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LTAD, lo Sviluppo Atletico a Lungo Termine

29 Giugno 2022 by Redazione

ltad

Sviluppo Atletico a Lungo Termine: come sviluppare un programma di allenamento secondo questo modello?

Il modello sportivo Long Term Athlete Development (LTAD) o sviluppo atletico a lungo termine è un programma di sviluppo a lungo termine dell’atleta che permette di pianificare l’eccellenza nello sport e il benessere delle persone che praticano attività fisica.

Il modello, che non è tanto “nuovo” visto che nasce nella regione della British Columbia intorno alla metà degli anni ’90, si avvale delle conoscenze derivanti da diverse discipline come la pediatria, la psicologia dello sport, la fisiologia dell’esercizio, la sociologia dello sport.

Il modello si articola in 7 fasi e pone in stretta relazione l’educazione motoria, lo sport scolastico, quello agonistico e quello ricreativo, con la finalità di mantenersi attivi per tutta la vita.

Il sistema di allenamento, di gara e di recupero tiene in considerazione l’età biologica e gli stadi di sviluppo fisico, cognitivo ed affettivo, piuttosto che la suddivisione per età cronologiche (criterio questo che non tiene conto delle differenze, anche notevoli, nei tempi individuali di sviluppo)

L’atleta è posto al centro del sistema sportivo, nel pieno rispetto delle peculiarità individuali, che caratterizzano il processo evolutivo.

Mettere l’atleta al centro, significa impostare il sistema a partire dalla considerazione delle esigenze del bambino, con riferimento anche alle differenti fasi di crescita del giovane praticante.

Perché è importante il LTAD?

Il LTAD (Long Term Athletic Development) o Sviluppo Atletico a Lungo Termine più che essere un approccio è un'idea, un'intenzione, una missione.

Quella di educare al movimento i bambini come sono educati nella formazione scolastica che in modo ragionato, elaborato e ponderato nel lungo termine fornisce ai bambini gli elementi fondamentali per essere da adulti cittadini ben inseriti nella civiltà, capaci di interagire con essa portando il proprio personale, unico ed esclusivo contributo che rappresenta ciò che le potenzialità che da bambino mostrava facevano pensare possibile.

Successivamente a questa base di riferimento il LTAD vuole fornire ai bambini, secondo le disponibilità di apprendimento motorio che le fasi di crescita permettono, competenze fondamentali che afferiscono e provengono da sport vari e che sono competenze trasversali, necessarie e utili a molti, forse tutti, gli scenari dei modelli prestativi nei quali i nostri piccoli sportivi potranno trovarsi da giovani agonisti e, magari, da sportivi evoluti.

Dal punto di vista della performance l’LATD ha lo scopo di costruire nel tempo tutte le competenze, fisiche psichiche e sociali utili a far si che ogni atleta possa esprimersi al meglio nello sport che poi andrà a svolgere da adulto.

Per costruire queste competenze è necessario avere una visione a lungo termine, cercando di avere “pazienza”

Le basi fondamentali del modello LTAD

Affinché l'educazione motoria possa essere capace di individuare e sviluppare le caratteristiche del singolo bambino fornendo elementi fondamentali e che devono essere di comune proprietà (quella che Vern Gambetta definisce "Physical Literacy", alfabetizzazione motoria), non si può prescindere dal considerare alcuni punti fondamentali che gli operatori del movimento devono avere chiari in quanto base su cui impostare i ragionamenti e le considerazioni:

  • conoscere le fasi di crescita, ricordando che per crescita si intende soprattutto quella biologica che spesso si discosta molto da quella cronologica (basti pensare alle differenze di crescita di molti bambini e ragazzi della stessa età)
  • sapere come durante le fasi di crescita i bambini si interfacciano al mondo esterno,
  • sapere come comprendere il contesto sociale e quindi comunicativo, psicologico dei bambini,
  • conoscere come avviene lo sviluppo del movimento naturalmente rispetto alle :
    • a.d.l. (activity daily living) ossia le attività che un individuo compie in autonomia e senza il bisogno di assistenza per sopravvivere e prendersi cura di sé; l’impossibilità di compiere in autonomia queste attività può generare situazioni di scarsa sicurezza o peggiorare significativamente la qualità della vita con limitazione alla possibilità di apprendimento motorio, quindi la valutazione delle a.d.l. indica quanto il bambino è autonomo e sappia risolvere da solo problemi, il che è indice della sua intelligenza in generale e che poi trasparirà a livello motorio. Le ADL sono generalmente distinte in:
    1. Igiene personale;
    2. Vestirsi – capacità di selezionare e indossare abiti adeguati;
    3. Alimentazione – capacità di alimentarsi in modo autosufficiente;
    4. Ambulazione – capacità di passare da una posizione all’altra e di camminare in modo indipendente in varie situazioni, contesti e ritmi.
    • i.a.d.l. (Instrumental ADL), attività che non sono indispensabili per la sopravvivenza, ma permettono alle persone di vivere in maniera indipendente all’interno di una comunità. Le IADL sono raggruppabili nelle seguenti tipologie:
    1. Compagnia e supporto sociale: un parametro fondamentale per valutare le risorse;
    2. Trasporti e spesa – valuta quanto una persona può spostarsi o gestire le sue finanze senza aiuto e con equilibrio;
    3. Atteggiamenti alimentari e rapporto col cibo – valuta la capacità di pianificare e scegliere i cibi per i vari pasti, compresa la loro conservazione, è indice di attenzione e cura di se;
    4. Mantenere in ordine la propria attrezzatura sportiva – valuta la capacità di pulizia, riordinare i vestiti e di attenzione su ciò che serve per praticare al meglio le attività;
    5. Comunicare con gli altri – valuta la capacità di utilizzare gli strumenti di comunicazione come il telefono e in generale la capacità di rendere l’ambiente ospitale e accogliente per e con i compagni.
  • conoscere le fasi di apprendimento motorio,
  • sapere come comunicare ai bambini in virtù del momento di crescita, del contesto sociale, della capacità di comunicare ed ascoltare, della fase di apprendimento motorio di trovino ed abbiano,
  • conoscere il modello di alfabetizzazione motoria e sapere individuare le competenze che di questa i bambini mostrano,
  • sapere organizzare una sessione di allenamento pensato per i bambini per obiettivi ben precisi (biologico, coordinativo, neuromuscolare, comunicativo, aggregativo).

I principi fondamentali dell’LTAD

Ma perché parlare di LTAD quando si potrebbe ricercare il massimo risultato nel breve termine?

Lo sviluppo a lungo termine applica la ricerca scientifica a livello psicologico, sociologico e fisiologico.

I 10 punti sottostanti vogliono sintetizzare il perché l’LTAD per quanto sia un approccio “datato” è ancora un modello estremamente fondamentale per non bruciare il futuro sportivo dei nostri giovani atleti.

  1. LA REGOLA DELLE 10000 ORE

Occorrono dieci anni e 10.000 ore di allenamento perché un atleta di talento raggiunga l’eccellenza: una media di oltre tre ore al giorno di impegno per l’atleta e per l’allenatore.

Quello che bisogna portare a casa da questa regola è che per diventare bravi, in qualsiasi campo della vita, serve pazienza e non bisogna avere fretta di bruciare le tappe.

Le scorciatoie danno l’illusione di arrivare prima, ma poi a un certo punto il rischio è di essere superati nel finale.

  1. DIVERTIMENTO

L’aspetto ludico è fondamentale per lo sviluppo delle abilità motorie fondamentali.

Attenzione però.

Il gioco e il divertimento devono essere visti come un mezzo per migliorare l’apprendimento, l’attenzione e la motivazione dei ragazzi non deve essere il fine ultimo.

Tramite il gioco è importante portare i ragazzi ad apprendere le regole, imparare i movimenti di base e migliorare la capacità di muoversi.

Questo con lo scopo di aumentare l’alfabetizzazione motoria (phisical literacy), ovvero di quel processo di acquisizione della competenza motoria che deve essere sviluppato prima che abbia inizio il picco di crescita adolescenziale.

  1. SPECIALIZZAZIONE

E’ fondamentale conoscere, secondo i normativi internazionali, che le diverse discipline sportive possono essere classificate come sport a specializzazione precoce, che richiedono l’acquisizione di abilità motorie complesse prima della maturazione (ad es. ginnastica, tuffi, pattinaggio di figura) e sport a specializzazione tardiva, ai quali avviare i ragazzi dopo la fase di alfabetizzazione motoria (ad es. discipline di resistenza e di potenza).

Iniziare uno sport a specializzazione tardiva prima dei dieci anni può comportare:

  • preparazione sport specifica monolaterale,
  • insufficiente acquisizione delle abilità motorie fondamentali,
  • tendenza agli infortuni,
  • burnout,
  • abbandono precoce.
  1. STADIO DI SVILUPPO

I programmi di allenamento e di competizione vanno adeguati all’effettivo stadio di sviluppo (fisico, cognitivo, emotivo) del ragazzo e della ragazza, e non in riferimento all’età cronologica, come invece avviene nella maggior parte dei programmi. Il picco di crescita è un elemento critico nella

programmazione dell’allenamento e delle gare: il modello LTAD prevede la classificazione dei giovani atleti secondo tempi di maturazione precoci, medi o tardivi, per una definizione dei piani di allenamento e di gara adeguati.

 

  1. ALLENABILITÀ

Il termine si riferisce alla responsività del soggetto in età evolutiva agli stimoli allenanti nei differenti stadi di crescita e di maturazione (Malina R. M., Bouchard C., 1991).

Il periodo critico di sviluppo si riferisce al momento in cui una specifica capacità può essere allenata producendo il massimo effetto.

Il modello identifica specifiche finestre di allenabilità ottimale per ciascuna capacità motoria, definite in base all’età cronologica e con riferimento all’inizio e al picco dello scatto di crescita puberale.

  1. SVILUPPO FISICO, COGNITIVO ED EMOTIVO

Caratteristica fondante del programma canadese è l’approccio olistico allo sviluppo dell’atleta, che comporta particolare attenzione all’etica, al fair play e alla costruzione graduale del carattere attraverso i diversi stadi in cui si articola il programma, come riflesso dei valori condivisi dalla comunità di appartenenza. Pertanto, viene richiamata l’importanza di considerare, oltre allo sviluppo fisico, tecnico e tattico, la componente cognitiva ed emozionale dell’atleta.

  1. PERIODIZZAZIONE

In parole semplici, la periodizzazione consiste nella gestione del tempo.

Attraverso di essa, il complesso processo di allenamento viene inquadrato in un ordine sequenziale logico e scientificamente basato, finalizzato al miglioramento della performance.

Si configura, quindi, come uno strumento altamente flessibile per operare sui diversi aspetti relativi al volume, all’intensità ed alla frequenza delle attività attraverso programmi di allenamento, gara e recupero a lungo e breve termine, affinchè lo stato di forma ottimale si realizzi al momento opportuno (Sanderson L., 1989).

Secondo il modello LTAD, la periodizzazione deve adeguarsi alla fase di sviluppo dell’alteta, tenendo conto pertanto della crescita, della maturazione e dei principi di allenabilità.

Nell’ambito del modello, il processo si sviluppa nell’arco di dieci-dodici anni per ottimizzare la preparazione fisica, tecnica, tattica e mentale così come le abilità complementari. Abitualmente sono previste una periodizzazione quadriennale, riferita al quadriennio olimpico e paralimpico per gli atleti di elitè, ed una annuale a seconda del calendario di gara in programma.

  1. PIANIFICAZIONE DEL CALENDARIO AGONISTICO

Il calendario agonistico va adattato alle diverse fasi di sviluppo: nelle prime fasi l’acquisizione delle capacità ed abilità motorie ha la precedenza sulle competizioni, mentre negli stadi successivi l’abilità a competere diviene il focus principale.

Una sovraesposizione alle gare e un allenamento insufficiente nelle fasi tre e quattro hanno come conseguenza una mancanza di abilità di base e di forma fisica.

 

  1. ALLINEAMENTO E INTEGRAZIONE DEL SISTEMA

Configurazione del modello LTAD come core business delle organizzazioni sportive locali, regionali, nazionali, le quali si raccordano con la scuola e con le principali agenzie governative che si occupano di sport e di tutela della salute ai diversi livelli territoriali, secondo una leadership strategica che integra e governa l’intero processo.

  1. MIGLIORAMENTO CONTINUO

Il modello LTAD persegue l’obiettivo del miglioramento continuo in quanto risponde, adattandosi, alle nuove acquisizioni scientifiche ed è sottoposto a ricerca e verifica in ogni sua fase. È un veicolo di cambiamento in continua evoluzione che riflette i diversi aspetti emergenti dell’educazione fisica, dello sport e della pratica ricreativa, assicurando i migliori programmi per ogni età.

 

Le 7 fasi dello sviluppo a lungo termine

Il modello canadese di sviluppo a lungo termine è composto da sette fasi, ciascuna delle quali, riflette e rispetta la maturazione e l’età biologica, piuttosto che quella cronologica.

Le prime tre fasi riguardano l’alfabetizzazione motoria e lo sport per tutti, le successive tre lo sport di eccellenza, l’ultima promuove l’attività fisica per l’intero ciclo di vita.

ltad

La cosa interessante da notare è quanta importanza viene data all’allenamento nel vero senso del termine.

Fino alla fascia blu “training to compete” il focus è rivolto all’acquisizione di competenze.

Tra le competenze rientrano sia quelle “fisiche” e fisiologiche che quelle psicologiche e attitudinali.

A nostro avviso la multidisciplinarietà, intesa come avere un approccio verso tanti sport è fondamentale per l’acquisizione di queste competenze.

Questo perché ogni sport ha caratteristiche che permettono di migliorare alcuni aspetti fondamentali.

Insegnare elementi di ginnastica artistica fornisce notevoli competenze in ambito neuromuscolare soprattutto rispetto alla coordinazione inter- ed intra- muscolare che permettono al bambino di apprendere agevolmente gli elementi specifici della corsa veloce, degli ostacoli, dei salti ed i lanci che vanno proposti.

Insegnare elementi tecnici della pesistica permette di sviluppare adattamenti coordinativi e neuromuscolari che permetteranno al bambino di ottimizzare il suo patrimonio di reclutamento di unità motorie riuscendo poi a sviluppare capacità come il ritmo, la rapidità che occorrono a tutti gli sport.

Insegnare le basi tecniche di lancio, salto e corsa dell’atletica leggera è importante per qualsiasi sport dove è importante la performance di questi 3 elementi.

Il Cross Training può poi essere un elemento di estremo divertimento e variabilità motoria ad intensità che indica il maestro o che sceglie il bambino e che sostiene la capacità di gestire attenzione, fatica e gestione delle proprie energie.

Gli stessi sport di squadra possono essere visti come un mezzo per migliorare la cooperazione, la collaborazione con i compagni e allo stesso tempo lo sviluppo di capacità metaboliche in un contesto ludico e motivante.

La difficoltà di questo approccio

Ovviamente non è tutto rose e fiori.

Questo è un approccio che richiede un cambiamento di mentalità e soprattutto organizzativo.

Con un sistema scolastico dove l’attività fisica è poco considerata, con poche ore e spesso riservate a progetti che propongono sport specifici con sempre meno ore per gli sport “di base” indicati sopra, a nostro avviso sono le società sportive che dovrebbero prendersi a cuore l’utilizzo di questo modello.

Per farlo andrebbe reintrodotto in modo preponderante l’organizzazione in “Polisportiva” che dia la possibilità ad ogni ragazzo di ampliare il proprio bagaglio motorio, per poi essere indirizzato quando è il momento giusto allo sport nel quale ha maggiori doti e si esprime al meglio.

Inoltre andrebbero costruite figure professionali rivolte ai primi anni di questo modello (le prime 4 fasi) che siano “specializzate” nello sviluppo a lungo termine e a un approccio multidisciplinare a largo raggio

Sport di squadra come individuali ed il cittadino futuro beneficiano di tutto ciò.

 

Bibliografia

  • Tanner JM. Dal feto all’uomo. Auxologia: la crescita fisica dal concepimento alla maturità, S Macor editori, Udine, 1991
  • Malina RM, Bouchard C, Bar-Or O. Growth, Maturation and Physical Activity, 2nd ed., Human Kinetics, Champaign, IL, 2004.
  • Malina RM, Growth and maturity status of children and adolescents in organized sports, In Physiological and Pathological Auxology, Eds. Nicoletti I, Benso L, Gilli G, Edizioni Centro Studi Auxologici, Firenze, 2004.
  • Thompson D. W. On growth and form, Dover edition, 1996
  • Gambetta, Lo Sviluppo Atletico, Calzetti&Mariucci Editori, 2013
  • Paissan - Alcuni aspetti di un'analisi biomeccanica del salto in lungo. Centro Studi e Documentazione -Assi Giglio Rosso-Firenze 1980.
  • Bisson - G. Paissan - Il modello biocinetico degli arti inferiori nel salto in lungo. Donna Sprint n.2 - Trento 1986.
  • Battisti - L. Cavalieri - G. Paissan - R. Setti - La valutazione delle capacità di movimento. Provincia Autonoma di Trento Uff. Sport - Trento 1989
  • Battisti - L. Cavalieri - G. Paissan - R. Setti - La valutazione delle capacità di movimento. Atleticastudi n.5/6 - Roma 1990
  • Zotko a cura di G.Paissan - Esercizi speciali per il salto triplo. Relazioni Club Italia 1990-1992. Settore Tecnico FIDAL Formia 1992
  • Paissan - Il salto in alto: tecnica e didattica. Atti 25° Convegno Centro Studi E.F. Torino - Pallanza 1993
  • Paissan - Il lancio del peso: tecnica e didattica. Atti 26° Conveg. Centro Studi E.F. Torino - Pallanza 1994
  • Paissan - I salti nelle categorie giovanili. Atleticastudi supplemento n.2 - Roma 1994
  • Paissan – Progetto Promozione “Atletica 2000”. Federazione Italiana di Atletica Leggera - Roma 1995
  • Paissan – Progetto Promozione 1997 “Verso il 2000”. Inserto Atleticastudi n.6 - Centro Sudi e Ricerche FIDAL - Roma 1996
  • Paissan - L’insegnamento dell’atletica leggera a scuola (per alunni dai 10 ai 14 anni). Volume 1. Supplemento ai n.1-2 /2001 – Atleticastudi – Centro Sudi e Ricerche FIDAL
  • Paissan - Gioco, divertimento, atletica. Testo per bambini ed insegnanti della scuola dell’infanzia ed elementare. Fidal – Roma, settembre 2002.
  • AAVV (…, G. Paissan, ….) – Progetto Mo.T.O. progetto per la didattica dell’educazione motoria, fisica e sportiva nella scuola - MIUR Ministero Istruzione Università Ricerca - Firenze ottobre 2002.
  • Balestreri – N. Bovini – M. Dallari - G. Paissan – F. Schena - M. Taffara – P. Tosi – CD ROM Corso di Perfezionamento in Didattica delle Attività Motorie dell’Alpinismo – Università degli Studi di Trento – CeBiSM Centro Interuniversitario di Ricerca in Bioingegneria e Scienze Motorie – Rovereto dicembre 2002.
  • Paissan - L’insegnamento dell’atletica leggera a scuola. Volume 2 “I salti”. Supplemento ai n.1-2 /2003 – Atleticastudi – Centro Sudi e Ricerche FIDAL.
  • Paissan – Come organizzare, proporre e controllare il processo di apprendimento del gioco più antico del mondo “il correre, saltare e lanciare”. La CORSA “Coach magazine” (p.107-111)–Milano Ott. 2003 – n.139.
  • Paissan - L’insegnamento dell’atletica leggera a scuola. Volume 3 “I giochi dell’atletica e la staffetta”. Supplemento ai n.1-2/2004 – Atleticastudi – Centro Sudi e Ricerche FIDAL.
  • Paissan – L’atletica dei ragazzi. Testo insegnanti e alunni per la promozione dell’atletica leggera della scuola media. Fidal – Roma, maggio 2004.
  • Paissan - Il gioco. L’importanza del momento ludico nell’insegnamento dello sport (e non solo). La CORSA “Coach magazine” (pagg. 94-96) – Milano 2/2005–n.147.
  • S. Brown,  C. Vaughan, Gioca! Come il gioco può formare la mente, aprire l'immaginazione e costruire la felicità - Ultra Edizioni, 2013
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BSc SS – BSc PT – OMPT – MRS Scholarship in Athletes Pain Management University of Birmingham – Istruttore FIdal / FIN
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Filed Under: Allenamento giovanile, Basi dell'allenamento, News, Uncategorized Tagged With: allenamento giovani, allenamento giovanile, atletica leggera, LONG TERM ATHLETIC DEVELOPMENT, ltad, sviluppo atletico a lungo termine

Allenamento e ciclo mestruale

7 Dicembre 2020 by Redazione

ciclo mestruale e allenamento 2

La performance in un perfetto connubio tecnico atleta

Pochi sono i tecnici che, nella pianificazione di un allenamento, tengono in considerazione le diverse caratteristiche fisiologiche tra atleta maschio e femmina, riducendo il tutto ad una programmazione standardizzata.

Molte sono le ricerche le quali hanno affrontato l’argomento attraverso studi sul training femminile.

Da tali ricerche è emerso che la donna, in allenamento, vive situazioni notevolmente diverse dai maschi, sia da un punto di vista biologico che psicologico.

Considerando che in un pianificazione, mirato al raggiungimento di una performance di alto livello, nulla deve essere lasciato al caso, perchè non prestare attenzione ad alcune variabili fisiologiche che giorno dopo giorno le donne si trovano ad affrontare?

Se solo l’1 % del risultato finale fosse intaccato da superficialità non sarebbe da considerare un fallimento?

L’allenatore in primis si dovrà cimentare nello studio, dei principali aspetti fisiologici e ormonali, del ciclo mestruale, e poi stabilire un rapporto di fiducia e rispetto con l’atleta, basato inizialmente solo sull’ascolto e l’osservazione, soprattutto con giovani atlete, e poi, man mano che il rapporto diverrà più solido, anche di confronto e dialogo.

Da qui si potrà iniziare un monitoraggio alla ricerca dei punti deboli e di forza dell’atleta.

Aspetti fisiologici del ciclo mestruale

In questo articolo vi presento alcune considerazioni che vogliono favorire in chi legge qualche riflessione.

Per una trattazione più dettagliata sull'argomento vi consiglio un buon testo di fisiologia tipo questo:

Fisiologia dell'uomo

Oligomenorrea e Amenorrea

Atlete praticanti sport d’endurance spesso incorrono in oligomenorrea o ancor peggio amenorrea.

L’amenorrea si manifesta quando la massa magra è inferiore al 20%.

Atlete con amenorrea presentano una densità ossea 20 volte inferiore ad atlete con cicli regolari.

Una prolungata amenorrea può causare, nella giovane donna, le stesse conseguenze della menopausa.

Le atlete più soggette ad amenorrea, sono quelle praticanti sport d’endurance, quindi maggiormente soggette a microfratture da stress.

Il progesterone

Dall’ovulazione subisce un notevole incremento da circa 100 a 800 ng/dl in pochissimi giorni determinando:

  • incremento di circa ½ grado della temperatura corporea. Incremento che interferisce sulla corsa perché si inizia a dissipare calore ad una temperatura corporea più alta;
  • aumento della ventilazione polmonare (determina una minor disponibilità di ossigeno per i muscoli);
  • maggiore ritenzione idrica responsabile di un aumento della viscosità muscolare. Viscosità che può essere la causa di traumi muscolari.

Molti altri sono gli ormoni che intervengono nell’arco del ciclo mestruale, ognuno con una sua peculiarità, tuttavia la loro trattazione non può essere affrontata in questo articolo in quanto complessa a articolata. 

Raccolta dei dati e pianificazione dell’allenamento

Inizialmente, la mia idea di pianificazione del training, era strutturata in modo che il mesociclo combaciasse con il ciclo mestruale, con un periodo di scarico di 5 giorni (ultimi due giorni della fase premestruale e primi 3 giorni della fase mestruale), e un altro periodo di riposi, di circa 3 giorni, nell’ipotetica fase ovulatoria.

Questo sistema non è ottimale poiché non permette una valutazione corretta sulla performance dell’atleta durante i periodi di riposo.

In seguito a questa errata pianificazione, la mia atleta si è trovata ad affrontare un impegno agonistico importante, in una perfetta condizione di forma, ma con le “gambe scariche”, poiché il suo punto debole sono alcuni giorni della fase mestruale, tendenzialmente dal 2/3° giorno in poi.

Il mio consiglio è di applicare una classica programmazione, riportando nell’agenda la data, in che fase del ciclo si trova l’atleta, il tipo di lavoro somministrato, i relativi risultati e infine un sistema di valutazione dello stato psicofisico e del livello di difficoltà che l’atleta attribuisce al lavoro svolto.

Per questo ultimo punto basta utilizzare una semplice scala di Borg, strutturata su 2 livelli.

Tabella 1. Esempio di periodizzazione dell'allenamento

In questo modo potrò confrontare lo stesso lavoro nelle varie fasi del ciclo e verificare dove l’atleta esprime la maggior performance.

Una volta individuato il periodo di miglior resa, si dovrà fare in modo che combaci con l’evento sportivo più importante.

Oggigiorno vi sono un’infinità di mezzi che, un buon ginecologo, potrà consigliare all’atleta.

Conclusioni

Per concludere la riflessione è la seguente: conoscete la vostra atleta, amate la vostra professione?

Bene, cercate di conoscere cosa succede in lei.

Le variazioni nell’arco del ciclo sono minime?

Meglio per voi, ma dovete saperlo.

Solo in questo modo, attraverso una accurata analisi e scelta metodologica, si potrà raggiungere il miglior risultato.

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Filed Under: Basi dell'allenamento, Infortuni, Preparazione atletica Tagged With: allenamento e ciclo, ciclo, ciclo mestruale

Misurare la flessibilità degli atleti per migliorare le performance

30 Novembre 2020 by Maurizio Tripodi

Misurare la flessibilità. Teast di Sit and reach
Nell'immagine l'atleta Alice Minuzzo che esegue il sit-and-rich-test. Realizzata da Sistemha 

 

"L’allenamento è un’arte che si basa sulla scienza … ed un allenamento senza valutazione è un itinerario senza meta."
Carmelo Bosco

Perché misurare la flessibilità dei nostri atleti

La flessibilità è una di quelle capacità motorie che spesso non vengono considerate fondamentali per la performance atletica, ma l'assenza di questa non permetterebbe alle altre capacità di esprimersi al meglio.

In atletica leggera abbiamo discipline dove avere una buona flessibilità è fondamentale al fine del risultato sportivo.

Infatti, avere una ridotta flessibilità non permetterebbe all'atleta di esprimere tutto il suo potenziale, per questo dobbiamo considerarla una capacità fondamentale ai fini di un’ottima performance sportiva.

Spesso gli atleti che partecipano a determinate discipline arrivano tra le mani del tecnico con un bagaglio genetico che li porta ad avere una buona flessibilità di base, ma questo non deve farci pensare di trascurare l'argomento.

Sappiamo con certezza che l'allenamento influisce sulla flessibilità del soggetto maggiormente della genetica.

Immaginate due gemelli, e quindi due soggetti con lo stesso patrimonio genetico, e immaginate che uno pratichi ginnastica artistica e l’altro basket: pensate che abbiano la stessa flessibilità?

Per migliorare è importante valutare il punto di partenza

Non esiste ad oggi una modalità per misurare la "flessibilità generale" di un soggetto.

La flessibilità è una capacità che identifica la libertà di movimento di una o più articolazioni, e per questo non ci basterà un solo parametro per avere un’idea dell'atleta che si ha davanti.

Sicuramente vi sarà capitato di conoscere atleti che mostrano grandi gradi di libertà di movimento degli arti inferiori a discapito di una grande rigidità della parte superiore.

Oppure, per esperienza ancora più frequente, soggetti che hanno una limitata flessibilità degli arti inferiori e un’eccessiva flessibilità del tratto lombare, condizione che spesso porta a problemi di colonna.

Come misurare la flessibilità?

Essendo una capacità che è "articolazione dipendente", per ogni articolazione o gruppo di articolazioni è previsto un test differente.

Naturalmente, saranno comparabili solo i test che vengono effettuati sulla stessa articolazione con la medesima misurazione.

Parlo di medesima misurazione, perché abbiamo la possibilità di misurare la flessibilità in due modi: i gradi angolari oppure le misure lineari.

Vi faccio un esempio

Per misurare la flessione di un ginocchio possiamo usare un goniometro per rilevare i gradi della massima flessione e massima estensione, deducendone così i gradi di ROM (range of movement) dell'articolazione; per misurare la flessibilità della catena posteriore possiamo usare i centimetri lineari, che separano le punte delle dita della mano dalle punte delle dita dei piedi in un esercizio come il sit and rich (Immagine in alto).

Questa misura ha il compito di dare un parametro di flessibilità delle articolazioni interessate in quello specifico movimento.

Quindi, la prima cosa che deve fare il tecnico è identificare quali articolazioni o gruppo di articolazioni è più intelligente monitorare, al fine della performance che dovrà esprimere l'atleta.

Non esistono ad oggi parametri che ci consentano di dire che per una disciplina sia più intelligente misurare un’articolazione piuttosto che un’altra.

Sarebbe vantaggioso capire quale articolazione misurare per ogni specifica disciplina, ma per fare questo bisognerebbe avere un gruppo di tecnici di disciplina che si impegnano a scambiarsi le informazioni necessarie ad identificarle (tecnici de ilcoach.net mi metto a disposizione se foste interessati a questa ricerca).

Molto probabilmente, l'ideale sarebbe costruire una batteria di test che possano dare una visione il più precisa possibile della flessibilità dell'atleta in analisi.

È anche per questo motivo che non esiste una standardizzazione universalmente riconosciuta del test di flessibilità più utilizzato, il sit-and-rich-test. Infatti, differenti agenzie mostrano protocolli differenti nell’esecuzione della misurazione.

Per questo, non penso che il tecnico si debba troppo soffermare su come effettuare la misurazione, meglio dedicarsi all'analisi di evoluzione del dato.

Quando misurare la flessibilità?   

Una volta identificati i test che riteniamo più utile svolgere, vi raccomando di effettuarli in condizione di riposo o dopo un leggero riscaldamento (e di usare sempre la medesima prassi).

Chiunque abbia praticato sport sa che fare lo stretching all'inizio dell'allenamento o prima della gara, permette di raggiungere range articolari impossibili da raggiungere al termine dell’allenamento o della gara.

Svolgere i test all'inizio dell'allenamento renderà sicuramente più valido il dato estrapolato.

La flessibilità è una capacità che possiede la caratteristica di variare molto velocemente, quindi ricordate che la misurazione che state svolgendo è la fotografia di quell'istante, e non rappresenta sicuramente la flessibilità di quel soggetto in un periodo di tempo lungo.

Pensate a quando un vostro atleta subisce un piccolo infortunio o quando è affaticato per via del carico di allenamento dei giorni precedenti; in questi casi si sono subite delle riduzioni di flessibilità (che chi ha fatto l'atleta conosce bene).

E quindi, quando misurarla per avere un dato utile al tecnico e alla programmazione del lavoro?

A mio avviso, la scelta di quando e come misurare la flessibilità, deve andare di pari passo a quella che è la programmazione e la periodizzazione del lavoro che avete impostato.

Ogni disciplina ha le sue caratteristiche e queste richiedono programmazioni e allenamenti molto diversi tra loro.

Per questo non mi permetto di dare delle indicazioni che potrebbero essere perfette per alcuni e sbagliate per altri.

Pensando a un’operazione di monitoraggio continuativa, potrebbe essere interessante svolgere 2/3 semplici test tutte le settimane. I test dovranno avere la caratteristica di poter essere svolti dall'atleta in maniera autonoma, cosi da non perdere tempo. Al campo si va per allenarsi, non per misurarsi continuamente. Un monitoraggio di questo genere potrebbe darci delle indicazioni continue sullo stato del nostro atleta.

Conclusioni

Per rispondere con coerenza alle domande: perché, come e quando misurare la flessibilità, dobbiamo prima fare un’operazione di monitoraggio collettivo.

Ad oggi, non abbiamo abbastanza dati per indicare delle linee guida; è compito di noi tecnici e trainer costruire un database che possa dare delle risposte a questi quesiti.

Io e la mia struttura ci mettiamo a disposizione se un gruppo di tecnici si volesse mettere in gioco per cominciare quest’avventura.

Ritengo non sia difficile grazie alle nuove tecnologie, tutto sta nel mettersi in gioco, e a far questo, chi si occupa di sport, dovrebbe essere capace!

Letture consigliate

Stretching e flessibilità. Teoria, tecnica e didattica

Maurizio Tripodi

Prof. Maurizio Tripodi

Laureato Magistrale Scienze Motorie | Professore Università Cattolica di Milano
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Filed Under: Basi dell'allenamento, Infortuni, Infortuni nella corsa, News Tagged With: flessibilità, misurazione, mobilità articolare, Stretching, test, valutazione

Fai che sia semplice!

26 Ottobre 2020 by Redazione

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Quanto uscire dalla propria "zona comfort"?

“La tua vita inizia dove finisce la tua zona di comfort.” Neal Donald Walsch.

Da sempre sono convinto che per ottenere risultati e raggiungere i propri obiettivi sia necessario imparare ad uscire quotidianamente dalla propria zona di comfort.

Se pensiamo all'allenamento sportivo e al raggiungimento di nuovi obiettivi atletici, agonistici o di forma fisica e anche se vogliamo far migliorare i nostri atleti, è necessario somministrare esercizi e sessioni di allenamento man mano più difficili e sfidanti.

Una domanda importante per noi allenatori è quanto deve essere difficile un esercizio, una sessione di allenamento o un intero macrociclo perché possa portare ad un miglioramento?

In sostanza, quando ci facciamo una domanda di quel tipo ci stiamo chiedendo quanto sia necessario far uscire l'allievo dalla propria dalla zona comfort per ottenere un adattamento ma senza che si trovi in difficoltà estrema, controproducente.

Non so a voi, ma il dubbio di essere in equilibrio fra questi estremi per me sorge spesso, e sono sempre più convinto che la risposta giusta a questa questione possa fare la differenza tra ottenere risultati oppure no, tra avere atleti che continuano la loro carriera sportiva per lungo tempo o al contrario la abbandonano presto, tra far migliorare un atleta tecnicamente oppure no e tra raggiungere il massimo potenziale di ogni atleta oppure ritrovarsi ad un certo punto ad uno stallo della prestazione.

Piccole abitudini per grandi cambiamenti!

Recentemente, su consiglio di un amico, ho letto il libro "Piccole abitudini per grandi cambiamenti. Trasforma la tua vita un piccolo passo per volta" scritto da James Clear che consiglia alcune utili strategie per migliorare le proprie abitudini per ottenere i propri obiettivi nella vita.

Come indica il titolo del libro il segreto sembra essere "un piccolo passo alla volta"

Anche in questo caso il "segreto", in un certo senso, è che non c'è un segreto: la strategia dei piccoli passi infatti è quella della costanza e dell'impegno a lungo termine.

Qualcosa che sembra molto facile nell'immediato, ma che non riesce ai più nel lungo periodo.

Questo articolo non vuole essere un riassunto o una recensione di tale libro, ma semplicemente una riflessione degli spunti che ho trovato più interessanti nel testo, che secondo me ha molti punti di contatto con l'attività sportiva e il raggiungimento dei propri obiettivi agonistici.

Molto di quanto si trova nel libro è applicabile al lavoro che si fa con i propri atleti e anche quello che un atleta deve fare su se stesso visto che, per fare diventare bravi i nostri atleti, dobbiamo "allenarci" anche noi tecnici per diventare sempre più competenti ed efficaci.

Migliora dell'1% ogni giorno

"Il successo è il prodotto delle abitudini quotidiane. non delle trasformazioni che si fanno una sola volta nella vita" James Clear

L'autore consiglia di concentrarsi su miglioramenti molto piccoli in quanto cambiamenti nell'ordine dell' 1%  possono portare a risultati enormi

Spesso infatti ci si concentra troppo sulla ricerca di cambiamenti "epocali", troppo grandi per se stessi.
Come vediamo nell'immagine tratta dal libro gli effetti dei piccoli cambiamenti danno i loro effetti nel lungo termine.

Immagine 1. 1% miglioramenti al giorno. Tratta dal libro "Piccole abitudini per grandi cambiamenti"

 

Come indica l'autore nel libro:

"Se riuscissimo a migliorare "solo" dell'1% ogni giorno ci ritroveremmo con risultati migliori di quasi 37 volte migliori dopo un anno".

E la stessa cosa vale per l'inverso: l'1% di azioni sbagliate ci porterà a fine anno ad essere peggiorati in maniera esponenziale.

E questo se ci pensate è alla base dello sviluppo multilaterale e a lungo termine che si dovrebbe mettere in atto dalle categorie giovanili fino all'alta prestazione.

Ma su questo aspetto ci tornerò più avanti in questo articolo.

 

Perché è così difficile impostare piccoli miglioramenti quotidiani?

Perché la "lentezza" di questi miglioramenti e trasformazioni portano inizialmente a perdere la pazienza.

Citando ancora l'autore:

“E' quanto succede se modifichiamo la rotta di un aereo solo di pochi gradi. Immaginiamo di volare da Los Anegles a New York e decollando il pilota corregge la rotta di 3,5 gradi a Sud: atterreremo a Washington invece che a New York. Una modifica di qualche decina di centimetri al decollo porterà ad atterrare a centinaia di chilometri rispetto all’obiettivo”

Non sarà un allenamento saltato o fatto contro voglia a farci peggiorare, ma nel lungo periodo se continuiamo a reiterare certi comportamenti il peggioramento sarà evidente.

Probabilmente non ci renderemo nemmeno conto che il problema è stato un nostro comportamento, ma inizieremo a cercare colpe, scuse all'esterno.

Siccome spesso si è troppo orientati e focalizzati sul grande risultato, si perdono di vista i vari passaggi che vanno affrontati, le piccole conquiste quotidiane

E qui entra in gioco il secondo consiglio.

Dimenticati degli obiettivi, focalizzati sul metodo

Per ottenere un determinato risultato sembra sia meglio concentrarsi sul metodo o processo piuttosto che sull'obiettivo.

Ovviamente questo non significa che non devi porti degli obiettivi. Ne abbiamo parlato anche nell'articolo su come impostare al meglio gli obiettivi Smart.

Ma una volta che ti sei prefissato un obiettivo poi cerca il metodo migliore per ottenerli.

Gli obiettivi sono molto utili, per definire la rotta, ma poi ti serve il mezzo per percorrerla.

L'autore tende a precisare che quasi sempre vincenti e sconfitti hanno lo stesso obiettivo.

Cosa porta ad essere vincenti?

Avere o sviluppare un metodo, un sistema o processo che funziona

E, soprattutto, avere piacere a migliorare continuamente tale metodo

Inoltre se riesci a raggiungere un obiettivo avrai un cambiamento solo momentaneo, un risultato solo temporaneo.

Ma se ti "innamorerai" del metodo giusto otterrai risultati tutta la vita (in questo caso la carriera sportiva)

Molti atleti si allenano duramente per mesi, ma una volta finita la gara smettono di di farlo in quanto non c'è più l'obiettivo della competizione a motivarli.

Lo scopo di prefiggersi obiettivi è vincere la gara, quello di costruire metodi è di continuare ad allenarsi.

Più ti dedicherai al processo più sarà facile ottenere un successo, questo ti permetterà di diventare sempre più bravo in quel metodo, ottenendo senza pensarci troppo i risultati voluti.

Ti faccio una domanda.

Come allenatore di atletica leggera se ignorassi l'obiettivo di vincere una medaglia alle olimpiadi o, volando basso, di far ottenere un certo tempo al tuo atleta, concentrandoti tutti i giorni agli allenamenti e al loro miglioramento, otterresti ugualmente dei risultati?

Io credo di sì!

Se sei un atleta con obiettivi ambiziosi, il consiglio è quello di trovare le strategie per far sì che il tuo processo di allenamento diventi continuativo.

Il "test" della vacanza!

Un esempio può essere quello delle vacanze, che sono sicuramente “lecite”, ma probabilmente un atleta che dedica tempo e continuità al metodo pur andando in vacanza troverà le strategie ed opzioni per continuare ad allenarsi:

  • Vai al mare in una zona con una pista di atletica e se proprio non dovessi trovarla nella località che vuoi visitare cerca una palestra dove puoi andare almeno a fare qualche esercizio.
  • Per rendere tutto più piacevole vai in vacanza con qualche tuo compagno di allenamento e vi motivate a vicenda per fare qualcosa ogni giorno. Il perché di questo è spiegato nel punto 4 riguardo il contesto.

Personalmente apprezzo molto gli atleti con i quali collabo che arrivano da soli a queste strategie.

In questo senso i raduni di allenamento-vacanza sono una buona soluzione per fare un esperienza che possa arricchire e avere continuità nei periodi di svago.

Questo non significa che in vacanza devi fare allenamenti come a casa, per mantenere continuità nel metodo può essere sufficiente andare in pista o in palestra, fare un breve riscaldamento e pochi esercizi che di solito ti piace fare.

Non credo che 30’ di movimento possano rovinare una vacanza, se fosse così forse non ti senti realmente un atleta.

E qui passiamo alla terzo punto: l’identità

Pensa alla tua identità, non al risultato

Ancora una volta conviene non focalizzarti troppo sul risultato, ma ti consiglio di chiederti:

“Chi è la persona che voglio diventare? Come si comporterebbe quella persona?”

L'obiettivo non è vincere una gara, ma diventare un vincente

L'obiettivo non è fare atletica leggera, ma diventare un atleta

L'obiettivo non è diventare veloce, ma essere uno sprinter

L'obiettivo non è avere atleti forti, ma diventare un allenatore esperto e di successo

I comportamenti sono spesso un riflesso della nostra identità.

Insomma se credi di essere un atleta probabilmente andrai al campo ogni giorno, anche in vacanza.

"Per diventare la migliore versione di noi stessi occorre rivedere continuamente le proprie convinzioni, oltre ad aggiornare ed espandere la propria identità."

Per essere quel tipo di persona non basta dirlo, bisogna agire

Decidere che tipo di persona vuoi essere però non basta, perché un risultato o un cambiamento si verifichi è necessario che tu agisca come quella persona.

Dimostra a te stesso, con piccole azioni quotidiane (che saranno le tue piccole e costanti vittorie) che sei quel tipo di persona.

L'obiettivo dovrebbe essere quello di diventare quella persona, non di ottenere un certo risultato.

L'importanza del contesto e del gruppo

Spesso si tende a parlare di motivazione e che se si vogliono ottenere buoni risultati e raggiungere gli obiettivi è necessario mantenere la motivazione alta.

Ovviamente questo aspetto è molto importante, ma a quanto sembra lo è meno del contesto e del gruppo nel quale operi e cerchi di migliorarti in un determinato aspetto ogni giorno.

Questo riporta all'importanza di avere un gruppo di allenamento con la medesima identità, che ama la disciplina che sta allenando e che crede e si dedica costantemente e quotidianamente al metodo prescelto.

Infatti tendiamo ad imitare le abitudini della maggioranza (tribù)

Quindi se vuoi migliorare in un determinato aspetto entra a far parte di un contesto culturale nel quale tale comportamento è normale e nel quale hai qualcosa in comune con tale gruppo.

Qui torniamo su quanto detto prima riguardo alle strategie da trovare

Da questo punto di vista credo che sport individuali come ginnastica, nuoto e sci siano più avanti rispetto a noi dell’atletica.

In questi sport infatti, soprattutto se si hanno mire agonistiche, si tende a creare un contesto dove diventa normale andare ad allenarsi ogni giorno già fin da tenera età.

Lasciando stare il discorso allenamento, il concetto è proprio quello di instaurare una certa identità nel giovane, far sì che sia naturale trascorrere gran parte della giornata dove ci si allena, far sì che le amicizie crescano in quel contesto.

In atletica invece, non entrando nel merito dell’allenamento, nelle categorie giovanili abbiamo la tendenza a far venire poco al campo i futuri atleti, sperando che poi una volta diventati adulti con gli impegni e le dinamiche universitarie o lavorative, questi trovino facilmente da tempo da dedicare allo sport.

Si sa ormai che le credenze acquisite in tenera età si portano avanti quasi per tutta la vita, le vere amicizie maturate nel corso dei primi 18 anni di vita sono quelle che non si dimenticano mai.

Vogliamo che i ragazzi diventino atleti a 360*?

Troviamo il sistema di creare un ambiente che permetta questo!

Rendi le cose semplici!

Torniamo al titolo dell'articolo: fa in modo che un'azione sia facile.

"Il meglio è nemico del bene" Voltaire.

Se un'azione è difficile il rischio di fallire è maggiore, la paura e l'ansia aumentano.

Questa è la ragione per la quale non entriamo in azione: vogliamo ritardare il fallimento.

Ma se l'azione è reputata "semplice" la eseguiremo senza problemi, la nostra motivazione aumenterà e a breve saremo pronti per eseguire qualcosa di leggermente più difficile.

Quindi inizia ad agire, cercando di ripetere l'azione, ma evitando la perfezione.

Semplicemente pratica, ripeti ripeti e ancora ripeti l'azione.

E se sbagli, insisti!

Non complichiamoci la vita!

Collegandoci al concetto di semplificazione, spesso sui campi di atletica si vedono giovani atleti ai quali vengono proposte esercitazioni per loro troppo complesse e difficili per le loro abilità.

Prendiamo l'esempio degli ostacoli, disciplina che per ogni fascia di età prevede ostacoli gara via via crescenti.

Solitamente se il l'atleta ha affrontato tutto il percorso "didattico a lungo termine" dagli esordienti fino alla categoria assoluta, magari in modo continuativo, dedicando sufficiente tempo agli ostacoli probabilmente si ritroverà ad avere pochi intoppi durante la sua vita da ostacolista, in quanto le difficoltà sono aumentate ma in modo graduale e senza forzare eccessivamente.

E probabilmente senza nemmeno avere la necessità di avere un allenatore super esperto negli ostacoli, ma soltanto che non ha fretta di “bruciare le tappe”

Per fare l'esempio opposto prendiamo un ragazzo della categoria allievi che arriva per la prima volta al campo con l'intenzione di provare a fare gli ostacoli

Magari, grazie anche ad un trascorso negli sport di squadra, il giovane ragazzo ha doti fisiche interessanti

Ma ovviamente non ha idea di come fare gli ostacoli.

Purtroppo uno degli approcci che spesso vedo maggiormente, e vi dirò che agli inizi l’ho fatto pure io, è quello di iniziare a proporre al neofita, magari soltanto perché ha buone caratteristiche fisiche, subito gli ostacoli ad altezza gara, magari pure a distanza gara.

Essendo per lui l'esercitazione troppo complessa dal punto  di vista motorio, l'atleta la effettuerà quasi sicuramente creando dei compensi.

Il ragazzo inoltre si accorgerà di essere in difficoltà, di non essere poi così bravo e penserà che fare ostacoli è davvero difficile, che forse non è portato.

E questo porterà ad una drastica diminuzione della motivazione fino, nel peggiore dei casi alla rinuncia e all'abbandono.

Per evitare tutto questo è necessario semplificare, rendere le cose semplici, non complicare la vita.

Ed in questo senso entrano in gioco i concetti tanto cari agli allenatori USA di regression e progression.

Regressione: se l'esercizio proposto è troppo complesso regredisci

Semplificare un'esercitazione troppo complessa in quel momento è il primo passo per diventare abili nel lungo termine.

Se l'ostacolo a 91 cm crea dei problemi fai un passo indietro e utilizza ostacoli più bassi.

Il mio consiglio in realtà è di partire sempre con una progressione facile, con un atleta principiante qualunque sia la sua età.

Io ad esempio con gli ostacolisti principianti inizio a proporre degli esercizi di ritmica con ostacolini di 30cm, l'altezza salirà nel corso della stagione quando per il ragazzo sarà diventato molto semplice.

Ovviamente, se il ragazzo ha veramente poca difficoltà a a eseguire certi esercizi, la progressione sarà più veloce, se invece ha più difficoltà ci muoveremo con più calma.

La stessa cosa avviene per la distanza degli ostacoli, prima molto vicini e via via più lontani.

Questo è alla base di progression.

In pratica costruire le fondamenta!

Progressione, l'unico modo per migliorare!

Per ottenere un risultati a lungo termine bisogna cercare di aumentare di volta in volta la difficoltà esecutiva.

Questo perché, anche se è vero che per evitare problemi bisogna mantenere le cose facili per ottenere miglioramenti è necessario, come abbiamo detto all'inizio uscire dalla propria zona di confort.

Il problema è, di quanto?

Non troppo in realtà, quel tanto che basta perché l'esercizio crei un miglioramento ma senza mettere in crisi l'atleta.

Attento al riflesso di trasalimento!

Un buon modo per accorgersi se un esercizio è troppo complesso per il Sistema Nervoso dell'atleta è quello di evitare il cosidetto startle reflex (letteralmente il riflesso di trasalimento)

Lo startle reflex è un riflesso di protezione, che viene inconsciamente messo in atto dal SN quando vi è un pericolo, un'attività è troppo difficile ed intensa e quando si ha paura:

  1. attivazione dei muscoli facciali, del collo e dei trapezi
  2. abbassamento della testa
  3. attivazione dei pettorali e chiusura in avanti
  4. contrazione dei muscoli antagonisti

Immagine 2. Riflesso da trasalimento (startle reflex)

Come vediamo nell'immagine 2, chi non ha questo riflesso (magari semplicemente perché non si è accorto del pericolo) viene colpito dalla mazza.

Per renderla semplice, è l’opposto del concetto di decontrazione e rilassamento, che è anche alla base delle prestazioni in quasi tutti gli sport.

Se un atleta esegue un esercizio in decontrazione dei muscoli non utili ai fini prestativi, sarà meno in difficoltà e imparerà prima determinati movimenti.

Per concludere...

Pensare a lungo termine, creare con calma le basi e rendere gli adattamenti stabili, abitudinari e piacevoli.

Sembra essere questa la ricetta del successo!

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Andrea Dell'Angelo

Sprint&Hurdles Coach | Fondatore e presidente ilCoach.net ASD
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Filed Under: Allenatori, Basi dell'allenamento, News, Psicologia

Valutare il carico interno con la percezione dello sforzo

11 Aprile 2020 by Redazione

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”I muscoli non hanno gli occhi” è una frase che contiene qualche verità.

Questo significa che si possono raggiungere stimoli allenanti simili utilizzando mezzi diversi e viceversa.

Valutare il carico interno

Il carico interno e quello esterno sono due concetti diversi e, specie in contesti e situazioni particolari, possono determinare grandi differenze nel carico percepito, a fronte di carichi esterni anche identici.

Se i muscoli e gli altri complessi meccanismi che regolano la nostra fisiologia possono in una qualche maniera essere “imbrogliati”, non possiamo comunque prenderci in giro e credere di poter fare in una stanza quello che facevamo in una pista o in una palestra.

Per questo è importante avere dei riferimenti soprattutto ora che non possiamo confidare in quei dati numerici fatti di misure, tempi e quantità a cui siamo soliti affidare buona parte delle nostre valutazioni.

Se è cambiato cosa fa e cosa può fare l'atleta e queste attività d'un tratto sono molto più difficili da misurare, diventa ancora più importante riuscire a valutare e quantificare come questo carico è percepito dall'atleta.

Sforzo percepito per la valutazione del carico interno

Franco Impellizzeri è uno degli esperti più riconosciuti a livello internazionale in questo campo e, direttamente da Sydney dove insegna e vive, ci ha regalato un contributo di grande valore.

Lo ringraziamo certi che grazie alle sue parole anche in una situazione difficile possiamo dare un piccolo aiuto ai nostri tecnici.

La valutazione dello sforzo percepito (o RPE) secondo un approccio metodologico corretto è molto importante oggi e sarà più importante ancora non appena avverrà il secondo grande stravolgimento nell'attività degli atleti che tutti stiamo attendendo: il ritorno in pista!

Qui sotto il link per scaricare la scala di Borg:

CR10skal.ital.070901

 

Franco Impellizzeri

Franco Impellizzeri

PhD, University of Science and Technology, Faculty of Medicine, Department of Physiology and Biomedical Engineering, Trondheim, Norvegia. Master e Laurea in Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano.
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Filed Under: Basi dell'allenamento, News, News, Test di valutazione

7 leggi per l'allenamento della forza

23 Novembre 2016 by Redazione

7 leggi allenamento della forza

Una corretta applicazione delle leggi e dei principi dell’allenamento assicura una migliore organizzazione, con una probabilità inferiore di errori.

Le 7 leggi dell’allenamento della forza dovrebbero essere la base di qualsiasi programma d’allenamento della forza.

Una casa è forte quanto le sue fondamenta.

Le 7 leggi dell’allenamento della forza collaborano alla costruzione di un atleta forte, flessibile, e stabile, che può sostenere lo stress indotto dell’attività sportiva.

Questo risultato passa attravers:

  • il rinforzo dei tendini, dei legamenti e delle ossa dell’atleta 
  • il rafforzamento del “core” 
  • l’adattamento progressivo alle azioni specifiche dello sport.
Validità delle 7 leggi dell'allenamento della forza

Le leggi sono valide per tutti gli atleti, indipendentemente dalle caratteristiche fisiologiche dello sport.

I principi dell’allenamento favoriscono un incremento continuo della forza e delle altre abilità attraverso l’adattamento del programma alle specifiche dello sport e, soprattutto, alle caratteristiche dell’atleta. Le leggi e i principi funzionano in maniera sinergica al fine di sviluppare il miglior programma di forza.

Questi principi, assieme alla periodizzazione della forza e all’integrazione dell’allenamento della forza con l’allenamento dei sistemi energetici, sono essenziali per ottenere un programma d’allenamento di successo.

Le 7 regole dell’Allenamento della Forza

Qualsiasi programma d’allenamento della forza dovrebbe essere progettato partendo dalle 7 leggi dell’allenamento, in modo da assicurare sia l’adattamento positivo, sia la prevenzione degli infortuni.

Queste leggi sono particolarmente importanti per gli atleti giovani o, in genere, per i principianti, poiché assicurano la costruzione di una buona base sulla quale costruire un allenamento più specifico nelle tappe successive dello sviluppo atletico.

1) Legge numero uno: Sviluppare la Mobilità Articolare

Per lo sviluppo simultaneo della forza e della mobilità, gran parte degli esercizi per il potenziamento muscolare dovrebbero essere eseguiti utilizzando un range di movimento completo per tutte le articolazioni principali, specialmente le caviglie, le ginocchia, e le anche.

Una buona mobilità articolare previene distorsioni e dolori alle articolazioni, così come gli infortuni da sovraccarico. In particolare, dovrebbe essere posta particolare attenzione alla mobilità della caviglia, la flessione dorsale e plantare, cioè il portare il dorso del piede verso la tibia o allontanarlo da essa, da parte di tutti gli atleti, specie i principianti.

Questi dovrebbero sviluppare la flessibilità della caviglia nella fase di prepubertà e pubertà, in modo che nel periodo successivo sia sufficiente mantenerla.

Fig. 1 Stretching statico del quadricipite. Immagine realizzata nella palestra Sistemha di Saronno

 

Come migliorare la flessibilità

Due ottimi metodi per migliorare la flessibilità sono lo stretching passivo e lo stretching PNF.

Nel caso di presenza di aderenze miofasciali (la miofascia rappresenta il 41% della resistenza passiva al movimento di una articolazione [Johns e Wright 1962]) dei metodi efficaci sono rappresentati dall’utilizzo di foam roller, dagli esercizi di Kelly Starrett con gli elastici per il rilascio della miofascia, e dalle sedute di rilascio miofasciale con un operatore certificato.

Il rilascio miofasciale incrementa la flessibilità muscolare e la mobilità articolare senza influenzare negativamente la prestazione (Sullivan et al. 2013, McDonald et al. 2013, Healey et al. 2014).

Infatti, per raggiungere la massima prestazione, la miofascia deve essere rilasciata prima di una gara, specie negli sport di velocità e potenza.

2) Legge numero due: Rafforzare i Tendini e i legamenti

La forza muscolare migliora più rapidamente rispetto alla forza dei tendini e dei legamenti.

Un uso errato o improprio del principio di specificità o la mancanza di una pianificazione a lungo termine, inducono molti allenatori e preparatori a trascurare il rafforzamento di tendini e legamenti, nonostante la maggior parte degli infortuni muscolari avvengano, non nel ventre del muscolo, ma alla giunzione miotendinea.

Tendini e legamenti vanno invece rafforzati attraverso un adattamento anatomico adeguato, in assenza del quale un allenamento intenso potrebbe provocare danni.

L’allenamento dei tendini e dei legamenti provoca un aumento del diametro degli stessi, elevandone la capacità di resistenza alla tensione e allo strappo.

I legamenti, che sono costituiti dai filamenti proteici di collagene, hanno l’importante ruolo di collegare le estremità delle ossa che formano un’articolazione. Le fibre di collagene sono distribuite con diverse angolazioni per resistere agli incrementi di carico.

La forza di un legamento dipende direttamente dalla sua sezione trasversa.

Un legamento si può rompere a causa di un eccesso di forza su di una articolazione, specie ad angolazioni estreme o con rotazioni non fisiologiche.

Durante una normale attività, i legamenti si allungano facilmente per permettere il movimento articolare.

Quando invece il carico sull’articolazione incrementa, come in una attività ad alta intensità o di gara, lo stesso accade alla stiffness dei legamenti, al fine di evitare una eccessiva mobilità dell’articolazione.

Se il carico è eccessivo, il legamento si può danneggiare.

Il miglior modo di prevenire questo tipo di infortunio è quello di preparare gradualmente il corpo a sopportare questo tipo di stress.

Per adattare i tendini e i legamenti a sopportare grossi carichi, gli atleti devono incrementare progressivamente il carico e alternarlo a periodi di scarico, così come avviene nella fase di adattamento anatomico. La progressività del carico migliora le caratteristiche viscoelastiche dei legamenti e infine permette di sopportare le grandi forze in trazione generate durante i movimenti dinamici, l’allenamento per la forza massima, e la pliometria.

I tendini, d’altra parte, uniscono i muscoli alle ossa e trasmettono la forza dai muscoli alle ossa in modo da permettere il movimento.

I tendini immagazzinano anche l’energia elastica, una caratteristica essenziale per i movimenti balistici, come quelli usati nella pliometria.

Più forte è il tendine, maggiore è la sua capacità di immagazzinare energia elastica.

Quindi, dei tendini forti sono una caratteristica dei velocisti e dei saltatori.

Si possono allenare tendini e legamenti?

Sia i legamenti, sia i tendini sono allenabili.

La loro composizione e le loro proprietà strutturali cambiano in risposta all’allenamento, diventando più spessi, più forti e con più stiffness, fino al 20 percento in più (Frank 1996).

I legamenti e i tendini sono anche capaci di ripararsi, anche se talvolta non possono tornare allo stato pre-infortunio.

Tenendo a mente tutto ciò, l’esercizio, in particolare quello eseguito durante la fase di adattamento anatomico, può essere considerato un metodo di prevenzione degli infortuni.

Se il rafforzamento di legamenti e tendini è trascurato, i primi non assicurano più l’integrità delle articolazioni e i secondi non garantiscano una trasmissione ottimale della forza.

Ad esempio, coloro che usano gli steroidi incrementano la forza del ventre muscolare, a scapito delle proprietà dei tendini e dei legamenti (Woo et al. 1994).

Più in generale, l’aumento della forza senza il contemporaneo rafforzamento dei legamenti e dei tendini può portare all’infortunio di questi, come succede spesso ai giocatori di football americano.

3) Legge numero tre: Sviluppo della Forza del “Core”

La forza espressa con gli arti è limitata dalla forza del “core”.

Un tronco debole non costituisce un supporto adeguato per esprimere la massima forza degli arti.

Un programma di allenamento della forza a lungo termine, dovrebbe innanzitutto sviluppare i muscoli del tronco, prima di dedicarsi a braccia e gambe.

I muscoli del tronco sono attivati in particolar modo durante le attività come salti e balzi.

Essi stabilizzano il corpo e fungono da collegamento tra gambe e braccia.

Muscoli del tronco deboli non possono svolgere questi ruoli essenziali, limitando, così, la prestazione dell’atleta.

La maggior parte di questi gruppi muscolari è costituita da fibre a contrazione lenta, dato il loro ruolo nel mantenimento della postura e la loro continua attivazione durante le azioni degli arti.

Essi si contraggono continuamente, ma non necessariamente in maniera dinamica, per creare una solida base di supporto per le azioni degli altri gruppi muscolari.

Molte persone, inclusi alcuni atleti, si lamentano di problemi alla bassa schiena, ma nonostante questo non fanno molto per risolverli. La migliore protezione contro il mal di schiena sono muscoli della schiena e degli addominali forti. Questa zona del corpo non dovrebbe essere trascurata dai preparatori o dagli atleti.

Nonostante ciò, l’allenamento per i muscoli del tronco, o “core training”, rappresenta una nuova moda i cui “nuovi esercizi” non sono tutti utili o privi di rischi. In questa sezione diamo la nostra opinione a riguardo del “core training”.

Riteniamo, infatti, che un eccesso di enfasi sull’allenamento del “core” (anche nelle sue forme “ibride” di “forza propriocettiva”) non dia alcun risultato in termini di prestazione, ma, di fatto, distragga l’atleta dall’eseguire tutta una serie di esercizi fondamentali ai fini della prestazione sportiva: quelli che lavorano i gruppi motori principali.

Il concetto di core

Il concetto di core

Muscoli addominali.

I muscoli della schiena e gli addominali circondano la parte centrale del corpo come una stretta e potente struttura di supporto, composta da fasci muscolari che si diramano in diverse direzioni.

Se gli addominali sono deboli, il bacino va in antiversione, causando una iperlordosi della spina lombare.

Il retto addominale, ad esempio, è disposto verticalmente ed ha un ruolo anti-estensorio della spina, al fine di mantenere la postura: ad esempio, quando l’anca si flette con le gambe fissate, come succede durante un sit-up.

Gli addominali obliqui interni ed esterni aiutano il retto addominale a flettere il tronco in avanti (flessione della spina – piano sagittale) e ad eseguire tutti i movimenti di rotazione (piano trasverso) e di flessione laterale (piano frontale).

In molti sport questi muscoli aiutano l’atleta a prevenire una caduta, e sono fondamentali in molte azioni della lotta, del pugilato e delle arti marziali. I muscoli addominali anteriori e laterali eseguono movimenti del tronco precisi e delicati.

Tali muscoli si sviluppano verticalmente, diagonalmente e orrizontalmente.

Poiché molti atleti hanno uno sviluppo inferiore dei muscoli addominali rispetto ai muscoli della schiena, è consigliato sia un allenamento generale, sia un allenamento specifico per questi distretti muscolari. Per lavorare con precisione sui muscoli addominali occorrono esercizi che li coinvolgano senza interessare il movimento delle anche.

Gli esercizi che flettono le anche, infatti, sono eseguiti dall’ileopsoas (un potente flessore dell’anca), e solo in maniera minore dagli addominali (che in questi casi lavorano perlopiù isometricamente per prevenire l’estensione della spina sul piano sagittale).

Gli esercizi più comuni per gli addominali sono i sit-up, e la migliore posizione per eseguirli è stare sdraiati con i polpacci appoggiati su di una panca, in questo modo le anche sono già flesse e gli addominali possono essere isolati.

Muscoli dorsali.

I muscoli dorsali, inclusi i muscoli profondi ai lati della spina, sono responsabili di vari movimenti, come l’estensione e la rotazione del tronco.

Il tronco agisce da tramite e da supporto per la maggior parte dei movimenti effettuati dagli arti.

La colonna vertebrale svolge, inoltre, un ruolo protettivo essenziale del midollo spinale, e assorbe gli urti durante l’atterraggio e lo stacco dal suolo. Uno sforzo eccessivo o irregolare del rachide, o un movimento improvviso da una posizione scorretta, potrebbero causare problemi nella zona lombare.

I dolori lombari negli atleti sono in genere dovuti a un eccesso, nel tempo, di movimenti scorretti.

La pressione esercitata sui dischi intervertebrali varia a seconda della posizione del corpo rispetto al carico da sollevare. Per esempio, la pressione aumenta in posizione seduta o, in piedi, se si estende la spina durante un curl con i bicipiti o una tirata al mento.

La posizione seduta provoca una pressione maggiore nei dischi intervertebrali, mentre la pressione più bassa si ha quando il corpo è sdraiato, prono o supino (come nelle distensioni su panca piana, o nelle tirate su panca piana).

In molti esercizi che impegnano i muscoli dorsali, gli addominali si contraggono isometricamente, stabilizzando il corpo.

I flessori dell’anca.

L’ileopsoas è un muscolo essenziale per la flessione delle anche e per la corsa. Sebbene non sia di grosse dimensioni, è il flessore dell’anca più potente (gli altri sono il retto femorale, il sartorio, e il tensore della fascia lata), ed è il responsabile dell’innalzamento del ginocchio nella corsa e nel salto.

Dei flessori dell’anca ben sviluppati sono necessari per gli sport eseguiti sul suolo o sul ghiaccio.

Questi importanti muscoli possono essere allenati con esercizi di sollevamento delle gambe con sovraccarico, sia a ginocchio flesso, sia a ginocchio steso.

4) Legge numero quattro: sviluppo degli stabilizzatori.

I muscoli motori primari lavorano con maggior efficacia se coadiuvati da forti muscoli stabilizzatori o fissatori.

Gli stabilizzatori si contraggono soprattutto isometricamente per stabilizzare un’articolazione, in modo da permettere il corretto movimento di un’altra parte del corpo.

La spalla viene stabilizzata, ad esempio, durante la flessione del gomito, mentre durante il lancio di una palla, sono gli addominali a fungere da fissatori.

Nel canottaggio sono invece i muscoli del tronco ad agire da stabilizzatori, trasmettendo la potenza delle gambe alle braccia, che a loro volta esercitano forza sull’acqua attraverso il remo.

Uno stabilizzatore debole, quindi, inibisce la capacità di contrarre i muscoli motori primari.

Stabilizzatori non adeguatamente sviluppati potrebbero dunque ostacolare l’attività dei muscoli motori primari.

Sottoposti a sforzo protratto nel tempo, gli stabilizzatori si contraggono involontariamente, frenando l’azione dei muscoli motori primari, con conseguente diminuzione della prestazione atletica.

Questa condizione è frequente fra i giocatori di pallavolo che si infortunano a seguito della debolezza e dello squilibrio muscolare dei muscoli della spalla (Kugler et al. 1996).

I muscoli sovraspinato e sottospinato ruotano la spalla.

Il modo più semplice ed efficace per rinforzare questi muscoli è l’extrarotazione della spalla con i manubri. La resistenza esercitata dal carico rinforza questi due muscoli.

Nell’anca, sono i muscoli piriforme e gluteo medio a permettere l’extra rotazione.

Per rinforzare questi muscoli, l’atleta deve assumere la posizione eretta, a ginocchia dritte, e sollevare una gamba lateralmente, con questa collegata a un cavo tramite una cavigliera.

Come allenare gli stabilizzatori

Gli stabilizzatori si contraggono isometricamente anche per immobilizzare una parte di un arto e permettere il movimento dell’altra. Inoltre, gli stabilizzatori sono utili per monitorare l’interazione delle ossa lunghe nelle articolazioni e recepire un potenziale infortunio derivante da una tecnica scorretta, da un’applicazione della forza non adeguata, o da spasmi causati dall’affaticamento.

Se si verifica una di queste condizioni, gli stabilizzatori frenano l’attività dei muscoli motori primari per evitarne stiramenti o strappi.

Per questi motivi i muscoli stabilizzatori giocano un ruolo fondamentale nella prestazione atletica.

L'allenamento propriocettivo

Diversi studi hanno mostrato che l’allenamento con le pedane propriocettive aiuta davvero a ripristinare la stabilità di una caviglia instabile o infortunata (Caraffa et al. 1996, Westers et al. 1996, Willem set al. 2002).

Alcuni studi mostrano che l’allenamento propriocettivo può diminuire l’incidenza degli infortuni al ginocchio (Caraffa et al. 1996), mentre altri studi negano l’efficacia di tale allenamento nella prevenzione degli infortuni (Soderman et al. 2000).

Una recente review, in particolare, ha trovato diversi errori nella strutturazione degli studi sull’allenamento propriocettivo (Thacker et al. 2003).

La teoria, quindi, è che se l’allenamento con le pedane propriocettive porta a una maggiore stabilità, migliorando la propriocezione e la forza dei muscoli stabilizzatori di una struttura instabile, esso incrementerà ulteriormente la forza ed eviterà gli infortuni se impiegato su di una struttura già stabile.

Ciò deve essere provato, però, e in ogni caso la vera domanda è “quanto tempo deve essere dedicato agli esercizi per gli stabilizzatori?”.

Ultimamente alcuni preparatori atletici hanno esagerato nell’allenamento degli stabilizzatori, perlopiù attraverso l’utilizzo dell’allenamento su superfici instabili.

Infatti l’allenamento su superfici instabili causa una maggiore attivazione di unità motorie dovuta alla co-contrazione (contrazione simultanea) dei muscoli agonisti e antagonisti, al fine di stabilizzare un’articolazione; una eccessiva co-contrazione non porta agli adattamenti necessari a un atleta di sport di potenza e velocità, che ha bisogno di antagonisti “silenti” (cioè inattivi) durante l’applicazione della forza da parte dei muscoli agonisti.

Inoltre, negli ultimi 10 anni, i preparatori atletici che hanno completamente evitato l’utilizzo delle pedane propriocettive o, più in generale, dell’allenamento propriocettivo, in sport di squadra come il calcio e la pallavolo, non hanno riportato alcun incremento degli infortuni a ginocchia e caviglie.

L’allenamento con le pedane propriocettive o con la Swiss Ball può comunque essere utile durante la prima parte della preparazione generale (la fase di adattamento anatomico).

Gli esercizi unilaterali sono certamente la scelta migliore per migliorare la stabilità articolare mentre si allenano i gruppi motori principali. In ogni caso, se viene effettuato l’allenamento propriocettivo durante la fase di adattamento anatomico, le pedane propriocettive o le Swiss Ball devono essere messe da parte nella fase successiva per dedicare più tempo all’allenamento con metodi che migliorino nello specifico il potenziale motorio dell’atleta e promuovano l’incremento della forza, velocità e resistenza sport-specifiche.

Dopotutto, anche se questi esercizi funzionano nel migliorare la propriocezione dell’atleta, la loro caratteristica di velocità bassa o moderata non proteggerà mai le articolazioni dai movimenti veloci e potenti di uno sport (Ashton-Miller et al. 2001). Preparare i muscoli stabilizzatori al movimento è importante; nello specifico, prepararli ai movimenti tipici dell’attività sportiva con una velocità, potenza o resistenza adeguate allo sport è vitale per la prestazione e l’integrità dell’atleta.

La Tabella 1 mostra un programma “split” di tre settimane per il macrociclo di adattamento anatomico di un giovane calciatore. Risulta evidente il vasto impiego di esercizi unilaterali, il volume di lavoro uguale tra agonisti e antagonisti, il tempo sotto tensione per serie che cade nella zona della capacità lattacida (da 48 a 80 secondi per serie), l’incremento progressivo del carico, e la durata breve del macrociclo, caratteristica tipica per gli atleti giovani o Master. I punti seguenti descrivono ciascuna colonna della figura:

  • Serie – Ciascun numero indica il numero di serie per esercizio eseguite in una data settimana. Per esempio, 2-3-2 significa che la prima settimana sono eseguite due serie, la seconda tre serie, e la terza due serie.
  • Ripetizioni - Ciascun numero indica il numero di ripetizioni per serie eseguite in una data settimana. Per esempio, 20-15-12 significa che la prima settimana sono eseguite 20 ripetizioni per serie, la seconda 15, e la terza 12.
  • Tempo di recupero - Ciascun numero indica il tempo di recupero tra le serie di uno stesso esercizio in una data settimana. Per esempio, 1-1-1.5 significa che la prima e la seconda settimana il tempo di recupero tra le serie di uno stesso esercizio è di un minuto, mentre nella terza è di un minuto e mezzo.
  • Tempo – Il primo numero indica la durata in secondi della fase eccentrica, il secondo numero indica i secondi di pausa tra la fase eccentrica e la fase concentrica, e il terzo numero indica la durata in secondi della fase concentrica (la “X” significa “esplosiva”).
  • Carico – Queste colonne dovrebbero essere usate per scrivere il carico impiegato di settimana in settimana per ogni serie di ciascun esercizio.

[su_table]

  Esercizi   Serie   Rip Tempo di Recupero (MIn.)  TEMpo (SEC.) Carico
1° settimana 2° settimana 3° settimana
Allenamento A
Squat a una gamba 2-3-2* 20-15-12* 1-1-1.5* 3-0-1**
Leg curl a una gamba 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-X
Stacco a una gamba 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1
Estensioni dell’anca in quadrupedia 2-3-2 20-15-15 1-1-1.5 3-0-1
Abductor machine 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1
Adductor machine 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1
Polpacci in piedi 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 2-2-1
Crunch con peso 2-3-2 20-15-12 1 3-0-3
Allenamento B
Spinte con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1
Rematore con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1
Lento con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1
Bicipiti con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1
Plank frontale e laterale 2-2-1 30-30-45 (sec.) 0.5 Isometrico

* Per ogni trio di numeri in questa colonna, il primo numero si riferisce alla prima settimana, il secondo numero si riferisce alla seconda settimana e il terzo numero si riferisce alla terza settimana.

** Per ogni trio di numeri in questa colonna, il primo numero si riferisce alla durata in secondi della fase eccentrica, il  secondo numero si riferisce alla pausa tra eccentrica e concentrica, e il terzo numero si riferisce alla durata della fase concentrica (una “X” significa “esplosiva”).

Tabella 1 Macrociclo di Adattamento Anatomico da tre settimane, utilizzando una split routine, per un calciatore di settore giovanile. [1]

[/su_table] 

ALLENAMENTO PROPRIOCETTIVO CON LA PALLA

Come ogni cosa nell’allenamento sport-specifico, la palla propriocettiva (nota anche come palla svizzera o stability ball) non è nuova. Comparve negli anni ‘60 ed è divenuta molto popolare, specialmente nel mondo della riabilitazione. Dagli anni ‘90 in poi è diventata popolare prima nel fitness e poi anche in ambito sportivo. La sua popolarità nel campo del fitness è comprensibile, data la varietà e la frenesia che caratterizzano quell’ambiente.

Swiss balla da Wikimedia Commons

Swiss ball da Wikimedia Commons

Molti esercizi eseguiti sulla palla propriocettiva permettono di allenare la forza e la flessibilità per la parte superiore e inferiore del corpo, e, naturalmente, di rinforzare il core. Tuttavia alcuni prepratori sovrastimano i benefici di questi esercizi, asserendo che i miglioramenti propriocettivi e dell’equilibrio si traducono in miglioramenti nella performance atletica. In realtà, l’equilibrio non è un fattore limitante per la performance; questo, pertanto, non è annoverabile nella stessa categoria delle abilità biomotorie quali la velocità, la forza e la resistenza. Infatti, il corpo si adatterà all’ambiente instabile dello sport praticato attraverso lo stimolo fornito dalla pratica dello sport stesso, così come attraverso la pratica di azioni tecniche e tattiche legate allo sport. Alcuni esercizi possono essere eseguiti sulla palla, ma dovrebbero limitarsi alla fase di adattamento anatomico o alle fasi di transizione, quando l’adattamento generale ha la priorità sull’adattamento fisiologico specifico.

Oltre a questi dettagli, gli atleti e gli allenatori dovrebbero essere ben consapevoli che utilizzare la palla propriocettiva nell’allenamento della forza massima può limitarne i benefici. Infatti, la palla limita la quantità di peso che l’atleta può sollevare perché una parte dell’impegno nervoso è diretta a stabilizzare il corpo, così come le articolazioni coinvolte nel movimento, riducendo così l’attivazione delle unità motorie a contrazione veloce dei muscoli motori primari. Perciò, gli unici esercizi consigliati con la palla propriocettiva sono quelli mirati al rinforzo dei muscoli addominali, che permettono all’atleta di allungare completamente quest’ultimi prima della fase concentrica dell’esercizio. Gli altri gruppi muscolari, invece, possono essere allenati con altri mezzi.

La palla propriocettiva può essere utilizzata nel modo e al momento debiti. L’irradiazione spiega come tutti i muscoli siano coinvolti in un movimento per supportarsi l’un l’altro. Il corpo umano è estremamente plastico e ha una capacità di adattamento straordinaria per i metodi di allenamento classici. La cosa più importante nello sport, infine, è il fatto che l’atleta ha una prestazione migliore quando i suoi adattamenti funzionali sono specifici, in questo modo migliora anche la propria stabilità in modo spontaneo, senza l’uso di attrezzi specifici.


5) Legge numero cinque: allenare i movimenti, non i singoli muscoli.

Lo scopo dell’allenamento della forza per uno sport è utilizzare i sovraccarichi per allenare i muscoli motori primari nei movimenti che avvengono durante il gesto specifico.

Gli atleti dovrebbero evitare di allenare i muscoli in isolamento, come avviene ad esempio nel bodybuilding.

Dai suoi albori il bodybuilding ha promosso l’allenamento dei muscoli in isolamento, un concetto che si è mostrato efficace per generazioni.

Gli esercizi di isolamento, però, non si applicano alla preparazione atletica, poiché i gesti atletici sono nella quasi totalità movimenti multiarticolari eseguiti in un certo ordine, formando quella che viene chiamata “catena cinetica”.

Un salto per afferrare una palla, ad esempio, impiega la seguente catena cinetica per la parte inferiore del corpo, al fine di applicare la forza a terra necessaria a sollevare il corpo:

  • estensione delle anche
  • estensione delle ginocchia
  • estensione delle caviglie

Questa potente sequenza, tipica di molti gesti atletici, è chiamata “tripla estensione”.

Angoli specifici

In accordo con il principio di specificità, specialmente nella fase di conversione (a forza specifica), la posizione del corpo e gli angoli degli arti dovrebbero essere simili a quelli richiesti nei movimenti tecnici specifici.

Quando un atleta si allena in un movimento specifico, i muscoli coinvolti sono integrati e rafforzati in modo da eseguire l’azione con maggiore potenza.

Per questo motivo gli atleti non dovrebbero far ricorso soltanto all’allenamento con i pesi, ma ampliare i mezzi e i metodi di allenamento includendo le palle mediche, gli elastici (per gli sport acquatici o per adattare la resistenza nell’allenamento della potenza con il bilanciere), i pesi del getto del peso, e i plinti e gli ostacoli per la pliometria.

Gli esercizi eseguiti con il supporto di tali attrezzi permettono all’atleta di potenziare le proprie abilità specifiche.

Gli esercizi multiarticolari come lo squat, lo stacco, la panca piana, il lento avanti, le trazioni, le alzate olimpiche, così come i lanci e i salti, sono stati impiegati nell’allenamento sportivo da quando gli atleti dell’atletica leggera hanno iniziato a usarli nei primi anni ’30, prima dei Giochi Olimpici del 1936.

La maggior parte degli atleti segue ancora questa tradizione.

Tali esercizi sono fondamentali per l’efficacia e l’efficienza dell’allenamento della forza.

Alcuni esercizi di isolamento (chiamati anche “accessori”) possono però essere impiegati per migliorare la trofia di alcuni gruppi muscolari il cui sviluppo è rimasto indietro, per incrementare l’apporto di sangue (necessario per la salute dei tendini) e per sostenere il contenuto proteico dei muscoli motori primari durante i periodi in cui si utilizzano ripetizioni molto basse.

In ultima analisi, non bisogna chiedersi “Dov’è l’esercizio per i bicipiti all’interno di questo programma”. Piuttosto è necessario domandarsi se la flessione del gomito è parte del gesto specifico richiesto nello sport in esame e, se così è, con quale altro movimento è essa integrata.

6) Legge numero sei: non concentratevi su ciò che è nuovo, ma su ciò che è necessario.

Negli ultimi anni il mercato dello sport e del fitness in nord America è stato invaso da molti prodotti che si suppone servano a migliorare la prestazione atletica.

Spesso, però, non è così.

Infatti, la conoscenza della biomeccanica e della fisiologia dell’esercizio rivela che molti prodotti promossi a tale scopo possono avere l’effetto contrario.

Due metodi che hanno catturato l’attenzione di allenatori, preparatori e atleti sono l’allenamento sulle superfici instabili e l’overspeed.

L’allenamento sulle superfici instabili è sicuro perché non prevede né permette l’utilizzo di grossi carichi, ma è anche abusato nel campo dell’allenamento sportivo. L’overspeed, invece, assieme ad altri attrezzi utilizzati al fine di migliorare velocità e potenza, altera la tecnica di corsa dell’atleta e ne diminuisce il tasso d’espressione della forza.

In molti casi, il mezzo promozionale prediletto per queste nuove idee è il seminario. Il relatore spesso mostra nuovi esercizi e promette miglioramenti miracolosi.

Non molto spesso, però, il relatore affronta il tema degli adattamenti neuromuscolari, che sono il nocciolo del miglioramento della prestazione atletica, e che dovrebbero essere il fondamento di ogni programma d’allenamento sport-specifico.

Certamente, è importante conoscere un vasto numero di esercizi, però un esercizio è essenziale solo se lavora i muscoli motori primari utilizzati nei gesti atletici specifici, né più, né meno.

Non fa alcuna differenza, ad esempio, se un atleta fa le distensioni su di una panca o su una Swiss Ball.

La velocità di esecuzione

È molto più importante che la fase concentrica sia eseguita con la maggiore esplosività possibile.

All’inizio del movimento vengono reclutate le unità motorie a contrazione veloce per superare l’inerzia del carico del bilanciere.

Come l’atleta continua a spingere il bilanciere verso l’alto, dovrebbe cercare di generare la maggiore accelerazione possibile.

In questo modo la frequenza di scarica incrementa.

Nel caso di un esercizio balistico, la massima velocità viene raggiunta proprio alla fine dell’azione, prima del rilascio dell’attrezzo o della proiezione del corpo dell’atleta.

Allo stesso modo, se è necessario raggiungere un alto livello di forza degli arti inferiori, un atleta dovrebbe fare squat, squat e squat.

L’idea è creare il più alto livello di forza e adattamento: in altre parole, fare ciò che è necessario. Incrementare la varietà dell’allenamento utilizzando esercizi diversi può andar bene, purché i muscoli motori primari lavorino in modo specifico.

7) Legge numero sette: periodizzare la forza nel lungo termine.

Anziché concentrarsi nei guadagni immediati di forza massimale, i preparatori atletici dovrebbero pianificare la progressione dell’allenamento della forza in modo da massimizzare il potenziale motorio dell’atleta a lungo termine.

Questo si traduce nel non iniziare da subito a usare alti carichi in esercizi tecnicamente complessi non pienamente acquisiti.

Come scrivo nel capitolo 2 del mio libro Periodizzazione dell'Allenamento Sportivo, la base per il miglioramento della forza generale nel lungo termine dovrebbe essere costituita dall’allenamento della coordinazione intermuscolare: un lavoro tecnico ed esplosivo con pesi da leggeri a submassimali, mai ad esaurimento, pianificato al termine della fase di adattamento anatomico o di quella per l’ipertrofia, se presente.

Diversamente, l’allenamento sulla coordinazione intramuscolare, pesi da submassimali a massimali, possibilmente non a esaurimento, a meno che non si desiderino dei guadagni in forza assoluta, aiuta a raggiungere il picco di forza massimale ma non può essere impiegato per lunghi periodi (non più di sei settimane alla volta).

La forza specifica, che sia la potenza, la potenza resistente o la resistenza muscolare, può essere massimizzata soltanto sulla base di una precedente fase di forza massimale ben pianificata. Questo concetto si applica sia al piano annuale, sia al piano pluriennale.

La Tabella 2 mostra un esempio di sequenza di macrocicli di coordinazione intermuscolare e coordinazione intramuscolare per l’incremento della forza massima all’interno del piano annuale; questi macrocicli sono posti prima dei macrocicli di forza specifica (potenza).

La Tabella 3 mostra la progressione del lavoro di forza di un atleta principiante per un periodo di quattro anni.

 

 

Tabella 2 Progressione dell’allenamento della forza nel piano annual per uno sport individuale, per il quale la forza specifica è la potenza.

Tabella 2 Progressione dell’allenamento della forza nel piano annual per uno sport individuale, per il quale la forza specifica è la potenza. [2]

Legenda: AA = adattamento anatomico, MxS (coordinazione intermuscolare) = forza massima (con carichi dal 70% all’80% dell’1RM), MxS (coordinazione intramuscolare) = forza massima (con carichi dall’85% al 90% dell’1RM), P = potenza, 3+1 = struttura del macrociclo con 3 settimane di carico e 1 settimana di scarico, 2+1 = struttura del macrociclo con 2 settimane di carico e 1 settimana di scarico.

 

 

Distribuzione e progressione dell’allenamento della forza in un piano pluriennale.

Tabella 3. Distribuzione e progressione dell’allenamento della forza in un piano pluriennale. [3]

Legenda: AA = adattamento anatomico, MxS = forza massima (coordinazione intermuscolare con carichi dal 70% all’80% dell’1RM o coordinazione intramuscolare con carichi dall’80% al 90% dell’1RM).

 

Bibliografia:

Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell'Allenamento Sportivo. 2° Edizione Italiana, Calzetti & Mariucci, 2017

Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell'allenamento sportivo. Programmi per lo sviluppo della forza in 35 sports. 3a Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa.

[1] Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell’Allenamento Sportivo – 3° Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa

[2] Cfr. Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell’Allenamento Sportivo – 3° Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa

[3] Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell’Allenamento Sportivo – 3° Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa

 

Carlo Buzzichelli

Prof. Carlo Buzzichelli

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La capacità di prestazione fisica

27 Settembre 2016 by Redazione

La capacità di prestazione fisica

Ph.: Roberto Click Passerini - Bressanone 2016

Introduzione: la capacità di prestazione fisica

La capacità di prestazione fisica nell’uomo presenta diversi aspetti, con notevoli differenze tra le singole persone. In campo sociale si presenta come attività di movimento, essendo un elemento del reciproco rapporto tra i diversi individui.

Per capacità di prestazione fisica è necessario intendere non solo ed unicamente la capacità funzionale dell’organismo, ma la sua correlazione con le azioni svolte per ottenere un risultato. Anche gli animali, il cui esame non diversifica da quello eseguito sull’uomo, sono essenzialmente capaci di prestazioni; la capacità di prestazione fisica nell’uomo, tuttavia, non può prescindere dalla valutazione dai comportamenti psichici e intellettuali dell’individuo: l’aspetto motivazionale, emozionale ed intellettuale è sempre fondamentalmente e costantemente presente. Non c’è solo l’aspetto biologico isolato, non può esistere alcuna scissione dalla personalità umana; questo aspetto essenziale deve essere sempre considerato in tutte le analisi. La mancata valutazione dei lati sia fisico che intellettuale dell’individuo, potrebbe altrimenti apparire come una svalutazione sostanziale della capacità fisica di prestazione e dei suoi risultati.

Per definire la “capacità di prestazione fisica” preferiamo di gran lunga la spiegazione che ne danno G. Schnabel-D. Harre- A. Borde in “Scienza dell’allenamento”:

“la personalità dell’atleta, nella sua interezza indipendentemente da una interpretazione in senso lato e ristretto della personalità, è indubbiamente di importanza cruciale per la sua capacità di prestazione: ogni prestazione viene determinata dalla personalità nel suo insieme. E infatti essa in senso stretto non dovrebbe essere considerata un fattore come gli altri. L’insieme dei presupposti personali che mettono in grado di rispondere a determinate richieste di prestazione, cioè la loro espressione e la loro struttura costituiscono la capacità di prestazione. Rispetto alla capacità di prestazione, i presupposti che si riferiscono agli impulsi all’azione, cioè agli atteggiamenti e alle motivazioni, all’emotività, alla volontà, debbono essere enucleati e inseriti tra quei presupposti che riguardano l’orientamento, l’esecuzione e il controllo dell’azione, definiti disponibilità di prestazione, per cui si può parlare di unità tra capacità e disponibilità alla prestazione. La capacità di prestazione può essere anche definita come quella forma di svolgimento, in gran parte generalizzata  e abitualmente stabilizzata entro un certo limite, dei processi psicofisici che determinano la prestazione possibile, intesa come realizzazione dell’azione.”

L’importanza del fattore ambientale sull'adattamento

Non esiste una capacità fisica universale, poiché dipende dalle diverse richieste provenienti dell’ambiente sociale.  In  risposta  alla  variabilità  delle  diverse  forme  di richiesta dell’ambiente sociale e naturale, divengono necessari differenti espressioni delle capacità fisiche di prestazione. Per fare un esempio, citeremo il caso dei migliori corridori di mezzofondo che contemporaneamente sono anche i peggiori per quanto riguarda l’espressione della forza massimale. Naturalmente non è possibile cercare di schematizzare, ridurre e semplificare il concetto di capacità fisica di prestazione, riducendola nel ristretto ambito di una sola scienza come possono essere la fisiologia, la biologia o la fisica. Bensì si può valutare come un concetto di pluridimensionalità ben si adatti al complesso concetto di capacità fisica, collocandosi come sintesi delle singole componenti delle diverse capacità di prestazione parziali, consentendo di conseguenza numerose specializzazioni.

Un individuo è selettivamente adatto verso una determinata richiesta e questa determinata spiccata prestazione nasce dall'accoppiamento di elementi diversi, che unitamente esaltano la capacità fisica di prestazione finale.

Se consideriamo l’ambito delle richieste prettamente fisiche, molti dei miglioramento socio- ambientali approntati dall’uomo ci hanno reso la vita più facile e comoda. Questi progressi vanno comunque valutati nell’ambito sociale ed economico di riferimento, dal momento che essi non sono privi di contraddizioni e conflitti. L’ambiente ormai esasperatamente tecnologizzato pone in una parte non certo trascurabile della popolazione, dei seri problemi per quanto riguarda il soddisfacimento di una pur minima attività nei campi della resistenza e della forza.

L’attuale adattamento dell’uomo “socializzato all’ambiente”, si manifesta chiaramente nel fatto che egli trasferisce quelle che inizialmente erano prerogative prettamente personali a strumenti tecnologici esterni al proprio corpo, e da egli stesso costruiti.

Non potendo sollevare pesi enormi, ha costruito la gru; non potendo correre più veloce per un tempo prolungato, si è affidato all’automobile. Oggi l’uomo può costruire opere fino a qualche decennio fa assolutamente inimmaginabili, ma queste conoscenze tecnico-scientifiche lo hanno condotto inevitabilmente al punto che il controllo sull’ambiente, non dipende quasi più dalle sue capacità fisiche. Questa forma di adattamento all’ambiente assume un’ importanza sempre maggiore col trascorrere dei secoli. L’uomo è il prodotto dell’evoluzione, e i tratti che lo caratterizzano sono il frutto di una selezione naturale durata milioni di anni. Tutti questi cambiamenti si sono nel corso dei secoli stabilizzati e sono stati effettuati in risposta alle diverse caratteristiche ambientali. I nostri antenati dell’età della pietra dovevano per forza approcciarsi con un’enfasi maggiore all’ambiente circostante per sopravvivere, e tale adattamento è avvenuto in un lasso di tempo decisamente grande. L’uomo non potrà separarsi dal suo fisico; esso non è un abito dismesso che può essere abbandonato per vestirne uno nuovo, ma un divenire in costante collaborazione con la sua natura biologica. Non bisogna però cadere nell’errore di considerare come unico elemento caratterizzante l’evoluzione del genere umano, l’ambiente circostante poiché è la storia nel suo insieme, e non solo il singolo elemento, a stimolare i processi di adattamento.

Il processo biologico della capacità fisica di prestazione è lo stato di adattamento di un determinato organo ad una determinata prestazione e questo è ciò che si intende per attività fisica. Gli organi si adattano a seconda dell’uso, talvolta in modo irreversibile: struttura e funzione hanno un rapporto reciproco di causa- effetto. La manifestazione dell’adattamento personifica e rispecchia una determinata strutturale pretesa di prestazione. La capacità di prestazione implica adattamento e quest’ultimo, necessariamente  e  conseguentemente,   produce nuove richieste. Ciò lo possiamo rilevare negli effetti scambievoli tra influssi esterni ed interni; l’effetto combinato tra ambiente ed organismo è una importante caratterizzazione di ciò. Le  attuali condizioni di vita, con il loro intrinseco deficit nel campo delle attività motorie, riducono fortemente le capacità di adattamento dell’individuo alle mutate richieste. Ciò naturalmente non significa né implica l’atrofia.

 

Il ruolo delle capacità fisiche per nel mantenimento della salute

Questa nuova dimensione dell’uomo impoverito di attività fisica, ha come conseguenza la perdita della capacità di reagire all’ambiente, benché esso minacci con costanza, attraverso le sue modificazioni a volte negative, la salute dell’organismo. Una mancanza di movimento e con questo di una continua attività di adattamento, conduce spesso ed inevitabilmente ad un impoverimento della salute. Osservando l’evoluzione di un individuo, possiamo rilevare come esista e persista una necessità ed un impulso al moto solo nell’età giovanile, cioè sino al termine dello sviluppo; col crescere dell’età cala questa “ fame di movimento” , l’istintivo impulso verso il moto, anche se le capacità fisiche potrebbero essere ulteriormente migliorate ed incrementate. L’adulto non reagisce istintivamente, bensì realizza il movimento in modo razionale, valutando le informazioni e le conoscenze secondo le proprie necessità. Per lui è necessaria una conscia elaborazione della situazione. Si deve tuttavia sottolineare che gli effetti endogeni della mancanza di moto e la correlata mancanza di capacità di prestazione sono fortemente analoghi a quelli dei processi di invecchiamento.

La capacità di prestazione fisica

Le capacità di adattamento dell’uomo si traducono direttamente in una modificazione delle capacità di forza e di resistenza. Queste due caratteristiche presentano norme ben definite di adattamento biologico. In diretta dipendenza dalla tipologia della stimolazione esterna, vengono interessate capacità  e  abilità  in  maniera differente. Lo sviluppo finalizzato della capacità di prestazione dovrà essere sempre guidato dalla forma della risposta alla domanda esterna. I più evidenti e marcati adattamenti sono presenti nel campo della resistenza, che contemporaneamente presenta il più grande effetto di stabilizzazione della salute dell’individuo. In questo contesto gli adattamenti biologici si sovrappongono anche all’area  sociale. Per questo motivo qui sottolineiamo l’importanza dell’attività di resistenza, inquadrata nell’ambito sociale tecnologizzato,  per un consono mantenimento della salute.

 

Le capacità fisiche in ambito sportivo

Dimensione e funzionalità cardiaca, letto capillare, peso dei reni e del fegato, vengono influenzati anche dall’attività motoria volontaria portando anche ad un miglioramento della funzionalità organica. Si è dimostrato come l’espressione di determinate caratteristiche fisiche dipendenti da una speciale capacità di prestazione, in questo caso della resistenza, possono essere estremamente variabili.

Costruzione e funzione del fisico non sono mai individualmente costanti, bensì possano variare ampiamente col trascorrere del tempo. Tutte le modificazioni che avvengono sono in qualche modo misurabili. Prendendo come esempio il caso della funzione cardio-circolatoria è ormai provato che attraverso un costante adattamento alla prestazione di resistenza, assistiamo ad un ampliamento della funzione. Con il crescere della prestazione sportiva, partendo da un soggetto non  allenato  sino  all’atleta  d’élite  nel  mezzofondo,  possiamo  constatare  un notevolissimo aumento della funzione, che ovviamente in misura crescente si ottimalizza. La frequenza cardiaca si abbassa (da valori attorno alle 70 puls/min può passare a valori attorno alle 50 puls/min a riposo), portando ad un quadro configurabile con una bradicardia da allenamento. La massima assunzione  di ossigeno aumenta notevolmente (da valori attorno ai 3000ml/min sino a oltre 5000ml/min), in corrispondenza di un paritario incremento  del  volume cardiaco che può andare da 600ml sino a 1400ml. Tutte queste modificazioni , è superfluo ricordarlo, avvengono solo se provocate da adeguati stimoli di adattamento. Il soggetto allenato, dunque, può avere a disposizione una maggior “riserva”, oltre ad una più articolata area per la veloce e completa compensazione dello sforzo.

Lo “stato di sicurezza” o limite superiore in cui subentra uno stato di labilità ed uno stato di deterioramento della prestazione, è considerevolmente spostato in avanti. Per questa strada sarà possibile sopportare maggiori carichi esterni e tollerare e smaltire in modo migliore i disturbi che ne derivano. Il meccanismo di compensazione attraverso l’allenamento si fa più veloce e fa risparmiare all’organismo energie preziose, con un miglioramento del sistema di regolazione della compensazione. L’ omeostasi interna si sviluppa in risposta all’intervento di carichi esterni mentre la capacità di resistenza verso i disturbi esterni, e soprattutto verso l’affaticamento è grandemente migliorata. A questo punto è necessario ricordare il concetto importante dell’adattamento incrociato, che significa un miglioramento della capacità di adattamento e di resistenza, non solo verso i carichi prettamente specifici della resistenza, bensì anche in quelli provocati da  altre attività.

Nel linguaggio corrente parliamo di irrobustimento generale. C’è dunque un elevato incremento delle difese contro tutti gli agenti esterni indotti dall’ambiente. La tollerabilità verso questi stimoli esterni diviene sempre maggiore per cui in definitiva essi possono essere superati e sopportati con crescente facilità. In particolare dobbiamo ricordare il notevole miglioramento della termoregolazione e del livello immunologico.

Naturalmente questo effetto di incremento delle capacità fisiche implica sempre uno stretto legame tra la capacità di migliorare e facilità di recupero. Cioè, in altre parole, un incrementato catabolismo è l’ipotesi prima per un incrementato anabolismo, e viceversa. Le funzioni vegetative a riposo sono determinanti nel processo di adattamento e sono caratterizzate da un processo di economizzazione.

Da sempre ormai sappiamo come una determinata funzione sotto l’influsso di un carico reagisca attraverso una fase di adattamento e di ripristino sino ad un livello non pari, ma superiore rispetto a  quello  iniziale.  E’ il cosiddetto  concetto  della super-compensazione. Da quanto ricordato precedentemente noi sappiamo che tale capacità non si traduce in un miglioramento specifico, bensì generalizzato, inducendo una migliorata stabilità della salute sia a riposo che in condizioni di attività sub-massimali. Non da ultimo in questa prospettiva interviene il concetto di nuove forme di recupero e riposo attivo per gli atleti. Si ottiene in definitiva, una migliorata capacità di prestazione,   in   stretta   correlazione   con   una migliorata capacità di ripristino e con questo una aumentata capacità di carico e compatibilità di carico.

Dobbiamo a questo punto ricordare che l’adattamento cardio-circolatorio ad attività specificatamente di resistenza, non avviene in maniera lineare. Parametri importanti quali la frequenza cardiaca, il VO2 max non mostrano una continua proporzionalità dei valori nell’intero campo di possibilità. Questa “rottura” della proporzionalità avviene, come dimostrato da numerosi esperimenti, intorno al valore di 950 ml di volume cardiaco. Valori più alti assistiamo ad un appiattimento della curva, che sta in definitiva a significare che qualsiasi ulteriore aumento funzionale può essere “acquistato” solamente attraverso una spesa sproporzionata.

La massima stabilità deve essere qui considerata come adattamento indotto dal carico fisiologico; naturalmente consideriamo qualsivoglia prestazione dell’uomo, come fenomeno sociale. Questo presuppone una catena di susseguenti connessioni che ha inizio con una motivazione sociale o psichica, per terminare nuovamente nell’area sociale con un finalizzato atto motorio. Quindi la prestazione fisica ha una funzione sociale di accesso e di realizzazione. Se paragoniamo il corpo ad una macchina tecnologica, essa potrà essere rovinata da una eccessiva fase lavorativa, ma contemporaneamente potrà subire dei danni gravi anche dall’eccessivo disuso.

 

Influenza del sesso e dell'età

Certamente i parametri sopra ricordati variano notevolmente anche in riferimento al sesso dell’individuo. Le differenze che possiamo chiaramente riscontrare tra maschi e femmine, aumentano ancor più considerevolmente con l’introduzione di metodiche di preparazione specifiche. Possiamo tuttavia rilevare come la donna abbia una notevole capacità di adattamento. Lo scarto funzionale non è tuttavia troppo marcato tra i due sessi in quanto le donne si adattano in maniera analoga ai maschi ai carichi a cui sono sottoposte Le capacità fisiche sono allenabili in ciascuna età della vita, anche se la potenza di adattamento dell’organismo a tali carichi  è  differente  con  il crescere dell’età. I fanciulli ed i giovani posseggono valide premesse per l’incremento costante delle loro prestazioni. Il miglior periodo per il raggiungimento della più elevata capacità di prestazione fisica è, come lo sport di prestazione chiaramente lo dimostra, il periodo compreso tra la fine del secondo e l’inizio del quarto decennio di vita. Con il crescere dell’età, diminuisce la potenzialità di adattamento dell’organo, anche se potrà essere mantenuta per i singoli organi in un certo grado anche nelle persone anziane tramite una adeguata specializzazione di carichi adatti alla conservazione della stabilità della salute. Da quanto detto sopra, possiamo certamente definire lo stato di salute come quella condizione in cui l’organismo può mantenere il suo optimum di capacità di adattamento all’ambiente. Se la capacità di prestazione umana può progredire in base alla potenza di adattamento dell’organismo, anche la salute può parimenti progredire in una dimensione misurabile. Secondo il nostro parere capacità fisica di adattamento e salute corrono di pari passo. Se è rilevabile un incremento nella prestazione, lo è certamente anche nel campo della salute. Come è evidentemente ragionevole pensare il contrario: cioè l’effetto degli impulsi esterni è largamente condizionato dalla situazione interna. Comunque ancora qualcosa sfugge alla nostra analisi in quanto la salute rappresenta un qualcosa di più della semplice capacità di prestazione fisica.

giovanile

 

L’ottimale capacità di prestazione fisica non è un fattore isolato e non è certamente un prodotto finale, ma si sviluppa attraverso singoli interventi successivi. L’organismo possiede straordinarie forze di auto-miglioramento e auto-strutturazione, come pure di auto-peggioramento. Esso dispone di una larga capacità di adattamento: l’uomo si migliora costantemente attraverso i suoi singoli rapporti col mondo esterno; la capacità di prestazione fisica è in definitiva il risultato di uno stile di vita relazionato all’ambiente di riferimento. Per la piena realizzazione del proprio  potenziale di adattamento come base biologico-materiale, è essenziale l’uso. La funzione migliora la funzione. Le richieste aumentano con il crescere dell adattamento alle domande precedenti: questo preziosissimo effetto fisiologico non potrà essere raggiunto se non attraverso questa via. La prestazione produce un effetto di adattamento che è origine dell’incremento della capacità di prestazione fisica che si pone quindi sia come premessa che conseguenza della prestazione  in sé. La prestazione fisica è dunque il punto di partenza, il contenuto e la meta della capacità di prestazione.

L’intero allenamento sportivo è basato su questo concetto fondamentale. Presupposto fondamentale per il progresso della prestazione fisica è il regolare esaurimento del potenziale. Tuttavia la capacità di prestazione fisica non è immagazzinabile in quanto è determinata dall’esercizio. Possiamo qui riscontrare come, un’attività svolta per tre volte alla settimana ed incentrata su un allenamento di resistenza, abbia la capacità di provocare nell’organismo effetti di adattamento che a loro volta determineranno effetti di miglioramento della prestazione fisica. Ciò vale a nostro avviso per persone che solitamente svolgono una attività prettamente sedentaria. Ciò potrà eliminare o in larga misura mitigare gli effetti della sostanziale mancanza di attività fisica tipica dello stile di vita attuale.

La miglior prestazione fisica individuale viene solitamente raggiunta in età adulta, tra i 20 e i 30 anni. Pertanto, l'allenamento in età giovanile non è soltanto fine a se stesso, ma rappresenta altresì la preparazione ottimale per il raggiungimento della massima prestazione fisica individuale. In sostanza,  ciò rende ben chiari i concetti di "crescita" e "allenamento in età evolutiva”. In Germania, al fine di accentuare il carattere preparatorio dell'allenamento in età giovanile, si è affermata la denominazione "allenamento di costruzione", chiarendo in questo modo come lo scopo primario dell'allenamento in età evolutiva sia quello di creare ed ottimizzare i presupposti per successive prestazioni di alto livello

Uno dei presupposti fondamentali è rappresentato dall'acquisizione di una tecnica individuale ottimale, oltre ovviamente ad una buona preparazione fisica, che è il secondo importante presupposto per future prestazioni di elite. Tuttavia, con il termine “preparazione fisica”,  in  questa fase non si intende la preparazione condizionale diretta, per mezzo della quale, ad  esempio, è possibile migliorare l'accelerazione dello sprint grazie ad un allenamento della forza massimale, bensì l'aumento generale della capacità di carico. In particolare, tendini, legamenti, capsule articolari, cartilagini e apparato osseo devono essere rinforzati in vista delle sollecitazioni date dai carichi di trazione e compressione, ad esempio nel momento di appoggio del piede o durante il lancio.

Con il progredire dell'età, la preparazione fisica generale sarà poi utile, oltre che ai fini della preparazione, anche alla compensazione dell'allenamento specifico, spesso improntato ad un forte carico unilaterale. Siccome i tessuti che vengono sollecitati nel corso del processo di allenamento mostrano un adattamento lento, per dare origine ad adattamenti stabili sono necessarie sollecitazioni a lungo termine dalla durata pluriennale. L'esperienza insegna che l’alternanza di molti stimoli di carico leggeri a singoli stimoli di carico di forte intensità (sempre nell’ambito fisiologico), rappresenta il metodo ottimale al fine di rafforzare le strutture motorie passive.

Da questo punto di vista, le zone più importanti sono il piede e l'articolazione della caviglia, la zona lombare del rachide e, nel caso dei lanci, le spalle. Inoltre, devono essere rinforzati i muscoli sinergici ed antagonisti, compresi quelli della muscolatura retta e obliqua del tronco. Tutti questi distretti muscolari devono essere potenziati in maniera mirata e intensiva, grazie alla preparazione fisica generale. Metodi tipici di allenamento sono il circuit training,  i carichi di resistenza aspecifici, i lanci e salti in genere, gli esercizi di stabilizzazione del tronco statici e dinamici, i giochi con la  palla e gli esercizi di coordinazione.

Per chi si occupa dell’allenamento di soggetti in età evolutiva, soprattutto nel caso in cui abbia a disposizione sedute di allenamento di durata limitata, è difficile accettare che gran parte dell'allenamento debba essere utilizzato per esercitazioni a carattere generale. In questo caso, vale la regola per cui tanto più aumenta il tempo totale di allenamento e quindi, tanto migliore e talentuoso è uno sportivo, tanto più dovrà aumentare anche la percentuale dedicata all’allenamento generale.

Di Graziano Camellini ed Elisa Bettini

L’articolo originale "La capacità di prestazione fisica" di Ugo Cauz è stato pubblicato sul n° 42-43 nel Luglio- Agosto del 1980 di “ Nuova Atletica del Friuli”. La revisione attuale è stata effettuata da Elisa Bettini e Graziano Camellini.  

 

BIBLIOGRAFIA

Killing: Training im Jugendalter

Dietrich Martin, Klaus Carl, Klaus Lehnertz; “Handdbuch trainingslehre”. Traduzione italiana ad opera di Mario Gulinelli: Manuale di teoria dell’allenamento

Schnabel-D. Harre- A. Borde in : Scienza dell’allenamento

grazioano camellini

Graziano Camellini

Responsabile Prove Multiple Fidal Nazionale
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Elisa Bettini

Allenatrice 2° Livello Fidal
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Test motori, un'arma metodologica in più

25 Gennaio 2016 by Redazione

Manuale standardizzazione dei test motori

Nell’attuale panorama sportivo vengono sempre meno utilizzati i test per la verifica delle capacità motorie generali e coordinative. Pochi tecnici sportivi dedicano del tempo a testare i propri atleti, soprattutto negli sport, in cui si richiede una grande abilità tecnica che non è quantificabile né misurabile. I test sono così completamente esclusi dalla programmazione annuale.

Quale miglior metodo esiste per quantificare, misurare una abilità motoria o coordinativa, se non un test?

Come capire quali siano le carenze a livello atletico, coordinativo  e programmare di conseguenza un  ciclo, mesociclico o una periodizzazione per colmare il gap o la lacuna in una o più capacità?

Vengono in aiuto al tecnico sportivo per valutare e modificare in corso d’opera alcuni test, che possono essere inseriti nell’attività sportiva con cadenza trimestrale per correggere la mira di una programmazione o di una periodizzazione.

Il CONI ha fornito un interessante testo (scaricabile gratuitamente su internet) che prende il nome di: "Manuale di standardizzazione dei test". Il manuale è affiancato da un software che si chiama:  Osservatorio nazionale capacità motorie, che dal 2002 ad oggi è riuscito a raccogliere oltre 4 milioni di dati di atleti, e di alunni all’interno della scuola primaria,  secondaria e superiore.
Riportando le parole chiare e sintetiche del Manuale:

“Attraverso i test motori possiamo misurare il livello di diverse capacità motorie quali la forza, la rapidità, la resistenza o di un’abilità come ad esempio nella prova di salita alla fune. Essendo di fatto impossibile misurare tali capacità, definite come concetto astratto, si ricorre all’utilizzo di INDICATORI, cioè ad elementi concretamente misurabile che ne “indicano” un altro che la teoria e metodologia dell’allenamento ritiene inequivocabilmente correlato. Per valutare le capacità ed attitudini di un soggetto di norma non si ricorre ad un test unico ed omnicomprensivo (del resto non approntabile), ma ad una batteria di test che misurando le diverse capacità motorie possa fornire una valutazione allo stesso tempo sintetica ed analitica ( in quanto ogni test specifico concorre alla valutazione complessiva). L'affidabilità di un test motorio dipende da diversi fattori, quali la strutturazione del test e le diverse modalità di somministrazione e di misurazione. I test motori debbono possedere le seguenti caratteristiche : STANDARDIZZAZIONE , VALIDITA',  OGGETTIVITA', ATTENDIBILITA', SELETTIVITA'”

 

Si evince chiaramente che lo scopo di una batteria di test sia quella di fotografare la situazione attuale di un atleta o di uno scolaro, avendo così gli strumenti per creare un percorso formativo o di allenamento partendo da dati reali e specifici. I test (meglio parlare di batterie di test) diventano quindi una diagnosi di prestazione. In concomitanza alla diagnosi di prestazione i test possono diventare delle diagnosi dello sviluppo del soggetto testato; poiché come dichiara chiaramente il manuale:

 

”Consiste in una valutazione in rilevamenti successivi, ottenendo una curva dello sviluppo motorio individuale, adeguatamente confrontata (attraverso l’uso del software )con i parametri di riferimento di soggetti di pari età e sesso (percentili). I grafici che derivano da una diagnosi dello sviluppo ben fatta ed intersecata con gli aspetti motivazionali del soggetto e del tipo di allenamento, danno informazioni molto superiori permettendo di valutare, oltre le capacità di prestazione, l’andamento nel tempo di tali capacità cogliendo momenti di stasi, di rapido incremento o di regressione.”

In ultima analisi le batterie di test, possono essere utilizzati come ottimi strumenti per il controllo dell’allenamento, per verificare il raggiungimento degli obiettivi e controllare gli aspetti della programmazione.

Leggendo il manuale viene ampiamente specificato che:

 

 

“Le batterie di test per il controllo dell’allenamento così come quelle per la diagnosi dello sviluppo vengono ripetute più volte nel corso di più anni, e solitamente hanno un numero di prove più ridotto per impedire la presenza di un altro frequente errore nella valutazione con metodi oggettivi, che è quello di dedicare troppo tempo al processo di valutazione sottraendolo al processo di apprendimento.

In tutte le discipline sportive vengono utilizzati test di tipo condizionale e coordinativo con il progressivo inserimento di test di tipo specifico che soprattutto negli sport parametrici coincidono con la gara stessa (come nell’atletica per esempio).”

 

Il manuale e il software contengono una banca di test motorie che si dividono in test generali e in test specifici.

 

TEST GENERALI:

Tali test rappresentano indicatori di Capacità Condizionali e/o Coordinative ed Abilità che hanno valenza trasversale rispetto a diversi ambiti di discipline sportive. Tali test vengono forniti a tutti gli utenti sia in ambito sportivo che scolastico.

 

TEST SPECIFICI:

Si definiscono tali in relazione alla loro specificità nei confronti di una disciplina sportiva e solitamente sono indicatori di aspetti delle abilità specifiche dello sport in questione. Tali test vengono forniti solo alle Società Sportive e C.A.S. della specifica disciplina.

 

Attualmente la Banca dei test contiene 117 test così suddivisi:

  • RAPIDITÀ (15)
  • FORZA (6)
  • FORZA RAPIDA (22)
  • FORZA RESISTENTE (2)
  • TEST GENERALI (93)
  • RESISTENZA (4)
  • RESISTENZA ALLA VELOCITÀ (1)
  • MOBILITÀ ARTICOLARE (3)
  • CAPACITA’ COORDINATIVE (19)
  • ANTROPOMETRICI (5)
  • GARE DI ATLETICA LEGGERA (15)
  • CALCIO (7)
  • TEST SPECIFICI (28)
  • PALLACANESTRO (10)
  • PALLAMANO (11)

 

Dopo la presentazione del manuale e del software risulta ai fini della programmazione dell’allenamento, del controllo e della diagnosi delle condizioni dell’atleta, indispensabile da parte del tecnico saper utilizzare un valido strumento come un test o una batteria di test, anche con atleti in tenera età.

Bisognerebbe incitare i tecnici sportivi ad eseguire in modalità periodica, i test ai propri atleti. I test possono anche non essere quelli proposti e presentati nel manuale, possono essere inventati dal tecnico o essere specifici dell’attività sportiva praticata, così da poter aver dati, riproducibili e standardizzati che delineano il profilo atletico di uno sportivo.

Saper ottimizzare e dedicare il giusto tempo per poter misurare ed avere dati empirici, risulta essere un' arma e uno strumento in più ai tecnici per poter migliorare la qualità e la metodologia degli allenamenti, dosando con efficacia i vari parametri allenabili e allenanti.

 

Daniele Surdo

Daniele Surdo

Esperto in ricomposizione corporea
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Il concetto di "core"

16 Dicembre 2015 by Redazione

Il concetto di core vecchio sito

Il termine “core” è stato al centro dell’attenzione di molti allenatori e preparatori nonché riviste scientifiche e da parecchi anni, ha assunto significati differenti in base all’interpretazione degli autori e al contesto di riferimento ma tuttavia una precisa definizione del concetto non è ancora chiara.

In passato il core è stato descritto come un “box cilindrico” composto dai muscoli addominali anteriormente, glutei e paraspinali posteriormente, diaframma come parte superiore e pavimento pelvico/articolazione dell’anca come base inferiore. Willson et al. hanno ampliato tale concetto definendolo come “ il complesso lombo-pelvico formato da colonna vertebrale lombare, bacino, articolazione dell’anca e da tutti i muscoli che producono o limitano i movimenti di questi segmenti”. Analizzandolo nel settore sportivo, vede il “core” come “l’insieme di tutte le componenti anatomiche tra sterno e ginocchia con focus su regione addominale, low back e anche”, supportato in tale idea da altri ricercatori del medesimo ambito i quali evidenziano come la “muscolatura del core” debba includere  “tutti i muscoli compresi tra spalle e pelvi che agiscono  per il trasferimento di forze dalla colonna alle estremità” .

Rappresenta, dunque, una sorta di corsetto muscolare che lavora come un unità per stabilizzare il corpo e la colonna vertebrale in presenza o assenza di movimenti degli arti, fungendo da “centro delle catene cinetiche dal quale partono tutti i vari movimenti.”

In passato Joseph Pilates, ideatore del medesimo metodo, aveva denominato “powerhouse” l’attuale “core region”, vedendola come elemento portante e fonte primaria nella generazione di tutti i movimenti. Sulla base di tali concetti, la capacità di mantenere una adeguata stabilità funzionale e un efficiente controllo neuromuscolare nella regione lombo-pelvica viene quindi ad assumere un ruolo fondamentale nella prevenzione/recupero di patologie muscolo-scheletriche, controllo della postura e nel miglioramento della performance sportiva

Sono state fatte diverse suddivisione dei muscoli convolti nella regione del Core, tra le più semplici possiamo citare quella composta dal sistema muscolare locale e globale, ovvero unità interna ed esterna.

Questa semplice suddivisione ci fa capire quale siano i muscoli coinvolti durante gli esercizi di core stability. Il sistema muscolare locale, detto anche unità interna o sistema di supporto dell’articolazione, è formato da:

  • Trasverso addominale
  • Multifido
  • Obliqui interni
  • Diaframma
  • Muscoli del pavimento pelvico.

 

Core

 

 

Il sistema muscolare globale, chiamato anche unità esterna, include:

 

  • Retto addominale
  • Obliqui esterni
  • Erettore della colonna
  • Quadrato dei lombi.

 

Il controllo neuromuscolare sul core che si ottiene con l’allenamento della core stability, dovrebbe divenire parte integrante dell’allenamento specifico in ogni disciplina sportiva. Si è riscontrata infatti, una migliore performance ed una maggiore predisposizione a recuperare e/o prevenire i danni da sovraccarico negli atleti allenati. Un “core” forte è indispensabile per la salute degli arti inferiori, ripartisce gli sforzi necessari per sorreggere i carichi che gravano sulla colonna vertebrale e quindi ne protegge tutte le sue componenti.

 

“Il CORE, è l’anello da cui transitano tutte le strade del movimento.”

Questo significa che dobbiamo lavorare dal centro alla periferia, prima allenando il meccanismo di stabilizzazione e poi focalizzando la nostra attenzione alla qualità del movimento. L’importanza di quanto sostenuto, risiede nel fatto che il sistema di stabilizzazione provvede alla stabilità della colonna, della pelvi e delle anche, mentre il movimento di per sé richiede mobilità e genera instabilità. Il sistema di stabilizzazione è la piattaforma sulla quale può lavorare il sistema di movimento ma se la piattaforma è debole o instabile, il sistema di movimento non può generare la forza necessaria per creare il movimento specifico.  Se il Core è instabile, la piattaforma intorno alla quale articolare il movimento, non consentirà di ridurre, produrre e trasferire in modo ottimale, la forza lungo la catena cinetica. (in Clark MA. Integrated training for the new millennium. Thousand Oaks, CA: National Academy of Sports Medicine; 2001 e Clark MA. Integrated core stabilization training. Thousand Oaks, CA: National Academy of Sports Medicine; 2001).

 

 

CONCETTO DI CORE E APPLICAZIONI NELL’ATLETICA

In tutti gli sport, la colonna vertebrale è coinvolta nell’equilibrio posturale, nel trasmettere l’azione e nel coordinare le attività tra gli arti superiori ed inferiori. Il corretto utilizzo del core e il sostegno muscolare nella regione lombo pelvica riducono i carichi sui dischi intervertebrali e lo stress a livello delle articolazioni intervertebrali.

La stabilità del baricentro o del core offre una solida base di appoggio per le estremità superiori ed inferiori, permettendo così ai segmenti corporei di muoversi più o meno velocemente. Attraverso la catena cinetica avviene una coordinata e sequenziale attivazione dei vari distretti corporei, in modo che l’arto superiore o inferiore al momento opportuno si trovi nella corretta posizione e possegga la giusta velocità per compiere il gesto atletico desiderato. (Kibler WB., Press J., Sciascia A, 2006).

Nei lanci, se i muscoli del core sono deboli, risultano inadeguati per trasmettere l’energia cinetica proveniente dagli arti inferiori e tutta la fatica ricade sui muscoli, sulle articolazioni e sui tessuti connettivi dell’arto superiore che deve compensare tale deficit affinché la velocità del lancio resti alta. Questa situazione può essere causa di danno all’atleta.

Immaginiamo un atleta che esegue un getto del peso, e immaginiamo, al momento del lancio, che questo atleta scivoli. Quando il piede scivola, la caviglia ruota, il ginocchio e l’anca assecondano il movimento accidentale della caviglia e il movimento risulta faticoso, pericoloso e inefficace. Qualunque articolazione compresa tra la caviglia e la mano del lancio è un’articolazione a rischio. L’effetto finale del movimento risulta falsato e improduttivo. In parole povere, questa è la catena cinetica e questo è l’effetto che un anello debole può generare: un problema di “debolezza” in una parte della catena può portare a trauma, dolore, infortunio, lesione in ognuna delle altre parti e all’insuccesso nel lancio.

Nella corsa, invece, si susseguono una molteplicità di movimenti rotazionali, azioni articolari e forze di compressione, che comportano un enorme stress per i tessuti biologici. Sul piano sagittale avvengono movimenti di flessione ed estensione e, sul piano frontale, piegamenti da un lato all’altro che comprendono anche delle piccole rotazioni. Una scarsa stabilità della regione lombare costituisce una delle principali cause di mal di schiena (Back Pain - BP) negli atleti. I ricercatori hanno evidenziato uno stretto legame tra i movimenti del tronco e del bacino nel corso del periodo di propulsione della corsa. L’obliquità del bacino che si verifica sul piano frontale fornisce un valido aiuto nell’assorbimento degli urti e nel controllare la leggera discesa e salita del centro di gravità, permettendo di mantenere l’equilibrio. Una disfunzione muscolare nel core aumenta la probabilità di provocare danni alla regione lombare e al bacino, influendo negativamente sulla capacità di assorbire gli urti e diminuendo l’efficacia della corsa.

Nelle corse e nei salti la dispersione delle forze prodotti dagli arti spesso è ancora maggiore, causando così una perdita di efficacia ed efficienza. La corretta posizione delle braccia “a taglio” nei 100 m, il mantenere un corretto angolo di chiusura nelle corse ad ostacoli e la capacità di stabilizzare in volo il corpo nel salto in lungo, sono esempi del beneficio che un prestante core stability è in grado di fornire in questa disciplina (Il manuale dell’istruttore di atletica leggera, centro studi e ricerche, 2010).

 

L’IMPORTANZA DELLA CORE STABILITY: LE RICERCHE SCIENTIFICHE NELLO SPORT.

Tutte le discipline sportive necessitiano di buone capacità di stabilizzazione e controllo neuromuscolare, vista la natura tridimensionale di molti movimenti specifici che richiedono adeguati livelli di forza nel tronco e nelle anche.  Lacune in tali fattori potrebbero conseguentemente sfociare in una tecnica inefficace e una maggiore predisposizione agli infortuni. A conferma di ciò, il LBP (Low Back Pain, ovvero mal di schiena nella zona bassa o lombare) è stato trovato essere un problema comune negli sport che richiedono una continua componente rotatoria del tronco associato a movimenti di flessione ed estensione.

Vediamo ora alcune recenti ricerche che evidenziano l’importanza di un buon protocollo di core stability in diversi sport e di come possa aiutare a migliorare la performance del movimento coinvolto:

Cusi, in una ricerca del 2001, (Cusi M, Juska-Butel CJ, Garlick D et al. ”Lumbopelvic stability and injury profile in rugby union players” .NZ J Sports med 2001;) ha osservato il rapporto tra un protocollo di “core training” con Fitball e l’incidenza di infortuni in giovani giocatori di rugby, trovando un legame favorevole tra tale tipologia di lavoro e la prevenzione di problematiche lombo-pelviche o negli arti inferiori.

Sato nel 2009 (Sato K, Mokha M. “Does core strength training influence running kinetics, lower-extremity stability, and 5000-M performance in runners?”. J Strength Cond Res 2009) ha studiato gli effetti di un “core training” di 6 settimane su 28 corridori di medio livello, che in quel periodo erano in fase preparatoria per una maratona, divisi in un gruppo sperimentale ed uno di controllo. Al normale allenamento di resistenza, i soggetti del primo gruppo hanno aggiunto un lavoro di Core Stability eseguito 4 volte a settimana con Fitball; tutti i partecipanti sono stati testati pre e post training al fine di osservare eventuali modifiche a livello di forze di reazione al suolo verticali e orizzontali (eseguite tramite una pedana di forza), equilibrio funzionale dinamico (tramite lo Star Excursion Balance Test) e tempo di corsa sui 5000 m. I risultati hanno mostrato miglioramenti nel test di equilibrio ed in quello di resistenza in entrambi i gruppi, seppur in maniera maggiore nel gruppo sperimentale, mentre nessun beneficio è emerso circa le fasi di impatto al suolo e la capacità di accelerazione/decelerazione del corpo. Conseguentemente, l’autore ha evidenziato un effetto benefico del “core training” eseguito con la Fitball.

Myer nel 2005 (Myer GD, Ford KR, Palumbo JP et al.”Neuromuscolar training improves performance and lower extremity biomechanics in female athletes”. J Strenght Cond Res 2005) ha invece trovato incrementi nella performance in seguito ad un programma di allenamento neuromuscolare globale caratterizzato da esercizi con sovraccarichi per il tronco e gli arti, lavori pliometrici, esercizi di equilibrio e “core stability”, lavori di forza a corpo libero e velocità. Nella sua ricerca ha coinvolto 41 giovani giocatrici di basket, calcio e pallavolo, le quali hanno condotto un training specifico 3 volte a settimana per 6 settimane, sollecitando in misura simile tutte le componenti interessate. Dal confronto pre-post allenamento e dalla comparazione con un gruppo di controllo, sono emersi miglioramenti significativi nei test di valutazione effettuati (vertical jump, salto in lungo monopodalico, velocità sui 10m, forza massima degli arti superiori ed inferiori), range of movement (ROM - a livello di ginocchio, anca e caviglia) durante il “drop jump” (salto in basso), gradi di valgismo o varismo del ginocchio, ma solamente nel gruppo sperimentale. Tutto ciò suggerisce quindi come un lavoro globale focalizzato sul controllo neuromuscolare incrementi la “core ability” e conseguentemente, la capacità di eseguire i test legati alla performance e quindi sono stati visti dei miglioramenti sport-specifici.

Ricerche cliniche su atleti infortunati hanno definito meglio la relazione fra la stabilità del Core e gli infortuni agli arti. Ad esempio, l’ampiezza di spostamento laterale del tronco a seguito di un improvviso spostamento si è visto possa predisporre agli infortuni del ginocchio, inoltre una distorsione cronicizzata della caviglia comporta una alterazione del meccanismo anticipatorio difensivo (feedforward) dei muscoli glutei.

 

 

 

 

CONCLUSIONI

Al termine di questo articolo, possiamo trarre delle conclusioni che ogni allenatore, preparatore o atleta è bene che sappia a riguardo della core stability:

  • Si è visto da studi recenti che una stabilità del Core è indispensabile per le performance atletiche ma anche per i gesti della vita quotidiana. Per tale motivo diamo particolare importanza ad allenare tale zona sia a livello riabilitativo che di training propriocettivo. Utilizzando movimenti sport-specifici, pedane instabili e gesti sportivo - specifici si può migliorare il controllo del movimento. Con un po’ di fantasia si possono inventare esercizi mirati per un gesto tecnico o per migliorare la qualità di un movimento altrimenti privo di controllo.
  • Allenare la Core stability amplifica la stabilità dell’intera catena cinetica. Focalizzare l’attenzione sul CORE è un modo per “assicurare” il movimento contro interferenze esterne e migliorare il controllo: Yoga, Pilates, a arti marziali quali il tai chi, utilizzano questo principio.
  • Utilizzare all’inizio esercizi semplici per passare via via a quelli più complessi. Procedere gradualmente nell’esecuzione di esercizi di core, dando molta importanza alla stabilità e al controllo. Iniziare con esercizi semplici, con più appoggi per poi ridurli sempre di più, da pedane stabili a instabili, in forma statica e dinamica e così via. L’allenamento del core non si basa solo su esercizi di rinforzo ma anche sul miglioramento della propriocezione, del controllo e della coordinazione della zona addomino-lombare. Ne esistono di vario tipo, l’importante è rispettare il concetto dal semplice al complesso.

 

  • La core stability possiede un ruolo fondamentale anche nella prevenzione degli infortuni. La core stability non è solo utile agli atleti durante la preparazione di una gara o di un campionato, ma anche a coloro che rientrano da un infortunio o che sono in pre-season. Allenare la muscolatura della regione addominale aiuta a prevenire gli infortuni, ciò non significa che l’atleta non avrà infortuni ma che le sue possibilità di farsi male si riducono.

 

  • Rimangono ad oggi non ben definiti quali siano le modalità di lavoro e gli esercizi migliori per indurre incrementi prestativi all’interno di una specifica disciplina. Pur non essendoci una garanzia di un “transfer” verso la prestazione, occorrerebbe scegliere gli esercizi più vicini ad un determinato modello prestativo e più inerenti al contesto dello sport specifico.

 

A cura di Maurizio Tripodi, in collaborazione con Matteo Ferrari!

Maurizio Tripodi

Prof. Maurizio Tripodi

Laureato Magistrale Scienze Motorie | Professore Università Cattolica di Milano
Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Team Matteo Ferrari

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L'organizzazione del tecnico di atletica – La scuola USA

16 Ottobre 2015 by Redazione

organizzazione tecnico

Quando si parla di preparazione e capacità dei tecnici di atletica leggera, in Italia molto spesso è più facile pensare al singolare, riferendosi ad individualità che lavorano in solitudine piuttosto che a gruppi tecnici di lavoro che programmano e sviluppano un lavoro di equipe.

La scarsa organizzazione delle nostre società e la pressoché totale assenza di istituzioni scolastiche che operano in maniera professionale nel nostro settore, lasciano spesso alla buona volontà, alla iniziativa e all'autodisciplina di “uomini soli”,la gestione e l'organizzazione del lavoro del tecnico di atletica leggera.

In questo senso si potrebbe imparare qualcosa dalle associazioni sportive dilettantistiche degli sport di squadra, riconoscendo che calcio, pallavolo e pallacanestro anche in categorie molto basse sono meglio organizzati di noi, senza necessariamente disporre di mezzi economici inimmaginabili.

Per molti versi il nostro è un problema “culturale” che porta al proliferare di tuttologi che talvolta si devono occupare, oltre che di allenamento, di fisioterapia e riabilitazione, dal momento che spesso anche queste figure non fanno parte dell'organigramma delle nostre società.

Se poi guardiamo nel concreto nel panorama delle numerosissime società di atletica, ben poche si occupano di tutte le specialità o, perlomeno, si propongono di allenare tutti e i gruppi di specialità in maniera soddisfacente.

Il manuale dell'allenatore  della federazione di atletica americano, a differenza dell'omologo italiano, si occupa invece anche di problemi organizzativi.

Ad esempio ci sono delle indicazioni su come dovrebbe essere organizzata una manifestazione e su come si debbano comunicare e promuovere gli eventi del club e delle manifestazioni a cui si partecipa o di cui ci si fa promotori.

Per quanto riguarda propriamente lo staff tecnico l “USA Track & Field Coaching Manual” dà delle indicazioni precise suggerendo possibili combinazioni in cui dividere le responsabilità e le mansioni dei tecnici all'interno di una squadra.

USA Track & Field Coaching Manual Organizzazione del tecnico di atletica

USA Track & Field Coaching Manual - Organizzazione del tecnico di atletica

Ovviamente le situazioni relative ad un college o ad una high school americana non sono direttamente sovrapponibili a quella che può essere l'esperienza di una associazione dilettantistica italiana.

Allo stesso modo alcune combinazioni ci paiono abbastanza singolari essendo legate a dinamiche e a logiche particolari e probabilmente non applicabili tout court alla realtà italiana.

Tuttavia riteniamo che riproporre i suggerimenti sul modo organizzare il lavoro di uno staff tecnico possa essere anche uno spunto di riflessione da introdurre nei nostri club che spesso, se non disorganizzati, sono semplicemente privi di organizzazione alcuna. Per questo motivo di seguito proponiamo la traduzione del capitolo del “USA Track & Field Coaching Manual” relativo a tale tematica.

 

L'organizzazione del tecnico di atletica.

L'organizzazione del proprio staff

Sia che voi siate l'unico coach per i vostri atleti piuttosto che siate a capo di uno staff di allenatori, quelle che di seguito esponiamo sono strategie valide per organizzare la preparazione di tutte le specialità.
Uno staff di sei allenatori competenti sarebbe magnifico, ma spesso economicamente irrealizzabile.

Dove c'è la volontà, una strada la si trova. (come ben sanno molti tecnici italiani! Ndr)

 

 

Staff di una sola persona

In alcune scuole, la mancanza di fondi potrebbe costringervi a lavorare completamente soli senza alcun aiuto. Questo non accade più con la frequenza di un tempo, ma può ancora essere possibile. Se vi trovate in questa situazione provate a reperire aiuto da volontari, collaboratori (della scuola ndr; della società nel nostro caso ndr) e dai genitori di qualcuno dei ragazzi. Se vi manca l'aiuto dei volontari, potreste ingaggiare qualcuno fra i responsabili del corpo studenti.

Provare ad allenare 15 o 16 differenti specialità da soli sarà davvero una sfida alle vostre capacità ( e in che percentuale sono infatti in Italia le società di atletica che riescono ad allenare decentemente almeno una specialità di corsa, una di salto e un lancio? Ndr), ma potrete comunque costruire una programma che produca atleti che imparano, si divertono e che sperimentano l'emozione della competizione.

Per far ciò avrete bisogno di stabilire come dividere il tempo a vostra disposizione fra tutte le specialità in modo di affrontarne ognuna almeno un paio di volte alla settimana.

La tabella seguente mostra un esempio di come potrebbe essere organizzato il lavoro in una settimana di 5 giorni.

[su_table]

Organizzazione del lavoro settimanale con un solo tecnico

  Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì
Prima ora Mezzofondo Velocità Ostacoli Mezzofondo Velocità e Ostacoli
Seconda ora Salti in elevazione Lanci Salti in estensione Lanci Tutti i salti
Terza ora Pesistitica e preparazione generale di ogni specialità
Mezzofondo e Lanci Velocità e salti Mezzofondo e Lanci Velocità e salti Lanci

[/su_table]

Un'organizzazione di questo tipo richiede che gli atleti che non sono allenati un determinato giorno svolgano il proprio allenamento in autonomia. Questo richiede che siano loro assegnati dei compiti che possono affrontare da soli in sicurezza.  Tenete questi atleti occupati con attività che non richiedano grandi difficoltà o il massimo sforzo, evitando attività pericolose.

Gli atleti più esperti e più grandi possono essere di aiuto motivando i compagni e dirigendo l'allenamento durante sedute. Uno buon team manager può inoltre dare un'occhiata ai ragazzi impegnati in queste attività mentre, nel frattempo, voi siete impegnati con altre specialità.

La cosa più importante in questa situazione è l'organizzazione.

Occorre predisporre una tabella di allenamento per mantenere sempre attivi  tutti gli atleti.

I momenti di attività senza supervisione del coach spesso rischiano, dando libertà agli atleti di trasformarsi in attività scatenate e senza controllo e ad ogni modo improduttive.

 

 

Staff di 2 persone 

Con uno staff di due persone è teoricamente possibile raddoppiare il tempo dedicato allo sviluppo di ciascuna specialità.

Il modo di dividersi i compiti dovrebbe dipendere dalle differenti competenze e dai differenti interessi di ciascun allenatore.

Esempio:

  • Allenatore A: Tutte le specialità di corsa
  • Allenatore B: Tutti i concorsi

Dal momento che questa suddivisione necessita di affrontare una specialità diversa ogni giorno, funziona molto bene con le specialità di corsa. Tuttavia, in ragione della complessità tecnica dei concorsi, l'allenatore che si occupa di questi ultimi dovrà restare sul campo per più ore rispetto al collega che si occupa di corse. Per questo motivo l'allenatore delle corse potrebbe occuparsi di un concorso. Dal momento che ostacolisti e velocisti spesso sono anche buoni saltatori, l'allenatore di questi atleti potrebbe anche occuparsi di una specialità di salto.

 

Staff composto da tre tecnici

Con uno staff di tre allenatori  le opportunità di dividersi i compiti si ampliano verso impostazioni più efficaci:

Esempio 1

Allenatore A: Mezzofondo e salti (American oddity!! ndr)

Allenatore B: Velocità, ostacoli e due specialità di salto

Allenatore C: Lanci, pesistica per tutte le specialità

 

Esempio 2

Allenatore A: Mezzofondo e ostacoli

Allenatore B: Velocità, staffette e salti

Allenatore C: Lanci, salto con l'asta ( vedi sopra...ndr)

 

Esempio 3

Allenatore A: Mezzofondo e salto con l'asta

Allenatore B: Velocità , ostacoli e salto in lungo

Allenatore C: Lanci, salto in alto

Ci sono molte altre combinazioni (Per fortuna!ndr). Il numero di specialità di salto o di lancio varia da stato a stato (si riferisce al programma di gare dei giochi studenteschi ndr). In alcuni stati sono previsti il giavellotto o il martello, mentre altri possono includere peso o disco. In altri stati i tradizionali salto in lungo, in alto e con l'asta sono affiancati dal triplo.

Il salto con l'asta è una disciplina molto complessa e difficile da padroneggiare che richiede una speciale attenzione dell'allenatore perché siano assicurate indicazioni puntuali e la sicurezza degli atleti.

Stesso discorso si può fare per il giavellotto, il disco e il martello. Il peso invece, pur richiedendo le stesse attenzioni per garantire la sicurezza, è meno complesso rispetto agli altri lanci e il tempo di apprendimento può essere minore (che ne pensano i tecnici dei lanci? Ndr).

Tutti questi fattori devono essere tenuti in considerazione quando si dividono i diversi compiti fra gli allenatori.

 

 

Staff composto da quattro tecnici

Con uno staff di quattro allenatori  le opportunità di dividersi i compiti crescono ulteriormente:

Esempio 1

Allenatore A: Fondo e mezzofondo

Allenatore B: Salti

Allenatore C: Lanci

Allenatore D: Velocità, ostacoli e staffette

Questa è diventata una delle impostazioni più comuni, che da allo staff degli allenatori il tempo di lavorare con gli atleti di ogni gruppo su base giornaliera. Ma sono possibili altre varianti come le seguenti:

 

Esempio 2

Allenatore A: Fondo e mezzofondo

Allenatore B: Ostacoli e salto con l'asta

Allenatore C: Velocità e staffette

Allenatore D: Lanci e pesistica per ogni specialità.

 

Esempio 3

Allenatore A: Fondo e mezzofondo

Allenatore B: Ostacoli e salto con l'asta

Allenatore C: Velocità e staffette

Allenatore D: Lanci e pesistica per ogni specialità.

 

Esempio 4

Allenatore A: Fondo e mezzofondo e salto in alto (…!!ndr)

Allenatore B: Velocità, staffette e salto in alto

Allenatore C: Ostacoli, salto con l'asta

Allenatore D: Lanci

[su_divider top="no" divider_color="#8bc751"] 

 

Staff composto da cinque tecnici

Con 5 persone, potreste usare una delle seguenti combinazioni:

Esempio 1

Allenatore A: Fondo e mezzofondo

Allenatore B: Velocità, staffette

Allenatore C: Ostacoli

Allenatore D: Lanci

Allenatore E: Salti

 

Esempio 2

Allenatore A: Fondo e mezzofondo

Allenatore B: 400, staffetta 4x400  e ostacoli bassi

Allenatore C: Velocità, staffetta 4x100 ed ostacoli alti

Allenatore D: Lanci

Allenatore E: Salti

 

 

Staff composto da sei tecnici

Con 6 persone, potreste usare una delle seguenti combinazioni:

Esempio 1

Allenatore A: Fondo e mezzofondo

Allenatore B: Velocità, lungo e triplo

Allenatore C: Ostacoli e staffette

Allenatore D: Lanci

Allenatore E: Salto in alto

Allenatore F: Salto con l'asta

 

Esempio 2

Allenatore A: Fondo e mezzofondo

Allenatore B: Velocità e staffette

Allenatore C: Ostacoli, lungo e triplo

Allenatore D: Salto con l'asta

Allenatore E: Lanci

Allenatore F: Mezzofondo e ostacoli bassi

 

 

Conclusioni 

Come visto, la suddivisione dei compiti proposta dal manuale dell'allenatore USA, talvolta segue logiche che sfuggono alla comprensione di un allenatore italiano.

Probabilmente tali scelte vanno ricondotte alle tradizioni o all'organizzazione interna delle scuole e delle competizioni scolastiche statunitensi.

Tuttavia non possiamo non notare alcuni pregi nell'affrontare una problematica che negli omologhi manuali italiani semplicemente non viene considerata.

Innanzi tutto sarebbe auspicabile stabilire sempre in anticipo quali siano le responsabilità, i compiti e gli obbiettivi di ogni tecnico all'interno dell'associazione in cui lavora.

In secondo luogo l'obbiettivo di ogni associazione dovrebbe essere quella di sviluppare degli staff di lavoro i più ampi e coordinati possibili, al fine di offrire ai nostri atleti  l'opportunità di confrontarsi con tutte le specialità dell'atletica leggera.

 

Realizzazione pratica e reale di quanto scritto

Di seguito mostriamo un esempio reale di organizzazione, utilizzato con buoni riscontri dagli atleti dell' Audaces Nave nella stagione passata.

L'organizzazione del tecnico di atletica - Audaces Nave

L'organizzazione del tecnico di atletica - Audaces Nave

L 'impostazione, con qualche elasticità, è stata replicata anche nel periodo primaverile, quando si è abbandonata l' attività del lunedì in palestra a favore del campo di atletica. Il gruppetto che mi è stato affidato è stato quello dei cadetti e delle cadette, a cui è stata richiesta la frequenza ad almeno tre sedute di allenamento settimanali, a fronte di un'offerta articolata su cinque giorni. In ogni caso, a prescindere dai giorni di allenamento prescelti, ci si è assicurati che agli atleti di questa categoria fosse data la possibilità di acquisire la padronanza della tecnica di base della corsa, di almeno un lancio e di un salto. I cadetti  inoltre condividevano parte dell'attività  con atleti di categorie superiori, in fase di specializzazione, impegnati in tutte e cinque le sedute e, dalla categoria promesse in poi, anche il sabato.

Gli atleti piú evoluti han frequentato inoltre una sala di muscolazione un paio di volte alla settimana. La compresenza di atleti giovani con atleti più evoluti(una dozzina  in un range dai 15 ai 24 anni), è stata resa possibile anche dall'attivitá del gruppo ragazzi/e, che in realtà ha funzionato anche da "incubatrice" per i 14/15 enni alle prime esperienze atletiche. La categoria cadetti e cadette a mio parere risulta essere  particolare, presentando al suo interno ragazzi con esigenze psicologiche e tecniche molto diverse. Anche per questo motivo il passaggio dal gruppo ragazzi a quello cadetti non è stato organizzato in maniera rigida ed obbligatoria. Grazie a questa impostazione sia gli atleti che hanno optato per un approccio più ludico ed educativo, che quelli più orientati verso un discorso di costruzione delle basi della performance, hanno avuto ottimi riscontri sia dal punto di vista tecnico che formativo. Con riferimento al mio gruppo, il problema principale è stato quello di far convivere atleti in fase di costruzione con atleti alla ricerca della prestazione.

La soluzione è stata quella di organizzare i pomeriggi al campo secondo un criterio simile a quello utilizzato per regolare gli orari settimanali delle materie scolastiche. In pratica, a seconda del giorno e dell'ora, gli atleti trovavano, oltre a me, la specialità che dovevano prepare. Questo è stato possibile grazie ad una buona disponibilità di tempo, che mi ha permesso di essere al campo spesso per 4 o più ore consecutive. L'attività dei cadetti/e  ovviamente differiva da quella dei più grandi (oltre che per obiettivi), per quantità, qualità e durata delle sessioni, anche se veniva svolta in contemporanea e condividendo gli stessi " temi"  principali in ogni seduta. Per alcune specialità quali asta, giavellotto e disco mi sono avvalso della collaborazione di tecnici specialisti. La necessità di ricorrere ad altri tecnici per colmare le mie lacune in queste specialità, è stata peró da attribuire ad esigenze  e limiti di carattere meramente tecnico e non logistico. Sfruttando i comuni denominatori delle specialità dell'atletica e regolando tempi e modalità di accesso al campo di atleti di diversa esperienza e capacità , questa organizzazione infatti permette ad un solo tecnico, fino ad un livello di discreta qualificazione,  di gestire grandi e piccoli, specialisti e multiplisti in tutto lo spettro delle gare comprese in un eptathlon e in un decathlon. Nella stagione appena trascorsa, considerato anche l 'ulteriore requisito di avere ragazzi motivati e responsabili, è stato possibile  preparare per i campionati italiani ottenendo  risultati che ritengo soddisfacenti, atleti negli: 80 hs, nell'esathlon, nel salto in alto cadetti, nel salto con l'asta Juniores femminile, nell' eptathlon promesse femminile, nell'epthatlon e decathlon assoluti,  nei 100 hs assolute e promesse.

 

 

 

Andrea Uberti - cofondatore de IlCoach

Andrea Uberti

Combined Events Coach | ilCoach.net ASD Vice President
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