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Un ranking dei tecnici di atletica leggera

28 Aprile 2020 by Redazione

Ranking tecnici di atletica

Qualche tempo fa chiacchieravo in chat con una collega allenatrice molto brava e facevamo il punto sugli alti e bassi delle stagioni 2019 delle ragazze con cui abbiamo lavorato.

Se avessimo dovuto restare in tema social e rappresentare con un emoticon il nostro grado di soddisfazione rispetto ai risultati ottenuti, avremmo assegnato alla mia stagione una faccina che sorride ed alla sua la faccina neutra; quella con la bocca dritta che di fatto dovrebbe voler dire né bene né male, ma più spesso viene interpretata come un meno ruotato di 90 gradi.

Se invece avessimo deciso di utilizzare un criterio un poco più oggettivo, mettendo su una bilancia risultati, prestazioni e medaglie ottenute, l’ago avrebbe ruotato indiscutibilmente dalla sua parte, smentendo i fatti quello che, con assoluta buona fede per entrambi, ci suggeriva la pancia.

Per gli atleti il 2020 sarebbe dovuto essere il primo anno in cui il ranking avrebbe avuto un peso sostanziale, potendo determinare o meno la partecipazione ai Giochi Olimpici.

Purtroppo le cose sono precipitate in maniera tragica ed imprevedibile.

Ad ogni modo, aspettando tempi migliori, ilranking come nuovo criterio accessorio di partecipazione ai grandi eventi, se prenderà definitivamente piede, rivoluzionerà il modo di intendere la prestazione in atletica.

Perché dall’Olimpiade in giù, potrebbe diventare un parametro che influirà  sulla possibilità di partecipare ai meeting , forse più di quanto non sia accaduto sino ad oggi grazie ad un season best realizzato su una delle famose piste e pedane “magiche”.

Il ranking potrebbe essere una rivoluzione per quei ragazzi e ragazze bravi e bravini, visto che la classifica World Athletics (la vecchia IAAF)  non si preoccupa di tutto quanto succede sotto gli 850/880 punti tabellari ( e se abbiamo a che fare con i senior riflettiamoci).

https://www.worldathletics.org/world-rankings/introduction

Se il ranking sta muovendo i primi passi per gli atleti, figuriamoci quanto sarebbe lontano e difficile ipotizzarne uno per i loro tecnici.

In molti sport, anche quelli che hanno già  un proprio ranking  ufficiale, la classifica di valore per giocatori e i loro tecnici è arbitrariamente ma molto pragmaticamente basata su quanto un atleta o un allenatore riesce a guadagnare.

Sappiamo bene che molto spesso il campo  contraddice queste valutazioni meramente economiche, sempre influenzate da molteplici fattori  extrasportivi, ma il concetto, seppure brutale, ha una sua logica: sei bravo nella misura in cui riesci a farti pagare.

In Italia un ragionamento di questo tipo fatto per l’atletica leggera per molti farebbe soltanto sorridere.

O piangere.

O lavorare per migliorare un po' le cose.

Fare i tecnici di atletica in Italia  è visto come un semplice passatempo.

Lavorare con un minimo di criterio, con il rispetto per se stessi, per cosa si fa e per chi si allena  è quasi visto come spocchia e indice di presunzione. Altrove invece esistono albi di riferimento consultabili ed alcune federazioni illuminate, come quella Britannica, riportano addirittura il nome del tecnico  scritto accanto a quello dell’atleta direttamente sulle graduatorie.

Da noi manca quasi sempre il professionismo e talvolta anche la professionalità e pensare ad una classifica che stagione per stagione metta in ordine chi fra noi è stato più bravo è quasi utopico.

Magari ogni tanto si conferisce un premio all’allenatore dell’atleta più forte, ma sempre secondo una  logica simile a quella che in una palestra vuole che il personal trainer più bravo sia quello più grosso.

Ora, nessuno mette in discussione che allenare sia un’arte eccetera eccetera, ma, per gioco o per amore, si può provare a fare una classifica di ogni cosa: persino  indicando con un numero il quoziente in grado di dare una misura dell’intelligenza.

Quindi si può provare se non a costruire una classifica, per lo meno ad indicare quelli che sarebbero i parametri utili a giudicare il nostro rendimento di tecnici.

Un insieme di criteri che non pretende di essere insindacabile, né perfetto né definitivo.

Un gioco giusto per provare a capire quali siano i criteri su cui possiamo autovalutarci.

Nel calcio si dice che l’allenatore non fa mai goal. Ed è vero. Ma lì  c’è un sistema molto selettivo che impone ai tecnici delle obbligazioni di risultato,  per le quali ogni tecnico è messo continuamente in discussione.

In atletica invece spesso non si capisce nemmeno quali siano gli obbiettivi su cui valutare le performance di un allenatore.

Certe società e certi settori tecnici passano pigramente lustri su lustri senza mai “produrre” un atleta di rilievo. O si può anche dire, se solo si alza un po’ l’asticella dell'aspettativa rispetto allo zero, senza mai produrre un atleta punto e basta.

D’altro canto altre realtà più feconde  si rendono ben presto conto che il “fare bene” non offre quasi mai vantaggi.

E’ un sistema piatto, schizofrenico e autoreferenziale, che genera solo frustrazione e delirio.

Noi invece crediamo che anche i tecnici debbano avere degli obbiettivi misurabili e dei criteri di valutazione e di autovalutazione.

Piccola nota a margine.

A febbraio ai campionati indoor di categoria un'allieva che seguo e che ha dimostrato da  sempre ottime attitudini, ha perso per pochi centesimi il titolino dei 400. Questo per merito di una avversaria brava e caparbia, ma anche a seguito di una condotta di gara che definita benevolmente sarebbe stata da considerare molto generosa, ma per dire le cose come stanno era da catalogare come scriteriata. In quell'occasione ha mancato per un centesimo il minimo degli oramai cancellati Campionati Europei U18.

In atletica un risultato di questo tipo generalmente viene considerato come una medaglietta che entra nel piccolo palmares di un tecnico di club. Ma in un contesto come è  quello del calcio di una prima categoria o di una promozione, una situazione di questo tipo non di rado si traduce in un esonero.

Quali parametri prenderemo in considerazione per il nostro fanta-coach?

Quindi, immaginandoci di pensare a qualcosa di alternativo a questo piattume, abbiamo pensato cosa ci inventeremmo e a quali parametri guarderemmo se dovessimo  provare noi a costruire un fanta-coach, se non per premiare, almeno per individuare, un po’ per gioco, gli allenatori più bravi.

Con una premessa e un'avvertenza.

Dell'allenatore in questo caso vogliamo valutare soltanto l'aspetto tecnico, “atletico” verrebbe da dire: le capacità prestazionali.

Nell'ambito giovanile, della promozione sportiva e non solo, l'allenatore spesso svolge anche una funzione educativa e sociale molto importante, che richiede qualità umane forse ancora prima  che tecniche. Sono aspetti  imprescindibili  ma quasi impossibili da misurare e che in questo gioco non abbiamo voluto considerare.

In questo caso invece per il nostro gioco noi costruiremmo un punteggio che tenga conto del:

1) Livello di formazione

Un patentino da tecnico non vuole dire molto, ma seppur pochissimo, è un po’ più di niente. La formazione federale non può essere organica e per molti motivi non può che mettere delle toppe in un contesto fondato sulla improvvisazione, il fai da te e l’arrangiarsi.  Ma ha pur sempre un valore, rappresentando più che altro un’intenzione ed un indizio di buona volontà.

Una laurea in scienze motorie è sicuramente un valore aggiunto e dovrebbe dare parecchi punti extra, specie quando è sostenuta da una solida frequentazione della pista. Altri percorsi formativi  nell’ambito della medicina, della fisioterapia tornano sicuramente utili come male non fa un qualsiasi altro  titolo di studio generico.

Una laurea in  ingegneria e delle buone competenze matematiche e  statistiche da un  lato, come delle capacità comunicative, pedagogiche e relazionali dall’altro, sono sicuramente un plus e, se sono certificate dal famoso “pezzo di carta” è quasi sempre meglio.

Per tutto quanto sopracitato l’allenatore meriterebbe un bonus di punti e ovviamente, trattandosi di un fanta-coach, assegneremmo tanti punti bonus ai nostri corsi.

O forse no: i tecnici bravi hanno sempre riempito le nostre aule giusto per imparare e migliorarsi, senza preoccuparsi di ricevere in cambio nessun patentino, credito formativo o diploma di ogni sorta.

Perché in fondo, qualsiasi siano i vostri titoli, se vi stanno picchiando e le state prendendo di santa ragione ricordatevi quanto diceva a proposito di arti marziali il vecchio maestro Miyagi: “la cintura nera serve solo a sorreggere i pantaloni”.

Formazione
Patentino da tecnico Istruttore 5 punti Allenatore 2 livello 10 punti Allenatore terzo livello o superiore 20 punti
Titolo di studio

Laurea Generica 5 punti

Laurea “funzionale” es. Medicina-Ingegneria- Pedagogia 10 punti Laurea in Scienze Motorie o Isef 25 punti
Patentini altre federazioni Istruttore 2,5 punti Allenatore 2 livello 5 punti Allenatore terzo livello o superiore 10 punti

 

2) Competenze linguistiche

Se un tecnico "fa carriera" dovrà pensare di muoversi e assistere anche a competizioni fuori della sua provincia. Conoscere le lingue potrebbe essere un vantaggio.

Competenze linguistiche Inglese eccellente 5 punti Altre lingue 2,5 punti

 

3) Un passato da atleta di più o meno alto livello.

A nostro parere i trascorsi agonistici di un atleta di livello sono di volta in volta, a seconda delle situazioni, sopravvalutati o sottovalutati.

Nell’ambito dei corsi federali di qualificazione per i tecnici un passato da atleta di livello internazionale, (se non ricordo male come minimo convocato in Coppa Europa) viene liquidato con miseri 0,5 crediti formativi, gli stessi che si ottengono magari sonnecchiando per un paio di ore ad un corso di aggiornamento di livello base. Altri corsi di questo tipo, di una giornata o due, arrivano a valere 1 o 1,5 crediti.

Una carriera da atleta di un certo livello, che porta a vestire la maglia azzurra non è di certo sinonimo di grande preparazione e di capacità di allenare.

Ognuno degli allenatori che legge questo articolo può certamente passare in rassegna la schiera dei propri atleti presenti e passati per capire che non sempre le doti tecniche più spiccate sono quelle che portano ad essere i migliori anche come allenatori.

Però bisogna anche considerare che le esperienze condensate in una carriera fatta di anni di allenamenti quotidiani, di raduni magari in centri di preparazione olimpica, rapporti con altri tecnici, trasferte internazionali,  crea un vantaggio di conoscenza pratica che difficilmente si può condensare in un week end o due di preparazione.

In maniera molto salomonica riteniamo che “alle vecchie glorie” acquisite da atleta si possano attribuire gli stessi punti che verrebbero attribuiti con i medesimi conseguimenti raggiunti dai propri atleti nella nuova carriera di tecnico.

A nostro parere essere stato un ottimo atleta non fa certo male: se sei stato un azzurro un qualche bonus noi te lo riconosciamo: al saper fare (o l’aver saputo fare) per lo meno in uno degli ambiti delle discipline dell’atletica leggera, deve essere certamente riconosciuto un valore.

Ma se la federazione è piuttosto avara nel considerare il valore di quanto fatto da un ex atleta buono o molto buono, questo concetto è ribaltato al cospetto di un oro Olimpico o mondiale. La situazione in questo caso si ribalta e “The winner takes it all” come cantavano gli Abba. Il vincitore prende tutto, responsabilità comprese.

Lo capiamo anche noi che un oro Olimpico o mondiale sia “per sempre” e riteniamo che spesso sia una scelta logica dare un ruolo agli ex super campioni, sfruttandone l’esperienza e soprattutto l’immagine.

Ma avere vinto come atleta non significa automaticamente aver le competenze per poter diventare un direttore tecnico o un responsabile di settore di una nazionale. Non automaticamente precisiamo. Questi passaggi insomma, quando non si è mai stati nel ruolo di allenatori, in certi casi ci sembrano piuttosto affrettati. Specie se accanto al grande nome che, lo ripetiamo, male non fa, non esiste una valida struttura scientifica che fornisca il proprio supporto.

Passato da Atleta
Atleta di livello nazionale 5 punti Atleta di livello internazionale 10 punti Medaglia Olimpica o mondiale 25 punti

 

4) Gli atleti con cui si lavora (e con cui si ha lavorato).

Se il cuore del ranking degli atleti resta comunque la prestazione, il cosiddetto punteggio tabellare, riteniamo che anche per gli allenatori, la grossa fetta della torta sia rappresentata dalla “scuderia” di atleti che si gestisce. Del resto se si può essere atleti e non avere un allenatore, non si può essere allenatori (attivi) senza avere atleti da allenare.

Questo ovviamente non significa che l’allenatore con gli atleti più forti sia quello più capace o con più “talento”. Significa però che il suo lavoro in quel preciso momento è meglio valorizzato dagli atleti con cui lavora.

Le graduatorie stesse degli atleti non esprimono in maniera direttamente lineare il loro potenziale.

Però, a nostro parere, gli allenatori “forti” sono, in larga misura, quelli che gestiscono gli atleti più forti.

Tra i luoghi comuni sui tecnici di atletica leggera uno abbastanza diffuso infatti è quello che vuole che il tecnico bravo non sia  quello che “ha l’atleta forte”, ma quello in grado di far migliorare l’atleta scarso con cui lavora.

E’ Falso. Il Milan di Sacchi era pieno di campioni,  Toivonen era seduto al volante di una Delta S4, la Mclaren di Senna era un missile e Valentino Rossi non ha mai vinto una gara in sella ad una bicicletta. Se vogliamo continuare con l’atletica Vittori allenava Mennea, Glen Mills Bolt, Tamberi Tamberi e Tortu Tortu.

L’atleta fa il tecnico quanto il tecnico fa l’atleta,  probabilmente più la prima cosa che la seconda. Se un allenatore vuole avere successo deve scegliere bene i propri atleti allo stesso modo per cui un atleta deve scegliere bene i propri allenatori.

Se un allenatore pensa di essere riconosciuto come bravo perché accompagna un atleta maschio durante il percorso che lo porta da 11”50 sui 100 a 11” si sbaglia di grosso.

Le probabilità di essere riconosciuto come tecnico perché si fa migliorare un atleta "scarso" (magari un ottimo ragazzo in un percorso pieno di soddisfazioni umane più che tecniche), sono le stesse di diventare un CEO per la Coca Cola, perché si è stati bravi a gestire i conti di un’edicola.

La visione porto l’atleta X da A a B e quindi sono bravo ha una sua logica, ma nasce da una visione parziale.

Innanzitutto i miglioramenti dal basso livello, specie se giovanile, sono molto più facilmente ottenibili, auspicabili e prevedibili.

Gli ultimi gradini nella scala di qualificazione di un atleta verso l’alto livello invece sono molto meno scontati e più difficili da percorre.

Oltretutto credo che si possa iniziare a parlare di allenamento solo una volta superata la decina di ore di allenamento settimanali. Entro quella soglia l’allenatore svolge un ruolo  più di insegnante e risulta molto più difficile quantificare il proprio apporto in termine di sviluppo cosiddetto condizionale. L’elemento della periodizzazione al di sotto di queste soglie sparisce, dal momento che lo stile di vita dell’atleta ( es utilizzo dei mezzi per muoversi, tipo di attività lavorativa o scolastica, lezioni di educazione fisica, attività sportiva spontanea, gestione del sonno e del tempo libero, ) risulta avere un ruolo preponderante rispetto a quello rappresentato dall’attività organizzata al campo.

Quando l'intensità e il volume di lavoro sono bassi, il margine di errore è molto più alto. Se si propongono 3 o 4 allenamenti settimanali e sono ammessi molti più sbagli di quando ad esempio questi diventano 10, situazione in cui l'ordine dei lavori, la loro intensità, l'alternanza degli stimoli e dei sistemi energetici utilizzati, i rapporti tra  lavoro e recupero si giocano entro limiti molto più stretti.

L’altro aspetto di cui non si tiene mai conto è che lo scambio di competenze allenatore/atleta non è unidirezionale.

L’allenatore non solo insegna, ma impara parecchio anche dall’atleta con cui lavora.

Se l’atleta è di buon livello si imparerà molto su quelle che sono le esigenze di un atleta di quella determinata classe di qualificazione.

Insomma, giusto per capirci, se si diventa molto bravi a guidare un motorino si acquisiscono di certo competenze e capacità, ma probabilmente non quelle che servono per guidare una motogp.

Sapere di essere più veloci sul Garelli di  Valentino Rossi e Marquez  può essere una soddisfazione, ma resta poco utile.

(A meno di non trovare un team disposto a fare grandi investimenti su un asso del motorino…)

Questo non significa ovviamente svilire le qualità dei ragazzi con cui si lavora.

Al contrario.

Qualunque sia il livello degli atleti con cui si lavora, qualsiasi siano i loro risultati, il tecnico deve domandarsi: sono io a farli andare così piano?

Ed anzi, per quanto il tecnico sia bravo, deve sempre ragionare in  questo modo: se un atleta ottiene un risultato, vuol dire che se fosse stato allenato soltanto un po’ meglio, sarebbe stato in grado di ottenerne uno anche migliore.

  • Bonus prestazione atleta allenato
    Fino ad 850 punti tabellari. 0,1 punti per ogni punto

    Es= 800 punti x 0,1= 80 punti

    Tra 850 e 950 punti tabellari.

    0,11 punti per ogni punto.

    Es= 900 punti x 0,11= 99 punti

    Tra 950 e 1000 punti tabellari.

    0,12 punti per ogni punto.

    Es = 1000 punti x 0,12= 120 punti

    Tra 1000 e 1050 punti tabellari.

    0,13 punti per ogni punto.

    Es 1010x 0,13= 131,3 punti

    Oltre 1050 punti tabellari.

    0,14 per ogni punto.

    Es 1100x 0,14=154 punti

 

5) Dove, quando e quanto?

Sul mio profilo di Facebook mi trovate in alcune foto in posa con Micheal Johnson, Karolina Kluft, Colin Jackson e Yarisley Silva: non li ho mai allenati.

Le foto ricordo non conferiscono alcuna autorevolezza anzi, il selfie rispolverato da dirigenti e tecnici con il campione di turno non appena combina qualcosa di buono, spesso sa persino un po’ di patetico.

In atletica tra gli allenatori spesso si verifica quella che nelle arti marziali potrebbe essere chiamata la sindrome di Bruce Lee, che vede proliferare schiere di maestri che si proclamano allievi diretti dell’inventore del Jet Kun do…ma che magari però sono nati successivamente alla morte dell’attore marzialista campione di incassi.

Una foto, una seduta di allenamento, una settimana o un mese a mio parere non sono sufficienti per fregiarsi della qualifica di “Allenatore di”.

Riteniamo che per quel ruolo o comunque per acquisire qualche punto di bonus nel gioco del ranking che stiamo ipotizzando, serva almeno un macrociclo di preparazione seguito ad un periodo di gare.

Come minimo una stagione indoor insomma.

Questo è un periodo minimo. Riteniamo infatti  che anche se l’allenatore  in un lasso di tempo così breve avrà insegnato poco nulla al campione in questione, per lo meno qualche cosa avrà imparato. Più lungo sarà il periodo di lavoro insieme, maggiore dovrebbe essere il bonus.

Una volta chiuso il rapporto invece il tesoretto di punti dovrebbe andare via via a ridursi.

Ma lentamente.

Infatti crediamo che un tecnico non rincoglionisca automaticamente nel momento in cui perde il “campione” ma che resti di fatto lo stesso tecnico.

Ovviamente nel fare tutte queste considerazioni, la situazione di lavoro tipo che ci siamo immaginati è quella classica, ideale e preferibile, che vede l’allenatore e l’atleta a lavorare insieme nello stesso campo con una certa frequenza, preferibilmente quotidiana.

L'allenamento a distanza vale?

Al giorno d’oggi esistono comunque delle possibilità di attuare  soddisfacentemente delle collaborazioni anche a distanza, tramite l’invio di programmi, le videochiamate, l’analisi video ed altri più sofisticati mezzi per monitorare i parametri significativi delle abilità biomotorie con cui si sta lavorando.

Se un lavoro di questo tipo è fatto con serietà e metodicità, pensiamo che possa anche funzionare, specie in talune specialità e se si collabora con atleti già evoluti.

Un aspetto che distingue un allenatore online da un allenatore sul campo sono comuque sempre pioggia, sole, vento ed intemperie in generale. Pertanto vi tagliamo la metà dei punti prestazione dell’atleta che seguite

Molto diverso è inviare un programma una volta al mese perché questo semplicemente non è allenare. In questo caso non vi spetta alcun punto.

Per prenderseli tutti interi comunque per noi ci vogliono 4 o più anni di lavoro fatti al campo. Altrimenti il premio va decurtato di ¼ per ogni anno mancante.

Esempio atleta da 1000 punti tabellari. Bonus prestazione 120 punti

Atleta seguito al campo quotidianamente (minimo 4x week)

Seguito da 4 o più stagioni.

120x1= 120punti

Seguito da 3 stagioni

120x0,75= 90 punti

Seguito da 2 stagioni

120x0,50= 60 punti

Seguito da minimo 6 mesi a 1anno

120x025= 30 punti

Visto per caso al campo, foto ricordo, aver fatto stretching sullo stesso ostacolo siepe= 0 punti

 

Per gli atleti a distanza invece...

 

Atleta seguito online o saltuariamente (invio programmi e controlli periodici

Seguito da 4 o più stagioni.

120x0,5= 60

punti

Seguito da 3 stagioni

120x0,375= 45

punti

Seguito da 2 stagioni

120x0,25= 30 punti

Seguito da minimo 6 mesi a 1anno

120x0,125= 15 punti

Visto per caso al campo, foto ricordo, aver fatto stretching sullo stesso ostacolo siepe= 0 punti

6) Ancora una volta: quando?

Nel ranking degli atleti gli “Honours” ossia i titoli, ossia le vittorie hanno un peso, come lo hanno i piazzamenti.

I titoli più premianti nel  ranking iaaf per gli atleti sono le manifestazioni assolute. Giusto per fare un esempio il “placing score” assegnato agli Europei U20 di Bòras e a quelli U23 di Gavle erano rispettivamente quelli di manifestazione “D” e “C”. A titolo di confronto gli assoluti di Bressanone sono stati considerati una manifestazione di livello “B”. Il livello intrinseco delle prestazioni dimostra che la scelta era appropriata per quanto riguarda gli atleti e a maggior ragione lo sarebbe per gli allenatori.

Nella intricata ed irrisolvibile questione della spartizione dei meriti tra atleti e tecnici un punto abbastanza condivisibile è quello che più l’atleta è giovane tanto più l’ago debba pendere a favore del talento di questo che piuttosto che delle capacità del suo allenatore.

Nel nostro fanta-coach tanti punti bonus per i titoli e i piazzamenti assoluti ma pochini per quelli giovanili.

 

N.B.

In questo caso non stiamo valutando il valore di un atleta, ma la capacità di un coach di allenarlo. Pertanto i Bonus per i titoli conseguiti dagli atleti devono rimanere nell’ambito della categoria dell’atleta cha si allena. Un atleta di ottimo talento può facilmente competere e vincere anche nelle categorie superiori. Questo fatto però a nostro parere certifica molto di più le qualità o la precocità dell’atleta, piuttosto che il valore del suo tecnico.

 

7) Quanti?

 

Alcune delle considerazioni fatte sopra portano ad un problema spinoso.

Quanti tecnici può avere un atleta solo? La risposta per noi è anche più di uno.

Collaborare, crearsi uno staff, saper lavorare insieme non può costituire un malus. Anzi.

L’era dei tuttologi è finita da tempo.

Qualsiasi sia il numero delle persone che collabora nello sviluppo di un  atleta è comunque importante che i ruoli siano ben chiari e definiti.

Se poi dobbiamo proprio individuare chi sia l’allenatore in mezzo ad un gruppo di persone che lavorano insieme, ci rifacciamo a questa espressione anglosassone che rende bene l’idea: l’allenatore è quello che “is driving the bus”.

Oltre a tutto lo staff crediamo che, in determinate condizioni, tecniche o logistiche che siano,  un paio di persone possano dividersi le responsabilità di allenatore.

In questo caso non riterremmo di dover dividere il bonus del nostro fanta-coach. Anzi. Coordinarsi è difficile e poi nel ranking degli allenatori non ci interessa tanto chi “ha più merito” in una prestazione, ma piuttosto chi diventa più bravo e, il confronto continuo, è sempre una ottima opportunità di crescita

Se questo è il lato buono della medaglia, quello cattivo è quello a cui in una certa misura abbiamo già accennato nel punto “dove, quando e quanto”.

Solitamente più l’atleta è di spicco, più proliferano quelli che si autoproclamano come suoi allenatori.

Lo ripetiamo: se avete fatto una foto con lui, se gli avete preso due tempi, se l’avete visto o condotto in uno o due raduni di una mezza giornata…non siete gli allenatori del tal campione.

Se invece invece prendete degli atleti già fatti e finiti che fanno altre discipline e per 2 mesi all'anno li distogliete dai loro obbiettivi non siete allenatori: siete dei rompiballe.

 

8) Ancora: quanti?

 

Chiarito quanti allenatori può avere un atleta, resta da considerare quanti atleti servono ad un allenatore per essere bravo.

Tendenzialmente ne dovrebbe bastare uno anche se ad alcuni allenatori, specie casi eclatanti del passato, viene spesso rimproverato poca duttilità e scarsi risultati rispetto ad esperienze che non riguardassero il  singolo grande campione.

Occorre dire che se gli standard sono un record mondiale o un oro Olimpico…risulta molto difficile che questi siano statisticamente replicabili.

Lasciando perdere i super campionissimi noi pensiamo che per gli atleti normali valga comunque lo stesso principio dei gusti nei gelati al biscotto: “Two is megl che uan”.

Per gli atleti, a seconda delle specialità vengono prese in considerazione 2 o 3 o 5 prestazioni.

Crediamo che al nostro fanta-coach un allenatore allo stesso modo possa giocarsi dai 2 ai 5 atleti. Troviamo un numero di mezzo e diamo un massimo di 3.

 

9) L’atleta ha cambiato tecnico ma non ha migliorato è peggiorato, si è infortunato, ha smesso, se ne sono perse le tracce eccetera eccetera.

 

A noi non interessa. La vita sportiva di un atleta dopo la separazione da noi non è affare nostro.

I suoi successi o gli insuccessi postumi al periodo della nostra collaborazione non devono riguardarci e non sono il metro delle nostre capacità di tecnico.

Quindi occupiamoci e concentriamoci sugli atleti con cui stiamo lavorando e non sprechiamo energie a vedere cosa succede a chi ci ha ( o abbiamo) abbandonato.

Quindi nessun bonus e nessun malus per le vicende di un atleta che non fa più parte del nostro gruppo.

Se mai un punto in più “a chi capisce, quando il gioco finisce e non si butta giù”.

Così, per semplicità, abbiamo pensato di sommare ognuno dei fattori che, a nostro sindacabilissimo giudizio, sono quelli che concorrono a determinare il livello di un tecnico.

In realtà in molti casi più che all'addizione si dovrebbe pensare alla moltiplicazione e considerare dei coefficienti in questo senso.

Per farci capire, per esempio, riteniamo che un allenatore molto formato e scientificamente preparato ricaverà molto di più dalle esperienze fatte con atleti di ottimo livello. Al contrario, meno si sa e si conosce, meno ci si potrà avvantaggiare anche quando si ha la fortuna di sperimentare esperienze significative.

Calcolatore punteggio Fantacoach

Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Andrea Uberti

Combined Events Coach | ilCoach.net ASD Vice President
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Filed Under: Formazione, News, News Tagged With: formazione allenatori atletica, ranking, tecnici atletica leggera

Il report dell’European Jump & Sprint Symposium

25 Novembre 2019 by Redazione

European-Jump-Sprint-Symposium-7-768x679

Di cosa si è parlato all'European Jump & Sprint Symposium?

Il report di Marco Airale

Un saluto a tutti gli amici de ilCoach, sono Marco Airale Fisioterapista, Osteopata e Allenatore di Atletica Leggera.

Dal 15 al 17 Nov 2019 ho avuto il piacere di partecipare al Symposium su salti orizzontali e sprint organizzato dalla federazione svedese (Swedish Athletics,) con il patrocinio della European Athletics a Karlstad.

Sono stato attratto dall’evento soprattutto per la qualità dei relatori presenti:

Dan Pfaff, Goran Obradović, Håkan Andersson, Yannick Tregaro, Anders Möller, Anders Borgström, Michel Torneus (qui le biografie dei vari speakers: https://european-horizontal-jumps-and-sprint-symposiums.webnode.se/var-meny/)

Modalità di svolgimento dell'European Jump & Sprint Symposium

Faccio una premessa, il corso, dopo alcuni interventi comuni che approfondirò in seguito, ha avuto alcune parti a scelta tra salti e sprint; personalmente ho scelto di seguire la parte dedicata alla “velocità”!

Definendomi un “allenatore di salti orizzontali” credo che lo sviluppo della velocità sia una parte chiave nella performance di lunghisti/e - triplisti/e.

Andiamo ora a vedere i vari interventi ai quali ho assistito, cercherò di riassumere le parti salienti degli interventi teorici e nell’elencare gli esercizi pratici utilizzati durante le parti pratiche.

Nota: Alla pagina https://european-horizontal-jumps-and-sprint-symposiums.webnode.se/ verranno inserite le varie slide usate dai relatori durante le presentazioni

Le lezioni teoriche all'European Jump & Sprint Symposium

Dan Pfaff: 47 anni di esperienza negli sprint e nei salti

Energy leaks and disturbances. Maximazing movement excellence, programming and promoting athlete health factors for sprinting events.

Da seguace di Altis, avendo consultato qualche loro presentazione e corso online, Pfaff ha presentato l’argomento seguendo molto il loro stile; l’argomento è stato la gestione delle debolezze dell’atleta e come andare a massimizzare il movimento “corporeo”, promuovendo la salute dell’atleta in particolare nelle specialità di sprint.

Gli indicatori chiave della performance e la capavità di lavoro

Il Focus centrale della presentazione sono stati i KPI (Key Performance Indicators), elementi chiave che devono guidare la nostra programmazione, seguiti dalla gestione della “Work Capacity”, vista come un insieme di tante batterie di diversa tipologia, ognuna con differenti metodi e tempistiche di ricarica.

L’unione di KPI e Work Capacity porta alla necessità di una corretta pianificazione e programmazione dell’allenamento da “somministrare “ai vari atleti; quest’ultime devono tener conto delle 5W (Who, What, Where, Why, When) del come (How) e delle varie contingenze (Contingencies).

La tensegrità alla base del movimento umano

Dopo quest’introduzione il focus è stato spostato a uno dei punti cardinali del lavoro di Pfaff, il corpo umano.

Il nostro corpo deve essere infatti visto come una struttura basata sulla tensegrità gestita da una moltitudine di fattori che ne controllano il movimento.

L’allenatore deve quindi saper interagire e navigare in questo sistema per far sì che la pianificazione e la programmazione delle varie capacità di lavoro porti ad una più alta performance.

In quest’ottica, specifica poi “l’impossibilità” di definire uno specifico modello tecnico che vesta ogni atleta ma si possa bensì avere un sistema di comun denominatori basato su studi inter- e intra-atleta utilizzando logica e replicabilità con l’inserimento di comandi precisi (Cue Systems) da dare all’atleta.

Pfaff ha poi concluso riportando gli interventi che un allenatore (da solo o con il suo staff) può inserire all’interno del programma di lavoro per monitorare e correggere i fattori di rischio e fatica che possono poi evolvere in infortuni.

My 47 Year journey on the Importance of KPI’s in Combined Events, Jumps and Sprints

Dan ritorna anche il sabato sul concetto e l’importanza delle KPI in particolare negli eventi che più gli appartengono, prove multiple, salti e velocità.

L’intervento è subito iniziato con una frase che ho voluto scrivere e ricordare:

[Tweet "“If the athlete is doing good is about the athlete, if is doing bad is about the coach” D.Pfaff"]

La presentazione, con sottofondo il racconto della sua lunga carriera, si è sviluppata prendendo in esame i vari Piani B, C e D con cui l’allenatore si deve scontrare durante il progredire della carriera dei suoi atleti, dalla programmazione pluriennale a quella giornaliera; questo fa sì che la salute dell’atleta diventi il focus principale del lavoro del coach.

Dovendo interagire con diverse tipologie di ragazzi, si ha la necessità di effettuare un’analisi Costi-Benefici che porti ad un costante equilibrio; questo ci permetterà di mantenere l’atleta “sano” sia dal punto di vista fisico che mentale.

Nella parte finale si ha poi avuto finalmente un esempio pratico di come queste KPI si possano organizzare in una gerarchia di lavoro (nell’esempio proposto il salto con l’asta) dandoci qualche spunto in più sulla filosofia di lavoro di Pfaff, basata sicuramente sull’importanza dell’atleta come individuo ma con il punto focale della competizione e della prestazione.

In tale ottica l’allenamento migliore sembra rimanere la competizione, punto cruciale in cui dal punto di vista mentale, fisico e ormonale l’atleta riesca ad esprimersi al 100%.

Goran Obradović: il coach di Ivana Španovic

Elite Athlete preparation for competition, especially about tonus

Il secondo intervento nella prima giornata dell'European Jump & Sprint Symposium, ha visto il tecnico di Ivana Španović, ed è stato decisamente più breve del previsto (20’ al posto dell’ora e 30’ programmata) ma direi sostanzialmente PRATICO.

Il tecnico serbo, dopo una presentazione iniziale della sua carriera ha preparato una slide con l’esempio di quattro tipi di lavoro che propone ai suoi atleti per, usando le sue parole, “richiamare il tono muscolare” prima della competizione.

Obradović ha poi continuato analizzando quando propone tali lavori in base al tipo di atleta (Élite /Sub- Élite) e in base alla tipologia di gara (con o senza qualificazione).

Long Term Planning and training process for Ivana Španović

Dopo un intervento molto breve nella prima giornata, Obradović passa poi ad una bella esposizione di quella che è stata la sua esperienza come allenatore di Ivana Španović, l’atleta serba plurimedagliata con personali Indoor e Outdoor oltre la barriera dei 7 metri.

L’evoluzione annuale della programmazione, usata negli ultimi anni dall’allenatore, ha visto la suddivisione in due picchi di rendimento: uno invernale ed uno estivo; i due sono differenziati dal tipo di periodizzazione, tradizionale durante il 1° ciclo invernale e a blocchi durante il 2° ciclo estivo.

La differente impostazione di lavoro e la sua conseguente resa è stata confermata da un’analisi dettagliata delle competizioni della Španović durante la stagione 2016.

In conclusione, ci è poi stato mostrato un lavoro di video-analisi condotto dal tecnico che ha portato al cambiamento di tecnica di salto e di chiusura, parte fondamentale del miglioramento delle misure della ragazza.

Un bell’esempio di analisi e successiva impostazione del lavoro con un fine ben preciso, il RISULTATO!

Håkan Andersson: la scuola svedese di sprint

Håkan Andersson - Three decades of coaching experiences

Curioso di sentire il tecnico svedese ho deciso di prendere parte alle presentazioni relative alla velocità.

Il primo intervento è stato un racconto della sua esperienza trentennale come coach e l’importanza che hanno avuto per lui i consigli ricevuti dal Dottor Pitkänen, padre di una sua atleta e suo mentore.

I consigli sono stati:

  • Studia (Articoli, Libri…)
  • Interagisci ed impara da altri coach;
  • Valuta sempre cosa stai facendo e dove stai cercando di arrivare;
  • Sii ispirato dalla scienza ma scettico sulle “verità” scientifiche
  • Abbraccia la storia e sii scettico sulle nuove tendenze
  • Sviluppa le tue doti di osservazione e comunicazione

Dopo aver sviluppato questi concetti, ci ha poi lasciato con una sua riflessione:

[Tweet "“Sprinting is swimming in a sea of adrenaline while trying to stay relaxed” H. Andersson"]

Håkan Andersson – Technique and Physique for Speed

Nell'ultima mattinata di lavori ho deciso nuovamente di seguire la velocita.

Håkan è passato ad analizzare nel dettaglio la definizione di velocità di corsa in maniera fisica.

La parte introduttiva ha poi portato alla suddivisione di forze che agiscono maggiormente durante una normale competizione di sprint: 

  • la forza orizzontale durante la fase di accelerazione,
  • quella verticale durante quella di massima velocità.

Durante l’accelerazione le componenti da tenere più in considerazione sono gli angoli di tronco e tibia, in base a questi Andersson suddivide tre fasi infatti.

La massima velocità è invece basata sull’assorbimento dello shock dovuto all’impatto, immagazzinare l’energia che ne deriva e rilasciarla in maniera elastica con una poderosa estensione d’anca.

L’ultima parte ha poi trattato lo sviluppo della forza, il velocista non deve esprimere grandi forze in palestra ma sulla pista; le masse muscolari dei velocisti odierni sono infatti molto ridotte rispetto a quelle che erano a fine anni 80 e durante gli anni 90.

Anders Borgström – Biomechanics for terrified

Coach attuale dei giavellottisti del Taipei Cinese, Anders è stato premiato nell’occasione dalla federazione svedese per la sua lunga carriera.

Come tecnico multilaterale, ha sviluppato una passione per la biomeccanica che trasferisce in tutte le sue sedute sia tecniche che di forza.

La presentazione si è sviluppata introducendo alcune basi di biomeccanica per poi procedere con dati e analisi relative al salto triplo.

Ha poi mostrato alcuni video dei suoi atleti nei quali, durante esercizi di forza, replicano sempre il pattern motorio che si avrà durante la competizione.

Infine, ci ha lasciato con una riflessione:

[Tweet "“Molte volte, come allenatori, potrete “notare” un sacco di errori nei vostri atleti; non diteglieli tutti, potrebbero iniziare a pensare troppo!” A. Borgström"]

Michel Torneus – Carrier review from a former international top athlete

L’ultimo intervento ha visto la partecipazione dell’ex lunghista svedese Torneus.

Allenato da Oscar Gidewall ha volute raccontare ai presenti i 4 pilastri della sua carriera:

  1. Goal Settings: impostarsi degli obiettivi a breve e lungo termine in contemporanea con obiettivi prestatiti e formativi (apprendere particolari aspetti tecnici/fisici/mentali).
  2. Pianificazione: gestione del rapporto allenamento/riposo, focalizzare il come/quando dei vari obiettivi, impostazione corretta dieta e programmazione accurata delle competizioni a cui prender parte
  3. Esecuzione: dare il 110% negli allenamenti e in gara, credere nella programmazione proposta
  4. Valutazione introspettiva: ho raggiunto i miei obiettivi? Si/No? Perché? Bene/Male? Cosa posso cambiare?

Ha poi raccontato i passi salienti della sua carriera, lo svolgere 2 lavori tra il 2006-2009 per continuare a perseguire i propri sogni e infine un consiglio che dovremmo dare a tutti i nostri atleti:

[Tweet "“Ricordatevi che il tempo per gli ATLETI passa molto in fretta, più di quello degli ALLENATORI!” M.Torneus."]

Le lezioni pratiche all'European Jump & Sprint Symposium

Dan Pfaff - Practice in Sprint

La prima seduta pratica si è svolta nella bellissima pista indoor di Karlstad, casa di un grande del salto in alto, Stefan Holm.

Dan Pfaff ha presentato due progressioni, una sulla tecnica di corsa e una sulla pliometria in caso di “Piano B”, quando il “Piano A” non può essere utilizzato.

Andrò ora a descrivere la progressione di esercizi, mantenendo la terminologia originale utilizzata da Dan e inserendo una successiva descrizione adattata in italiano.

Progressione N° 1. La tecnica di corsa

  1. Stance Circle with different heights (Ankle/Calf/Knee)

In stazione eretta mono-podalica eseguire con l’arto controlaterale dei cerchi immaginari con fulcro la tibio-tarsica a diverse altezze (caviglia/polpaccio/ginocchio) rispetto all’arto controlaterale in appoggio.

  1. Walking Circle with different heights (Ankle/Calf/Knee)

Esercizio 1 ma con cerchi alternati dx-sx camminando, inserire variazioni sulle altezze.

  1. Jogging Circle with different heights

Esercizio 2 ma corricchiando

  1. Mixing the previous 2 and 3

Alternanza corsa-cammino

  1. Mixing the V of executing 2 and 3

Alternanza velocità durante esercizio precedente

  1. Mixing the shapes of the exercises (Ex. Asking for an elliptical movement)

Alternanza figure negli esercizi precedenti

Basic plyometrics development

  1. Little hop double leg w/ pause

Balzelli bi-podalici con pausa isometrica

  1. Little hop double leg w/out pause

Balzelli bi-podalici senza pausa

  1. Using 1 and 2 varying heights, joint angles, pause time, direction

Esercizi precedenti ma richiedendo diverse altezze di salto, angoli articolari, tempi di pausa, direzione

  1. Same as 3 but Single Hop

Esercizio 3 ma mono-podalico

  1. Adding some weight to prev. exercise (ex. Medicine ball)

Aggiungere sovraccarichi agli esercizi precedenti (es. Palle Medicinali)

Dan ribadisce l’importanza dei comandi (Cue) dati all’atleta e che tutto quello usato come “Piano B” dà anche strumenti al tecnico e all’atleta per prevenire lesioni future.

Håkan Andersson – Warm Up

La parte pratica si è sviluppata dall’abituale warm-up utilizzato dal coach svedese:

Barefoot (Scalzo)
  1. Seduto – Flesso Estensione Tibio-Tarsica / Eversione-Inversione piede / Separazione delle dita
  2. In piedi – Stessi esercizi del numero 1
  3. In piedi – Equilibrio su una gamba sola, stessi esercizi del numero 1 ma con la gamba in appoggio
  4. In piedi – Equilibrio mono-podalico - rotazione del corpo di 360° in ambo le direzioni
  5. Cammino con flessione a 90° di anca e ginocchio completando la spinta su avampiede
  6. Esercizio 5 con sovraccarichi (Es. Palle Medicinali)
Scarpe ai piedi
  1. Skip A con pausa isometrica a 90° di flessione d’anca e di ginocchio - focus sulla Stiffness dell’appoggio (con o senza sovraccarichi)
  2. Come il precedente ma senza pausa
  3. Ankling a differenti altezze (caviglia/polpaccio/ginocchio) con o senza sovraccarichi

La seconda parte pratica si è sviluppata intorno ai prodotti Musclelab™.

Il tecnico ne fa infatti largo uso con i vari prodotti, Dynaspeed, pedane di forza e laser.

Dynaspeed è un device che permette esercitazioni doppie, “Resisted/Assisted”, effettuare quindi sia “traino” che “super-velocità”.

Chiodate ai piedi – Esercizi con Dynaspeed (Resisted)
  1. Marcia per accelerazione con 50% BW
  2. Skipping per accelerazione con 40% BW incrementando velocità (v) e flight time (f.t.)
  3. Skipping per accelerazione con 30% BW incrementando v e f.t.
  4. 30m accelerazione con 5% BW
Chiodate ai piedi – Esercizi con Dynaspeed (Assisted)
  1. 30m Assisted Sprint con 5% BW
Chiodate ai piedi – Esercizi con Laser
  1. 30m Analisi Laser

Terminata questa parte ci sono poi stati presentati alcuni esercizi di forza:

  1. Skip A con sovraccarichi (Palle Mediche-Manubri-Giubbotto Zavorrato)
  2. Push-Press con Split-Jump
  3. Split-Jump con Bilanciere in appoggio dorsale
  4. Split-Jump con sovraccarichi e rotazione del tronco
  5. Balzi a Rana con e senza palla medicinale
  6. Romanian Deadlift
  7. Squat con isoinerziale
  8. Split-Squat con isoinerziale
  9. Supine-Plank su plinto - con attivazione arti superiori (pull su sbarra)
  10. Come il 9 ma con flesso-estensioni alternate arti inferiori
  11. Leg Curl proni con isoinerziale

 

Precisazioni e conclusioni

L’articolo vuole essere un riassunto delle presentazioni seguite, per i dettagli rimando alle slides pubblicate sul sito ufficiale.

Credo personalmente che l’atletica d’Élite non abbia regole scritte.

Tutti gli allenatori presenti, pur facendo parte di un’atletica “per pochi”, hanno portato esperienze dai contenuti e approcci differenti: dal pratico, allo scientifico e al mentale.

È un piacere poter assistere a questi eventi e la speranza è quella di vederci sempre più numerosi a seguirli!

P.S. Un grazie a Massimo Piovaticci, referente all’evento per la federazione di San Marino, per la compagnia e la professionalità condivisa in questi giorni!

Marco Airale

Marco Airale

Fisioterapista e Track&Field Coach
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Filed Under: Formazione, News, Salti, Sprint-Velocità Tagged With: Dan Pfaff, European Jump & Sprint Symposium, Marco Airale

Intervista a Franco Impellizzeri. Come evitare le bufale sull’allenamento!

31 Maggio 2019 by Redazione

Fake News Franco Impellizzeri

Nella foto Franco Impellizzeri, ospite al nostro corso "Metodologia e periodizzazione dell'allenamento della forza in sprinter e saltatori d'élite", tenutosi a Saronno nel marzo 2018.

Franco Impellizzeri è un amico de ilCoach ed è attualmente professore di Sport and Exercise Science and Medicine alla facoltà di Health della University of Technology Sydney e fa parte della Human Performance Resource di UTS dove si occupa di ricerca nello sport e nella attività fisica e insegna fisiologia dell’esercizio applicata e metodi di ricerca per dottorandi ed honours.

Franco è arrivato in Australia dopo aver maturato un brillante curriculum, in Italia e all’estero, sia nell’ambito accademico che nello sport di alto livello.

Tra le sue esperienze principali ricordiamo, in ambito sportivo quella di tecnico e responsabile ricerca del Centro Ricerca per lo sport della Mapei, in ambito clinico quella al dipartimento di ricerca della Schulthess klinik a Zurigo.

Franco è diplomato Isef e laureato in Scienze Motorie e vanta un Dottorato acquisito a Trondheim in Norvegia alla NTNU oltre a diversi corsi di statistica seguiti in Svizzera e nel Regno Unito.

Le sue esperienze sportive nascono ovviamente con lo sport praticato con dei trascorsi in atletica leggera e nel Tae Kwon Do.

È preparatore di vari sport. La sua ultima esperienza è stata con la nazionale di Scherma (Spada) Svizzera, in preparazione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Franco è molto attivo sui social e su Facebook in particolare, dove ha lanciato una vera e propria campagna contro i Guru improvvisati dell’allenamento sportivo.

Intervista a Franco Impellizzeri

La prima domanda, anche per noi che con Ilcoach utilizziamo i social come mezzo principale di comunicazione, parte proprio da qua.

Franco anche nel mondo dello sport e della preparazione fisica si sta verificando il cosiddetto fenomeno delle "bufale" e della disinformazione pseudo scientifica. Certe metodologie o, peggio ancora, certi “santoni” dello sport proliferano con ricette magiche e soluzioni a portata di click. Talvolta, anche cercando di adottare un pensiero critico, si fatica a discernere tra quello che può essere uno spunto interessante e quella che è una cavolata. Tu come credi che possa essere utilizzata la rete ed il social in maniera utile?

In realtà penso che sia un problema che avevamo anche in passato solo che con i social media oggi è tutto amplificato. C’è solo un’arma per combattere o difendersi da questa deriva dell’informazione ed è il cervello. Occorre innanzitutto avere un approccio scettico che non è il non credere a nulla ma l’analizzare le basi e la logica dietro certe affermazioni.

Oggi anche gli studi sono diventati di dominio pubblico e alcuni guru vanno a pescare gli studi che più supportano le proprie idee ignorando, in buonafede o malafede, le evidenze contrarie o senza rendersi conto della debolezza degli studi stessi a cui fanno riferimento. Come in tutto ci sono ricerche buone e meno buone, così come limitazioni che vanno considerate. I social, tuttavia, sono uno strumento utile per capire le esperienze degli altri ed è per questo che io, ad esempio, ho iniziato ad usarli. Ma occorre avere chiara questa distinzione: esperienze verso evidenze. Spesso esperienze vengono rivendute come certezze e come riferimenti a cui tutti devono adeguarsi. Invito sempre a non sposare un metodo ma usare quello che può servire in una data situazione o come spunto per variare il nostro allenamento. Spesso il lavoro dell’allenatore è un continuo “prove ed errori”, e non ci sono alternative. Devo per forza provare sul mio atleta e soprattutto devo spesso adattarmi alle situazioni in cui lavoro che vuol dire ad esempio tempo a disposizione e risorse.

Quindi per rispondere alla tua domanda per usare i social in modo produttivo suggerisco di usarli come fonte di altre esperienze e non di conoscenze propriamente dette. Oltre ad un occhio critico e soprattutto chiedendosi se chi fa certe affermazioni abbia dei vantaggi economici o “psicologici” tipo per appagare il proprio ego. Inoltre bisogna sempre dubitare di chi sembra aver capito tutto.

Certe “stupidaggini” purtroppo proliferano e vengono ri-condivise non solo sulla pagina della persona comune e della “signora Maria” ma anche sui profili di “dottori” delle scienze motorie e professionisti dello sport. Credi che oggi la Facoltà di Scienze Motorie in Italia sia adeguata per fornire le capacità di pensiero critico scientifico ad un giovane studente?

No non credo sia adeguata; ma non perché sia un fallimento delle Scienze Motorie ma piuttosto perché da un lato riflette un problema della società e da un altro riflette un sistema educativo ancora molto incentrato sulle nozioni e meno sulle capacità di elaborazione. E questo è generalizzabile al sistema formativo in generale oltre che essere un problema noto. Le nozioni sono importanti ma il pensiero critico lo è forse di più o comunque un’arma in più per usare le nozioni in modo appropriato. Quello che molti non capiscono è che in ogni professione quella che viene chiamata formazione continua è la vera differenza tra un professionista ed un altro. Che va di pari passo con l’esperienza. Migliorare vuol dire continuare a studiare e documentarsi, e accumulare esperienza. Uno dei problemi è che una volta che si ha il pezzo di carta in mano si pensa di essere arrivati. Se uno la pensa così è veramente arrivato, ma perché non è nemmeno partito. In ambito formativo credo comunque che si ossa e debba fare di più in questo senso.

[Tweet "In ogni professione quella che viene chiamata formazione continua è la vera differenza tra un professionista ed un altro. Che va di pari passo con l’esperienza." Franco Impellizzeri"]

Noi siamo dell’idea che lo studio senza la pratica sul campo e viceversa non portino lontano. Quanto conta secondo te per un allenatore continuare a formarsi, ad allenarsi e ad allenare?

Ho già in parte fatto capire sopra come la penso. Sono d’accordo. Ai miei studenti di ricerca dico sempre di trascorrere tempo con allenatori, di allenarsi e se possibile allenare se vogliono fare buona ricerca applicata nello sport. Si può fare ricerca in un ambito in cui non abbiamo esperienza diretta. Come? Coinvolgendo chi questa esperienza ce l’ha! Ma è così per tutte le professioni. Non è che un chirurgo va ad operare il suo primo paziente dopo averlo studiato sui libri. C’è un percorso atto ad accumulare esperienza. Chiaramente io sono influenzato dal mio percorso essendomi mosso sulla ricerca per trovare informazioni che mi servivano per capire come meglio costruire programmi di allenamento. Ed essendomi allenato per anni tutti i giorni. Questo ha influenzato molto il mio modo di ragionare e fare ricerca. A volte però mi sembra che perfino gli allenatori si stiano perdendo nei numeri e tecnologie. Mi fa strano chiedere ad allenatori che mi spiegano le loro teorie: si ma alla fine vanno più forte o no? Dovrebbe essere il contrario visto che sono i ricercatori notoriamente quelli accusati di essere troppo teorici. Questa è l’altra deriva che vedo. Allenatori che si trasformano in una sorta di analisti che perdono di vista il loro lavoro principale. Che mostrano ai convegni 20 slide di curve forza-velocità, dove ognuno vede quello che vuole, e non mi mostrano ad esempio le progressioni nella performance o dettagli sull’allenamento.

[Tweet""Ai miei studenti di ricerca dico sempre di trascorrere tempo con allenatori, di allenarsi e se possibile allenare se vogliono fare buona ricerca applicata nello sport." Franco Impellizzeri"]

L’atletica rispetto ad altri sport ha il vantaggio della oggettività e della misurabilità delle prestazioni. Talvolta però anche il semplice misurare e valutare cose apparentemente semplici, può  nascondere delle possibilità di fraintendimenti ed errori. Quanto credi che sia importante per un tecnico saper collezionare e saper ragionare su dei dati anche dal punto di vista statistico?

Gli allenatori hanno sempre misurato ed in effetti qua potrebbe esserci un problema, ovvero quello di non conoscere i limiti e la teoria delle misurazioni. Ma se si considerano questi limiti le informazioni che si possono avere in atletica sull’allenamento tramite un semplice cronometro sono oro. L’argomento non è in realtà così complesso. O meglio si possono dare indicazioni di massima su come misurare o cosa considerare nell’interpretazione dei dati incluso nozioni di base di statistica ma anche semplicemente ricordare di valutare andamenti e non singole misure. Credo che la formazione dei tecnici oggi debba fornire anche questo. Però chi si occupa di formazione deve spendere tempo, molto, nel capire come dare le informazioni in modo comprensivo e semplice e non, come a volte succede, avere docenti il cui unico scopo è far vedere quanto sono bravi o conoscono la materia. O l’amico dell’amico che non necessariamente è sempre la persona giusta. I docenti che si occupano di formazione devono trovare il modo per far passare dei messaggi. Ed i messaggi devono esser controllati e standardizzati su tutto il territorio. Certamente le federazioni o altri enti non possono pretendere di dare qualche euro all’ora e che uno investa mesi a creare percorsi e strategie educative.

[Tweet "Ci vuole coordinamento, progettualità e investimenti (che può voler anche dire usare semplicemente i budget meglio). Franco Impellizzeri "]

L’altra faccia di questa indigestione di informazioni sulla rete, è quella di inondare concetti (talvolta anche semplici) di fiumi di pagine di ricerca scientifica. A nostro parere le “battaglie” sulle bacheche, combattute a suon di re post di pubblicazioni, non sono meno ridicole della impostazione dell’allenamento magico pre vacanze in spiaggia, delle riviste da “bar sport.” Qual è a tal proposito il metodo critico che segui per valutare un’informazione che trovi sulla rete?

Chiaramente io sono avvantaggiato perché parte della mia professione è anche recuperare le informazioni. Recentemente abbiamo pubblicato un articolo per spiegare anche agli sport scientist e staff medici come creare raccomandazioni in base alla qualità degli studi ed evidenze a disposizione in letteratura. Purtroppo districarsi tra le miriadi di pubblicazioni e post che riportano studi è difficile. La prima cosa che occorre capire è se la fonte sia attendibile, ovvero se chi posta qualcosa non lo faccia per spingere un proprio metodo o prodotto (conflitti di interessi). Poi, se si ha tempo e si è in grado, controllare se in letteratura non ci siano informazioni che vanno in direzione opposta. Se si tratta di informazioni scientifiche (tipo nutrizione, infortuni, etc.) vedere se le posizioni di chi posta lo studio o lo studio stesso siano in linea o no con le posizioni ufficiali. Non perché una posizione ufficiale sia per forza giusta, ma perché intanto si capisce se quello che uno vende come assodato o scontato in realtà non sia una visione diversa e magari non condivisa dalla comunità scientifica. E soprattutto come abbiamo accennato tutti e due sopra non esistono ricetta magiche.

Qui l'articolo citato sopra:

Ardern CL, Dupont G, Impellizzeri FM, O'Driscoll G, Reurink G, Lewin C, McCall A. Unravelling confusion in sports medicine and sports science practice: a systematic approach to using the best of research and practice-based evidence to  make a quality decision. Br J Sports Med. 2019 Jan;53(1):50-56.

L’Australia è il sogno di tanti giovani e di tanti giovani allenatori e, se si vive in una città bella come Sydney, magari vicino all’acqua, probabilmente è più facile dare dei giudizi positivo sul suo sistema sportivo. Franco, cercando di essere più oggettivo possibile, puoi farci una breve panoramica delle differenze che hai sperimentato rispetto all’Italia?

Guarda l’Australia ha una grossa differenza rispetto all’Italia ovvero lo sport viene vissuto di più come divertimento e preso meno “seriamente”.  Questo crea ad esempio negli Italiani che lavorano qua in ambito sportivo diverse reazioni, tipo ritenere l’Australia indietro rispetto all’Italia perché tutto è vissuto più a livello amatoriale. L’offerta è molto diversa e molti ragazzini fanno più sport contemporaneamente. Chiaramente come dici la mia visione è falsata dalla prospettiva vivendo realtà di alto livello con cui sono coinvolto come università. Ma ho anche due figli che fanno sport a livello amatoriale e vedo ad esempio che fanno molto sport a scuola, anche non strutturato. Tipo giocare all’intervallo anche con i professori (parlo di high school). Mi piace il sistema dei trial dove chiunque può partecipare per essere selezionato per le squadre rappresentative. Mio figlio ha appena partecipato a competizioni studentesche e dalla 3° divisione nel football Australiano l’hanno spostato loro alla prima senza chiederlo. Molte academy sono private nel senso che i genitori pagano per i figli e neanche poco. Vivo la realtà di academy di alto livello quindi ho chiaramente una opinione positiva. Non conosco onestamente altre situazioni di base. Lo sport di più alto livello ha strutture, almeno per alcuni sport, molto avanzate e supporti/strutture in ogni Stato che ha dei centri con sport scientiste analisti che collaborano con gli allenatori (tipo New South Wales Institute of Sport dove vivo). E’ comunque un ambiente competitivo (l’alto livello) per chi ci vuole lavorarci e servono, ad esempio per il professionismo, certificazioni che non sempre per noi di altri paesi sono facili da avere. Quindi anche se è una meta ambita trovare lavoro in questo ambito non è facile. Poi noi vediamo sempre le cose dal nostro punto di vista e se i metodi non sono simili ai nostri tendiamo a ritenerli meno validi. Alla fine parlano i risultati e siccome non sono male proprio sbagliati non credo lo siano.

C’è qualcosa che l’Italia potrebbe importare?

Onestamente le cose che importerei sono appunto il vivere lo sport in modo più rilassato e meno competitivo a livello giovanile. Io ho esperienze ottime e i miei figli non hanno mai sentito pressioni sui risultati o sulle performance ne da parte della società ne dei genitori ad esempio. Cosa che invece sentiva molto in Italia. Recentemente mi ha confessato che se fosse rimasto in Italia avrebbe probabilmente smesso di giocare a basket. Quando sbaglia gli altri genitori lo rincuorano e se non tira perché ha paura dagli spalti lo incoraggiano. E gioca in due squadre e l’atteggiamento è lo stesso. Lo stesso l’altro figlio. Mi piace la struttura di supporto decentralizzata. Qua è una necessità perché l’Australia è molto grande (ma l’Italia è molto lunga!). Ma gli Istituti Statali funzionano molto bene. Assumono staff qualificato ed in base al curriculum. Chiaramente qualche favoritismo può avvenire ma non è la regola e se uno poi non va bene alla fine lo cambiano. Ci sono programmi di sviluppo nazionali a cui tutti (Università) possono partecipare e se le proposte di ricerca sono buone vengono finanziate. Hanno cambiato modello dell’AIS e adesso fa da supporto e identifica aree di interesse per le quali apre call a cui tutti possono partecipare e se approvate vengono finanziate. Un sistema trasparente. Ecco, porterei da noi la trasparenza.

[Tweet "L’Italia secondo me è un paese con un potenziale enorme in varie aree schiacciato dal sistema. Lo sport sopravvive ed i risultati arrivano grazie ad una base che lavora con passione e spesso gratis. Riconoscere questo lavoro per molti sarebbe già un modo di vedere ripagare i propri sforzi." Franco Impellizzeri"]

Gli spunti presi dal Web, anche quando sono validi, diventano inutili quando gli allenatori attuano un semplice “copia ed incolla” senza contestualizzarli. La nostra strategia è quella di non inserire mai più di un 10/15 % dei mezzi di allenamento rispetto alla pianificazione dell’anno precedente. Questo ci dà lo possibilità di verificare la loro efficacia. Riteniamo che un allenatore bravo possa fare diventare utile “quasi” tutti gli esercizi (anche quelli che sembrano stupidi), ma che non esista alcun mezzo capace di far diventare un allenatore bravo. Tu che ne pensi?

Questo è esattamente quello che suggerisco sempre. Parti dal tuo allenamento che hai provato e usi da anni ed implementa/prova piccole variazioni. Non innamorarti del maiale come dico sempre. Non stravolgere tutto perché qualcuno ti ha convinto. O se lo fai analizza bene le nuove proposte. Come hai detto non ho mai visto trasformare un asino in purosangue con una strategia innovativa di allenamento. Questo è il problema che abbiamo. Ci innamoriamo o lasciamo convincere da un nuovo allenamento o esercizio e abbandoniamo quello che facevamo prima. Non sto dicendo che non bisogna cambiare. Ci sono ambiti dove gli approcci tradizionali vanno contro quello che dal punto di vista scientifico sono 20 anni sappiamo essere meglio. Senza entrare nello sport specifico per non creare polemiche. In quei casi cambiamenti importanti sarebbero necessari, ma si parla di cambiamenti di sistema. Un bravo allenatore adatta e plasma il proprio lavoro in base alle risposte dell’atleta. La programmazione è una linea guida e non è scritta sulla roccia.

Poi un altro problema è l’inseguire le metodiche di chi allena campioni. Intanto occorre chiedersi sempre se un allenatore ha in mano un campione perché bravo o perché le situazioni l’hanno portato lì. Ti faccio un esempio personale. Io ho fatto parte di staff di allenatori tanti anni fa che seguiva maratoneti keniani. Alcuni hanno vinto. Pensi che io alla mia prima esperienza fossi già un genio da avere da subito allenato nel modo giusto i maratoneti in questione. O forse è che alla fine se prendi uno che chiude le maratone in 2h10min e non fai cavolate magari te ne vince una con 2 e 12 e sembri un fenomeno? Bravo io o bravo lui? Difficile capirlo. Fossi stato più furbo sarei potuto andare a fare convegni e dire quello che volevo facendomi scudo dei risultati. Se noti difficilmente uso atleti che ho allenato per promuovermi. Lo faccio solo quando qualcuno che in realtà ha meno esperienza di me mi accusa, perché in difficoltà su alcuni argomenti, di essere un topo da laboratorio perché mi occupo di ricerca. Questo succede ma non certamente nel mio caso. Nella scherma ho preparato 2 atleti che hanno vinto l’oro a squadre alle Olimpiadi e la nazionale Svizzera è stata prima del ranking per vari anni quando ero il preparatore (ed un 4 posto alle ultime Olimpiadi individuali più varie vittorie in coppa del mondo). Ho seguito una snowboarder dai suoi esordi fino alle Olimpiadi di Torino uscita agli ottavi ma migliore italiana. Credo di non aver fatto danni ma non so i se hanno vinto e sono arrivati ad una Olimpiade grazie o nonostante me. Ma se parlo di allenamento un po' di esperienza penso di averla ed è quello che ha differenziato da sempre la mia carriera come ricercatore rispetto ad altri.

Abbiamo parlato di bufale. Ce ne è una in particolare che ci vuoi segnalare, in modo da mettere in guardia anche noi e tutti gli allenatori de ilCoach?

Ti posso accennare ad una sorta di bufala nata dal mondo della ricerca di cui posso fare il nome perché la prima volta che ho contestato questo metodo l’ho fatto di persona ad un congresso e quindi non mi nascondo dietro ai social o un articolo. Sto contestando parecchio l’acute:chronic workload ratio di Tim Gabbett che è una metrica basata sulle misure di carico che lui propone insieme ad altre per prevenire o ridurre il rischio di infortuni. E’ basata su studi di bassa qualità e “massaggiati” per tirare fuori quello che vuole. Prevenire infortuni attraverso la modulazione del carico non è possibile, o meglio dal punto di vista scientifico con ci sono indicatori validi a questo scopo se non il buon senso degli allenatori che di certo non raddoppiano il carico da una settimana all’altra. Come ho scritto recentemente gli allenatori non sono idioti e spesso sono più furbi dei ricercatori se si tratta di allenare qualcuno.

Parlando di atletica più che bufala posso dire la mia su delle estremizzazioni che trovo inutili e pericolose. Ad esempio la questione dell’uso dei pesi o no. Intanto usare i pesi dice tutto e dice nulla. Dipende come si usano. Oggi ci sono due “fedi”. Qualcuno usa il proprio atleta che è magari un campione per dire che non servono. Per ognuno di questi esempi si possono portare altri esempi di atleti vincenti che li usano. Così non si va da nessuna parte e trovo onestamente certe polemiche non un contribuito costruttivo al settore. Se prendo come riferimento un allenatore che stimo come Carlo Buzzichelli, lui i pesi li usa. Ma non va in giro a dire che chi non li usa non capisce nulla. E non li usa sempre nello stesso modo. E se ci fosse una situazione in cui pensasse che non può o non serve usarli sono sicuro non li userebbe. Si adatta all’atleta come dovrebbe fare ogni bravo allenatore.

Le bufale arrivano quando uno vuole forzare e generalizzare troppo la propria esperienza o quando cerca due minuti di popolarità.

[Tweet "Le bufale arrivano quando uno vuole forzare e generalizzare troppo la propria esperienza o quando cerca due minuti di popolarità." Franco Impellizzeri"]

Ringraziamo di cuore Franco per il tempo che ci ha dedicato. Di seguito un paio di suoi interessanti interventi video.

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Filed Under: Formazione, Interviste, News

Bel week end di formazione a Nave

2 Luglio 2018 by Redazione

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Il weekend appena terminato, sabato 30/6 e domenica 1/7, si è svolto in corso di formazione per i nostri tesserati "Allenare la velocità. Strategie attuali nell'allenamento dello sprint", con relatori Alessandro Vigo, Tommaso Finadri e Andrea Dell'Angelo.

Nella prima giornata Alessandro, appena arrivato da Madrid dove ora vive e lavora, ha trattato il tema del riscaldamento dell'accelerazione e della partenza dai blocchi, fase fondamentale per ogni velocista. Ne ha parlato dal punto di vista teorico nella bella sala civica del municipio di Nave, che ringraziamo insieme alla Associazione di casa, l'Audaces Nave, per l'ospitalità.

Nave. Un momento della lezione in aula

Nel pomeriggio, in pista, abbiamo proposto una sequenza didattica per l'apprendimento e lo sviluppo di una tecnica di accelerazione, abbiamo analizzato la corretta posizione sui blocchi e le strategie per migliorare l'uscita e l'accelerazione dai blocchi. Parte finale dell'intevento si è rivolto all'utilizzo degli sprint contro resistenza (corde, elastici, traini, prowler) per migliorare la fase di accelerazione.

Alessandro Vigo mentre spiega un esercitazione tecnica

Nella seconda giornata la parte in aula ha trattato 3 tematiche molto interessanti: tecnica del lanciato e sviluppo della velocità massima (Alessandro Vigo), allenamento della forza monitorando la velocità di esecuzione (Alessandro Vigo e Tommaso Finadri) e strategie tattiche e comunicazione tra tecnico ed atleta (Andrea Dell'Angelo). Piacevole il clima di confronto molto aperto con i tecnici che hanno seguito il corso con tante domande interessanti.

Nel pomeriggio siamo tornati in pista, e dopo una fase di riscaldamento con la fase specifica focalizzata sui drills per la tecnica di lanciato Alessandro ha proposto alcune esercitazioni di corsa per migliorare la fase di massima velocità: i wicket drills e le segment run. Interessante anche uno stratagemma per migliorare la gestione dell'uscita di curva per i 200 metri.

Gli atleti impegnati nelle "Segment Run"

Un evento ben riuscito, grazie alla collaborazione dell'Audaces Nave e del Comune di Nave che ringraziamo per l'ospitalità, grazie ad Alessandro Vigo disponibile a spostarsi da Madrid per portarci le sue esperienze da coach tra USA, Kwait, Italia e Spagna, Tommaso Finadri grande esperto di velocity based training, i nostri atleti sempre disponibili a fare da dimostratori nella parte pratica del corso (un vero e proprio allenamento in realtà!) e ovviamente tutti i corsisti che oltre ad averci dato fiducia si sono dimostrati molto aperti al confronto con molte domande interessanti, rendendo il corso ancora più piacevole.

Grazie di cuore a tutti!

Lo staff

ilCoach.net A.S.D.    

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Filed Under: Formazione

UDIP Asta, l’unità didattica ad insegnamento progressivo

11 Ottobre 2017 by Redazione

atleti in partenza per il salto con l'asta

Il progetto di Udip del salto con l'asta è oggetto della tesi di laurea in scienze motorie di Andrea De Lazzari. Risulta molto interessante e replicabile per le altre discipline dell'atletica leggera ed è soltanto uno dei progetti interessanti a cui Andrea sta lavorando insieme ad altri tecnici e dirigenti preparati ed appassionati.

Il progetto più interessante è in particolare la creazione di una vera scuola teorica e pratica per la formazione dei tecnici di atletica leggera. Seguiremo gli sviluppi di Atl-etica questa nuova società di atletica che vuole proporre un nuovo modello organizzativo sostenibile che, se di successo, potrebbe essere replicabile su scala più ampia.

Cos'è l'UDIP Asta, l'unità didattica ad insegnamento progressivo

L’U.D.I.P. (Unità Didattica ad Insegnamento Progressivo) è un’iniziativa tecnica/culturale creata per avvicinare il più alto numero di atleti della categoria ragazzi/e a questa specialità in quanto, dalla FIDAL, non è prevista la gara agonistica e consiste in un percorso ludico motorio composto da n°6 stazioni, situate all’interno ed all’esterno della pista di atletica. Le stazioni sono state presiedute e controllate da un tecnico competente che si è occupato di assistere ed insegnare tutti gli esercizi propedeutici per il salto con l’asta.

Come è stutturata l'UDIP Asta

I partecipanti

All’iniziativa hanno preso parte n°30 atleti di età compresa tra i 12 e i 13 anni.

L’approccio

L’approccio dei tecnici impiegati durante la giornata è stato di tipo puramente ludico/didattico in quanto l’obiettivo della giornata era quello di insegnare ai ragazzi gli schemi motori di base utili nel salto con l’asta attraverso un percorso a stazioni. L’iniziativa non preclude nessuno. Al contrario da l’opportunità a tutti di imparare e di portare a termine il percorso nel tempo necessario. È comunque il tecnico che ritiene un atleta in grado di poter passare alla stazione successiva, questo perché l’UDIP ha anche l’obiettivo di raccogliere dati precisi sulla progressione di apprendimento.

Il percorso

Il percorso d’apprendimento è stato suddiviso in n°6 stazioni e ognuna di esse si concentra su un aspetto particolare degli schemi motori di base e dei gesti tipici della specialità:

STAZIONE 1:

Sono state effettuate esercitazioni riguardanti l’acrobatica: capovolta avanti, capovolta indietro, verticale, controverticale, ruota, oscillazioni alla sbarra con posizione di stacco.

STAZIONE 2:

Obiettivo di questa stazione, il trasporto da piano rialzato. In questa stazione verrà fatto eseguire ai ragazzi un trasporto da piano rialzato al materasso con l’ausilio di un’asta.

STAZIONE 3:

Insegnamento della presentazione dell’asta mediante l’uso di bacchette di legno e/o aste giocattolo. Per tale scopo verranno insegnate delle andature con bacchetta tipo il passo saltellato, il passo stacco ecc .

STAZIONE 4:

Vengono insegnati gli esercizi di stacco mediante l’uso di asta.

STAZIONE 5:

I ragazzi provano ad effettuare una rincorsa a 2/4/6 appoggi effettuando la presentazione e lo stacco con l’assistenza dei tecnici

STAZIONE 6:

Il salto completo con valicamento di un elastico

Analisi

Il lavoro a stazioni, seppur contenga elementi tipici addestrativi, è particolarmente efficace in questo caso perché concentra il lavoro su un particolare aspetto di un gesto atletico preciso e la successione degli esercizi segue un ragionamento logico che è la progressione del gesto. I ragazzi hanno così la possibilità di assimilare rapidamente le istruzioni e di provarle in successione in modo tale da riprodurre, ad ogni stazione, il gesto effettuato nella stazione precedente e questo metodo è efficace per la memorizzazione del movimento. È stato deciso di concedere ai tecnici la possibilità di decidere se un atleta fosse in grado di passare alla stazione successiva in quanto era necessario che ogni ragazzo/a avesse memorizzato i diversi gesti. Questo perché nell’ultima stazione è stato effettuato un salto completo quindi la conoscenza del movimento era fondamentale per la buona riuscita sia del gesto sia dello scopo dell’UDIP.

Salto con l'asta

Dati

L’unico dato preso in considerazione è stato il tempo effettivo di permanenza nelle singole stazioni. Sono stati registrati gli orari di ingresso e uscita di ogni atleta dalle singole stazioni e sono stati sommati al termine per determinare il tempo totale di esecuzione del percorso e quindi di apprendimento del gesto.

Analisi dei dati

I tempi di apprendimento variano molto e si va dai tre ai cinquanta minuti su una singola stazione fino ai trenta minuti a oltre un’ora per quanto riguarda il tempo totale. Dai dati inoltre si evince che la maggior parte del tempo è stata trascorsa nella prima stazione (acrobatica) ed è un dato importante in quanto possiamo dire che ancora oggi, ragazzi e atleti vengono sempre meno educati sotto l’aspetto degli schemi motori di base. Un altro dato che si evince, è che sicuramente i tempi di apprendimento sono molto diversi da atleta ad atleta e i fattori di queste differenze sono molteplici. Non si può certo dire tuttavia che chi abbia impiegato meno tempo sia necessariamente più bravo nella specialità in quanto tempo di apprendimento e abilità motorie non hanno alcun tipo di relazione. Tutti coloro che sono arrivati al termine del percorso (28 atleti su 30) hanno dimostrato di aver appreso nozioni e gesti nuovi e soprattutto si sono avvicinati al mondo del salto con l’asta secondo l’obiettivo principale di questa UDIP.

A cura di Vittorio Iannone

Studente Scienze Motorie Università degli studi di Brescia

Istruttore 1° livello Fipe

Vittorio Iannone

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Filed Under: Allenamento giovanile, Formazione, Salto con l'asta Tagged With: Andrea De Lazzari, Atl-etica, didattica salto con l'asta, salto con l'asta, UDIP, UDIP asta

Intervista a Frank Dick

22 Agosto 2017 by Redazione

Intervista a Frank Dick

Frank Dick è un allenatore di livello internazionale, è stato il coach alla base dei successi della leggenda del decathlon Daley Thompson; è stato anche il direttore tecnico della nazionale britannica ed attualmente è il presidente dell’EACA (European Athletic Coaches Association).

L’EACA ed IlCoach.net hanno avviato una collaborazione che ci inorgoglisce e così siamo molto felici di poter fare a Frank alcune domande:

Collegare gli allenatori alle conoscenze” è il motto dell’EACA. Su questo siamo perfettamente d’accordo ed a tal proprosito IlCoach è pronto a dare il proprio contributo in questa direzione. Tuttavia noi crediamo che anche la qualità della conoscenza e l’affidabilità delle informazioni siano i fattori chiave che permettono di far crescere le competenze degli allenatori nell’era del Web. Come credi sia possibile distinguere tra “buona” e “cattiva” informazione sul web e, secondo te, come dovrebbe essere strutturato un canale si conoscenza per allenatori?

Per molti allenatori sarà molto difficile distinguere tra un’informazione buona ed una cattiva. Il migliore consiglio che io posso darvi è di essere molto selettivi su chi vi sta dando l’informazione.

E’ utile avere chi vi consiglia o un mentore che vi guidi in questo processo. Qualcuno che ha l ‘esperienza e la competenza potrebbe fornire una lista di fonti autorevoli dove cercare e che certamente possono essere considerati siti utili per discutere a riguardo di queste informazioni.

La questione non riguarda il fatto di vedere qualcosa come una cattiva informazione quando questa appare come contraria alle nostre opinioni. Si tratta di fare distinzione tra buona e cattiva pratica; se sia portatrice di buone prestazioni e principi dell’allenamento e cose di questo tipo.

Io credo che il collegamento stia nella propria attitudine ad imparare. Bisogna avere quella che io chiamerei “una curiosità irrequieta”. Questo significa capire che il percorso dell’apprendimento non ha fine. Non possiamo mai sapere tutto. C’è sempre un livello di approccio superiore; un ulteriore punto di vista. Ma per compriere il percorso occorre costruire costantemente le proprie risorse di conoscenza, sia che queste siano persone, libri o convegni. Ci sono opportunità e risorse per imparere ovunque. Cerca di capire dove trovarle.

Qual è il miglior modo per un allenatore per migliorare le proprie conoscenze?

A riguardo una risposta molto breve: nel settore o, se preferite, nell’esperienza pratica. Vi possono insegnare quelle che sono le competenze. Ma occorre poi imparere come usarle e optare per la decisione giusta su quali abilità usare e con chi, per sviluppare cosa, e sapere quando.

- Secondo te, Frank, qual è il maggior vantaggio che internet può dare ad un allenatore? Ed accanto ai parecchi vantaggi, tu credi che ci possano essere alcuni rischi? E se sì, quali?

Una fonte autorevole sul web è davvero una via utile per insegnare le abilità, far conoscere gli strumenti disponibili sul mercato, i principi dell’allenamento e della prestazione e cose di questo tipo. Sono accessibili in ogni momento e ovunque nel mondo. Quindi sì, la rete è davvero utile per accedere alla conoscenza senza troppe difficoltà.

Tuttavia, la questione di distinguere le informazioni buone dalle cattive sorge di per se stessa come abbiamo già detto in precedenza.

Oltrettutto, non bisogna perdere di vista il fatto che l’attività di allenamento è una cosa che riguarda il rapporto con le persone. Ovviamente ci sono questioni tecniche, ma senza capacità interpersonali non si può allenare.

Quindi anche se è utile, internet da solo non fa nulla. E’ una risorsa che serve a fornirci dati nel nostro processo di decisione. Ma l’arte di prendere una decisione si impara attraverso l’interazione tra persone. La pratica dell’allenamento e le esperienze di vita guidate da una rielaborazione profonda, ci permettono di utilizzare le informazioni su internet nella direzione di un modello di allenamento e di vita in maniera saggia e consapevole.

Sapete qual è la differenza tra la conoscenza e la saggezza?

La conoscenza ci insegna che il pomodoro fa parte della frutta.

La saggezza ci consiglia di non metterlo in una macedonia!

- A nostro parere, considerando la complessità dell’atletica, è davvero importante che la figura dell’allenatore professionista si sviluppi come alternativa a quella del volontario o del semivolontario. Qual è la tua opinione a riguardo?

Credo che non dovremmo confondere il fatto che se veniamo pagati allora possiamo ritenerci allenatori professionali.

Conosco parecchi volontari che hanno allenato Campioni Olimpici. E molti allenatori pagati che spesso han fatto davvero poco per il miglioramento delle prestazioni di un loro atleta. Il loro lavoro dovrebbe essere riconosciuto e supportato adeguatamente.

E’ chiaro che una quantificazione di questo lavoro ragionevolmente dovrebbe risiedere nel compenso economico o materiale di altro tipo come ho suggerito nello “Statuto dell’allenatore”. 

Credo che ora è tempo che quella dell’allenatore divenga una “professione mista” di volontari, semi volontari e professionisti a tempo pieno. Noi dobbiamo diventare una professione adeguatamente regolamentata.

- Se tu oggi fossi un giovane atleta di talento, come sceglieresti il tuo allenatore? Qual è la qualità a cui non rinunceresti?

Cercherei un allenatore esperto e qualifcato con il quale potrei pensare di lavorare volentieri. Dovrebbe essere una relazione produttiva che oscilli fra l’essere dipendente e l’essere autonomo.

Credo che siano gli atleti a dover cercare l’allenatore e a chiedere di essere allenati. Non credo invece che sia l’allenatore che debba proporsi.

Sopra ogni altra cosa vorrei un allenatore moralmente integro. Questo è un punto imprescindibile.

- Spesso siamo concentrati sul talento degli atleti….ed il talento non può essere insegnato. A tuo parere qual è il talento principale per un allenatore? Ed è possibile apprenderlo?

Un allenatore dovrebbe essere dotato della:

  • Capacità comunicativa, ossia deve essere in grado di far passare i messaggi;
  • Capacità osservativa; non deve solo guardare ma deve vedere; non solo ascoltare ma anche sentire;
  • Capacità di orientarsi per capire quale sia la direzione di quel che vede;
  • Capacità di prendere le decisioni giuste sotto pressione;
  • Capacità di saper imparare alla svelta cercando di capire se le cose siano andate bene o male.

- L’IFac 2017 si terrà a Formia. Sarà, come sempre, una delle migliori opportunità per incontrare ed imparare dagli allenatori di alto livello. Ci puoi fare qualche anticipazione sulla prossima edizione?

L’IFAC come sempre è come un “supermercato della conoscenza”. Ogni allenatore che vi partecipa cerca quello che lui o lei vorrebbe mettere nel suo carrello o nella valigia .

Tra le varie sezioni:

  • una dedicata alla questione di portare i giovani talenti ad ottenere risultati da adulti;
  • una sulle le tendenze future nei cambiamenti nel mondo dell’alleanmento e la progettazione di programmi di allenamento davvero effìcaci
  • una vera lezione magistrale sullo sviluppo degli atleti per far proprie le decisioni che sul campo servono per vincere un oro Olimpico
  • un programma dedicato alle donne che si pongono alla guida dell’allenamento
  • la soluzione della crisi nel fondo in Europa
  • come far tornare al picco della forma gli atleti infortunati
  • una serie scelta di workshops specifici.

Ringraziamo Frank per la grande disponibilità e consigliamo di visitare il sito della EUROPEAN ATHLETICS COACHES ASSOCIATION, sul quale, a breve, saranno pubblicate informazioni riguardo l‘edizione 2017 dell’Ifac

Intervista a cura di Andrea Uberti. Traduzione a cura di A. Uberti e Matteo Rozzarin

Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Andrea Uberti

Combined Events Coach | ilCoach.net ASD Vice President
Matteo Rozzarin

Matteo Rozzarin

Istruttore Fidal | Traduttore
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Filed Under: Allenatori, Formazione, Interviste Tagged With: EACA, frank dick, IFAC

Le regole per allenare e la formazione per il 2017, di Steve Magness

11 Luglio 2017 by Redazione

Le regole per allenare la formazione

My Rules of Coaching and Learning for 2017

Questo articolo è una libera traduzione del seguente articolo:

My Rules of Coaching and Learning for 2017, scritto da Steve Magness e pubblicato sul suo blog Science of Running.

Nel suo contributo Steve Magness descrive quali sono le proprie regole e gli obiettivi da allenatore per la stagione 2017.

A nostro avviso un'idea interessante per creare la propria "filosofia da allenatore".

Ricordiamo che Steve è anche autore di diversi libri sull'allenamento sportivo ed il raggiungimento del picco di prestazione. Potete visionarne alcuni qui: libri Steve Magness

Buona lettura!

 

Le mie regole per allenare e la mia formazione da allenatore per l'anno 2017

1) Semplice ed utilizzabile.

Se un'idea o un concetto non sono semplici abbastanza da risultare utilizzabili, allora cosa ci faccio?

La complessità può essere percepita come una cosa che deve essere per forza giusta, ma vi dirò un segreto: la complessità è un modo per imbrogliare noi stessi e gli altri convincendoci della correttezza di un'idea. Dopo tutto, quando sentiamo parlare o leggiamo di qualche cosa di complesso e non lo capiamo, allora il nostro ego ci spaventa inducendoci a pensare di non essere sufficientemente intelligenti, e che in tal modo l'autore deve per forza avere ragione.

In un'epoca in cui si è sommersi dalle informazioni, il problema non è più quello di reperire il frutto di ciò che fanno le migliori menti del pianeta, è assicurarsi del fatto che questi concetti siano applicabili. Come ha fatto osservare il filosofo Montaigne ci sono due tipi di conoscenza: l'apprendimento e la saggezza. L'apprendimento riguarda quello che noi tutti sappiamo accadere ad esempio in una scuola superiore. Per definire la saggezza invece si fa riferimento alla sua applicabilità; ogni aspetto della conoscenza che aiuta una persona a vivere bene.

Per questo, per avere un qualsiasi effetto profondo su come noi svolgiamo il nostro mestiere, l'informazione deve essere semplice ed utilizzabile. Semplice abbastanza da essere capita, utilizzabile in modo che possa essere applicato.

E' con questi pensieri in mente che io rifletto sul 2016. Io non sono un grande fan delle decisioni risolute, perché spesso sono destinate a non attuarsi, ma piuttosto, preferisco riflettere sulle lezioni che sono in grado di attuare nel 2017 ed oltre.

Tra passato e futuro qui di seguito elenco una serie di lezioni ed euristiche ( che traduciamo non solo dall'inglese ma, per chi non è laureato in filosofia, anche in italiano con linee guida ed insieme di strategie e procedure per arrivare alla comprensione e alla risoluzione di un problema, alla comprensione di una teoria ecc....e per fortuna che è un articolo sulla semplicità! N.D.T.) che terrò a mente per il prossimo anno.

 

2) Girati e osserva dall'altra parte

Ogni volta che tutti stanno andando in una direzione significa che bisogna tornare indietro. Questa è una euristica preventiva che ci risparmia dal seguire le masse. Le mode somigliano ad un pendolo che oscilla da un estremo all'altro. Quando il pendolo sta oscillando pesantemente in una direzione, è l'ora di girarsi intorno, per essere sicuro che tu non stia semplicemente seguendo la massa fino al prossimo capriccio.

3) Analizzare anche l'ovvio

Le innovazioni si adagiano sulle ovvietà. Perché? Se sono ovvietà noi smettiamo di considerarle. Noi passiamo sopra le criticità che possono nascondere, semplicemente perché ci sembra di conoscerle già bene.

4) "Fai il buono, sii buono"

Questa è presa dallo psicologo Timothy Wilson. E' un promemoria per ricordare che una parte del modo in cui capiamo noi stessi è attraverso le nostre azioni e il nostro comportamento. Se noi poniamo in essere il comportamento, saremo portati a credere che rispecchiamo le qualità che quel comportamento implica.

5) Guardare le cose da vicino e da lontano

Il punto di vista è la più grande sfida dell'esistenza. E' la capacità di soffermarsi ed essere coinvolti da ciò che sarebbe semplicemente di fronte a noi, ma ad un certo punto cattura la nostra attenzione. La nostra mente tende a focalizzarsi su un solo punto di vista man mano che aumentiamo la nostra conoscenza e la nostra capacità di comprensione. Questo inficia la capacità di avere altri punti di osservazione e guardare le cose in maniera differente è un'abilità che va coltivata.

6) Tutto accade sull’auto che li porta a casa

Quando cerchiamo di capire perché i ragazzi interrompono l'attività sportiva da giovani, spesso non dipende da quello che accade nelle competizioni. Dipende piuttosto da ciò che accade fra i ragazzi ed i loro genitori quando tornano a casa in auto. Questo è il mio promemoria per quando credo che quanto io dica come allenatore sia la cosa più importante. ( Ci permettiamo di commentare questo punto per chiarire subito un malinteso. Le ragioni e le colpe dell’abbandonogiovanile ( e non solo) non sono certo tutte da addossare al rapporto con i genitori. Quel che però è importante rilevare è che, durante tutto l'arco della carriera di un atleta, ciò che succede al campo riveste un ruolo importantissimo, ma non esclusivo, oltre che spesso non principale rispetto a cosa accade fuori. Fra questi ulteriori fattori che un allenatore non può controllare, ma di cui deve di certo tenere conto, ci sono ad esempio i rapporti con i genitori, con i compagni di scuola prima e, dopo una certa età, quelli con i partner, con i colleghi di lavoro ecc.)

7) Lascia che accada, non forzarlo

Io sono uno che spinge. Voglio vedere i progressi. Ma più tu spingi in questa direzione, più lentamente questi si realizzano, la stessa cosa accade quado si sta cercando di correre veloce. Aspetta, lascia che accada.

8) Fermati e rifletti

Quella della riflessione è un'arte che si sta perdendo. Le innovazioni non si realizzano mentre si è impegnati a sgobbare, ma piuttosto nei momenti di pausa dopo il lavoro. Le classiche pause di riflessione. Prenditi il tempo necessario per riflettere.

9) La loro motivazione, non la tua

Non si tratta della mia motivazione; si tratta della loro. Cosa è? Da dove arriva? Troppo spesso ci avvolgiamo su noi stessi pensando che il mondo ruoti intorno a noi. Non è così.

10) Imparare significa cambiare

George Leonard ha pronunciato queste parole e la loro verità ancora risuona. Bisogna saper cambiare.

11) I fatti non cambiano il comportamento

Quando vogliamo dimostrare qualcosa ci serviamo dei fatti. Ma non sono questi il punto. Il comportamento cambia quando c'è un coinvolgimenrto emotivo e quando c'è sintonia sul modo di ragionare dell'altro. E' una cosa più complicata rispetto a quella di tirar fuori i fatti per poi  accorgersi che con questi non si va da nessuna parte.

12) L'intenzione conta

Non è semplicemente compiendo un gesto o un'azione  il modo in cui si compie un lavoro. Al contrario la nostra intenzione mentre compiamo un esercizio ha un effetto enorme sugli adattamenti e sui risultati che ne conseguono, anche quando un movimento (da fuori N.d.t.) è eseguito allo stesso modo.

13) Abbiamo bisogno di ostacoli da superare

Gli ostacoli non sono una cosa negativa; sono una necessità. Senza una sfida, la nostra motivazione cade e i nostri proponimenti si dissolvono. The Obstacl is The Way di Ryan Holiday è una buona lettura per chi vuole saperne di più su questa filosofia.

 

13) Tutto ciò che abbiamo è come ci vediamo

Alla fine, scordatevi tutto il resto e ricordatevi questa perla: l'unica cosa che conta realmente è la storia che ci raccontiamo. E' quella che colora le lenti attraverso cui vediamo il mondo.

E' con queste riflessioni che vi auguro una stagione di valore e produttiva. Non c'è dubbio che ci saranno parecchie sfide ma non abbiate paura ad affrontarle. Troppo spesso passiamo il tempo semplicemente tirando avanti, sbattendoci corpo e mente per stare a galla. Vi invito invece a prendervi un momento per riflettere, riflettere su ciò che avete imparato e ad immaginare in che modo questo possa essere tradotto in insegnamenti utilizzabili per proseguire il lavoro.

Sentitevi liberi di farmi conoscere le vostre lezioni e riflessioni per la stagione 2017.

Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Andrea Uberti

Combined Events Coach | ilCoach.net ASD Vice President
Matteo Rozzarin

Matteo Rozzarin

Istruttore Fidal | Traduttore
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Filed Under: Allenatori, Formazione, Traduzioni Tagged With: filosofia, filosofia allenamento, formazione, regole, regole allenamento, Steve Magness, traduzione

La formazione dei tecnici e il secondo principio della termodinamica

16 Febbraio 2017 by Redazione

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Ph. Federica Putti

 

Quello che vi proponiamo è la traduzione di un articolo molto poco adatto alla pubblicazione sul web.

È un articolo molto lungo, per certi versi complesso e che, oltretutto, non mostra esercizi o metodiche di allenamento direttamente applicabili sul campo.

Affronta però il problema fondamentale di come la conoscenza e la cultura dell'allenamento sportivo si confrontino con l'errore.

Errore che senza argini metodologici diventa epidemia.

Focolai di errore sorgono in ogni campo ed ognuno di noi è vittima ed artefice di queste fonti di contagio e confusione, la cui pericolosità è direttamente proporzionale all'autorevolezza di chi li propone e alla decenza o bontà dei risultati degli atleti attraverso cui si perpetrano certe metodiche.

Ma la soluzione a nostro avviso non sono né il pensiero unico, né l'ortodossia, né la scomunica di chi è eterodosso.

Qual'è la soluzione al problema?

La soluzione come sempre sta nell'evoluzione, che passa per la selezione: dei metodi e delle persone.

Selezione di materiale “pericoloso”, possibile soltanto attraverso l'educazione e l'autodisciplina di quegli allenatori che vogliono provare a valutare quali sono le conclusioni da trarre da un fenomeno, quali invece no, e che provano ad esercitarsi sempre nell'analisi, nella verifica, nel dubbio, a contestualizzare e adattare le proprie conoscenze in ragione dell'unicità e singolarità dell'atleta che a loro si affida.

Costruire la capacità critica dell'allenatore

Seguire l'applicazione delle evidenze scientifiche è importante, ma non può dispensare né tanto meno impedire ad un allenatore di continuare a ragionare, mettendo in discussione conoscenze, premesse, falle logiche e risultati.

Applicare tout court un principio scientifico è semplicemente un poco meglio dell'atteggiamento di chi “l'ha detto Bosco”, “all'Altis fanno così”, “è l'allenatore della medaglia olimpica”, “ne avevamo discusso recentemente con il professor Vittori”.

Giusto per fare un esempio, rapide, ampie e veloci e relativa misurazione dal malleolo al trocantere con un metro da sarto moltiplicati per 2,60, sono un disastro quando diventano il mezzo per spegnere la coscienza critica di un allenatore.

Altrimenti, non è da escludere che anche una operazione algebrica elementare come questa, possa dare qualche utile indicazione a chi conosce e capisce le basi fisiologiche e metodologiche che ne stanno alla base.

Anche quando una formula come questa è l'espressione di una scuola, quella italiana della velocità, che non vince da quasi 40 anni.

Fraintendimenti, alterazioni, interpretazioni erronee sono quasi inevitabili.

Purtroppo ne siamo ben consapevoli.

La teoria della conoscenza e delle possibilità e dei limiti della comunicazione, va bene oltre i mezzi di chi scrive.

Ma occorre provarci in tutti i modi, anche quando sorge il dubbio terribile che le parole siano soltanto rumore e il linguaggio uno strumento autoreferenziale che si avvolge su se stesso.

Per questo motivo, in un discorso, proviamo ad aggiungere anche la musica e finiamo con un ritornello, che non va considerato come una resa, ma piuttosto come il tentativo estremo di fare passare un messaggio:

“Vedi cara, è difficile spiegare, è difficile capire, se non hai capito già.*”

*Francesco Guccini, Vedi cara, dall'album Due anni dopo, Emi Records, 1970.

Qui l'articolo originale: http://coachsci.sdsu.edu/csa/thermo/thermo.htm

La formazione dei tecnici e il secondo principio della termodinamica

Lo sviluppo del coaching basato sulle convinzioni personali in opposizione all'approccio di tipo scientifico

Questa trattazione riguarda lo sviluppo della formazione dei tecnici e/o i percorsi didattici ed i programmi della loro educazione. Tuttavia, dal momento che sono numerose le vie attraverso cui i contenuti arrivano ai tecnici, ci sarà la necessità di considerarle e valutare quale sia il loro apporto rispetto alle iniziative formative (istituzionali).

Definizioni

Modello di coaching basato sulle convinzioni personali

E' il modo comune e tradizionale di allenare. Le sue guide per le esercitazioni sono generalmente basate su un mix di esperienze personali, una formazione piuttosto limitata nel campo della scienza sportiva , una selezione incompleta delle linee guida correnti sull'allenamento ed una personale opinione sul fatto che il proprio modo di allenare sia corretto.

I cambiamenti nella pratica dell'allenamento avvengono attraverso l'auto selezione delle attività.

L'accumulo delle conoscenze di allenamento basate sulle convinzioni personali è soggettivo, arbitrario, non strutturato e molto spesso mancante di una base di riscontro. Il modello di coaching basato sulle convinzioni personali include anche quello pseudo scientifico.

Gli pseudo scientifici cercano di dare l'impressione di una preparazione scientifica ma, immancabilmente, le loro conoscenze sono incomplete ed incappano in postulati falsi o erronei. Il modello di coaching basato sulle convinzioni personali molto spesso sta alla base della creazione dei più comuni programmi di allenamento.

Le organizzazioni (che li accettano) risultano essere sistemi chiusi (isolati), resistenti all'intrusione di evidenze contrarie che possano mettere in discussione la certezza delle credenze e della struttura sociale. L'entropia logica (nelle conoscenze) tende a crescere nel tempo con questa struttura.

Modello di coaching basato sulle evidenze

E' una forma di impostazione dell'allenamento ristretta e relativamente rara.

Le sue guide di applicazione pratica sono i principi derivati da studi attendibili e basati su una casistica rilevante, provenienti da fonti attendibili ed pubblicate ufficialmente.

Spesso sono presi in considerazione studi oggettivi sia a favore sia contro questi principi.

Gli allenatori che seguono le evidenze scientifiche hanno meno linee guide per la pratica dell'allenamento ma, fra queste, ci sono indicatori altamente predittivi degli effetti allenanti.

La conoscenza accumulata dai coach che si basano sulle evidenze scientifiche è obbiettivamente verificata e strutturata.

Tuttavia, i principi basati sulle evidenze scientifiche sono sviluppati in un mondo scientifico frammentato. Per questo potrebbe essere difficile raccogliere le conoscenze rilevanti in un’unica metodologia formativa. Le organizzazioni sono sistemi aperti che costantemente accettano nuove conoscenze e concetti. L'entropia logica (nelle conoscenze) decresce marcatamente quando viene stabilito un ordine.

Entropia (nelle conoscenze o logica) misura il grado di disordine o di errore all'interno di un sistema.

“È un fatto di esperienza comune che il disordine tenderà a crescere quando le cose saranno lasciate a se stesse; basta abbandonare una casa senza provvedere alla manutenzione per accorgersene”. (Hawking, 2002, p.76).

Non è misurata in unità fisiche come l'entropia termodinamica ma, allo stesso modo, è misurata attraverso alcune convenzioni imposte.

N.d.t. L'entropia per essere ancora più precisi non rappresenterebbe  esattamente il disordine di un sistema, ma più precisamente la misura in cui l'energia di questo è inutilizzabile.

Le conseguenze  e le implicazione di questa definizione nella loro totalità vanno oltre le  nostre capacità di comprensione, ma una definizione di questo tipo ci sembra dare ancora più significativa rispetto ai nostri fini.

Il secondo principio della termodinamica.

L'entropia in genere viene considerata in relazione il secondo principio della termodinamica che stabilisce che: “ l'entropia in un sistema chiuso non può mai diminuire”.

L'entropia logica in un sistema isolato nel tempo cresce sempre.

E ancora, quando due sistemi isolati si uniscono, l'entropia del sistema che ne risulta è maggiore della somma dell'entropia dei singoli sistemi.

L'unione di sistemi isolati fa da moltiplicatore dell'entropia logica. Per dirla secondo Leyman, la seconda legge della termodinamica corrisponde alla legge di Murphy, le cose vanno sempre a finire per il peggio.”

Lo sviluppo del modello di coaching basato sulle convinzioni personali: la formazione degli allenatori e lo sviluppo dei sistemi di allenamento presentano un alto grado di isolamento. È dibattuto se lo sviluppo dei sistemi di allenamento presenti parecchia entropia e, per questo motivo, sia in accordo con la seconda legge della termodinamica. Alcune delle caratteristiche dello sviluppo dell'allenamento e della sua attività sono riportate nell'elenco sottostante.

  • Quando gli allenatori sono lasciati soli e non continuano ad aggiornare la loro conoscenza attraverso fatti basati sull'evidenza, scoprono cose che portano ad un maggiore disordine (all'errore).
  • Quando allenatori rimangono invischiati nelle maglie dell’entropia, come in occasione di “world clinics” o nella scrittura di manuali di allenamento, il risultato è la proliferazione di leggende e quello di una maggiore confusione piuttosto che generare chiarezza e conoscenza.
  • L'unica strada per migliorare la conoscenza sull'allenamento è di forzare a cambiare individui entropici (allenatori pieni di credenze) ad accettare conoscenze validamente ordinate, ovvero, la conoscenza basata sulle evidenze. L'introduzione di linee guida, quando accettata, riduce l'errore.
  • La seconda legge della termodinamica ha un duplicato comportamentistico. Ogni volta che si verifica la ripetizione di un'idea umana c'è l'introduzione di un errore. E talvolta l'idea mantiene una piccola somiglianza con l'originale. Questo si riscontra nel gioco dei bambini detto “ telefono senza fili” quando si sussurra qualcosa nell'orecchio di bambino in bambino e i sussurri vengono ripetuti molte volte da un bimbo all'altro. Lo scopo del gioco è vedere quanto il messaggio originale sia stato distorto attraverso la ripetizione. Altri esempi li troviamo nelle religioni. Poche tra le religioni dei nostri tempi includono soltanto i dogmi originali. Per esempio la maternità, tema centrale della fede giudaica non è una caratteristica fondamentale del giudaismo talmud. Ad esempio spesso vediamo che i dettami degli islamici non trovano riscontro nel Corano. La Chiesa Cattolica offre “interpretazioni” della versione della Bibbia, portando a maggiore disordine.

I razionalisti

Lo sviluppo del modello di coaching basato sulle convinzioni personali è affine al “razionalismo”, il metodo soggettivo che si basa largamente sul fatto che la ragione umana sia la fonte della conoscenza.

I razionalisti credono che un gruppo importante di concetti fondamentali siano conosciuti intuitivamente attraverso la ragione, in contrapposizione all'esperienza o all'osservazione attendibile.

Questi sostengono che le verità possano essere dedotte con certezza assoluta dalle idee innate, nel modo in cui i teoremi in geometria sono dedotti dagli assiomi.

Quando sono prodotte linee guida di allenamento, gli allenatori sono spesso impregnati di posizioni intellettuali e conoscenze che non trovano convalida.

Nello sport, molte metodiche sono sostenute senza alcuna evidenza del loro valore o della loro correlazione con la prestazione.

Per esempio nel nuoto il concetto di forza della “portanza” per la propulsione non è mai stato direttamente osservato o misurato.

Risulta essere un concetto basato su credenze personali e, più viene discusso, maggiore è la sua entropia e il suo discostarsi dal concetto originale (teoria).

Esiste una soverchiante disinformazione (errore) nella “scienza del nuoto” riguardo al concetto di portanza ( per saper di più al riguardo, si veda l'esempio specifico presentato successivamente in questo articolo).

Quando la conoscenza del coaching di una sport è basata “su verità evidenti di per sé” gli sportivi di questa disciplina sono minacciati da un maggior numero di errori piuttosto che da pratiche corrette.

Quando la conoscenza in uno sport è basata su autoscoperte oppure esperienze limitate all'osservazione personale di pochi casi, l'entropia sarà dilagante.

Quando il leader di una potente organizzazione sportiva aderisce al modello di coaching basato sulle convinzioni personali, quello sport è nei guai ed in particolare è evidenziato dai lenti cambiamenti delle prestazioni dei suoi praticanti. In alcuni casi, le prestazioni possono addirittura peggiorare invece che migliorare.

La seguente affermazione di un importante dirigente sportivo esemplifica l' espandersi di fenomeni di natura entropica all'interno dello sport.

A dire il vero, il fatto che gli scienziati mi dicano che qualcosa “non può essere” significa semplicemente che questi non hanno trovato gli strumenti adeguati per esaminare il fenomeno, perché senza fine, l'esperienza che continua a confermare che gli stessi risultati ha più significato (dal mio umile punto di vista), di tutti gli scienziati del mondo che stanno dicendo che qualcosa non funziona....( Io non sto parlando di stupidaggini quali...., ma di alcuni altri “miti” come li chiama Brent.) [ messaggio privato anonimo, gennaio 2003].

Ciò che è prontamente riscontrabile nella pratica dell'allenamento è che quando qualcuno ha avuto un'idea o un esperienza che “sembra buona” viene propinata come fosse conoscenza.

Nell'esperienza da campo, se una cosa “funziona” bene almeno una volta in un contesto importante, viene considerata come valida , nonostante si ignorino tutte le altre numerose volte in cui questa non ha funzionato con altri atleti.

Ciò ha portato ad una serie di modi di fare caratteristici nell'allenamento che spesso sfociano in manifestazioni di questo tipo: se un atleta vince, il suo allenatore acquisisce credito e spiega le ragioni del suo successo. Se un atleta perde, si compie un processo a carico dell'atleta per capire dove ha sbagliato mancando in questo modo di raggiungere gli obiettivi.

L'uomo è completamente soggetto alle leggi di natura, anche nelle scelte comportamentali.

Per questo la seconda legge della termodinamica è sia applicabile ai singoli che ai gruppi sociali. Non c'è libera volontà, spirito di gruppo, scelta personale ecc.

Obiezioni di questo tipo sono più una indicazione di ignoranza che di conoscenza.

Per questo le iniziative e le scoperte concernenti l’allenamento promosse liberamente e senza un sostegno scientifico ma che vengono riconosciute come linee guida comportano grande probabilità di errore.

L'incidenza degli errori nell'allenamento

La professione dell'allenamento spesso ha dovuto ammettere la preponderanza di errori nella pratica dello stesso.

Negli anni 60 i clinics sull'allenamento, i seminari e i programmi di formazione più estesi hanno iniziato ad emergere come attività dedicate in specifico agli allenatori.

Queste esperienze formative proponevano conoscenze che si supponeva avrebbero migliorato l'efficacia delle proposte di allenamento.

All'inizio, un tema comune fu che le metodiche introdotte erano intrise delle superate (ed erronee) procedure antebelliche.

Negli anni 70 gli errori nelle pratiche di allenamento degli anni 50 e dei primi anni 60 vennero “denunciati” e furono presentate direttive migliori o per così dire “corrette”.

Negli anni 80, furono intraprese con più grande entusiasmo nuove attività per fare avanzare o scartare alcune delle acquisizioni accumulate nelle decadi precedenti.

La continua revisione di cosa si sarebbe dovuto allenare e in che modo non solo ebbe come conseguenza la revisione delle convinzioni precedenti, ma implicò anche un significativo ampliamento di metodiche passate errate.

A quel tempo, questa condotta ebbe come risultato che in alcuni si formarono convinzioni riguardo la coerenza del comportamento e della formazione degli allenatori.

Una delle interpretazioni di queste conclusioni fu la seguente:

  • Tra 20 anni le metodiche di allenamento attuali saranno considerate erronee.
  • Se il modo di allenare attuale tra 20 anni sarà considerato sbagliato, perché non allenare già oggi nel modo in cui alleneremo tra 20 anni?
  • Ci vogliono almeno 10 o 20 anni per trasferire le scoperte scientifiche in pratiche utilizzabili nell'allenamento.
  • Perché non passare al setaccio tutte quelle che sono le implicazioni scientifiche applicate attualmente allo sport ed allenare utilizzando queste conoscenze invece che aspettare 20 anni? (in attesa di una validazione formale NdT)

In qualche caso isolato, la suddetta logica e le sue conclusioni sono state adottate con grande successo (ad esempio nel nuoto canadese tra il 1976 e l’84; nella lotta libera canadese nello stesso periodo, nello sci di fondo canadese tra il 1984 e l’88).

Tuttavia, la loro non rilevanza in relazione al complesso del mondo sportivo non ebbe impatto nella professione in modo netto. Nonostante l'esplosione del settore della scienza applicata allo sport, il modello di allenamento basato sulle convinzioni personali è ancora quello dominante al giorno d'oggi.

Differenze tra i due modelli di coaching

Il modello di coaching basato sulle evidenze fa previsioni che possono essere verificate (osservate).

Il modello basato sulle convinzioni personali solitamente spiega (a posteriori NdT) perché un evento si sia verificato e si fa scudo del tempo trascorso.

Il modello basato sulle convinzioni pone in relazione perché qualcosa sia avvenuto con poche probabilità di testare davvero le correlazioni delineate nella sua spiegazione. Il modo di salvarsi la faccia per il modello basato sulle convinzioni è la vaghezza delle sue previsioni o la ammissione dell'impossibilità di farne.

Questo serve a gonfiare il Principio di Incertezza oltre limiti ragionevoli e così l'errore può essere mascherato sotto la forma di incontrollabilità del fenomeno naturale piuttosto che dipendente da una approssimazione deliberata. In termini scientifici o scolastici questo viene definita “scappatoia”.

Nella vita così come la conosciamo, ci sono molti più stati di disordine che di ordine.

Senza evidenze verificabili, ci sono parecchi stati dell'allenamento che sopravvivono senza regole.

Le evidenze limitano la mancanza di limiti più o meno nello stesso maniera in cui un gioco ad incastro (puzzle) arriva disordinato nella sua scatola per poi essere ordinato solo quando i pezzi si accoppiano insieme nell'unico modo possibile.

Il coaching rimarrà disordinato fino a che i principi basati sulle evidenze scientifiche non siano introdotti alla base delle sue conoscenze.

Una debolezza in questo requisito è dato dalla sua applicazione.

Gli individui che ora guidano il disordine nell'allenamento dovrebbero cambiare e divenire più ordinati quando le evidenze scientifiche diverranno una realtà delle pratiche di allenamento.

Questo rappresenta una minaccia all'inerzia organizzativa (il comfort level del disordine perpetuato dai leader), e per questo motivo ha molte poche possibilità di essere modificato. La paura, spesso espressa come derisione della buona scienza sportiva, è la caratteristica della perpetuazione del disordine (ignoranza) nel coaching sportivo.

La sfida è quella di fare una distinzione tra scienza dello sport buona e quella cattiva.

La cattiva scienza dello sport solitamente scaturisce da fonti limitate che si basano su procedure scientifiche non valide quali ad esempio “il richiamo all'autorevolezza”, la speculazione su se stessa (senza verifica pratica), o la formazione di “verità auto evidenti”.

D'altra parte, la buona scienza dello sport deriva dall'esercizio della scienza naturale.

I suoi principi sono derivati dalla ripetizione indipendente di indagini che induttivamente arrivano alle medesime conseguenze; queste conseguenze sono solitamente convogliate più fortemente se realizzate da qualcuno che non sia stato coinvolto nell'indagine originale (una forma indipendente o rigorosa di analisi, in pratica una meta analisi).

Passiamo ad un esempio concreto.

Nello sport del nuoto, gli allenatori generalmente concordano sul fatto che i nuotatori debbano “lavorare duro”.

Questo ha portato alla comune accettazione che i nuotatori possano essere in stato di sovra-allenamento per lunghi periodi e questo appare come una cosa corretta e desiderabile.

Non solo questo fenomeno è tanto radicato nella pratica delle cosiddette “settimane infernali”, ma queste sono proposte pure a tutte le classi di età.

Gli scienziati dello sviluppo possono offrire evidenze convincenti sul fatto che un'attività eccessivamente specializzata prima della pubertà sia indesiderabile qualora gli obiettivi siano quelli di una specializzazione a lungo termine.

Questo non viene accettato da quegli allenatori convinti del contrario (ed è per questo molti giovani sono messi a rischio).

Nell'allenamento del nuoto tutto mostra l'ovvietà della seconda legge della termodinamica.

Negli ambienti in cui il talento natatorio non è richiesto, ma arriva naturalmente, ci sono storie di allenatori che risultano di successo per un determinato periodo di tempo e dopo diventano meno efficaci.

Qualche fattore non inteso (spesso riconducibile ad un soggetto di grande talento) spiega la supremazia fino a che il disordine successivo non ha la meglio sul fattore principale (o sui fattori) e fino a che non prenda il sopravvento ancora la accresciuta entropia. Il talento individuale sopravvive nonostante l'entropia del suo allenatore.

Questo fenomeno è riconosciuto nel detto:

“i grandi atleti fanno i grandi allenatori”

Gli esponenti più anziani delle organizzazioni di coaching non potevano percepire il coaching in maniera differente, avendo avuto a disposizione poche dimostrazioni di tipo scientifico, soprattutto se messe a confronto con quanto invece si sa oggi.

È raro e coraggioso chi cresce col tempo e nella conoscenza, che spesso contraddice qualcosa che aveva proposto nei periodi precedenti.

Un fallimento nello stare al passo con i tempi di espansione delle conoscenze verificabili e delle loro implicazioni ne bloccherà i progressi e ristagnerà o regredirà verso l'errore.

Questo avrà una ricaduta sul successo di questo tipo di conoscenze, nelle prestazioni degli atleti.

Quando primati e successi personali non stanno avanzando in una disciplina, solitamente è perché il disordine si mantiene stabile invece di riuscire ad introdurre l'ordine e migliorare le prestazioni.

Quale è la soluzione per questo problema?

Possibilmente, seguire la condotta di individualità oggettive o di gruppi che verificano indipendentemente le implicazioni (e le previsioni) di scienziati che hanno condotto ricerche esenti da errori e preconcetti.

I principi di allenamento basati sulle evidenze si producono in questo modo e su questi si può fare affidamento.

La scienza non sarà mai perfetta.

La meccanica quantistica ha dimostrato che gli eventi non possono essere previsti con perfetta accuratezza perché esiste sempre un grado di incertezza.

Come ha fatto notare Stephen Hawking (Hawking, 2003, p. 161), la scienza oggi ha un nuovo obiettivo che non coincide più con la vecchia pretesa di stabilire un ordine assoluto.

Il nostro intento è quello di formulare una serie di leggi che ci daranno la possibilità di stabilire gli eventi fino al limite segnato dal principio di indeterminatezza. [l'intento è quello di scoprire una regola ammettendo la possibilità di eccezioni].

Le cognizioni più diffuse sull’allenamento e chi le guida si muovono all'opposto di questi obiettivi e non importa quali pretese vengano avanzate.

Le pratiche ed i metodi tipici di elaborazione delle linee guida sull'allenamento e sui suoi principi il più delle volte si rivelano del tutto opinabili.

Il modello di coaching basato sulle evidenze

Lo sviluppo dei principi dell'allenamento basati sulle evidenze si regge sull'analisi di diversi studi scientifici indipendenti che relazionino scoperte dello stesso tipo riguardo ai comportamenti umani e, per questo, reputati meritevoli di essere sostanziali ed affidabili.

Un'illustrazione di questa procedura mostrerà in quale modo l'informazione sia derivata per formare un principio di allenamento basato sull'evidenza.

La tavola 1 elenca le scoperte scientifiche e riferimenti relativi alla nutrizione e all'integrazione alimentare nelle donne.

Diversi di quegli studi fanno una comparazione fra i generi e indicano che un principio che è stato sviluppato per le femmine differirà da quello sviluppato per i maschi. I riferimenti nella tavola pongono l'attenzione maggiormente sugli atleti di sesso femminile.

Per concludere qualcosa relativo ai maschi sarebbe necessario considerare un maggior numero di studi.

Nella tavola ci sono 11 citazioni, 10 studi supportano una tesi mentre l'undicesimo riporta risultati differenti. [forse una manifestazione del Principio di Indeterminatezza]

Sarebbe sbagliato concentrarci sui risultati dell'undicesimo studio e proporre che le implicazioni degli altri 10 studi siano “sbagliate” (come potrebbe essere fatto in un modello di coaching basato sulle convinzioni).

Quello che questi studi mostrano è che la integrazione del carico dei carboidrati prima dell'allenamento si rivela largamente inefficace per il miglioramento delle prestazioni delle donne in attività a componente prevalentemente aerobica.

Queste implicazioni vanno contro a quanto sostenuto oggi dalle metodiche di allenamento di parecchie discipline sportive.

Ci sono una varietà di ragioni perché questa posizione avversa stia diventando evidente, una delle principali è stata il fatto che una grande quantità di ricerche scientifiche di storia dello sport sia stata fatta utilizzando soltanto studenti universitari maschi.

Tuttavia, sta diventando evidente che ci sono molte differenze di genere nella funzione e nelle determinanti della prestazione di quella che in larga misura è un'area separata di studi sulle atlete donne, ciò che è garantito nella misura in cui i soggetti dello studio sono femmine.

 

Nonostante la lista di fonti sia meno che esaustiva la tavola supporta l'asserzione di due principi riconosciuti dal modello di allenamento basato sulle convinzioni:

Le donne atleta non traggono benefici nelle loro prestazioni dalla supplementazione alimentare di carboidrati prima e durante le performance ad alta intensità. (studi 1,2,34,9,10).

Il consumo dei carboidrati durante l'esercizio fisico è differente a seconda del sesso (studi 5,6,7,8)

Lo studio 11 nella tavola 1 offre un'evidenza contraddittoria rispetto agli altri 6 studi che suggeriscono un conferma del principio di allenamento numero 1.

Tuttavia, la preponderanza delle evidenze suggeriscono che gli allenatori non dovrebbero porre enfasi su una dieta ricca di carboidrati, sulla loro integrazione o il carico degli stessi con gli stessi intenti con cui lo farebbero con gli atleti maschi.

Il principio di allenamento numero 2, che è derivato da una rassegna meno che esaustiva della letteratura, riconosce una base fisiologica riconducibile ad una differenza di genere nell'utilizzo dei carboidrati e nel metabolismo negli sforzi ad alta intensità.

Modello basato sulle convinzioni a confronto con il modello basato sulle evidenze nella descrizione del medesimo fenomeno

Questa sezione mostra i tipi di conoscenza sviluppati in relazione allo stesso fenomeno, partendo da un sistema chiuso basato sulle convinzioni e su uno aperto basato sulle evidenze.

Il lettore può giudicare il grado di errore sviluppato seguendo ciascun sistema.

Il sottoscritto ha criticato il concetto di portanza come un fattore decisivo per generare la propulsione nel nuoto (Rushall et al; Rushall, 2002).

Questi attacchi hanno comportato delle reazioni importanti da parte di coloro che avevano sviluppato la ferma convinzione che la portanza fosse la componente principale di propulsione nel nuoto.

John Waring (2003) criticò i concetti di Rushall (2002) su portanza e sua applicabilità nel nuoto.

Così facendo, furono rese palesi alcune importanti asserzioni erronee ed omissioni. L'illustrazione (fig.1) di una tavoletta galleggiante trazionata fu utilizzata per dimostrare cosa propone Waring circa il modo in cui la forza si sviluppa nella propulsione del nuoto.

 

Rappresentazione idrodinamica del flusso generato da una tavoletta trazionata nella corrente di  un fluido (Waring 2003)

L'illustrazione è soltanto un modello di un evento che si presume reale.

Sfortunatamente, in molti sport, ed in particolare nel nuoto, i modelli vengono proposti come se rappresentassero i fenomeni nella loro realtà, portando una grande quantità di false ed erronee conoscenze (entropia) che meglio si adattano alle credenze che non ad un fenomeno reale.

Con la tavoletta galleggiante trazionata ci troviamo di fronte in realtà a diversi errori:

  • Quando una tavoletta viene trazionata, normalmente è ruotata, quindi non stabile. In conseguenza di ciò l'aria scorre asimmetricamente, in virtù della rotazione. Questi cambiamenti nel flusso dell'aria producono caratteristiche non rappresentate nel modello della figura 1.
  • Una tavoletta è difficilmente assimilabile ad una mano nella sua forma. Quando è trazionata non si presenta in una maniera che somiglia al modo in cui un campione di nuoto orienta la propria mano nel nuotare. (Rushall, 2002).
  • La rappresentazione di un fenomeno soltanto, quale quello del “flusso nella portanza” proposto da Mr. Waring, con l'esclusione di altre forze e fenomeni importanti connessi con il flusso è fuorviante.

Nel campo della fisica, c'è un singolo principio che statuisce che “quando il flusso di un fluido è alterato, si creano differenziali nel rapporto forza/pressione”.

Ci sono tre serie di cause indipendenti che alterano il flusso del fluido; la deviazione asimmetrica (come discusso in precedenza), gli oggetti in rotazione, e la distorsione degli attriti. (e.g. The Coanda Effect).

Se un differenziale di pressione agisce sul piano verticale, molto spesso viene indicato come “forza della portanza”, un termine che genera confusione ed errori e che non riesce a discriminare i tre fenomeni diversi causati da tre fattori completamente differenti.

Questo autore utilizza il termine “vera portanza” per rappresentare il fenomeno causato dalla combinazione dell'effetto Coanda e dal vortice che risulta nel volo.

Nel caso di oggetti rotanti, il fenomeno viene comunemente indicato come effetto di Magnus.

Nel caso di oggetti asimmetrici i differenziali nella pressione sono le differenze fra le componenti della reazione normale (terza legge della dinamica di Newton) e la componente verticale negativa della resistenza al traino.

La tavoletta galleggiante trazionata presentata da Waring è un fenomeno che potrebbe non essere mai osservato dato che è molto difficile che si verifichi nella realtà.

Non tutte le asserzioni controverse presenti nel saggio di Waring sono state affrontate in questa discussione.

Quelle scelte sono state utilizzate per esemplificare come una semplice convinzione finisca per immischiarsi con la scienza dello sport e in che modo sia stata filtrata giù fino a una pubblicazione nell’ambito del coaching.

E così, l'entropia di cui abbiamo ampiamente dato dimostrazione, ha potuto influenzare alcune pratiche dell'allenamento.

Per valutare il criticismo di Waring nei confronti della tesi di Rushall sul fatto che la “vera portanza” non esisterebbe nella propulsione del nuoto, è stato seguito un approccio basato sulle evidenze. Il modello di Waring è stato replicato in una situazione reale.

Una tavoletta è stata ancorata trasversalmente in una piccola galleria del vento.

Ogni flusso laterale di fluido sul lato della tavoletta è stato impedito.

Una traccia di fumo è stata utilizzata per fotografare il flusso d'aria attorno all'attrezzo. Il fluido viaggiava a 2 m/s ma non replicava le esatte caratteristiche del fluido d'acqua che scorre attorno alla tavoletta a quella velocità.

Si sarebbe potuto generare un flusso d'aria per approssimare da vicino il flusso d'acqua ma ciò non è stato possibile in questa situazione.

Tuttavia c’è discussione sul fatto che i fenomeni testimoniati costituiscano evidenze delle reali caratteristiche del flusso del fluido attraverso l'oggetto come descritto da Waring.

Quando una vera tavoletta è stata osservata in un flusso di fluido in una vera galleria del vento, non ha mostrato alcuna delle caratteristiche pretese da Waring.

Alcune delle maggiori differenze fra le evidenze prodotte e le convinzioni di Waring sono le seguenti:

Il percorso del flusso di fluido è apparso di forma convessa sopra e ben oltre il limite posteriore dell'oggetto.

Dopo il limite della traccia il flusso inferiore è arricciato verso l'alto invece che continuare su una linea dritta.

C'è più disturbo nel flusso d'aria sotto l'oggetto piuttosto che sopra.

Una tasca di resistenza ha trascinato l’oggetto in maniera asimmetrica.

Questa sacca “tira” leggermente verso il basso.

La forza D dovrebbe avere una forza negativa verso il basso e una componente di forza orizzontale.

Una grande massa di aria è deviata verso il basso ed agisce in maniera simile a quella di un solido.

Come nella Terza legge di Newton della dinamica, il contatto della tavoletta con la massa d'aria produce una normale forza di reazione, che qui è rappresentata come R.

La differenza tra la componente verticale della forza della normale forza di reazione e la componente della forza negativa verticale della resistenza al traino potrebbe produrre una tendenza dell'oggetto a sollevarsi.

La differenza è in ciò che rende possibile il volo di un aquilone.

Il volo di un aquilone non è molto distante da ciò che Waring ha tentato di dimostrare.

La potenza per produrre queste varie forze deriva dal motore che spinge l'aria a 2 m/s.

Il lettore può comprendere se la descrizione basata sulle convinzioni di una tavoletta trazionata (Figura 1) sia o non sia rappresentativa di ciò che realmente accade nell'osservazione basata sulle evidenze.

Nessun aspetto del modello costruito con la tavoletta basato sulle convinzioni personali si verifica nelle condizioni reali. I movimenti tipici di un oggetto asimmetrico nella corrente di un fluido sono complessi e non sono rappresentati qui nella loro totalità.

Se la tavoletta nella galleria del vento fosse libera, sarebbe stata spinta via in direzione della corrente.

Il flusso di un fluido attorno ad un oggetto asimmetrico non sempre produce una forza verticale ( incorrettamente generalizzato ed indicato come “portanza” per comodità quando possibile).

Anche il timone in una barca funziona in questo modo.

Questo semplice utilizzo di un oggetto asimmetrico per provocare una deviazione nella corrente di un fluido e per produrre forze alterate è di uso comune nella vita quotidiana.

Tuttavia non si può ricreare una deviazione se la forza non viene applicata all'oggetto , come accade per un motore o per un aeroplano e le vele di uno yacht.

Questo punto non è stato considerato da Waring.

L'esperimento della galleria del vento è stato intrapreso per esaminare cosa ci fosse di vero nel modello di Waring.

In nessun modo può essere confutato che quel che è stato mostrato nella galleria del vento con la tavoletta abbia alcuna rilevanza per il nuoto.

È stato semplicemente utilizzato per mostrare che le asserzioni basate sulle convinzioni personali hanno bisogno di essere verificate obiettivamente prima di essere sposate in toto.

L'utilizzo da parte di Waring di un'analogia fittizia per supportare una convinzione erronea può solamente fare crescere l'entropia nell'allenamento del nuoto.

D'altra parte, l'osservazione basata sulle evidenze può ridurre l'entropia perché mostra il motivo per cui la convinzione non debba essere seguita.

Questa fermerà in qualche misura la crescita dell'entropia. Una strategia dell'allenamento basato sulle evidenze è quella di confutare il maggior numero di finzioni, panacee per ogni problema e miti possibili in modo che le conoscenze degli allenatori siano basate su contenuti verificati obiettivamente.

Questo dovrebbe migliorare la conoscenza degli allenatori e da questo si spera che ne derivi un beneficio per gli atleti che da essi vengono allenati.

Questo esempio ha provato a mostrare che ci può essere una grande differenza tra le spiegazioni dello stesso fenomeno basate sulle convinzioni personali e quelle derivate dalle evidenze, a prescindere da quale sport si vada a considerare.

Sviluppi nel campo dell’allenamento

L'utilizzo in questo saggio dell'esempio del nuoto è stato ponderato a fondo.

Oltre a fornire uno spunto coerente, l'allenamento del nuoto è uno dei più evidenti ed ovvi esempi di allenamento e sviluppo dei metodi di allenamento basato sulle convinzioni.

Tuttavia ci sono molte altre discipline che autorizzano motivi di critica che riguardano sistemi basati sulle convinzioni personali. Il metodo con cui i principi di allenamento e le informazioni sono raccolti è il criterio più comune per valutare se per generare informazione si faccia uso di un sistema basato sulle convinzioni o sulle evidenze.

Anche se la cosa più facile che c'è è alimentare le credenze, questo non significa che queste siano la migliore fonte.

Questo breve commento sulla gestione e la crescita degli schemi di sviluppo dell'allenamento ha mostrato che le implicazioni della seconda legge della termodinamica sono appropriate perché i suoi elementi sono manifesti nei programmi di allenamento basati sulle credenze. Lo sviluppo dell'allenamento basato sulle evidenze al contrario si propone di rappresentare un'alternativa migliore. Il punto principale della discussione e le sue implicazioni sono le seguenti:

Quello che è stato insegnato a scuola o all'università probabilmente oggi è sbagliato.

Fa parte dell'entropia in espansione che si manifesta con il tempo nello sviluppo dell'allenamento “stagnante”.

Gli allenatori che falliscono continuando a valutare i propri metodi come affidabili, hanno più probabilità di adottare metodi di allenamento erronei piuttosto che altri da cui trarre beneficio, anche solo da un punto di vista del “progresso”.

Un fallimento nel perseguire l'obiettività nell'analisi della conoscenza e dell'“evidenza” è proprio quello di seguire gli stessi processi sostenuti dal razionalismo accordando agli allenatori uno status che spesso smentisce la loro formazione intellettuale.

Sposare le pretese ed i metodi frutto della pseudo-scienza farà crescere l'errore nelle metodiche di allenamento a causa degli effetti moltiplicatori della combinazione in varie forme di entropia/disordine/errore.

Gli allenatori che non sposano l'affidabilità e immutabilità delle proprie metodiche di allenamento, ma che ”innovano” creando metodiche originali, hanno più probabilità di introdurre attività dannose e controproducenti piuttosto che vantaggiose.

Le associazioni di allenatori responsabili della loro formazione aumenteranno il disordine nelle proprie discipline e professioni qualora dovessero fallire nella ricerca di principi di allenamento basati sulle evidenze a fondamento stesso della loro formazione in luogo di presentazioni “di successo” che in larga parte supportano lo status quo.

La scienza dello sport che si ritiene corretta ed appropriata è più consona a sposare la scienza naturale e a scoprire le vere cause delle prestazioni atletiche piuttosto che le credenze. Le credenze alimentano l'entropia e l'errore.

Quanto disordine (entropia, errore) viene coinvolto nella pratica dell'allenamento e dipenderà da quanto e fino a quale punto i principi basati sulle evidenze e le credenze sono coinvolti nella cultura dell'allenamento.

Quando gli è stato chiesto di esprimere una valutazione sugli argomenti di questa presentazione, il celebre allenatore e studioso dello sport australiano Forbes Carlie, ci ha lasciato questo commento. (Carlie, comunicazione personale, Agosto 2003)

“Hai ragione; questo lo dovrebbero fare bene gli “educatori” e i direttori del coaching. Sono queste le persone a cui tu ti stai rivolgendo. È a questi educatori, che devono assumere il ruolo di scienziati, che gli allenatori dovrebbero essere disposti e capaci di sottoporre le proprie idee al vaglio di un obiettivo criticismo basato sulle evidenze. Di più, come hai fatto notare, c'è una una parte sufficientemente grande di idee pseudoscientifiche sull'allenamento ben dura a morire, quali ad esempio “il mito del nuoto”, alcune di queste di davvero lunga data, che han bisogno di essere spazzate via da veri scienziati che potrebbero anche non essere allenatori di successo, potrebbero non essere capaci, per così dire, di covare un uovo, ma che possono smascherare un uovo cattivo dovesse capitare loro di fronte. Questo aiuterebbe ad evitare che gli atleti talentuosi siano guidati lungo il loro percorso da false idee professate da allenatori non all'altezza del successo che viene loro attribuito. Sì, è agli educatori dotati di una certa influenza che bisogna applicare il reattore prima che conoscenze inaffidabili entrino nei manuali e nei corsi degli allenatori. È su questi punti, io credo, che tu stai elencando, che gli scienziati dovrebbero intervenire prima che sia dato qualsiasi sigillo di approvazione.

Ma in retrospettiva, pensa quanti libri ed articoli sul nuoto in passato e per queste stesse ragioni quanti di oggi potrebbero essere giudicati grandemente difettosi. È certo che tutte le “verità” di oggi avranno bisogno di essere modificate e forse è altrettanto un fatto che “ non sbaglia chi non fa nulla”. Il processo di apprendimento sembra seguire un percorso a zig zag.”

Ne abbiamo parlato anche qua:

La formazione dei tecnici di atletica leggera e il 2* principio della termodinamica #LiberiLibri 01 - YouTube

Riferimenti

Immagine di copertina di Federica Putti

Andrews, J., Sedlock, D. A., Flynn, M. G., Navalta, J., & Ji, H. (2001). Carbohydrate loading and supplementation in trained female runners. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(5), Supplement abstract 933.

Backman, L. D., Taylor, A. W., & Lemon, P. W. (2000). Effect of isoenergetic high vs low protein supplementation on body composition and performance in female rowers. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(5), Supplement abstract 1664.

Carter, S. L., Rennie, C. D., & Tarnopolsky, M. A. (2000). Endurance training results in a decrease in glucose RA/RD during exercise at both absolute and relative intensities. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(5), Supplement abstract 1264.

Hawking, S. W. (2003). The theory of everything. New York, NY: New Millenium Press.

Jacobs, I., Moroz, D., Tikuisis, P., & Vallerand, A. (2000). Muscle glycogen in females after exercise at 9 and 21 degrees Celsius. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(5), Supplement abstract 1684.

Jarvis, A. T., Felix, S. D., Sims, S., Coughlin, M., Jones, M. T., & Headley, S. A. (1997). The effect of carbohydrate feeding on the sprint performance of female cyclists following 50 minutes of high intensity exercise. Medicine and Science in Sports and Exercise, 29(5), Supplement abstract 723.

Kirwan, J. P., O'Gorman, D., Campbell, D., Yarasheski, K. E., & Evans, W. J. (1997). Effects of a pre-exercise breakfast cereal on exercise performance and glucose production. Medicine and Science in Sports and Exercise, 29(5), Supplement abstract 726.

Partington, S., Stupka, N., Rennie, C., Ridell, M., Armstrong, D., & Tarnopolsky, M. A. (2000). Exogenous carbohydrate supplementation suppresses endogenous carbohydrate and protein oxidation in males and females. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(5), Supplement abstract 1063.

Paul, D. R., Mulroy, S. M., Horner, J. A., & Jacobs, K. A. (1999). Carbohydrate-loading diets in women cyclists. Medicine and Science in Sports and Exercise, 31(5), Supplement abstract 880.

Pritzlaff, C. J., Wideman, L., Weltman, J. Y., Gaesser, G. A., Veldhuis, J. D., & Weltman, A. (2000). Carbohydrate and fat oxidation during exercise and recovery: Effects of exercise intensity and gender. Medicine and Science in Sports and Exercise, 32(5), Supplement abstract 1068.

Rushall, B. S. (2002). Lift is not a viable force in swimming propulsion. American Swimming Coaches Association Newsletter, 2002(5), 15-20.

Rushall, B. S., Holt, L. E., Sprigings, E. J., & Cappaert, J. M. (1994). A re-evaluation of the forces in swimming. Journal of Swimming Research, 10, 6-30.

Speers, V. R., McLellan, T. M., Grisso, C. A., Smith, I. F., & Rodgers, C. D. (2001). Carbohydrate ingestion is not affected by menstrual phase in moderately trained females. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(5), Supplement abstract 1599.

Titchenal, C. A., Graybill-Yuen, R. B., Yuen, K. Q., Ho, K. W., & Hetzler, R. K. (1998). Effects of a fat-rich diet on maximal oxygen uptake and time-to-exhaustion in female triathletes. Medicine and Science in Sports and Exercise, 30(5), Supplement abstract 1141.

Waring, J. (July-August, 2003). Drag is not enough. Swimming in Australia, 44-46.

Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Andrea Uberti

Combined Events Coach | ilCoach.net ASD Vice President
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Filed Under: Formazione Tagged With: 2° legge della termodinamica, allenatori, entropia, formazione, formazione allenatori, formazione dei tecnici, termodinamica e tecnici

Alessandro Vigo: da Strambino a Phoenix, passando per il Kuwait per lavorare come allenatore!

21 Settembre 2016 by Redazione

AlessandroVigo-0-orizz

Da quasi un anno seguiamo con estremo interesse, soprattutto tramite il suo profilo Instagram, il lavoro svolto da Alessandro Vigo, allenatore dal 2012 presso l’ASD Atletica Strambino (anche se ufficiosamente inizia all’ Atl. Strambino nel Dicembre 2007 come assistente alle categorie esordienti e ragazzi...) , dal 2015 si trasferisce in Kuwait presso lo SPARK Athletic Center, centro sportivo futuristico a Shuwaikh in Kuwait. Da sempre sul suo profilo Alessandro condivide interessanti spunti video degli allenamenti che fa eseguire ai suoi clienti.

Alcune settimane fa ha inoltre conseguito la prestigiosa certificazione CSCS della NSCA (National Strength & Conditioning Association), dopo aver preparato e sostenuto l’esame della NCSA USA completamente in lingua inglese. Abbiamo scoperto che dal 24 settembre si trasferirà a Phoenix (USA) al quartier generale dell’ALTIS, uno dei centri di preparazione atletica più prestigiosi del mondo (diretto da Dan Pfaff e dove si allena il vice campione Olimpico a Rio 2016 nei 200 metri Andre De Grasse.)

Visto il nostro interesse verso questo centro abbiamo chiesto ad Alessandro di farci conoscere periodicamente la sua esperienza in Arizona. Partiamo conoscendo meglio Alessandro con una breve intervista…

 

Ciao Alessandro, intanto complimenti per i traguardi raggiunti fino ad ora. Raccontaci un po’ il tuo percorso “sportivo e formativo” che ti ha portato in questi anni ad intraprendere esperienze davvero interessanti?

Ciao Andrea, grazie a te e al team de ilCoach.net per i complimenti e l’attenzione rivoltami.
Sin da ragazzo sono stato coinvolto in attività sportive da una famiglia che mi ha guidato e motivato a ottenere il meglio nello sport come nello studio. Una figura fondamentale nel mio avvicinamento all’Atletica Leggera è rappresentata dal prof. Gian Vittorio Icardi, insegnante di Educazione Fisica, fondatore dell’ ASD Atletica Strambino e mio allenatore con il quale passai il mio primo ostacolo correndo su un piazzale asfaltato nel 1996. Donovan Bailey e Michael Johnson sono i miei eroi di quell’estate. Loro mi aiutano a prendere definitivamente la strada dell’Atletica fino a quel momento condivisa con il calcio. Ho corso a buoni livelli fino alla stagione 2005, quando l’amore per l’Atletica è tristemente venuto meno. Tutte le grandi storie d’amore si sporcano di dramma ad un certo punto. Piccoli problemi personali ed un po’ di rabbia giovanile mi tengono lontano dalla pista per circa due anni. É bastato poi un niente a farmi capire che probabilmente era solo il momento di passare dall’altra parte, di provare a diventare un allenatore. Mi riavvicino all’ASD Atletica Strambino, letteralmente casa e famiglia, e comincio il mio percorso.

Accademicamente parlando non ho avuto uno degli andamenti più lineari, costantemente a cavallo tra discipline scientifiche e artistiche. L’ambiente universitario è forse stato una delle prime cause di voglia d’evasione all’estero. Constatare che alcuni tra i volumi considerati dogmi del sapere sportivo datano gli anni ’60 come prima edizione mi ha fatto riflettere sul da farsi. Con questa affermazione non voglio apparire come un rivoluzionario progressista a priori; proprio pochi giorni fa ho commentato cosí la critica mossa all’età media del gruppo tecnici a un raduno estivo: “Gli ingredienti per andare avanti sono l’esperienza dei più anziani mista all’entusiasmo e alla sperimentale inesperienza dei più giovani.”
Detto questo, parecchie volte nei miei primi anni in pista mi sono trovato davanti a metodi e protocolli che avevano come fondamento il “si è sempre fatto cosi e non esiste meglio di cosi”. Questa attitudine conservativa da me non condivisa, e la voglia di fare più esperienza personale che ne deriva, sono stati i principali fattori che mi hanno portato a vivere questi splendidi anni.

 

 

Dal 2012 hai lavorato come allenatore presso l’ASD Atletica Strambino. Quale ruolo avevi e cosa ne pensi di questa esperienza?

Ufficiosamente inizio all’ASD Atl. Strambino nel Dicembre 2007 come assistente alle categorie esordienti e ragazzi. Nel 2012 porto assieme al mio collega Edoardo Errico il primo cadetto al Criterium Nazionale nei 100h dopo essere stato assegnato in specifico al settore delle corse veloci e degli ostacoli. Senza dubbio affermo che l’esperienza all’ASD Atl. Strambino rimane la più importante all’interno del mio percorso formativo. La ricchezza medio orientale degli ultimi anni mi ha dato la possibilità di avere quotidianamente a portata di mano macchinari ed attrezzature incredibili, di lavorare in un ambiente all’avanguardia sotto ogni aspetto, di avere la vita facile insomma. La vera ricchezza è però quello che ho imparato allenando su un anello da 200 metri a tre corsie in condizioni molto più complesse. Paradossalmente posso assicurare che questa sia stata la carta in più che mi ha fatto entrare in Altis. La domanda finale del primo colloquio con Phoneix racchiude perfettamente il concetto, mi chiesero: “Interessante la conoscenza di tutti questi mezzi cosi avanzati, ma raccontaci come alleni l’approccio al primo ostacolo di un 400h su un anello da 200 metri?”.
Sostanza, non fuffa.

Da circa un anno lavori come Personal Trainer presso lo SPARK Athletic Center in Kuwait. Cosa ti ha portato a trasferirti così lontano per lavorare? Hai trovato differenze con l’Italia nella cultura sportiva e dell’allenamento?

L’esperienza in Spark cominciata nel maggio 2015 segue una precedente esperienza di tre anni a Pechino, in Cina, che a sua volta fu preceduta da una breve peregrinazione europea e da una prima fuga negli Stati Uniti nell’estate 2007 cercando di pianificare un percorso scolastico da quelle parti. La ragione principale dietro a questa voglia di muoversi è l’affermarsi in ciò che si vuole fare della propria vita. In una parola: Crederci.

Non ho mai voluto rifugiarmi nel classico “in Italia c’è la crisi”, ho preferito cercare la mia strada. In specifico all’esperienza kuwaitiana, l’aspetto economico ha senza dubbio giocato un ruolo più che rilevante.
Le maggiori differenze riscontrate a livello di cultura sportiva derivano a parer mio dalla maggior modestia sulle piste d’Atletica di fronte a risultati che in Italia probabilmente coronerebbero d’alloro atleta e tecnico.
A riguardo, racconto questo aneddoto. Il 14 maggio 2016 ho assistito ad un 110h corso ad una temperatura folle, sopra i 40C. Due iscritti, nessuno sugli spalti. Deserto, in tutti i sensi. Chiudono in 13”53 e 13”55, e sapete che con 13”47 si va a Rio. I ragazzi dispiaciuti si avvicinano a me (sottolineo che non sono il loro tecnico, condivido semplicemente la pista con loro quotidianamente) e mi chiedono: “Coach, come è andata? Cosa ne pensa?”. Il loro tecnico si avvicina e in un miscela di arabo e inglese analizziamo la corsa filmata sul mio iPhone. Uno splendido momento di scambio, arricchimento e formazione che sfortunatamente non sono mai riuscito a vivere in Italia. Ma la storia non finisce qui. I ragazzi s’incamminano verso il fondo del rettilineo. Con meno di 10’ di recupero corrono un 100m in 10”50 circa assieme ad altri tre ragazzi che si uniscono. Sfortunatamente non si sono riusciti a qualificare per Rio, il Kuwait è stato interdetto dal Comitato Olimpico non potendo nemmeno gioire dell’oro di Fehaid Al-Deehan nel tiro al volo double-trap. Un caso di corruzione bello e buono come scrissi poco dopo la cerimonia di consegna della medaglia.

Una banale ma importante considerazione riguardo le differenze tra Italia e Kuwait riguarda la presenza e l’utilizzo di fondi da investire nel settore sportivo e ricreazionale. Gli imprenditori kuwaitiani stanno lavorando sodo per creare una realtà sportiva stabile in cui far crescere grandi nomi del futuro come già sta succedendo in Qatar. Le strutture sono davvero fantascientifiche, in Spark ad esempio avevo libero accesso ad un Parvo TrueOne 2400, ad una Monark AB 894E e per semplicemente riscontrare i valori di composizione corporea un BodPod Cosmed. Utilizzavamo diversi tapis roulant Woodway e qualsiasi “capriccio” era accontentato in qualche mese, nel mio caso specifico un Vertimax. Anche il concetto di formazione continua è molto importante, il datore di lavoro mette annualmente a disposizione 600 Euro circa per corsi e certificazioni. Ma come sempre l’investimento più importante sono le persone. Il mio gruppo di lavoro era composto di professionisti dal Sudafrica, Regno Unito, Spagna, Francia, Australia, Canada e Italia con un vastissimo spettro di specializzazioni, dal Culturismo alla Riabilitazione. Lavorando in continuo contatto con professionalità di alto livello è impossibile non sentirsi motivati al miglioramento.

 

CSCS. Da poco hai ottenuto la prestigiosa certificazione della NCSA USA. Quali difficoltà hai trovato nel conseguirla? Pensi ne sia valsa la pena dal punto di vista delle conoscenze acquisite? Consiglieresti ad altri di intraprendere lo studio per la CSCS?

La certificazione CSCS è certamente un ottimo biglietto da visita per chiunque voglia lavorare nell’ambito sportivo all’estero. A livello contenutistico non ci saranno grandi sorprese per chi ha alle spalle un percorso nelle Scienze Motorie. A me è molto piaciuto il taglio professionale e la descrizione in dettaglio del codice etico a cui il lavoratore nel settore sportivo deve aderire.
Sicuramente il maggior ostacolo avendo preparato e sostenuto l’esame in inglese è stato la lingua. Parlo inglese abbastanza bene dopo parecchi anni all’estero ma lo studio di termini tecnici e specifici è altra cosa. Nulla d’impossibile, ma bisogna impegnarsi. Essentials of Strength Training and Conditioning 4th Edition, il volume su cui é basato l’esame, é un ottimo manuale con cenni di anatomia e fisiologia; offre chiari esempi di programmazione dell’allenamento, con alcuni capitoli nuovi rispetto la terza edizione degni di nota come quelli sulla nutrizione e sul lavoro con attrezzatura non convenzionale, per certi versi simile a quello che sta proponendo Exos nei suoi corsi. L’esame è anche disponibile in lingua italiana appoggiandosi alla FIPE, non sono però sicuro se la traduzione in italiano della quarta edizione del manuale sia già disponibile.

 

A breve sarai all’Altis per uno stage di formazione. Cosa ti ha portato a prendere questa decisione coraggiosa? Cosa pensi di poter portare a casa da un’esperienza simile?

Personalmente non ritengo questa una decisione coraggiosa. Mi sono impegnato a scrivere una buona lettera raccontando perché avrei voluto diventare parte di Altis e ho cliccato il bottone d’invio. La descriverei una scelta ambiziosa più che coraggiosa. La voglia di vedere di persona cosa fanno questi splendidi atleti è stata la più grande spinta dietro alla decisione di provarci con Altis. La voglia di vedere cosa fanno davvero, nel minimo dettaglio.

Spero questa esperienza mi aiuti a diventare un tecnico migliore, più sicuro e più illuminato. Spero di poter rendere questa esperienza utile anche alle persone che saranno attorno a me. Spero di aiutare tanti atleti a raggiungere nuovi record personali. Spero che questa esperienza torni in futuro utile all’Atletica Italiana.
Tanti mi dicono che sono fortunato a poter fare queste esperienze, che lasciare l’Italia è una buona cosa perché qui non c’è nulla da perdere, che anche loro vorrebbero andare all’estero. Pochi vedono quanto difficile sia allontanarsi da famiglia, amici e colleghi.
Sogno un Altis a casa, in Italia, e a piccoli passi mi muovo verso quella direzione.

 

Hai qualche consiglio da dare, in base alla tua esperienza, agli allenatori e tecnici di atletica italiani?

La mia esperienza mi ha fatto apprendere principalmente una cosa: si cresce quando si condivide.
Condividere in dettaglio, non a livello generico. Non serve parlare di volume, periodo e intensità come entità spirituali. Quanto, quando, a quanto? Numeri. Programmi aperti. Il protezionismo che s’incontra già a livello regionale in Italia non porta da nessuna parte. Un protezionismo che in alcuni casi parte dalle categorie Cadetti, a parer mio totalmente assurdo. Al contempo consiglio di essere più autocritici ed essere aperti alla critica altrui, sempre che questa venga mossa in maniera positiva non distruttiva. Leggo i commenti di alcune pagine e blog d’Atletica e rimango sconcertato dalla ferocia e saccenza che traspare a volte. Nessuno in Italia ha al momento la verità in tasca, le ultime Olimpiadi hanno dato un chiaro verdetto.

Nel mio piccolo ho imparato ad affrontare il lavoro con sguardo critico (molto critico, vincendomi l’appellativo de “l’eterno insoddisfatto”) tenendo sempre in considerazione l’esperienza altrui, specialmente in presenza di tecnici con più ore di pista. Mi piace pensare all’allenatore come ad una sorta di Capitano d’Aviazione; più sono le ore di volo, maggiore è il livello d’esperienza. I giovani tecnici sono il parallelo dei Primi Ufficiali, meno esperti ma con potere decisionale in alcune situazioni. Il Capitano si deve fidare del Primo Ufficiale, consapevole del fatto che un giorno diventerà Capitano a sua volta. Il buon Capitano non ha segreti, condivide ogni singolo dettaglio sperando di formare a sua volta un Capitano ancora migliore.

 

 

Ringraziamo Alessandro per la disponibilità. Sentiremo ancora parlare di lui sul nostro, visto che ha deciso di raccontarci periodicamente la sua esperienza a Phoenix tramite la scrittura di alcuni articoli.

 

A cura di Andrea Dell'Angelo 

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Andrea Dell'Angelo

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Erasmus a Barcellona: la fine di un inizio!

12 Settembre 2016 by Redazione

Ed eccoci qui, prima o poi doveva finire questa esperienza paradisiaca, anche avendola prolungata del doppio del tempo che toccava…..ma non finirà la mia permanenza qui! Non posso trattenere la mia voglia di viaggiare, di vedere nuovi paesaggi, imparare lingue, conoscere persone: i loro sorrisi, le loro espressioni. Scoprire le loro storie, idee, culture. Provare cibi differenti dai nostri, convivere con diverse routine di vita, conoscere altri legami da quelli a cui ero abituata. Imparare a far entrare la tua vita in uno zaino ed uscire a conoscere il mondo…

Congost de Camarasa

Questo è più o meno il riassunto di quello che ho vissuto quest‘anno.
L’erasmus è un’imperdibile occasione che non ti dà solo la possibilità di apprendere una lingua o conoscere una città come lo potrebbe fare un semplice viaggio. L’erasmus ti regala qualcosa di più! Come imparare a convivere con la gente, ad arrangiarti, scoprire continuamente nuove cose sulle persone, sulla vita stessa, e soprattutto, scoprire cose di te che non conoscevi. Con l’erasmus impari a fidarti degli altri, devi farlo, perché sei tu solo, spirito libero, in mezzo a persone con le quali puoi decidere di condividere tutto, fidandoti di loro ed offrendo un appoggio altrettanto leale. E tutte queste sensazioni, tutte queste esperienze, portano nella tua vita una positività perenne, un sorriso stampato sulle labbra con il quale affrontare ogni cosa.

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Nel mio caso, in una città come Barcellona, dove l’influenza di persone straniere e sud americane è molto forte, il contrasto con alcuni stili di vita è stato notevole. E questo mi ha insegnato e trasmesso molto e mi ha dato una grande carica per continuare con la mia curiosità, il mio bisogno di conoscere, scoprire, andare…

Centellas

Quindi adesso sotto con il lavoro e a sfruttare tutti i contatti e le opportunità raccolti durante quest’anno per raggiungere i miei progetti!
Consiglio davvero a tutte le persone che possono avere questa opportunità di cercare in tutti i modi di approfittarne si o si, e gli auguro tutta la fortuna che ho avuto io. È stato bello condividere alcuni episodi con voi. Grazie a chi da lì ha letto e seguito i miei articoli e grazie ad Andea Dell’Angelo e ad Andrea Uberti per avermi offerto l’opportunità di farlo. Un abrazo y buenas vacaciones!

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Di Stefania Brunazzi

 

Gli altri articoli di Stefania che ci racconta la sua esperienza in Erasmus a Barcellona (facoltà di scienze motorie)!!!

A Barcellona per studiare ed allenarmi 

Barcellona: tamburello, asta in piazza, musica e divertimento 

 

Iniziati gli allenamenti di atletica 
Perché amo la Catalunya.  

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