • forme traumatiche acute: avvengono per un trauma unico di una certa violenza (lesioni muscolari, lussazioni o sublussazioni articolari, fratture ossee e lesioni capsulo-legamentose);
  • da sovraccarico funzionale: indicano patologie croniche che, a lungo andare, logorano i tessuti provocando microtraumi propri di un gesto tecnico sportivo; In questo gruppo troviamo tendinopatie e fratture da stress, sempre più un problema per gli atleti professionisti.

Per quanto riguarda l’atletica leggera, ed in particolare le discipline con gli ostacoli, le lesioni traumatiche acute, ovvero dovute ad un trauma unico di una certe violenza, sono molto rare. Questo perché trattandosi di gare da svolgere in corsia, il contatto con l’avversario oltre ad essere da squalifica, è anche quasi impossibile. Le lesioni agli arti superiori, sono oltretutto rare, e la maggior parte delle volte derivanti da un trauma (caduta dall’ostacolo).

Per capire meglio quali sono le lesioni più frequenti, perché e come avvengono, ho stilato un questionario e l’ho sottoposto ad atleti di livello nazionale/internazionale di entrambi i sessi ed entrambe le discipline.

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Corse ad ostacoli. Questionario prevenzione HS

 

 

Ho potuto così studiare gli infortuni di 37 atleti: 17 atlete dei 400hs femminili, 7 atlete dei 100hs femminili, 5 atleti dei 400hs maschili e 8 dei 110hs maschili.

Una distinzione primaria va fatta per quelli che sono gli infortuni in cui l’atleta si è imbattuto durante le sedute di allenamento e quelli riscontrati nelle competizioni (sia durante il riscaldamento che durante la gara stessa).

 

3.2 Principali cause di infortunio durante le sedute di allenamento

Infortuni durante gli allenamenti

Corse ad ostacoli. Infortuni durante gli allenamenti

 

Come possiamo notare le lesioni muscolari agli arti inferiori rappresentano la maggior parte degli infortuni sofferti durante le sedute di allenamento di tutte e quattro le discipline analizzate. Questo non sorprende in quanto le lesioni muscolari sono la causa più frequente di infortunio in tutte le discipline sportive: nell’atletica leggera sono più frequenti le lesioni da trauma indiretto, che avvengo per un’eccessiva contrazione in fase di rilasciamento del muscolo o in un allungamento eccessivo in fase di rilasciamento.Per questo tipo di lesioni, intervengono molti fattori predisponenti: alcuni facilmente riscontrabili come le condizioni ambientali (freddo, umidità, terreno scivoloso) e fattori fisiologici (squilibri fra i muscoli agonisti e antagonisti, poca mobilità articolare), altri più difficili da determinare come l’insufficienza o inadeguatezza del riscaldamento e una scorrettezza nel determinare l’allenamento. Da non sottovalutare anche i fattori psicologici come lo stress da competizione o la paura di incorrere negli infortuni stessi in determinate condizioni, responsabili degli infortuni in cui l’atleta si imbatte durante la gara. Non esiste un vero e proprio “schema da seguire” per quanto riguarda queste lesioni: possono capitare all’improvviso, l’atleta può non lamentare sintomi di indolenzimento o affaticamento ai muscoli, oppure possono essere la conseguenza di un periodo di logorio muscolare che per ragioni legate al momento della stagione è stato sottovalutato.

Lesioni muscolari arti inferiori

Corse ad ostacoli. Lesioni muscolari arti inferiori

 

Le lesioni muscolari più frequenti riguardano i muscoli bicipiti femorali che intervengono sia sull’articolazione di ginocchio sia su quella di anca. La doppia funzione di flessori di gamba ed estensori di coscia crea problemi nella fase di discesa del ginocchio della corsa, quando devono passare da una contrazione concentrica, per portare il ginocchio all’altezza delle anche (o superiore se pensiamo all’azione di prima gamba che attacca l’ostacolo) ad una fase eccentrica che riporta il piede a terra. Se questo distretto muscolare non è sufficientemente riscaldato, “forte” ed abituato a questa azione rischia di lacerarsi in maniera più o meno grave.

Patologie tendinee

Corse ad ostacoli. Patologie tendinee

 

Le tendinopatie sono ormai una patologia molto frequente, a tutti i livelli di pratica sportiva. Le strutture tendinee sono adepte a collegare i muscoli alle ossa, muovendole con un’azione di leva. Sono formati da tessuto connettivo poco vascolarizzato, quindi la loro buona elasticità è offuscata da una minor resistenza alle sollecitazioni ripetute nel tempo. Le tendinopatie sono divise in due gruppi: forme acute (tendiniti) caratterizzate da un’infiammazione alla giuntura osto-tendinea, e forme croniche (tendinosi) caratterizzate da una degenerazione strutturale tendinea, che può portare alla rottura completa. Come possiamo notare i casi più frequenti riguardano il tendine d’Achille, il più robusto del corpo umano che in uno sport come l’atletica leggera, è fondamentale per qualsiasi movimento, vedendo la confluenza di muscoli come il gastrocnemio (fascio laterale e mediale) e il soleo. La sindrome retto-adduttoria, comunemente detta “pubalgia”, è oltretutto riscontrabile soprattutto negli individui maschi, e rappresenta un’infiammazione che interessa l’inserzione tendinea dei muscoli addominali e/o quella prossimale dei muscoli adduttori del pube: nei soggetti poco mobili è presente un forte squilibrio fra queste due fasce muscolari che, a lungo andare, impedisce anche la corsa leggera se non curata. Una tendinopatia può insorgere in seguito a esercitazioni di tecnica di corsa o di ostacoli dove la velocità e l’irruenza di appoggio del piede, determinante per le prestazioni atletiche, possono stressare ripetutamente la struttura. Inizialmente il dolore arriva post allenamento ed è lieve, progressivamente infastidisce l’atleta anche durante la seduta di allenamento e se non curato o monitorato a sufficienza può impedire di svolgere non solo allenamenti blandi, ma addirittura intervenire nei gesti della vita quotidiana (salire le scale). La rottura completa o incompleta può avvenire per un trauma unico o legata all’usura eccessiva. L’infiammazione del tendine del bicipite femorale può rientrare nella sindrome dei muscoli ischio-crurali, essendo che, insieme al semimembranoso e semitendinoso, fa parte dei muscoli biarticolari che originano dalla tuberosità ischiatica e quindi soggetti a più sofferenza.

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3.3 Infortuni durante l’arco della stagione 

La preparazione invernale è il periodo più lungo della stagione e soggetto a condizioni climatiche che variano a seconda del luogo dove ci si allena e dell’orario di allenamento; aumentano anche le sedute di allenamento per “costruire” la performance perciò accrescono le occasioni di infortunio. Di rilievo è anche la percentuale di infortuni subiti al rientro dalle vacanze, probabilmente troppo intensi per cercare di entrare subito in forma in vista delle ultime fatiche di settembre/ottobre. Gli infortuni del periodo agonistico potrebbero essere dovuti ad un errata pianificazione delle competizioni che esaurisce l’atleta anche dal punto di vista psicologico e quindi la possibilità di infortunio aumenta.

Correlazione tra infortuni e periodo

Corse ad ostacoli. Correlazione tra infortuni e periodo

 

 

3.4 Infortuni suddivisi in base alla seduta di allenamento

Gli infortuni riscontrati durante le sedute di corsa e di tecnica/ritmica ostacoli rappresentano la maggior parte dei casi di infortuni totali: questo dato è scontato, perché un ostacolista compie molti più allenamenti di corsa e di ostacoli che lavori di forza. Ma questi ultimi rappresentano ben il 13% quindi vuol dire che la biomeccanica di esecuzioni di alcuni gesti fondamentali come lo squat, non è conosciuta e applicata correttamente. Fondamentale diventa quindi l’analisi della postura dell’atleta per costruire un programma di pesi adatto come esercizi e carichi all’individuo che abbiamo davanti.

Correlazione tra infortuni e sedute di allenamento

Corse ad ostacoli. Correlazione tra infortuni e sedute di allenamento

 

 

3.5 Infortuni legati alle discipline

3.5.1  400hs donne

Analizzando in particolare gli infortuni più frequenti nei 400hs femminili, notiamo una percentuale consistente di traumi e contusioni ai piedi e di sofferenze della colonna vertebrale. Le cause principali sono da imputare al fatto che spesso il lavoro di tecnica di ostacoli viene messa in secondo piano, dunque la continua ripetizioni di esercizi tecnicamente non corretti comporta l’usura dei segmenti più esposti. Se l’ostacolo non è “preparato bene” l’atleta rischia di arrivare troppo sotto la barriera, attaccandola quindi in fase ascendente, portando ad una discesa pesante che colpisce prima di tutto il piede e l’abbassamento eccessivo del baricentro opera una tensione eccedente in zona lombare.

Infortuni 400hs

Corse ad ostacoli. Infortuni 400 hs donne

 

3.5.2  400hs uomini

Le patologie tendinee che più interessano gli uomini sono quelle a carico del tendine d’Achille e dei tendini della zona pubica (pubalgia). Le origini di queste disfunzioni possono essere imputate alla scarsa mobilità articolare e alla asimmetrie muscolari che più caratterizzano il sesso maschile.

Infortuni 400hs Uomini

Corse ad ostacoli. Infortuni 400 hs uomini

 

3.5.3  100hs donne

Negli ostacoli veloci è più facile il rischio di cadere, per questo ci sono contusioni agli arti superiori dovuti a queste eventualità.

Infortuni 100hs

Corse ad ostacoli. Infortuni 100 hs donne

 

3.5.4  110hs uomini

La velocità e la forza degli ostacolisti veloci incide sui tendini dei muscoli principali dell’azione: tendini d’Achille, tendini dei bicipiti femorali e il solito problema di pubalgia. Molto spesso ad aggravare questa situazione si aggiungono l’inadeguatezza delle calzature o la durezza del terreno dove si compiono questi esercizi. 

Infortuni 110hs

Corse ad ostacoli. Infortuni 110hs

 

 

3.6 Presenza di documentazione medica

Come si evince da questo grafico, la maggior parte degli infortuni avvenuti durante gli allenamenti non presenta un referto medico. Questo a volte porta a sottovalutare l’entità del sinistro in cui ci si è imbattuti e quindi a riprendere l’attività precocemente e a gravare sulla struttura compromessa.

Inforuni, presenza referto medico

Corse ad ostacoli. Inforuni, presenza referto medico

 

 

3.7 Principali cause di infortuni durante le competizioni

Durante le competizioni lo stress psicologico aumenta rispetto agli allenamenti, ma contemporaneamente si alza il livello di attenzione dedicato al riscaldamento e alla gara stessa. Gli infortuni che ne derivano possono essere frutto delle condizioni ambientali sfavorevoli e di conseguenza la necessità di andare al massimo nonostante l’incompatibilità dei limiti, sforza eccessivamente la “macchina” atleta. La possibile caduta durante la gara non è per forza sinonimo di infortunio: infatti si può benissimo “cocciare” contro una barriera, soprattutto nelle gare veloci, e fermarsi perché si perde il ritmo e in 6/7 metri è difficile riprenderlo. Le lesioni muscolari rappresentano ancora una volta la maggioranza degli infortuni e soprattutto quelli di maggior gravità. Aumentano i traumi al ginocchio e le contusioni al piede, frutto della ricerca stressante della migliore performance possibile: il piede è sollecitato all’impatto in discesa mentre il ginocchio, specialmente della seconda gamba, che sfiora o prende in pieno l’ostacolo, a volte riporta danni più seri di un semplice livido.

Infortuni durante le competizioni

Corse ad ostacoli. Infortuni durante le competizioni

 

 

3.8 Sindrome da overtraining

Da non dimenticare, infine, per creare un’idea più chiara e completa possibile di cosa rappresenti un infortunio per un’atleta, di qualsiasi livello, è la sindrome da “sovrallenamento”.

Qui gli atleti più colpiti sono quelli di alto livello, complice l’aumento delle sessioni di allenamento, il bisogno di mantenere una certa continuità di risultati su alti livelli, lo stress psico-fisico continuo, ecc. Le cause sono molteplici e se prese singolarmente non costituiscono questo particolare caso, dove le prestazioni calano sempre più, insieme alle motivazioni e alla capacità da parte dell’individuo di sostenere gli allenamenti. La diagnosi precoce è fondamentale perché nei casi più gravi l’atleta può rimanere fuori dalle competizioni (con tutto ciò che ne consegue: perdite economiche, perdite di grandi eventi nazionali ed internazionali) parecchi mesi!

CAP. 4: PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI NELLE CORSE AD OSTACOLI

4.1 Valutazione dello stato di salute dell’atleta

Nel capitolo precedente abbiamo compreso quali sono le maggiori cause di infortunio nelle discipline di ostacoli dell’atletica leggera, ma come è possibili evitarli?

Se dobbiamo intervenire preventivamente non possiamo certo pensare di eliminare definitivamente queste difficoltà per l’atleta, ma ridurre il più possibile il loro presentarsi, mantenendo alti i livelli prestativi degli atleti stessi.

La prima analisi che deve essere fatta è sull’atleta stesso: età anagrafica e biologica (in giovane età possiamo trovarci davanti ragazzi di 15 anni completamente diversi), sesso, proporzioni corporee, esperienze motorie passate (la provenienza da un altro sport ad esempio) e anamnesi. Lo stato di salute dell’atleta è monitorato attualmente tramite la visita medica agonistica obbligatoria per potersi iscrivere ad una società e quindi gareggiare. In caso di esito positivo il soggetto è considerato idoneo alla pratica dell’attività in questione. La visita medica consiste nel controllo delle urine, della vista, esame spirometrico ed elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo, e un controllo finale dal medico dello sport. Questo permette di trovare problemi come disfunzioni cardiache o polmonari che non solo rischierebbero di compromettere la performance, ma addirittura portare a complicanze rischiose per la vita stessa.

Una volta superato questo step, possiamo spostarci sul campo ed eseguire test sia oggettivi che soggettivi per valutare lo stato di partenza delle qualità/abilità dell’atleta che abbiamo davanti. La tecnica di corsa e di passaggio dell’ostacolo sono dei parametri vincolati innanzi tutto all’occhio che li analizza: un allenatore esperto sicuramente parte avvantaggiato in questa analisi perché riesce a trovare il particolare che porta l’atleta a compiere quel movimento in quel determinato modo. Per esempio l’atleta potrebbe perdere eccessivamente “i piedi dietro”, cioè non alzare le ginocchia perché ha un’inclinazione di busto troppo accentuata.

I test oggettivi sono molteplici e hanno lo scopo secondario di monitorare quella che è la situazione dell’atleta nel corso del tempo; risultano quindi efficaci per considerare il punto di partenza, ma anche per valutare se la programmazione degli allenamenti è stata adeguata o ha portato solo ad aggravare la situazione dell’allievo.

Molti test possono essere fatti in laboratorio ma molto spesso sono costosi; per far sì che la valutazione sia accessibile a tutti, di seguito proporrò dei test da campo, fattibili solamente con una buona fotocamera, oltre che con l’occhio del tecnico.

Il primo test da effettuare è quello sulla postura: il soggetto, scalzo, sta semplicemente in piedi, sguardo rivolto di fronte con gli arti superiori lungo i fianchi. Una visione di fronte, di lato e davanti può mostrarci innanzi tutto quale sia l’atteggiamento considerato naturale dal nostro atleta e successivamente quali problemi posturali potrebbe avere: iperlordosi lombare, dissimmetria arti inferiori, ginocchia vare o valghe o il cosiddetto “piede piatto”. Nel caso siano particolarmente accentuati, è bene rivolgersi direttamente ad uno specialista.

Tutti i test di mobilità articolare invece necessitano solo della conoscenza dei gradi di movimenti attorno ad una specifica articolazione e dei suoi movimenti consentiti.

In seguito analizzeremo un test chiamato “Y Balance Test”, letteralmente test dell’equilibrio: in appoggio monopodalico il soggetto deve raggiungere con il piede il punto più lontano in avanti verso destra, verso sinistra e indietro (da qui l’assegnazione del termine “Y”). La gamba d’appoggio si può flettere mentre l’altra deve rimanere estesa: il soggetto non deve mai perdere l’equilibrio appoggiando l’arto o le mani a terra.

Esempio di esecuzione del Y Balance test

Corse ad ostacoli. Esempio di esecuzione del Y Balance test. Tratto dal materiale del convengo “ La prevenzione degli infortuni nell’atletica leggera” M.Tripodi

 

Il risultato sarà numerico in centimetri e confrontando l’appoggio destro con quello sinistro (differenza ­più o meno 4 cm) si possono trovare eventuali asimmetrie d’appoggio, che se non prontamente riequilibrate, possono portare ad una serie di infortuni che rallentano la crescita sportiva dell’atleta. Senza acquistare il sistema “YBT”, il test si può effettuare con un nastro graduato fermo a terra nelle tre direzioni e un metodo di analisi sempre costante.

 

Esempio di esecuzione del Y Balance test da campo 1 Esempio di esecuzione del Y Balance test 3 Esempio di esecuzione del Y Balance test 2
Corse ad ostacoli. Esecuzione del YBT senza riferimenti per migliorare la stabilità di caviglia integrabile in allenamento

È un ottimo metodo per valutare l’equilibrio funzionale e la stabilità della caviglia ripetibile durante il riscaldamento (senza necessariamente misurare i l’ampiezza dei movimenti) e quindi integrarlo all’allenamento.

Un altro fattore di rischio individuato per incappare in un infortunio sono quindi le asimmetrie muscolari: una tecnica per indagarle è il metodo FMS (Functional Movement Screen). Questa pratica, valutando la qualità dei movimenti, permette di riconoscere anche disfunzioni globali: il test consiste in 7 esercizi valutati con un punteggio da 0 a 3 per ogni esercizio, ottenendo un punteggio finale da 0 a 21. I soggetti a rischio sono quelli che ottengono un punteggio inferiore a 14: ovviamente questa semplice valutazione (soggettiva perché dipende anche dall’operatore) non può sostituirsi però ad una visita specialistica di un ortopedico.

Gli esercizi del metodo FMS sono:

1. Deep squat

Consiste nell’effettuare uno squat, cioè un piegamento degli arti inferiori tenendo sopra la testa un bastone con gli arti superiori tesi e l’impugnatura a larghezza spalle.

Corse ad ostacoli. Deep squat FMS Test

Corse ad ostacoli. Deep squat FMS Test

2. Hurdle step

Consiste nel superare un ostacolo (altezza in centimetri pari alla lunghezza della tibia) con un arto, stando in equilibrio sull’altro; una volta che il piede è completamente al di là dell’ostacolo, senza toccare il suolo, fa ritorno. Eseguire da entrambi i lati.

Corse ad ostacoli. Hurdle step FMS Test

Corse ad ostacoli. Hurdle step FMS Test

3. Inline lunge

I piedi sono paralleli su una linea a distanza in centimetri pari alla lunghezza della tibia. Il soggetto fa un piegamento portando il ginocchio dell’altro più indietro, vicino al suolo e all’altro piede, tenendo un bastone appoggiato al coccige e alla nuca sempre perpendicolare al terreno: il soggetto non deve mai perdere l’equilibrio. Eseguire da entrambi i lati.

Corse ad ostacoli. Inline lunge FMS Test

Corse ad ostacoli. Inline lunge FMS Test

4. Shoulder mobility

Questo esercizio permette di valutare la mobilità di entrambe le spalle, cercando di avvicinare le mani fra loro dietro la schiena.

Corse ad ostacoli. Shoulder mobility FMS Test

Corse ad ostacoli. Shoulder mobility FMS Test

5. Active straight-leg raise

Il soggetto è supino con un arto inferiore disteso e l’altro teso deve avvicinarsi il più possibilmente alla perpendicolare.

Corse ad ostacoli. Active straight-leg raise FMS Test

Corse ad ostacoli. Active straight-leg raise FMS Test

6. Trunk stability pushup

Il soggetto prono porta le mani all’altezza delle orecchie ed estende gli arti superiori cercando di mantenere la posizione per almeno 3 secondi.

Corse ad ostacoli. Trunk stability pushup FMS Test

Corse ad ostacoli. Trunk stability pushup FMS Test

7. Rotary stability

Corse ad ostacoli. Rotary stability FMS Test

Corse ad ostacoli. Rotary stability FMS Test

In questo esercizio il soggetto, in appoggio su un ginocchio e sulla mano dello stesso lato, deve portare più volte il ginocchio ed il gomito liberi a contatto senza perdere l’equilibrio.

FMS Test. Immagini tratte dal materiale del convengo “La prevenzione degli infortuni nell’atletica leggera” M.Tripodi

4.2 Tecniche preventive

4.2.1 Core stabiliy

Il termine “core stability” deriva dall’inglese e la sua traduzione è “stabilità del cuore, centro”, cioè indica quella parte di muscoli che si occupa della stabilità dell’intero organismo, cioè il trasverso dell’addome, gli obliqui, multifido, il retto dell’addome, gli erettori spinali, il quadrato dei lombi, il pavimento pelvico, il diaframma e nel caso di un ostacolista, possiamo aggiungere grande il gluteo, l’ileo-psoas, il tensore della fascia lata, gli ischio crurali e il quadricipite femorale. Questi muscoli sono deputati, oltre che al movimento nella corsa, alla stabilità della stessa; pensiamo ad una ripetuta, quante volte bisogna correggere il proprio assetto per proseguire? Se ci troviamo di fronte ad erettori della colonna e addominali deboli, il busto continuerà ad oscillare aumentando l’attrito e di conseguenza il tempo finale: dunque a parità di velocità si spreca molta più energia. In un 400hs, dove ovviamente entra in gioco anche il fattore fatica, risulta determinante mantenere un atteggiamento il meno dispendioso possibile ed efficace al massimo.

Possiamo immaginare la core stability come una sorta di propriocezione per la zona compresa dal diaframma fino alle inserzioni dei muscoli dell’articolazione dell’anca; dunque dobbiamo istruirli a mantenere un atteggiamento corretto durante tutte le attività. Questi esercizi consistono nella continua contrazione della zona addominale mantenendo il bacino in posizione neutra, evitando sovraccarichi alla colonna.

Plank sui gomiti

Corse ad ostacoli. Plank in appoggio sui gomiti

 

Come in ogni situazione, l’allenamento di core deve tenere conto dell’atleta che abbiamo davanti e la sua introduzione nelle sedute di allenamento deve essere graduale e orientata al gesto dell’atleta, in questo caso ostacolista.

Core training, la nostra guida (con video)

4.2.2 Stretching

La pratica dello stretching nasce in America sulla scia della ginnastica dolce e il termine deriva dalla traduzione inglese “to stretch” ovvero “allungare”. L’allungamento è quello dei muscoli cioè sia delle fibre muscolari che lo compongono, sia delle strutture contrattili (tendini, fasce, ecc.). Lo stretching può essere sostanzialmente di due tipi: attivo e passivo. Quello passivo consiste nel raggiungere una posizione di allungamento di un particolare muscolo, senza sentire dolore ma solo fastidio, e mantenerla per circa 30”.

Corse ad ostacoli. Stretching statico in posizione da ostacolista

Corse ad ostacoli. Stretching statico in posizione da ostacolista

Ai fini dell’allenamento di un atleta, questo tipo risulta dannoso prima di uno sforzo massimale (una seduta di allenamento o una gara) perché numerosi studi hanno evidenziato che inibirebbe la funzione di quel muscolo o distretto muscolare, in termini di forza, per almeno le due ore successive. Per questo motivo durante il riscaldamento l’atleta può fare esercizi di stretching dinamico, cioè un continuo “allungare-accorciare” il muscolo, combinato con esercizi di mobilità articolare per migliorarne il grado di movimento. La pratica dello stretching si basa sulla conoscenza delle basi anatomo-fisiologiche della mobilità, della biomeccanica dei gesti tecnici, delle inserzioni muscolari e sui movimenti del muscolo in tutte le sue parti.

Stretching: la nostra guida (con video)

4.2.3 Mobilità articolare

Con mobilità articolare si intende la capacità di un articolazione di muoversi liberamente in tutto il suo range di movimento. Ovviamente ogni articolazione ha movimenti propri e gradi dello stesso diversi, dunque è presupposto fondamentale la loro conoscenza. Per un ostacolista l’integra funzionalità delle articolazioni, soprattutto quelle di caviglia, anca e colonna vertebrale è fondamentale così come la rieducazione dopo un infortunio per riequilibrare le forze. Ad esempio dopo lo stop per una distorsione alla caviglia, prima di riprende a correre è necessario riabilitarla per portarla allo stesso livello dell’altra.

 

CONCLUSIONI

Negli ultimi anni, l’Italia “degli ostacoli” è tornata a fare un’onesta figura sul palcoscenico europeo. A Goteborg, ai campionati continentali indoor del 2013, abbiamo conquistato un bronzo in campo femminile ed un argento in quello maschile nei 60hs, mentre ai recenti campionati europei outdoor di Zurigo un nono posto nei 100hs femminili ed un settimo nei 400hs sempre femminili. Durante le interviste, gli atleti oltre a ringraziare ovviamente la famiglia e il gruppo sportivo che li supporta, citano anche un centro medico o una persona (fisioterapista, medico o osteopata) che li ha aiutati durante il periodo di avvicinamento all’evento in virtù di qualche “acciacco”.

Ma è davvero necessario arrivare al punto da essere “tenuti insieme con la scotch”? Assolutamente no. Per questo il ruolo della prevenzione degli infortuni deve essere appunto quello di prevenire, evitare dove possibile l’insorgere di malesseri che rischiano di compromettere anni di lavoro volti ad una grande manifestazione. Ma gli atleti in primis e gli allenatori devono essere a loro volta educati alla prevenzione in base a conoscenze sul tipo di gesto tecnico della corsa e del passaggio dell’ostacolo, dell’articolazione di una stagione agonistica, delle diverse forme di allenamento, dei tipi di infortunio che possono interessare l’atleta e soprattutto del soggetto che abbiamo di fronte. In secondo luogo, il programma di allenamento deve vertere sul principio della progressività del carico e della personalizzazione, privilegiando la qualità degli esercizi rispetto alla quantità. La distinzione fra i programmi di allenamento del quattrocentista rispetto al centista tiene conto innanzitutto del tipo di gara che andranno ad affrontare: le differenze sulla tecnica e sulle abilità invece non dovrebbero essere così marcate perché apprese in giovane età.

A questo proposito, in base alle analisi fatte nei capitoli precedenti, ho stilato un esempio di protocollo di allenamento, indipendentemente dalla tipologia di lavoro (di corsa, di tecnica ostacoli o di pesi) adattabile ad atleti di entrambi i sessi e le specialità, maturi.

 

ESEMPIO DI PROTOCOLLO DI ALLENAMENTO

L’atleta che si presenta al campo per allenarsi deve avere un abbigliamento comodo e consono con le condizioni climatiche e calzature adatte al tipo di terreno su cui si svolgerà l’allenamento.

Partendo dal riscaldamento, l’atleta deve procedere ad attivarsi gradualmente, con un abbigliamento adeguato alla stagione e calzature che sostengano la sua corporatura. Gli esercizi di mobilità articolare e stretching dinamico devono essere il pane quotidiano per l’ostacolista: devono essere integrati nella prima parte dell’allenamento e inseriti secondo una progressione didattica se ci troviamo davanti ad un allievo poco mobile.

Corse ad ostacoli. Stretching statico in posizione da ostacolista

Classico esercizio di stretching statico denominato “da ostacolista”: un arto inferiore è teso a terra con piede perpendicolare al terreno mentre l’altro è ruotato in fuori a ginocchio flesso e piede in flessione plantare (angolo fra le cosce 90°). Il busto è perpendicolare al terreno e gli arti superiori opposti a quelli inferiori

 

[su_slider source="media: 25137,25136,25135,25134" limit="4" link="post" width="240" height="200" title="no" pages="no"]Un esempio di sequenza su come trasformare un esercizio di stretching statico in uno dinamico adattato alla situazione. Gli arti superiori mimano l’azione che hanno durante la corsa, quando il busto si flette in avanti l’arto opposto alla gamba tesa si allunga in avanti, come in fase di valicamento della barriera, per poi tornare con il gomito alto dietro. 

[su_slider source="media: 25142,25141,25140,25139,25138" limit="5" link="post" width="240" height="200" title="no" pages="no"]Un altro esempio di come rendere dinamico un esercizio statico: si tratta di un cambio di gamba nella posizione da ostacolista. L’azione del tallone permette di non far strisciare il piede per terra nel cambio gamba. Il busto è perpendicolare al terreno e le braccia si muovono alternate

La parte di mobilità può proseguire con esercizi analitici con gli ostacoli: questo non solo se l’atleta dovrà affrontare una seduta di tecnica o ritmica ostacoli, ma in qualsiasi circostanza, in modo da potenziare la propria mobilità. Molto importante in questa circostanza è allenare sia gli ostacolisti veloci che quelli del giro di pista ad esercizi bilaterali: nei 400isti sarà determinante nel caso di una ritmica pari, mentre nei 100isti aiuterà innanzitutto ad un bilanciamento posturale ed in secondo luogo ad una progressione della mobilità generale.

Mobilità dinamica hs 1 Mobilità dinamica hs 2 Mobilità dinamica hs 3
Un esercizio analitico di prima gamba che permette di aumentare la stabilità del corpo in equilibrio monopodalico e di flettere l’arto inferiori con angoli simili a quelli dell’attacco dell’ostacolo. Il corpo partendo dal piede fino alle spalle forma una linea verticale

 

Durante il riscaldamento si possono dedicare 5’ di esercizi di “core stability”, se precedentemente sono state fatte sedute anche esclusive per insegnare al soggetto i fondamenti di questa pratica.

Plank sui gomiti

Plank sui gomiti

 

Side-Plank sui gomiti

Side-Plank sui gomiti

 

 

L’approccio graduale permette non solo di mettere l’atleta nelle condizioni di saper eseguire questa serie di esercizi, ma anche di aumentare progressivamente il carico (numero di serie, secondi dell’esercizio, passaggio da “statico” a “dinamico”), senza sovraccaricare le strutture.

[su_slider source="media: 25157,25158,25159" limit="3" link="post" width="240" height="200" title="no" pages="no"]Passaggio da un esercizio statico di core stability ad uno dinamico senza modificare la posizione di partenza

Le andature, eseguite prima di passare al corpo centrale dell’allenamento perfezionano il riscaldamento. È bene variare gli esercizi, alternandoli, in modo da non abituare l’atleta e a fare in modo che il livello di attenzione non cali, così come l’attivazione neuro-muscolare. È da preferire l’erba, dove possibile, sia per il riscaldamento che per le andature: questo perché è un tipo di terreno più morbido sia di alcune pista che dell’asfalto. In questo modo i tendini e le strutture del piede non rischiano di soffrire di tendiniti o microfratture che condannano l’atleta ad un lungo periodo lontano dalla pista.

Il corpo centrale dell’allenamento, indipendentemente dal tipo di lavoro (lavoro di corsa, di ritmica ostacoli, di pesi, di recupero) deve essere affrontato al massimo anche dal punto di vista nervoso: la focalizzazione su ciò che bisogna fare permette così di impedire che la fatica o la stanchezza siano la causa di infortuni considerati “stupidi”, cioè che scaturiscono dalla disattenzione. Ecco un esempio di distorsione di una caviglia durante una seduta di tecnica di ostacoli: il piede non è “pronto” alla discesa dell’ostacolo perché l’atleta sta semplicemente eseguendo un altro esercizio di una serie e non l’esercizio. L’allenatore, che precedentemente ha curato l’allenamento, deve preoccuparsi di analizzare i feed-back dell’atleta durante la sua esecuzione: l’allenamento risulta “non allenante” se l’atleta viene sovraccaricato o se la sua esecuzione si discosta da quella consueta, quindi aumenta il rischio di infortunio.

Al termine dell’allenamento è bene concludere con un defaticamento sia a livello fisico che psicologico: corsetta lenta ed esercizi di stretching, questa volta statico, permettono un rilassamento globale dell’atleta. In base alla seduta di allenamento affrontata, sono normali dolori localizzati tardivi ai distretti muscolari interessati (cosiddetti DOMS) quindi sia l’atleta che l’allenatore non devono preoccuparsi o frenare la preparazione per questi indolenzimenti. Differentemente se persistono o se non sono giustificati, qualche giorno di riposo ed una visita da uno specialista non guastano, anzi giovano sicuramente ad un intervento tempestivo e dunque ad un recupero tempisticamente efficace.

Questo avviene quando ci troviamo davanti ad un atleta maturo, con un ampio bagaglio motorio che permette così di variare i metodi e le modalità di allenamento nel corso dell’anno o delle stagioni. L’elemento fondamentale per ogni buona programmazione di allenamenti rimane la progressività del carico: in questo modo, grazie alla verifica tramite test dei parametri essenziali per la performance (prove di potenza lattacida per i 400isti e di velocità per gli ostacolisti veloci) l’allenatore può variare la natura dell’allenamento, orientandolo verso le carenze.

I test elencati nel capitolo precedente, come valutazione dello stato di competenze iniziali dell’atleta, possono essere somministrati con scadenze mensili come verifica del lavoro svolto e dunque utilizzabili come indice di riferimento di possibili miglioramenti.

  

BIBLIOGRAFIA

Fidal-Centro studi & ricerche (1999). Il manuale dell’istruttore di atletica leggera (pp. 113-134)

Dal Monte, M. Faina (1999). Valutazione dell’atleta, UTET (pp.337-341)

Weineck (II edizione italiana 2009). L’allenamento ottimale, Calzetti-Mariucci editori (pp.53-59)

P.Zeppilli (III edizione 2011). Manuale di medicina dello sport, Casa Editrice Scientifica Nazionale (pp.201-249)

Pirola (ristampa 2012). Cinesiologia, il movimento umano applicato alla rieducazione e alle attività sportive, Edi-Ermes

Peggy A. Houglum (Third ediction). Therapeutic exercise for musculoskeletal injuries (pp.370-374)

E.E.Arakeljan, E.A.Razumovskij, L.A.Chereneva (1989). La corsa ad ostacoli, da LEGKAJAATLETIKA: manuale di Atletica Leggera per gli Istituti di Cultura Fisica dell’URSS. Ed. Fiskultura i Sport, Mosca. Traduzione a cura di L.Bagoli

MATERIALE TRATTO DA CONVEGNI

Gli ostacoli in Italia e nel mondo, Torino 23 marzo 2014. Con Eddy Ottoz, Maria Caravelli, Marcello Ambrogi, Roberto Bedini, a cura di Officina Atletica (sito internet www.officinaatletica.blogspot.it)

Dall’analisi biomeccanica delle corse di velocità e ostacoli alla pratica sul campo, Saronno 29-30 marzo 2014. Con Vincenzo De Luca, a cura di FIDAL Lombardia

La prevenzione degli infortuni in atletica leggera, dalla teoria alla pratica. Chiari 7 dicembre 2013. Con Maurizio Tripodi, a cura di Officina Atletica


RINGRAZIAMENTI

Ringrazio il mio relatore, professor Botton per avermi dato la possibilità di sviluppare il mio elaborato e il professor Tripodi per avermi sostenuto durante la stesura dello scritto.

Desidero ringraziare profondamente i miei genitori che mi sostengono ogni giorno in ogni scelta della mia vita e i miei fratelli che con le loro famiglie mi fanno sentire supportata e amata.

Ringrazio anche il mio allenatore e i miei compagni di allenamento, con cui condivido fatica e passione per raggiungere ogni traguardo della carriera sportiva e accademica.

Infine un sentito grazie ai miei amici d’infanzia che, nonostante le diverse strade intraprese, non smettono di dimostrarmi la loro amicizia.

 

Di Michela Pellanda

michela pellanda

Michela Pellanda

Laureata in Scienze Motorie
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Filed Under: Corsa a ostacoli, Infortuni, Infortuni nella corsa Tagged With: 100 ostacoli, 110 ostacoli, 400 ostacoli, core, infortuni, Michela Pellanda, mobilità, ostacoli, prevenzione infortuni, Scienze motorie, Stretching, tesi di laurea

Gli infortuni in atletica leggera

16 Luglio 2016 by Redazione

Prevenzione infortuni

Cos’è l’infortunio sportivo?

A volte si pensa all’infortunio solo quando si parla di eventi gravi che comportano un non breve allontanamento dell’atleta dai campi di gioco, mentre non vengono in mente quelle singole sedute di allenamento saltate per colpa di quel dolore o di quel malessere temporaneo dell’atleta.

Possiamo dire che l’infortunio nello sportivo é: un evento che destabilizza lo stato di salute dell’atleta (è tutto ciò che limita la possibilità di gareggiare o di allenarsi come programmato).

Quindi vi invito a riflettere bene su quanti sono gli infortuni che, magari, non avete considerato tali.

Fatte queste considerazioni cominciamo a fare i conti con le discipline dell’atletica leggera.

Infortuni ed atletica leggera

I pochi dati epidemiologici in materia di infortuni in atletica ci dicono molto degli infortuni di grande entità, che accadono soprattutto durante le gare, ma non ci dicono molto degli infortuni che accadono lontani dai campi gara, ma che posso danneggiare comunque o la preparazione alla gara o la prestazione stessa. io sono dell’idea che, la maggior parte degli infortuni delle nostre discipline nascano durante l’allenamento.

Da poco sono state stilate delle linee guida internazionali per la registrazione dei dati epidemiologici degli infortuni in atletica leggera (qui il link), questo permetterà di comprendere di più quali sono realmente le cause più frequenti di infortunio nelle nostre discipline.

Per ora ci dovremo accontentare di parlare di prevenzione dell’atleta, aspettando di avere dati relativi alle singole discipline.
gli infortuni posso essere i più disparati.

Per cercare di fare un pò di ordine potremmo cominciare a classificali in questo modo, per evento causale:

  • Da trauma, esempio arrivo su materasso sbagliato o una chiusura di salto in lungo errata
  • Da contatto, causati dal contatto con un altro atleta oppure uno strumenti di gioco fermo (ostacolo) oppure mobile (disco)
  • Da non contatto, spesso sono problemi muscolari o distorsioni articolari
  • Da sovrallenamento, non confondetelo con il solo overtraining, cioè con un esagerazione della quantità di carico di lavoro, pensate anche quando un infortunio e causato da un allenamento svolto in maniera scorretta, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, oppure da un allenamento programmato in maniera grossolana e senza tenere conto di tutti gli aspetti, questo può portare alla lunga ad un infortunio.

Gli attuali dati ci dicono che la maggior parte degli infortuni nel quale incappiamo più frequentemente sono da non contatto e da sovrallenamento.

Noi come allenatori, per prevenire questi eventi, dobbiamo pensare a molti aspetti: una corretta programmazione del lavoro,una corretta alimentazione dell’atleta, una buona idratazione, ecc… gli aspetti sono cosi tanti che nessun allenatore può pretendere di tenerli tutti sotto controllo, per questo penso che un team di allenatori in grado di valutare aspetti diversi del singolo atleta sia il modo migliore di poter prevenire spiacevoli inconvenienti.

Maurizio Tripodi

Prof. Maurizio Tripodi

Laureato Magistrale Scienze Motorie | Professore Università Cattolica di Milano
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8 Giugno 2016 by Redazione

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Tra i vari fattori predisponenti una lesione agli ischiocrurali sono emersi dalla letteratura  un insufficiente riscaldamento, poca flessibilità, squilibri muscolari, tensione neurale e precedenti lesioni.

Un’inadeguata flessibilità del compartimento posteriore della coscia sembra essere l’elemento più accettato e accreditato quale fattore di rischio. Una delle più recenti revisioni non ha però confermato l’evidenza del solo stretching come intervento preventivo nelle lesione agli ischiocrurali.

 

Come mai?

L’incremento della flessibilità dopo una seduta di stretching potrebbe essere dovuto non da una variazione delle proprietà biomeccaniche del muscolo, quanto piuttosto nella modificazione della percezione dell’individuo in riferimento alla sensazione di tensione o dolore provata. Il punto di limitazione nell’estensibilità dei flessori potrebbe quindi incrementare non per modifiche strutturali del muscolo stesso quanto piuttosto al fatto che l’atleta o paziente percepisca un nuovo punto di “stop”, basato sulla nuova sensazione individuale di tensione e dolore: questa è quella che viene definita la sensory theory. L’incremento nell’estensibilità dei flessori dopo l’esecuzione dello stretching è verosimilmente dovuta ad un cambiamento della sensibilità del soggetto alla tensione e dolore; cambiamenti nella mobilità del sistema nervoso (in altre parole cambiamenti neurodinamici) raggiunti attraverso esercizi di mobilità e stretching potrebbero spiegare tale cambiamento nella sensibilità.

Una ridotta flessibilità degli ischiocrurali, come evidenziato da un ridotto range nell’SLR test (Straight Leg Raise test), potrebbe quindi essere causata da un’alterata neurodinamica dei nervi sciatico, tibiale e peroneale. Questa alterazione nella dinamica neurale è in grado di influenzare la lunghezza di riposo del muscolo e portare ad una distorta percezione di stretch e dolore. Eseguire movimenti di scorrimento (slider) del nervo o dello stretching (tensioner) vanno a modificare tale dinamica e la sensazione di tensione e dolore percepita dal soggetto, spiegando così l’incremento nella flessibilità ottenuto.

SLR test

Figura 1. SLR test

 

La meccanosensibilità delle strutture neurali nella gamba e coscia posteriore, a livello gluteo e nel canale vertebrale giocano un ruolo fondamentale nel determinare la flessibilità degli ischiocrurali. Una contrazione muscolare protettiva originatasi in caso di alterata neurodinamica è in grado di spiegare la rigidità dei flessori predisponendo così il muscolo a successive lesioni.

Tecniche di slider (scorrimento) neurodinamiche sono in grado di favorire una riduzione nella sensibilità meccanica neurale ed è possibile che l’implemento di tali tecniche nella prevenzione delle lesione ai flessori possano essere di notevole aiuto e beneficio.

In un recente studio (Caballero, De la Penas, 2014) si è valutata la differenza nel range dell’SLR raggiunto comparando tre gruppi di intervento in pazienti con ridotta flessibilità degli ischiocrurali:

I tre gruppi di intervento sono stati:

  • Tecniche di slider neurodinamico al nervo sciatico
  • Stretching degli ischiocrurali
  • Gruppo placebo

Il test SLR è stato utilizzato come misura del cambiamento pre-post trattamento.

Il test SLR viene eseguito e standardizzato nella seguente maniera: con il ginocchio in completa estensione e la caviglia in posizione neutra, il fisioterapista afferra la caviglia/tibia distale ed eleva la gamba del paziente evitando qualsiasi rotazione durante la flessione dell’anca. Il limite massimo di elevazione lo si raggiunge quando il soggetto lamenta rigidità o dolore nella regione della coscia e/o piega il ginocchio e/o comincia ad andare in rotazione posteriore dell’ileo.

 

TIPI DI INTERVENTO

Gruppo 1) Tecniche di slider neurodinamico del nervo sciatico: l’obiettivo è quello di produrre movimento  di scivolamento del nervo relativamente alle strutture adiacenti. Viene quindi applicato movimento/stress prossimale mentre in maniera contemporanea viene rimosso distalmente, e viceversa nel sequenza opposta. In questo studio il paziente è stato posizionato supino con il collo e la colonna toracica supportata in flessione; il terapista dinamicamente alternava flessione di anca e di ginocchio ad estensione degli stessi.

Figura 2 Tecnica di slider neurodinamico del nervo sciatico

Figura 2 Tecnica di slider neurodinamico del nervo sciatico

Gruppo 2) Stretching passivo: il fisioterapista portava la gamba del paziente in posizione di stretch degli ischiocrurali (anca flessa e ginocchio esteso) senza avvertire dolore o discomfort ma solamente una sensazione di resistenza al movimento . La posizione veniva così mantenuta per 30 secondi e ripetuta 5 volte.

Stretching statico ischiocrurali

Figura 3 Stretching statico degli ischiocrurali

 

 

RISULTATI

Il gruppo di intervento neurodinamico ha ottenuto miglioramenti superiori nell’SLR rispetto al gruppo di stretching passivo. Anche se entrambi i gruppi di lavoro hanno ottenuto un guadagno del range in SLR rispetto al pre-test, la differenza pre-post intervento è risultata significativa solamente nel gruppo neurodinamico. Questo sta ad indicare che un trattamento di slider neurodinamico del nervo sciatico è in grado di produrre miglioramenti nel range di flessione d’anca nell’SLR rispetto ad un intervento di stretching passivo. Da qui il ruolo potenziale dell’aumentata meccanosensitività del tessuto neurale quale limitante l’SLR.

Come già accennato, incrementare la flessibilità degli ischiocrurali è un fattore importante nel trattamento e prevenzione di numerose problematiche da overuse degli arti inferiori.

Un’ aumentata sensibilità del tessuto neurale si presenta clinicamente come rigidità dei flessori (ischiocrurali), ed entra in gioco quale possibile fattore di rischio o di diagnosi differenziale nelle “hamstring strain injury”.

La SENSORY THEORY proposta ci indica quindi che la flessibilità muscolare e la conseguente risposta allo stretch ha più a che fare con la percezione dell’allungamento e dolore e non tanto all’effetto biomeccanico sul muscolo in se stesso.

L’utilizzo dello stretching muscolare è indicato quando c’è un’alterazione delle proprietà viscoelastiche del muscolo, suggerendo e distinguendo l’importanza tra un reale piuttosto che un apparente incremento nella flessibilità muscolare. L’incremento nell’SLR dopo un intervento di stretching potrebbe essere più associato ad un incremento nella tolleranza all’allungamento piuttosto che a reali cambiamenti nell’elasticità muscolare.

 

CONCLUSIONI

Un trattamento di slider neurodinamico è in grado di incrementare la flessibilità degli ischiocrurali, così come misurato attraverso l’SLR, in maniera significativamente maggiore rispetto allo stretching statico.

Di fondamentale importanza rimane tuttavia la giusta selezione dei pazienti in cui è indicato un simile approccio terapeutico.

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Matteo Pinelli

Fisioterapista
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Filed Under: Infortuni, News Tagged With: flessibilità, flessibilità ischiocrurali, infortuni, ischiocrurali, neurodinamica, prevenzione, SENSORY THEORY, slr test, Stretching

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