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I Bighelloni. Lo sport fa bene!

27 Marzo 2020 by Redazione

Maschera decathlon coronavisrus

Scrivo questo articolo principalmente perché vogliamo fare i complimenti al Dott. Renato Favero, agli Ingegneri Cristian Fracassi e Alessandro Romaioli di Isinnova e anche a Decathlon, la multinazionale francese dello sport che si chiama come una specialità dell'atletica leggera.

La vicenda è già famosa ma ve la ricordiamo perché sicuramente è una nota positiva in una situazione ancora difficilissima.

Isinnova nelle scorse settimane era già diventata meritatamente famosa per essere riuscita a riprodurre tramite stampa in 3D delle copie funzionati di valvole usate per i respiratori.

Questa cosa ha stimolato la fantasia del Dottor Favero, un primario in pensione dell'ospedale di Gardone Val Trompia, che ha avuto una bella idea che gli ingegneri bresciani sono poi stati capaci di realizzare.

L'idea: trasformare una maschera da snorkeling in un respiratore

Il Dott Favero venuto a conoscenza delle possibilità offerte da aziende come Isinnova, l'ha contatta per realizzare delle maschere CPAP (acronimo di continuos positive airway pressure) partendo dalle maschere “EasyBreath”: un modello che Decathlon commercializza per lo Snorkeling.

In sostanza grazie all'idea del dottor Favero e le capacità degli Ingegneri Cristian Fracassi e Alessandro Romaioli una semplice maschera per uso sportivo è stata trasformata in un presidio ospedaliero, utile per il trattamento dei malati di Corona Virus nella terapia subintensiva.

Di questa storia ci piace praticamente tutto:

  • l'inventiva (che parte da un medico in pensione);
  • lo scambio di competenze interdisciplinare e intergenerazionale (sembra che il medico abbia tenuto una vera lezione ai giovani ingegneri per istruirli su quello che avrebbe dovuto essere il funzionamento della apparecchiatura da realizzare)
  • la capacità realizzativa, resa possibile grazie alle competenze di un'azienda bresciana e alla disponibilità di una multinazionale francese.

Lo sport è un attività da "bighelloni"!

Ci piace molto anche notare che questa opportunità di aiuto sia in qualche modo legata al mondo dello sport in questo momento ingiustamente sotto accusa.

L'attacco mediatico ai runner, in mezzo a problemi ben più urgenti, rivela i limiti profondi nella cultura sportiva di un paese come il nostro. 

E' stato chiaro fin da subito.

In Italia le persone non dovevano uscire a correre. Non dovevano farlo perché chi li vedeva non è ancora in grado di capire quale sia il significato di farsi una corsa in solitudine, né quale sia il significato di fare attività motoria in generale.

Questo ancora di più e forse in maniera particolare proprio in Lombardia.

Chi vede una persona correre (o vedeva quando questo era ancora possibile), non pensa quasi mai a una persona che cerca di mantenersi in salute, ma vede piuttosto una persona che va in giro a "bighellonare".

L'equazione per troppi giorni è stata: se è possibile andare a farsi una corsetta, allora è possibile anche fare una una gita in collina o un pic-nic piuttosto che prendere il sole al parco, non capendo che la prima è un'attività ben diversa.

Perché attività motoria e svago non sono sinonimi.

Ma da noi questo non è ancora chiaro. È una vecchia storia di vecchia ignoranza tramandata anche tramite la scuola di generazione in generazione.

Quell'ignoranza che arriva in pista con la frase: “Noi quest'anno le gare di istituto non le facciamo perché la profe (di italiano, mate, latino decidete voi...) non vuole che perdiamo scuola”. “Ma le gare di Istituto sono scuola” Provi a rispondere ogni volta. Ma è una battaglia persa.

Così, in una situazione di ignoranza, la scelta del ministero della salute di mantenere una finestra aperta per l'attività motoria si è dimostrata controproducente.

Perché il problema principale, per cui si è dovuti arrivare a togliere anche questa possibilità, probabilmente è stato più il contagio psicologico che quello reale: la trasmissione e la diffusione di un malinteso.

Il fraintendimento diffuso che individuava nell'attività del podista un atteggiamento spensierato ed egoista, piuttosto che la posizione coscienziosa e socialmente utile di chi cerca di mantenere la propria condizione di efficienza psicofisica.

Perché è piuttosto risibile o per lo meno catalogabile come una “paura isterica”, la posizione di chi ha sottolineato il problema degli infortuni ortopedici da cadute.

Da tecnico sportivo mi sento di poter affermare che è più facile procurarsi una distorsione palleggiando un rotolo di carta igienica in ciabatte nel proprio salotto, o improvvisando classi fitness nel tinello, piuttosto che mentre si sta facendo una corsetta in una strada di campagna.

Ma la ginnastica in casa veicola un messaggio chiaro e semplice:

State a casa!

La corsa in solitudine veicola un messaggio più articolato e complesso, che al momento non siamo in grado di comprendere.

L'attività motoria entro gli stretti limiti dell'isolamento significava: abbi cura di te stesso nell'interesse tuo e di chi sta accanto, più difficile da comprendere.

Non è un caso osservare che la prima categoria delle persone attaccata e stigmatizzata, tra tanti bersagli possibili, è stata proprio quella degli sportivi.

E' successo così perché gli sportivi in Italia sono visti comunque come dei perditempo, dei bighelloni.

I fumatori possono andare a comprarsi le sigarette soddisfacendo un bisogno riconosciuto.

Andare a correre invece non è accettato perché si tratta di un vezzo, una forma di egocentrismo.

Questa non è una polemica, è un'amara constatazione.

In Italia, una persona che esce a farsi una corsa, Corona virus o no, nell'immaginario di chi osserva sta facendo una cosa poco seria.

Dei professionisti o dei lavoratori che escono sul terrazzo del proprio ufficio o della propria officina per fumarsi una sigaretta sono molto meno biasimati e non ricevono né insulti né battute di scherno.

Una quindicina di anni fa lavoravo in città e in pausa pranzo facevo allenamento al Calvesi.

Era una vita fa e il segno del tempo è il fatto che al Calvesi trovavo i genitori di chi oggi sto allenando io.

Talvolta mi capitava di usare solo gli spogliatoi del campo per poi uscire a correre in quell'angolo di periferia della città.

Cosa che non è mai diventata una consuetudine perché uscire dalla pista faceva sì che rinunciare al mio pranzo diventava l'occasione per essere insultato o raggiunto da esortazioni ad “andare a lavorare” piuttosto che starmene a perdere tempo andandomene a correre per la città.

Quindici anni dopo la cultura sportiva non ha fatto grandi passi avanti.

La corsa forse sarà diventata “running” e avrà preso un po' di piede nella misura in cui è riuscita ad essere di moda, ha fatto vendere scarpe ed accessori, ha permesso o promesso di fare rimanere magri. Prima è cresciuto un po' il mito della maratona di massa, poi hanno preso piede il trail e l'ultratrail e adesso (potrei non essere la persona più aggiornata) son diventate di moda le spartan race.

L'attività fisica, che è una cosa normale che dovrebbe far parte dell'igiene personale di ciascuno, è stata accettata e promossa solo a patto di essere un fatto “epico” ed eccezionale.

Ma la cultura sportiva del nostro paese è sempre la stessa.

Il campo Calvesi da 7 anni è chiuso, contaminato da uno stabilimento chimico che ha avvelenato Brescia e, in nome del lavoro serio, ha continuato a rimanere aperto e ad avvelenare.

La priorità di dare agli studenti e agli atleti bresciani un'alternativa è stata talmente sentita che, ad oggi, non è stata trovata ancora una soluzione.

Fare e far fare sport a Brescia non è mai stata considerata una priorità.

In fin dei conti lo sport (calcio a parte) con i suoi lavoratori specializzati, il suo indotto, il suo valore igienico e sociale è sempre e comunque visto come un lavoro di serie B. Non sembra un lavoro vero. Ed è quindi la prima cosa che si può sacrificare anche quando produce indotto, migliora l'umore e la salute delle persone e non inquina con veleni.

Vale meno dell'aperitivo, della ricevitoria delle scommesse e del monopolio dei tabacchi.

Non ci interessano le polemiche, siamo i primi ad aver scritto che lo sport è comunque un lusso, ma non si può non notare che centri sportivi e palestre sono state chiuse molto prima dei bar, dei negozi di parrucchieri ed estetisti.

Noi abbiamo accettato subito di interrompere la nostra attività considerando l'eccezionalità della situazione, con la consapevolezza che in un contesto come questo lo sport poteva fare un passo di lato.

Un passo di lato, ma di sicuro non un passo indietro.

Il passo indietro sarebbe quello di dimenticarci una cosa che la nostra società stava timidamente cominciando ad imparare e cioè che lo sport serve e fa bene.

Lo sport fa bene ed è un'attività che va promossa e non va osteggiata.

Comunque state a casa!

Noi ora pensiamo che i runner facciano bene a stare a casa. Fanno bene perché siamo in un contesto di panico, di caccia alle streghe, di reazioni immotivate.

Ma pensiamo anche che i runner siano nella grandissima maggioranza vittime di questa situazione e di sicuro non la causa principale di questa pandemia.

Non ci sta bene che debbano stare a casa se devono farlo perché ora si deve trovare un nemico, qualcuno da accusare.

Noi crediamo che fare una corsa in solitaria, nei limiti in cui questo era possibile, fosse una cosa che poteva essere limitata, di cui si potesse al limite fare a meno, ma non abbiamo mai pensato che equivalesse ad un atto di egoismo o a un comportamento antisociale.

Occuparsi di sport è un'attività seria

Dal 2015 abbiamo scelto di occuparci di sport a tempo pieno.

Gli imprenditori e i professionisti che frequentiamo lavorano principalmente nel mondo dello sport.

Qualcuno lavora nel campo della performance, altri nel benessere, qualcuno nella riabilitazione o della nutrizione. Altri sono addirittura editori.

Questi lavoratori e i loro investimenti sono stati i primi ad essere stati sacrificati.

Sono professionisti che stanno continuando a lavorare in “smart working”offrendo nella maggior parte dei casi gratuitamente dei servizi, semplicemente nella speranza di mantenere un lavoro che fanno con capacità e passione.

Il comparto del lavoro del settore dello sport è uno dei tanti che sta subendo delle perdite enormi.

Noi speriamo che sia uno dei primi a ripartire.

Questa emergenza dovrà insegnare che il settore dello sport e del benessere sono importanti perché da sempre si muovono a favore della salute delle persone.

In questo momento non possiamo permetterci passi indietro in questo senso ma anzi, ne dovremo fare in avanti.

Tornando all'atletica, il Pala Indoor di Ancona era stato messo a disposizione per essere attrezzato ed ospitare 100 posti di terapia intensiva.

Questa sarebbe stata un'altra bella notizia perché l'atletica in un modo straordinario avrebbe fatto quello che fa normalmente in maniera ordinaria e cioè offre il proprio contributo a favore della salute delle gente.

Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Andrea Uberti

Combined Events Coach | ilCoach.net ASD Vice President
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